Cass. Sez. III n. 12529 del 5 aprile 2022 (Cc 14 gen 2022)
Pres. Sarno Est. Zunica Ric. Crescente
Urbanistica.Demolizione immobile abusivo e delibera comunale di acquisizione

In tema di reati edilizi, in presenza di una delibera comunale che dichiari la sussistenza di prevalenti interessi pubblici all’acquisizione dell’opera abusiva al patrimonio del Comune e alla destinazione ad alloggi per edilizia residenziale, ostativi all’esecuzione dell’ordine giurisdizionale di demolizione, il sindacato del giudice dell’esecuzione sull’atto amministrativo, concernendo il carattere attuale e non meramente eventuale di detto interesse, può avere a oggetto l’esistenza di approfondimenti tecnico-amministrativi inerenti l’immobile che siano indice del fondamento e della specificità della decisione dell’organo comunale, in linea con il necessario coordinamento tra funzioni dell’organo comunale collegiale e valutazioni tecnico amministrative. Ai fini della incompatibilità dell’esecuzione dell’ordinanza di demolizione con la delibera consiliare dichiarativa dell’esistenza di prevalenti interessi pubblici rispetto al ripristino dell’assetto urbanistico violato, il provvedimento amministrativo presuppone che tale evenienza sia attuale e non meramente eventuale, non essendo consentito interrompere l’esecuzione penale per un tempo non definito e non prevedibile.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 2 aprile 2021, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in sede esecutiva, rigettava le istanze avanzate nell’interesse di Angelo Crescente, Sindaco del Comune di Capodrise, finalizzate a ottenere la revoca e/o la sospensione degli ordini di demolizione emessi nei confronti di Giuseppe Santillo, Maddalena Palmiero, Antonio Conchiglia e Patrizia Iovine, in esecuzione delle sentenze di condanna rese dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Sezione distaccata di Marcianise, avendo i relativi ordini di demolizione ad oggetto immobili formalmente acquisiti al patrimonio del Comune di Capodrise, con delibere con le quali era stata dichiarata la prevalenza dell’interesse pubblico alla conservazione delle opere oggetto dei diversi ordini demolitori.
2. Avverso l’ordinanza del Tribunale sammaritano, Crescente, tramite il proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico e articolato motivo, con cui la difesa deduce la mancanza e manifesta illogicità della motivazione, il travisamento del fatto e della prova in relazione all’avvenuta acquisizione delle opere al patrimonio comunale per finalità di “social housing”, nonché la violazione dell’art. 31, comma 5, del d.P.R. n. 380 del
2001 in relazione al cd. “profilo sismico”, contestando, innanzitutto, l’assunto del Tribunale secondo cui sussisterebbe incertezza circa l’attuale vigenza nel nostro ordinamento della legge regionale n. 5 del 2013, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 140 del 2018 che aveva dichiarato l’incostituzionalità della legge n. 19 del 2017. Si osserva al riguardo che la decisione della Consulta ha riguardato solo l’art. 2 comma 2 della legge regionale n. 19 del 2017, senza tuttavia incidere sull’efficacia della legge regionale n. 5 del 2013, che prevede (art. 1 comma 65) un principio analogo a quello dichiarato costituzionalmente illegittimo, ovvero quello secondo cui sono consentite la locazione e l’alienazione degli immobili acquisiti al patrimonio comunale per inottemperanza all’ordine di demolizione, anche con preferenza per gli occupanti per necessità, al fine di garantire un alloggio adeguato alla composizione del relativo nucleo familiare.
La declaratoria di incostituzionalità non è stata infatti estesa pure a tale norma, che peraltro, a differenza di quella oggetto della decisione della Consulta, prevede la necessità di una preventiva verifica circa l’indisponibilità di una differente soluzione abitativa per i destinatari degli alloggi acquisiti dal Comune.
Del resto, osserva la difesa, la Corte di cassazione (Sez. 3, n. 38749 del 09/07/2018), con una pronuncia resa 4 giorni dopo la sentenza della Corte costituzionale, non ha dubitato della perdurante vigenza della legge regionale n. 5 del 2013, in relazione a una delibera consiliare in tema di social housing.
Ancora, la difesa contesta la valutazione del Tribunale circa l’asserita vaghezza delle delibere n. 13, 14 e 15 del 2018, avendo il giudice dell’esecuzione sindacato indebitamente profili di discrezionalità amministrativa non censurabili in sede giurisdizionale, peraltro dopo aver riconosciuto la correttezza formale dei provvedimenti, nei quali del resto era stato ampiamente rispettato l’obbligo di motivazione previsto dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990.
In ogni caso, si evidenzia che, a differenza di quanto sostenuto dal Tribunale, la destinazione degli immobili a edilizia residenziale sociale era certa, concreta ed effettiva, non risultando ancorata ad alcun termine o evento futuro e incerto.
Le delibere in questione, dunque, rappresentano una scelta definitiva a tutela del pubblico interesse, essendo l’obiettivo del Comune quello di favorire non i soggetti destinatari degli ordini di demolizione, ma l’edilizia residenziale sociale, in coerenza con il diffuso modello di intervento pubblico del social housing, fermo restando che l’assegnazione agli eventuali occupanti degli immobili non era automatica, essendo condizionata alla verifica dell’indisponibilità di altri alloggi, ciò in conformità con i principi stabiliti dalla legge regionale n. 5 del 2013.
In tal senso, aggiunge la difesa, la destinazione degli immobili abusivi alle finalità stabilite dall’art. 1 comma 65 della legge n. 5 del 2013 è stata da tempo ritenuta legittima dalla giurisprudenza amministrativa, avendo il Consiglio di Stato, in particolare, escluso che la norma in questione incida sulla possibile scelta dei Comuni di adottare le sanzioni repressive previste dal Testo Unico dell’edilizia, il cui art. 31, comma 5, delinea peraltro uno “strumento sostanziale di redenzione della colpa” (così Consiglio di Stato, Sez. 4, sentenza n. 1770 del 13/04/2017).
Le delibere n. 13, 14 e 15 del 2018 erano dunque conformi, anche sul piano sostanziale, al modello legale tipico fissato dall’art. 31 comma 5 del d.P.R. n. 380 del 2001, avendo il Comune disposto la cd. acquisizione conservativa dopo aver accertato la sussistenza di tutti i requisiti necessari ai fini dell’acquisizione degli immobili al patrimonio comunale, posto che tutte le schede tecniche allegate alle delibere attestano il deposito dei certificati di collaudo statico, per cui neanche sotto il profilo sismico sussistevano criticità, e ciò senza considerare che l’art. 31 comma 5 del d.P.R. n. 380 del 2001 non contempla l’aspetto sismico tra i presupposti della dichiarazione di acquisizione conservativa degli immobili.

CONSIDERATO IN DIRITTO

        Il ricorso è infondato.
        1. Deve premettersi che il giudice dell’esecuzione, nel disattendere l’istanza del Sindaco di Capodrise di sospensione o revoca dell’ordine di demolizione degli immobili acquisiti al patrimonio comunale, ha rimarcato la inadeguatezza delle relative delibere comunali, presentando le stesse una motivazione apparente, trattandosi di atti amministrativi redatti “in ciclostile”, nei quali l’unico elemento differenziale è la sola indicazione dell’immobile di volta in volta preso in esame.
La struttura dei provvedimenti era infatti sempre la medesima: veniva dato conto dei pareri di regolarità tecnica e correttezza amministrativa e di regolarità contabile, vi era una ricostruzione del panorama normativo e giurisprudenziale in materia, veniva citato il regolamento del Comune approvato con deliberazione n. 2 del 9 gennaio 2018, venivano quindi indicate le coordinate geografiche e catastali dell’immobile di volta in volta acquisito, precisandosi che questo non contrasta con rilevanti interessi urbanistici e ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico, non essendo il Comune di Capodrise inserito tra i Comuni a rischio di alluvioni o frane, né tra quelli sottoposti a vincoli paesaggistici.
Veniva altresì specificato sia che nella parte di territorio comunale dove sono ubicate le opere non risultano programmate attività di interesse collettivo, sia che le zone in questione sono dotate di opere di urbanizzazione, precisandosi che la destinazione d’uso impressa dal Consiglio comunale per ciascuna opera abusiva era quella di alloggio per edilizia residenziale sociale (housing sociale).
Sul punto, il Tribunale ha rilevato che, rispetto alle precedenti delibere adottate con riferimento agli immobili abusivi, il Comune aveva omesso il riferimento all’interesse economico, ovvero quello di evitare le spese di abbattimento, proponendo la diversa giustificazione incentrata sul cd. housing sociale.
         1.1. Ciò posto, il giudice dell’esecuzione ha ritenuto carente l’impianto motivazionale delle delibere in esame, non essendo stati specificati i motivi per cui doveva ritenersi prevalente l’interesse pubblico alla conservazione di quella specifica opera abusiva, non potendo valere le considerazioni astratte esposte.
Peraltro, in ognuna delle sentenze di condanne era contestata la violazione della normativa antisismica, il che poneva criticità con l’asserita attuale compatibilità degli immobili con la disciplina antisismica e, inoltre, nella scheda di verifica allegata a ciascuna delibera si rinviava a un certificato di collaudo in alcuni casi molto risalente nel tempo, prevedendo poi le delibere una condizione legata alla sola iniziativa del futuro acquirente/assegnatario dell’immobile, essendo cioè il provvedimento condizionato sospensivamente alla certificazione da parte dell’aggiudicatario di aver realizzato le opere necessarie per adeguare l’immobile alle normative in materia di staticità dell’edificio e di sicurezza degli impianti.
Tale circostanza, oltre a generare ragionevoli dubbi sul rispetto della normativa antisismica, determinava una grave incertezza sui tempi di realizzazione della condizione sospensiva, rimessa sostanzialmente all’aggiudicatario, così minando fortemente la concretezza e l’attualità dell’interesse pubblico perseguito.
Da ultimo, è stato rimarcato dal giudice dell’esecuzione che il modus operandi del Comune, in assenza di atti che dimostrino l’avvenuto espletamento di gare/procedure funzionali all’assegnazione degli alloggi, determinava il rischio concreto che a beneficiare degli immobili fosse proprio l’autore dell’abuso, come emerso ad esempio in relazione alla posizione dell’imputato Giuseppe Santillo.
       2. Orbene, l’impostazione seguita nell’ordinanza impugnata non presenta vizi di legittimità, dovendosi evidenziare che questa Corte, in una precedente decisione riferita a un analogo ricorso proposto dal medesimo odierno ricorrente (Sez. 3, n. 9098 del 15/01/2021, Rv. 281478), ha già avuto modo di precisare che, in tema di reati edilizi, in presenza di una delibera comunale che dichiari la sussistenza di prevalenti interessi pubblici all’acquisizione dell’opera abusiva al patrimonio del Comune e alla destinazione ad alloggi per edilizia residenziale, ostativi all’esecuzione dell’ordine giurisdizionale di demolizione, il sindacato del giudice dell’esecuzione sull’atto amministrativo, concernendo il carattere attuale e non meramente eventuale di detto interesse, può avere a oggetto l’esistenza di approfondimenti tecnico-amministrativi inerenti l’immobile che siano indice del fondamento e della specificità della decisione dell’organo comunale, in linea con il necessario coordinamento tra funzioni dell’organo comunale collegiale e valutazioni tecnico amministrative; con tale pronuncia, è stato altresì ribadito che, ai fini della incompatibilità dell’esecuzione dell’ordinanza di demolizione con la delibera consiliare dichiarativa dell’esistenza di prevalenti interessi pubblici rispetto al ripristino dell’assetto urbanistico violato, il provvedimento amministrativo presuppone che tale evenienza sia attuale e non meramente eventuale, non essendo consentito interrompere l’esecuzione penale per un tempo non definito e non prevedibile (cfr. anche Sez. 3 n. 41339, del 06/11/2008, non mass.). È stato così affermato, in continuità con un consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 11419 del 29/01/2013 Rv. 254421) che è del tutto generico il mero riferimento a una destinazione di interesse pubblico, atteso che non può giustificarsi l’interesse concreto al mantenimento dell’opera abusiva nel caso in cui, di fatto, la delibera costituisce, sostanzialmente, un atto di indirizzo politico, in quanto rimanda a successivi atti amministrativi sostanzialmente rinviando la valutazione dei presupposti di legge cui l’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 condiziona la non operatività della demolizione. Pertanto, sottraendo l’opera abusiva al suo normale destino di demolizione previsto ex lege, la delibera comunale che dichiara l’esistenza di un interesse pubblico prevalente sul ripristino dell’assetto urbanistico violato non può fondarsi su valutazioni di carattere generale o riguardanti genericamente più edifici, ma deve dare conto delle specifiche esigenze che giustificano la scelta di conservazione del singolo manufatto, precisamente individuato, non potendo sopperire all’esigenza di una specifica determinazione meri richiami a disposizioni normative, ad altri provvedimenti o a valutazioni di ordine economico, inerenti al costo delle spese di demolizione, in quanto la natura eccezionale della deliberazione richiede che il mantenimento dell'opera abusiva sia giustificato dalla sussistenza di esigenze specifiche, individuate sulla base di dati obiettivi riferiti al singolo caso all’esito di adeguata istruttoria.
        2.1. La decisione impugnata si è posta in sintonia con tali premesse interpretative, nella misura in cui ha sottolineato la genericità delle delibere comunali, redatte in maniera standard e senza uno specifico riferimento a eventuali interessi pubblici concreti di volta in volta prevalenti rispetto a quello della demolizione degli immobili abusivi in esame.
I rilievi del giudice dell’esecuzione circa le lacune argomentative delle delibere, anche rispetto alle ravvisate e oggettive incertezze in ordine al rispetto della normativa antisismica, a fronte di condanne intervenute anche per tale profilo, non possono ritenersi illogici, dovendosi ribadire che la verifica dell’esistenza di criticità in relazione all’attualità e alla concretezza dell’interesse pubblico perseguito non incide di per sé sull’esplicazione del potere discrezionale dell’Amministrazione, quanto, piuttosto, risponde all’obbligo del giudice penale di sindacare l’effettivo rispetto dei requisiti obiettivi della delibera comunale e dunque la sussistenza delle prevalenze esigenze pubbliche, avendo natura eccezionale l’ipotesi in cui intervenga una delibera comunale che dichiari l’esistenza di un interesse pubblico prevalente sul ripristino dell’assetto urbanistico violato (cfr. Sez. 3, n. 30170 del 24/05/2017, Rv. 270253).
         2.2. A ciò deve solo aggiungersi che, come già chiarito da questa Corte in un’altra vicenda non dissimile da quella per cui si procede (in quel caso il Comune di Cardito, con delibere assunte dal Consiglio comunale, aveva dichiarato l'esistenza di prevalenti interessi pubblici alla conservazione del manufatto abusivo perché da destinarsi a concessione in locazione (housing sociale, sentenza Sez. 3, n. 15313 del 05.03.2020, non mass.), la facoltà riconosciuta ai Comuni di non demolire le opere abusive acquisite al patrimonio comunale deve implicare un’analisi puntuale delle caratteristiche di ognuna di esse, rispettosa dei canoni individuati dalla legge statale, che sola può garantire uniformità sull’intero territorio nazionale; al riguardo deve infatti ricordarsi che, con sentenza n. 140 del 2018, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge della Regione Campania n. 19 del 2017 (Misure di semplificazione e linee guida di supporto ai Comuni in materia di governo del territorio), sottolineando il disallineamento della disciplina regionale rispetto al principio fondamentale della legislazione statale, ovvero quello che individua nella demolizione l’esito “normale” della edificazione di immobili abusivi acquisiti al patrimonio dei comuni, finisce con intaccare e al tempo stesso sminuire l’efficacia anche deterrente del regime sanzionatorio dettato dallo Stato allaart. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, incentrato, come detto, sulla demolizione dell’opera abusiva, la cui funzione essenzialmente ripristinatoria non ne esclude l’incidenza negativa nella sfera del responsabile; di qui la violazione del principio fondamentale espresso dai commi da 3 a 6 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001.
Ora, come osservato nell’ordinanza impugnata, le conclusioni cui è pervenuta la Consulta rendono quantomeno dubbia la persistente vigenza nell’ordinamento della legge regionale n. 5 del 2013, il cui art. 1 comma 65 individua le finalità cui possono essere destinati gli immobili acquisiti al patrimonio comunale, tra cui appunto l’edilizia residenziale pubblica, e ciò a prescindere dall’impugnativa formale della legge, stante la valenza sostanziale del principi affermati con la sentenza n. 140 del 2018 riferita alla successiva legge regionale n. 19 del 2017, avente una disciplina per molti versi analoga a quella della legge del 5 del 2013 .
Occorre dunque ribadire, alla luce delle considerazioni esposte, che l’opera abusiva acquisita al patrimonio comunale deve, di regola, essere demolita, potendo essere conservata, in via eccezionale, soltanto se, con autonoma deliberazione del Consiglio comunale relativa alla singola opera, si ritenga, sulla base di tutte le circostanze del caso, l’esistenza di uno specifico interesse pubblico alla conservazione della stessa e la prevalenza di questo sull’interesse pubblico al ripristino della conformità del territorio alla normativa urbanistico-edilizia, nonché l’assenza di un contrasto della conservazione dell’opera con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico.  
         3. Su tali aspetti, come osservato anche dal Procuratore generale, la valutazione di merito compiuta dal giudice dell’esecuzione rispetto alle delibere adottate dal Comune di Capodrise in relazione agli immobili abusivi di cui si discute deve essere ritenuta immune da censure, perché puntuale e scevra da profili di irrazionalità, per cui, stante l’infondatezza delle doglianze sollevate, in larga parte ripropositive di questioni fattuali e giuridiche già adeguatamente trattate nell’ordinanza impugnata, il ricorso proposto nell’interesse di Crescente deve essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14/01/2022