Cass. Sez. III n. 21988 del 26 maggio 2016 (Ud 28 apr 2016)
Pres. Fiale Est. Ramacci Ric. Brioschi
Urbanistica.Nozione di dehor

Si intendono per «dehor» gli spazi esterni ad un pubblico esercizio attrezzati con arredi aventi lo scopo di delimitarlo ed assicurare la sicurezza e l'incolumità delle persone e come tali non possono considerarsi strutture che, per dimensioni e caratteristiche costruttive, risultino destinate a non contingenti esigenze di esercizio dell'attività determinando un incremento volumetrico o, comunque, una trasformazione del territorio

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 29/9/2015 rigettato la richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo emesso in data 25/8/2015 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale ed avente ad oggetto una struttura consistente in una pedana delimitata da parapetti in ferro con pannellatura modulare e copertura sorretta da travatura orizzontale e verticale, per la realizzazione della quale B.C. risulta indagato per i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, artt. 633 e 639-bis cod. pen..

Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen..

2. Con un primo motivo di ricorso lamenta l'insussistenza del fumus del reato di abuso edilizio osservando che per le opere realizzate non sarebbe richiesto il permesso di costruire e che il reato, avente natura contravvenzionale, sarebbe ormai prescritto.

Aggiunge che il Tribunale non avrebbe tenuto conto delle censure difensive, omettendo di prendere in considerazione la natura dell'intervento realizzato e la data di realizzazione dello stesso.

3. Con un secondo motivo di ricorso rileva che, anche per ciò che attiene il delitto oggetto di provvisoria incolpazione, la motivazione del provvedimento impugnato "non sembra particolarmente cospicua" e sarebbe fondata su una non corretta lettura della documentazione prodotta, dalla quale risulterebbe la pendenza di un ricorso innanzi al giudice amministrativo in relazione alla questione concernente l'occupazione del suolo pubblico.

Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.

Il Procuratore Generale, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.

In data 21/4/2016 la difesa ha depositato in cancelleria un memoria di replica i sensi dell'art. 611 cod. proc. pen..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

Va preliminarmente rilevato che dal provvedimento impugnato e dal ricorso, unici atti ai quali questa Corte ha accesso, non è dato rilevare compiutamente quali siano esattamente i reati oggetto di provvisoria incolpazione, non avendo ritenuto il Tribunale di indicarli ed avendo il ricorrente fatto generico riferimento al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, senza ulteriori indicazioni ed agli artt. 633 e 639-bis cod. pen., che menziona, invece, nella memoria.

Dal complesso di tali limitate indicazioni, dal tenore dell'ordinanza e del ricorso, nonchè dalla descrizione delle opere riportata dal Tribunale, si ricava che, attraverso la realizzazione della struttura descritta in premessa, qualificata dal ricorrente come "dehor", destinata ad accogliere i tavoli di un ristorante gestito dall'indagato, questi abbia anche arbitrariamente invaso il suolo pubblico, occupandolo senza titolo.

Obietta tuttavia il ricorrente, come pure specificato in premessa, che dette opere non sarebbero soggette al preventivo rilascio del permesso di costruire, non determinando alcuna trasformazione urbanistica permanente e che il reato contravvenzionale sarebbe ormai prescritto, mentre la mancanza di autorizzazione amministrativa all'occupazione del suolo pubblico non consentirebbe di ritenere configurato il delitto, restando confinata nell'ambito della mera irregolarità amministrativa.

Nel formulare tali osservazioni il ricorrente, tuttavia, pur denunciando la violazione di legge, si limita, sostanzialmente a censure concernenti la motivazione del provvedimento impugnato, suffragando peraltro le proprie affermazioni attraverso ripetuti richiami ad atti e documenti la cui consultazione, come si è già detto, è preclusa al giudice di legittimità, nonchè con riferimenti a dati fattuali che pure non possono avere ingresso in questa sede.

2. Date tali premesse, per ciò che riguarda la contravvenzione edilizia, va rilevato che opere aventi consistenza e caratteristiche costruttive quali quelle realizzate dal ricorrente devono senz'altro ritenersi soggette al permesso di costruire.

Si tratta, invero, di una struttura destinata, per dimensioni e caratteristiche costruttive, a non contingenti esigenze di esercizio dell'attività di ristorazione che determina, indubbiamente, un incremento volumetrico.

La struttura, che, come chiarito nella descrizione riportata dal Tribunale, è costituita, oltre che da una pedana delimitata da parapetti in ferro, anche da una chiusura laterale mediante pannellatura modulare e da una copertura sorretta da travatura orizzontale e verticale, ha, evidentemente, caratteristiche di gran lunga differenti rispetto a quelle richieste per delimitare lo spazio esterno di un locale ed assicurare la sicurezza e l'incolumità delle persone, costituendo, in buona sostanza, non un dehor, come lo definisce il ricorrente e, cioè, uno spazio esterno ad un pubblico esercizio attrezzato con arredi, bensì una nuova volumetria suscettibile di autonoma utilizzazione.

Un intervento di tale consistenza non potrebbe neppure definirsi precario, atteso che, secondo quanto ripetutamente stabilito dalla giurisprudenza di questa Corte, la precarietà non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dall'utilizzatore, sono irrilevanti le caratteristiche costruttive i materiali impiegati e l'agevole rimovibilità, l'opera deve avere una intrinseca destinazione materiale ad un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo e deve, inoltre, essere destinata ad una sollecita eliminazione alla cessazione dell'uso (v. da ultimo, Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014 (dep. 2015), Manfredini, Rv. 261636).

4. Va inoltre osservato, per ciò che concerne la dedotta prescrizione, che la stessa non può essere in alcun modo rilevata in questa sede in assenza di obiettivi elementi di valutazione circa la data di ultimazione dell'intervento e che, in ogni caso, anche l'eventuale estinzione del reato contravvenzionale non sottrarrebbe rilievo al fatto che la misura reale resterebbe applicabile per il residuo delitto.

5. Riguardo a tale ulteriore contestazione, deve considerarsi che, proprio con la decisione richiamata dal ricorrente (Sez. 2, n. 31811 del 8/5/2012, Sardo e altro, Rv. 254330) si è precisato che il delitto in questione si configura attraverso la turbativa del possesso che realizzi un apprezzabile depauperamento delle facoltà di godimento del terreno o dell'edificio da parte del titolare dello "ius excludendi", secondo quella che è la destinazione economico-

sociale del bene o quella specifica ad essa impressa dal "dominus" e che esso non si pone in rapporto di specialità con l'illecito amministrativo previsto dal D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 20 (occupazione della sede stradale), essendo diversa l'obbiettività giuridica delle due norme, la prima in quanto posta a tutela del patrimonio, l'altra della sicurezza della circolazione stradale (tale ultimo principio è stato ribadito da Sez. 2, n. 17892 del 15/04/2015, Ganci, Rv. 263766).

Inoltre, quanto all'elemento soggettivo, nella medesima pronuncia si è affermato che la coscienza e volontà di invadere arbitrariamente terreni od edifici altrui, pubblici o privati, alternativamente "al fine di occuparli" oppure "al fine di trarne altrimenti profitto", deve ricomprendere anche la coscienza e volontà di porre in essere una turbativa del possesso che realizzi un apprezzabile depauperamento delle facoltà di godimento del bene da parte del suo titolare, per una delle indicate finalità soggettive.

Nel caso di specie, rileva il Tribunale che l'immobile realizzato occupa una superficie della carreggiata stradale destinata alla sosta, circostanza, questa che rende evidente la piena consapevolezza della illegittimità dell'invasione ed il fine specifico di utilizzare a proprio vantaggio il suolo pubblico avente diversa destinazione.

6. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2015.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2016