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Cass. Sez. III sent.. 43294 del 29-11-2005 (Ud. 29 settembre 2005)

Pres. Lupo Est. Onorato Ric. Gambino

Urbanistica Ordine di demolizione e acquisizione dell’immobile al patrimonio comunale.

La demolizione è l’esito obbligato della procedura sanzionatoria prevista dalla disciplina urbanistica e non viene impedita dall’acquisizione gratuita al patrimonio comunale che consegue ope legis allo scadere del termine per ottemperare all’ordinanza di demolizione. I due procedimenti sanzionatori previsti (quello attivato dall’autorità comunale e quello attivato dall’autorità giudiziaria) sono pertanto convergenti, con la conseguenza che l’ordine di demolzione in caso di condanna deve essere sempre emanato dal giudice a meno che non risulti: a) che la demolizione sia già avvenuta; b) che l’abuso sia stato sanato sotto il profilo urbanistico; c) che il cosiglio comunale abbia deliberato che le opere debbano essere conservate in funzione di interessi pubblici ritenuti prevalenti sugli interessi urbanistici.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. LUPO Ernesto - Presidente - del 29/09/2005
Dott. ONORATO Pierluigi - est. Consigliere - SENTENZA
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - N. 1663
Dott. MIRANDA Vincenzo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. IANNELLO Antonio - Consigliere - N. 42994/2001
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) GAMBINO Gioacchina, nata ad Agrigento il 17/03/1977;
2) VELLA Francesco, nato ad Agrigento il 30/11/1971;
avverso la sentenza resa il 14/06/2001 dalla Corte di appello di Palermo;
Vista la sentenza denunciata e il ricorso;
Udita la relazione svolta in udienza dal Consigliere Dott. Pierluigi Onorato;
Udito il pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FAVALLI Mario, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza limitatamente ai reati contravvenzionali di cui alla L. n. 47 del 1985 e L. n. 1086 del 1971 perché estinti per prescrizione, e il rigetto del ricorso nel resto. Osserva:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 - Con sentenza dell'08/06/2000 il tribunale monocratico di Agrigento dichiarava Gioacchina Gambino e Francesco Vella colpevoli del reato di costruzione edilizia senza la prescritta concessione (L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. b)), di connessi reati per violazione della legge sul conglomerato cementizio armato (L. n. 1086 del 1971, artt. 13, 14 e 17), nonché del delitto di violazione dei sigilli aggravata (art. 349 c.p., comma 2,), accertati in Palma di Montechiaro il 15/04/1998 e il 29/07/1999.
Per l'effetto, concesse ad entrambi le attenuanti generiche, equivalenti alla contestata aggravante, e ritenuta la continuità tra i reati, il giudice condannava gli imputati alla pena di un anno e un mese di reclusione e lire 500.000 di multa, con i doppi benefici di legge, ma subordinava la sospensione condizionale della pena alla demolizione dei manufatti abusivi entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza.
2 - Gli imputati, che avevano riconosciuto la loro responsabilità nell'interrogatorio reso in fase di indagini preliminari, proponevano appello, lamentando soltanto la eccessività della pena e contestando la legittimità della subordinazione del predetto beneficio alla demolizione dei manufatti. Chiedevano altresì il dissequestro dell'immobile.
La corte d'appello di Palermo, con sentenza del 14/06/2001, ha accolto parzialmente l'appello, riducendo la pena a nove mesi di reclusione e lire 300.000 di multa, ma ha confermato nel resto la sentenza impugnata, osservando che il dissequestro era stata già disposto dal primo giudice e che la subordinazione del beneficio alla demolizione dell'opera abusiva è conforme alla norma di cui all'art. 165 c.p., come recentemente statuito dalle sezioni unite della suprema corte.
3 - Il difensore degli imputati ha proposto ricorso per cassazione deducendo violazione della L. n. 47 del 1985, art. 7, e art. 165 c.p., nonché difetto di motivazione sul punto.
Sostiene: a) che il potere del giudice penale di ordinare la demolizione del manufatto abusivo ai sensi del predetto art. 7 è assolutamente sussidiario e non può essere esercitato quando l'autorità comunale ha già disposto la demolizione; b) che se il contravventore non ottempera entro novanta giorni alla demolizione disposta dall'autorità amministrativa, l'immobile è acquisito di diritto al patrimonio indisponibile del comune, sicché il contravventore, avendo perso la proprietà del bene, non può ottemperare all'ordine di demolizione disposto dal giudice penale. Chiede quindi l'annullamento della sentenza impugnata con le conseguenti statuizioni di legge.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4 - Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.
Com'è noto, la L. n. 47 del 1985, art. 7, prevede per le opere eseguite in assenza di concessione edilizia, in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto alla concessione ottenuta, un regime di sanzioni amministrative, così articolato:
- il sindaco territorialmente competente ingiunge la demolizione delle opere abusive;
- se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione entro il termine di novanta giorni dalla ingiunzione, il bene, l'area di sedime e quella di pertinenza urbanistica sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'accertamento amministrativo della inottemperanza alla ingiunzione di demolire, regolarmente notificato all'interessato, costituisce titolo per l'immissione in possesso e per la trascrizione (gratuita) nei registri immobiliari;
- l'opera così acquisita al patrimonio comunale deve essere demolita dall'amministrazione comunale a spese del responsabile dell'abuso, a meno che, con deliberazione del consiglio comunale, non si dichiari che la conservazione dell'opera risponde a prevalenti interessi pubblici e sempre che tale conservazione non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali;
- il giudice penale, nel pronunciare sentenza di condanna per il reato urbanistico di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20 in relazione alle opere suddette, deve ordinare la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita.
5 - Questo regime sanzionatorio vuole essere, ed è sicuramente, più incisivo rispetto a quello precedentemente vigente, di cui alla L. 28 gennaio 1977 n. 10, art. 15, sia perché affianca al sindaco il giudice penale quale autorità deputata a provvedere sulla reintegrazione specifica dell'assetto territoriale vulnerato dagli abusi edilizi, sia perché prevede la demolizione delle opere abusive come esito obbligato dell'intervento sanzionatorio, salvo il caso eccezionale che un organo collegiale elettivo, quale il consiglio comunale, deliberi di conservare le opere stesse in funzione di preminenti interessi pubblici. Nella disciplina previgente, invece, da una parte il giudice penale (pretore) non aveva alcun autonomo potere in materia, essendo la sua funzione solo quella di vidimare e rendere esecutiva l'ordinanza con cui il sindaco disponeva l'acquisizione gratuita dell'immobile non demolito (art. 15 cit., comma 5); dall'altra, soprattutto, era previsto che, nel caso in cui il responsabile non provvedesse ad ottemperare all'ordinanza sindacale di demolizione, l'opera abusiva era acquisita al patrimonio indisponibile del comune, attraverso la menzionata ordinanza sindacale, e fosse demolita a spese del responsabile solo se contrastava "con rilevanti interessi urbanistici o ambientali" ovvero non potesse "essere utilizzata per fini pubblici" (cit. art. 15, commi 3, 4 e 8).
In altri termini, nella disciplina previgente la regola e l'eccezione erano invertite, perché - ove il responsabile non avesse ottemperato alla prima ingiunzione - l'immobile era destinato a essere utilizzato per fini pubblici, salva l'ipotesi eccezionale in cui "rilevanti" interessi di tutela del territorio ne imponessero la demolizione. La regola, dunque, era la conservazione e riutilizzazione pubblica dell'immobile abusivo, con sacrificio dell'interesse urbanistico; la eccezione era la demolizione, con reintegrazione specifica dell'assetto territoriale. Il nuovo microsistema sanzionatorio è ora riprodotto dal D.P.R. 380 del 2001, art. 31 (testo unico sulla edilizia), con la sola differenza che la concessione edilizia è sostituita dal permesso di costruire e che la competenza in materia del sindaco è ora trasferita al dirigente o al responsabile dell'apposito ufficio comunale, in conseguenza della intervenuta riforma delle autonomie locali.
6 - Una disciplina così articolata è subito apparsa gravida di problemi delicati. Tuttavia, sotto molti profili, nonostante una iniziale incertezza giurisprudenziale, si possono ormai ritenere acquisiti i seguenti approdi ermeneutici:
a) la demolizione configura una sanzione amministrativa specifica, che ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene urbanistico offeso (v. per tutte Cass. Sez. Un. n. 15 del 24/07/1996, P.M. in proc. Monterisi; Cass. Sez. Un. n. 714 del 03/02/1997, Luongo);
b) l'ordine di demolizione impartito dal giudice penale è, quindi, un provvedimento giurisdizionale che irroga una sanzione amministrativa in via accessoria rispetto alla sanzione penale. Atteso che la incriminazione del reato urbanistico ha per oggetto (in senso sostanziale e finale) la tutela dell'assetto del territorio, l'ordine giurisdizionale di demolizione delle opere abusive "ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso, e quindi si riconnette all'interesse sotteso all'esercizio stesso dell'azione penale" (sent. Monterisi, riprendendo Cass. Sez. 6^ del 21/12/1990, De Stefani, rv. 185835);
c) questa correlazione funzionale dell'ordine giudiziale di demolizione con l'interesse sotteso all'esercizio dell'azione penale e della giurisdizione, impone di superare definitivamente la visione di un giudice che, nell'emanare l'ordine di demolizione, agisce come mero supplente della pubblica amministrazione ed esercita una potestà residuale ovvero sostitutiva rispetto alla potestà sanzionatoria del sindaco.
"Orbene, se il potere di ordinare la demolizione attribuito al giudice penale, pur di natura amministrativa, è volto al ripristino del bene tutelato, in virtù di un interesse (...) correlato all'esercizio della potestà di giustizia, il provvedimento conseguente compreso nella sentenza passata in giudicato, al pari delle altre statuizioni della sentenza, è assoggettato alla esecuzione nelle forme previste dagli artt. 655 ss. c.p.p.". L'organo promotore dell'esecuzione è pertanto il pubblico ministero, il quale, ove il condannato non ottemperi all'ingiunzione di demolire, dovrà investire il giudice dell'esecuzione per fissare le concrete modalità esecutive (ancora sent. Monterisi);
d) il giudice, nel concedere la sospensione condizionale della pena inflitta per il reato urbanistico de quo, può legittimamente subordinare detto beneficio all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato a norma dell'art. 165 c.p. mediante la demolizione dell'opera abusiva, che contestualmente dispone in sede di condanna del responsabile. L'ordine di demolizione così disposto ha natura di provvedimento accessorio alla condanna penale ed è emesso sulla base dell'accertamento della persistente offensività dell'opera nei confronti dell'interesse tutelato dalla norma (sent. Luongo cit., rv. 206659);
e) proprio perché è sostanzialmente una sanzione amministrativa, sia pure irrogata da organo e in forma giurisdizionale, l'ordine giudiziale di demolizione non è suscettibile di passare in giudicato, ma può essere sospeso o revocato in sede esecutiva per sopravvenuti mutamenti della situazione di fatto o di diritto;
f) pur essendo espressione di un potere autonomo del giudice, non suppletivo a quello della pubblica amministrazione, l'ordine giudiziario di demolizione deve essere coordinato con l'esercizio della parallela potestà che compete all'autorità comunale, e perciò non deve essere emesso o, se emesso, deve essere revocato quando risulti assolutamente incompatibile con le determinazioni assunte da quest'ultima autorità: in particolare non può essere emesso o deve essere revocato quando il sindaco abbia rilasciato un atto di sanatoria urbanistica dell'immobile o il consiglio comunale abbia deliberato di conservare l'immobile abusivo per preminenti interessi pubblici.
7 - Si pone perciò il problema di stabilire più esattamente quando le vicende amministrative dell'immobile abusivo impediscano l'emanazione o l'esecuzione dell'ordine giudiziario di demolizione. Al riguardo una prima osservazione si impone: se la sanzione amministrativa della demolizione, sia essa irrogata dal sindaco oppure dal giudice penale, tende comunque alla reintegrazione specifica dell'interesse urbanistico offeso, solo il ristoro dell'interesse offeso può far venir meno la ragione della emanazione e della esecuzione dell'ordine demolitorio (così la sent. Monterisi cit.). Ad avviso di questo collegio, infatti, è questo il senso della unica condizione negativa apposta dal legislatore al dovere del giudice penale di aggiungere la sanzione amministrativa alla condanna penale: "se ancora (la demolizione) non sia stata altrimenti eseguita", o volontariamente dal responsabile o coattivamente dall'autorità comunale. Si conferma così che, salvo una specifica eccezione, la demolizione è l'esito obbligato della procedura sanzionatoria, sia se attivata in sede amministrativa, sia se attivata in sede giurisdizionale, in conformità all'evidente intento del legislatore di rafforzare e integrare l'efficacia deterrente e repressiva della disciplina sanzionatoria. Rispetto alla sentenza Monterisi, si deve però precisare che anche la sopravvenuta sanatoria dell'immobile abusivo fa venir meno la ragion d'essere della demolizione, proprio perché la sanatoria altro non è che un riconoscimento postumo che le opere edilizie costruite senza titolo non hanno in definitiva offeso gli interessi urbanistici sostanziali. 8 - Si può a questo punto obiettare - come in sostanza fa il ricorrente - che il responsabile dell'abuso edilizio potrebbe non essere più in grado di ottemperare all'ordine di demolizione impartito dal giudice penale quando l'immobile de quo fosse stato acquisito al patrimonio comunale ai sensi della menzionata L. n. 47 del 1985, art. 7.
Questa obiezione, seppure suggestiva, confligge con la ratio ispiratrice e con il contenuto normativo del sistema sanzionatorio sopra riassunto.
Al riguardo, infatti, se non si vuole vanificare la indubbia portata innovativa della disciplina introdotta dalla L. n. 47 del 1985, art. 7, si deve affermare che:
- il trasferimento al patrimonio comunale della proprietà dell'immobile abusivo, dell'area di sedime e dell'area di pertinenza urbanistica si verifica ape legis alla scadenza del termine fissato per ottemperare all'ingiunzione sindacale di demolire (a differenza che nella disciplina previgente); cosicché l'atto di accertamento della inottemperanza colpevole e la trascrizione nei registri immobiliari hanno natura semplicemente dichiarativa (cfr. la giurisprudenza prevalente e in particolare Cass. Sez. 3^, n. 3755 del 29/12/2000, Mereu, rv. 218004; Cass. Sez. 3^, n. 33297 del 06/08/2003, P.G. in proc. Brullo, rv. 226155);
- più esattamente, l'accertamento dell'inottemperanza, regolarmente notificato all'interessato, è titolo per l'immissione del comune nel possesso ed è necessario per opporre il trasferimento al proprietario responsabile dell'abuso; mentre la trascrizione nei registri immobiliari è invece necessaria per opporre il trasferimento ai terzi ex art. 2644 cod. civ. (cfr. sentenza Brullo citata);
- ne deriva che soltanto con la concreta presa di possesso dell'immobile da parte dell'autorità comunale il responsabile dell'abuso è privato della possibilità materiale di ottemperare all'ordine di demolizione;
- tuttavia anche l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale e l'immissione del comune nel possesso dell'immobile sono indubbiamente finalizzate all'obiettivo della demolizione, sicché non sono affatto incompatibili con l'esecuzione dell'ordine di demolizione emanato dal giudice. Unica eccezione all'esito demolitorio è - si ripete - la delibera del consiglio comunale che decida la conservazione delle opere abusive, ravvisando l'esistenza di interessi pubblici prevalenti su quelli urbanistici o ambientali;
- prima di questa delibera consiliare, quindi, i due procedimenti sanzionatoti, quello attivato dall'autorità comunale e quello attivato dall'autorità giudiziaria, sono non soltanto compatibili ma addirittura convergenti. Sicché "non si comprende perché il condannato non possa chiedere al Comune (divenuto nel frattempo proprietario) l'autorizzazione a procedere ad una ineludibile demolizione a propria cura e spese, ovvero perché, indipendentemente dalla proposizione o dalla sorte di una richiesta siffatta, l'autorità giudiziaria non possa prevedere a quella demolizione che autonomamente ha disposto, a spese del condannato, restando comunque costui spogliato della proprietà dell'area già acquisita al patrimonio disponibile comunale e con l'ulteriore conseguenza che i materiali risultanti dall'attività demolitoria (es. porte, impianti igienici, infissi, serrande etc.) spetteranno al Comune" (così recentemente Cass. Sez. 3^, n. 641 ud. 11/05/2005, dep. 13/10/2005, Morelli).
Accedendo alla tesi contraria, secondo cui l'acquisizione dell'immobile abusivo al patrimonio comunale impedirebbe l'esecuzione dell'ordine di demolizione impartito dal giudice, si arriverebbe alla inaccettabile vanificazione, o alla fraudolenta elusione, dello spirito e della portata normativa della disciplina voluta dal legislatore del 1985, perché il procedimento giurisdizionale, pensato per completare e rafforzare l'apparato sanzionatorio tradizionalmente affidato al procedimento amministrativo, finirebbe per essere ostacolato proprio dallo svolgimento di quest'ultimo. Per queste ragioni, nonostante qualche pronuncia contraria di questa corte (Sez. 3^, n. 141 dell'11/01/1997, Vitantonio, rv. 206556, Sez. 3^, n. 22743 del 12/05/2004, Maffongelli, rv. 228721), si deve concludere che in caso di condanna per opere edilizie eseguite in assenza di concessione (ora permesso di costruire), in totale difformità o con variazioni essenziali, l'ordine giudiziale di demolizione delle opere stesse, di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 7, comma ultimo, e ora al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 9, deve essere sempre emanato e mantenuto, a meno che non risulti a) che la demolizione sia già avvenuta, b) che l'abuso sia stato sanato sotto il profilo urbanistico, c) che il consiglio comunale territorialmente competente abbia deliberato che le opere devono essere conservate in funzione di interessi pubblici ritenuti prevalenti sugli interessi urbanistici.
(In questo senso cfr. ex plurimis Sez. 3^, n. 7571 del 27/06/1992, Raho, rv. 190933; Sez. n. 6169 del 26/05/1994, Di Guardo, rv. 197832;
Sez. 3^ n. 3489 del 29/12/2000, P.M. in proc. Mosca, rv. 217999; e da ultimo la cit. sent. Morelli).
9 - Nel caso di specie non risulta che sia intervenuta la predetta delibera del consiglio comunale; e neppure risulta che il comune sia entrato in possesso dell'immobile abusivo e dell'area di pertinenza urbanistica.
Per conseguenza, del tutto legittimamente il giudice penale ha ordinato la demolizione del manufatto abusivo e ha subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena alla esecuzione dello stesso ordine di demolizione.
Il ricorso va quindi respinto.
Giova aggiungere d'ufficio che non si può far luogo a declaratoria di prescrizione delle contravvenzioni, giacché l'impugnazione investe soltanto il capo della sentenza relativa alla sanzione amministrativa, precludendo qualsiasi rivisitazione del capo relativo alla condanna penale.
Consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Considerato il contenuto dell'impugnazione, non si ritiene di irrogare anche la sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 29 settembre 2005.
Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2005