Cass. Sez. III n. 23725 dell’8 giugno 2009 (Ud 24 feb. 2009)
Pres. Onorato Est. Mulliri Ric. Salerno
Urbanistica. Verande

La veranda è da considerare in senso tecnico giuridico, una costruzione assoggettata al regime concessorio e l’unica deroga prevista è per la chiusura di spazi limitati che, comunque non comportino una trasformazione del territorio

UDIENZA 24.02.2009

SENTENZA N. 434

REG. GENERALE n.28552/08


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale



Composta dagli Ill.mi Signori


Dott. Pierluigi ONORATO Presidente
Dott. Ciro PETTI Consigliere
Dott. Alfredo TERESI Consigliere

Dott. Silvio AMORESANO Consigliere
Dott. Guicla I. MÚLLIRI Consigliere


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso proposto da:

Salerno Rosario, nato a Marano Marchesato l\'1.6.39 imputato art. 44 lett. B) T.U. 380/0144 lett. B) T.U. 380/01
- avverso la sentenza della Corte d\'Appello di Catanzaro in data 19.2.08
- Sentita la relazione del cons. Guicla I. Mùlliri;
- Sentito il P.M., nella persona del P.G. dr. Mario Fraticelli, che ha chiesto una declaratoria di inammissibilità del ricorso;


osserva


1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso - Con la sentenza qui impugnata, la Corte d\'Appello ha confermato la condanna inflitta in primo grado al Salerno ritenuto responsabile della violazione dell\'art. 44 lett. b) DPR 380/01 per la realizzazione di un\'opera definita, dalla Corte, come veranda ed, in quanto tale necessitante di concessione.

Avverso tale decisione, ha proposto ricorso il Salerno deducendo che non ci si trova in presenza di una veranda bensì di una pensilina sì che, da parte della Corte, vi sarebbe stato un travisamento del fatto e che, in ogni caso, per giurisprudenza consolidata, anche per la veranda che sia destinata a mera protezione dagli agenti atmosferici esterni senza alcuna chiusura, non sarebbe necessaria una concessione ma solo un\'autorizzazione.

L\'opera in questione é stata realizzata al solo scopo di proteggere gli interni dell\'abitazione delle infiltrazioni piovane ed è stata realizzata previa concertazione con l\'U.T.E del Comune. Conseguentemente, nel reato in questione, pur contravvenzionale, non sarebbe rinvenibile alcun dolo e neanche colpa.

La stessa procedura attivata per la DIA evidenzierebbe, in ogni caso, che l\'opera non necessitava di alcuna autorizzazione; tant’è che il primo diniego é stato emesso solo per difetto di documentazione mentre l\'ordine di demolizione è intervenuto oltre il termine di perfezionamento della DIA.

Ergo anche per il comportamento degli uffici tecnici, il Salerno è incolpevolmente incorso in un\'erronea qualificazione della fattispecie.

Il ricorrente conclude invocando l\'annullamento della sentenza impugnata.

2. Motivi della decisione - Il ricorso é manifestamente infondato e, quindi, inammissibile.

Sotto il primo profilo, è chiaro che non si può pretendere da questa S.C. una nuova valutazione in fatto mentre è anche indiscutibile che la motivazione dei giudici di merito risulta logica e fondata su elementi obiettivi. Si asserisce, infatti, che si è in presenza di un\'opera che necessitava di concessione facendo richiamo al "dato volumetrico abitativo" (individuabile nella contestazione stessa: "pensilina con vetrata e struttura in alluminio posta a chiusura del pianerottolo, nonché posta come divisione di due ambienti: struttura avente basi di cm. 288 con altezza di cm 472, con parte superiore cm 252 di base con altezza di cm 156") ed alla "trasformazione edilizio-urbanistica che ne consegue".

Ineccepibile, quindi, ed in linea con la linea interpretativa di questa S.C., è la conclusione secondo cui "la veranda é da considerare in senso tecnico giuridico, una costruzione assoggettata al regime concessorio" (come ribadito di recente da Sez. III, 26.4.07, Camarda, Rv. 237532) e che l\'unica deroga prevista è "per la chiusura di spazi limitati e che, comunque non comportino una trasformazione del territorio", eventualità chiaramente già esclusa dalla Corte, nel caso in esame, nel momento in cui ha richiamato l\'attenzione sulle dimensioni dell\'opera.

Gli ulteriori argomenti che il ricorrente svolge in punto di elemento psichico, sono capziosi essendo evidente come il solo fatto di aver formulato una D.I.A. non legittimava l\'inizio dell\'attività prima che l\'istruttoria fosse completata ed, a tal fine, era inevitabile la necessità di acquisire la documentazione necessaria. Di ciò fornisce completa illustrazione lo stesso ricorso laddove riporta la cronologia degli eventi o per meglio dire dei "passaggi salienti della concertazione con il comune".

Orbene, proprio da essi, risulta chiaro che l\'amministrazione comunale, prima di pronunciarsi sui lavori, aveva segnalato l\'assenza di taluni documenti (punto b) f. 4 ric.).
Riferisce il ricorrente di avere presentato la documentazione integrativa (punto c)) e di avere, quindi, dato inizio ai lavori avendo ritenuto la formazione di un silenzio-assenso.

In realtà alla stregua di ciò, nel ricorrente è riscontrabile un comportamento, quantomeno, colposo visto che - di fronte alle chiare esigenze di chiarezza manifestate dall\'amministrazione pubblica (ed alla conseguente, inevitabile, necessità di maggior tempo per decidere) - nulla autorizzava l\'equazione: decorso del tempo = accoglimento sì da poter poi ritenere "tardivo" l\'ordine di demolizione intervenuto il 19.2.04.

Come bene e sinteticamente si afferma, infatti, nel provvedimento impugnato: "è appena il caso di aggiungere che l\'imputato non avrebbe dovuto iniziare i lavori prima di essersi munito del permesso di costruire".

La manifesta infondatezza delle censure mosse nel presente ricorso impone, quindi una declaratoria di inammissibilità che (per autorevole insegnamento di queste SS.UU - 22.11.00, De Luca, Rv. 217266 -) non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione "e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell\'art. 129 c.p.p. (come, nella specie, la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso).

Segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 €


P.Q.M.


Visti gli artt. 637 e ss. c.p.p.


dichiara


inammissibile il ricorso e


condanna


il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 €

Così deciso in Roma nella pubblica udienza del 24 febbraio 2009.
Deposito in Cancelleria il 08/06/2009.