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Sez. 3, Sentenza n. 38694 del 09/07/2004 Ud. (dep. 01/10/2004 ) Rv. 229630
Presidente: Dell'Anno P. Estensore: Franco A. Relatore: Franco A. Imputato: Canu ed altro. P.M. Izzo G. (Conf.)
(Rigetta, App. Cagliari, 7 Novembre 2002)
EDILIZIA - COSTRUZIONE EDILIZIA - Immobili abusivi - Realizzati in zone sottoposte a vincoli paesistici - Condono edilizio - Applicabilità - Esclusione.
CON MOTIVAZIONE

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Massima (Fonte CED Cassazione)
In tema di illeciti edilizi non è possibile la sospensione del procedimento in pendenza dei termini di proposizione della domanda per usufruire del cosiddetto condono edilizio relativamente ad opere abusive realizzate in zone sottoposte a vincolo paesaggistico, atteso che tali abusi non sono condonabili ai sensi dell'art. 32 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito con legge 24 novembre 2003 n. 326.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. DELL'ANNO Paolino - Presidente - del 09/07/2004
Dott. ZUMBO Antonio - Consigliere - SENTENZA
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - N. 1638
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 11666/2003
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Canu Daniele, nato ad Alghero il 1 marzo 1937, e da Stellato Antonio, nato ad Alghero il 17 gennaio 1964;
avverso la sentenza emessa il 7 novembre 2002 dalla corte d'appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari;
udita nella Pubblica udienza del 9 luglio 2004 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IZZO Gioacchino, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per entrambi gli imputati il difensore avv. Antonio Stellato, che chiede l'accoglimento del ricorso e produce domanda di condono edilizio con ricevuta del versamento dell'oblazione, chiedendo in via subordinata la sospensione del processo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il giudice del tribunale di Sassari, sezione distaccata di Alghero, con sentenza del 4 ottobre 2001 dichiarò Canu Daniele, Stellato Antonio e Uccelli Agostino colpevoli del reato di cui all'art. 163 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, per avere realizzato, in zona soggetta a vincolo paesaggistico ambientale, in totale difformità della concessione edilizia e senza la preventiva autorizzazione dell'ente regionale preposto, opere edili comportanti una modifica di destinazione del vano sottotetto da soffitta ad unità abitativa, nonché due finestre ed una porta finestra, e li condannò alla pena di giorni dieci di arresto e lire 14 milioni di ammenda ciascuno, con i doppi benefici.
Osservò, tra l'altro, il giudice che gli imputati avevano ottenuto nel frattempo la concessione edilizia in sanatoria previo nulla osta dell'ufficio tutela del paesaggio, ma che tale provvedimento non faceva venir meno il reato ambientale, che si realizza per la semplice esecuzione di interventi in zona protetta senza avere previamente ottenuto la autorizzazione della autorità preposta alla tutela del vincolo.
La corte d'appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza del 7 novembre 2002, confermò la sentenza di primo grado. Il Canu propone ricorso per Cassazione deducendo inosservanza ed erronea applicazione della legge penale perché il nulla osta successivamente ottenuto dall'ufficio tutela del paesaggio valeva ad escludere la sussistenza del reato di cui all'art. 163 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, specie perché il detto ufficio ha affermato che le opere abusivamente realizzate non arrecano alcun danno ai beni paesistici e ambientali. Del resto si trattava di due finestre e di una porta finestra che erano di per sè inidonee ad incidere negativamente sull'originario assetto dei luoghi e perciò non erano nemmeno astrattamente idonee a porre in pericolo l'integrità del bene protetto.
Anche lo Stellato propone ricorso per Cassazione deducendo erronea applicazione della legge penale ed inesistenza della motivazione. Lamenta che la interpretazione seguita dalla sentenza impugnata si pone in contrasto con il principio di offensività del reato e che la corte d'appello ha errato nel ritenere trattarsi di reato formale e di mero pericolo, perché, pur dovendosi l'interesse protetto dalla norma incriminatrice nella tutela prodromica del paesaggio, non può prescindersi da una sia pur minima possibilità di vulnus al bene tutelato e dalla idoneità degli interventi ad incidere sullo originario assetto dei luoghi. Manca inoltre nella sentenza impugnata la benché minima motivazione sulle ragioni per le quali la corte d'appello ha ritenuto che le aperture operate producessero una mutazione dei luoghi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Entrambi i ricorsi sono infondati. La giurisprudenza di questa Suprema Corte, invero, ha costantemente affermato, anche in tempi recenti, il principio secondo cui il reato di cui all'art. 163 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, così come quello di cui all'art. 1 sexies del d.l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, ha natura di reato formale di pericolo che si consuma con la sola realizzazione di lavori, attività o interventi in zone vincolate senza la prescritta autorizzazione paesaggistica e prescinde dal verificarsi di un evento di danno e da ogni accertamento in ordine alla avvenuta alterazione, danneggiamento o deturpamento del paesaggio, essendo per la sua esistenza sufficiente che l'agente faccia, del bene protetto da vincolo paesaggistico, un uso diverso da quello cui esso è destinato o ponga in essere su di esso interventi astrattamente idonei a mettere in pericolo l'ambiente. E ciò perché il vincolo posto su certe parti del territorio nazionale ha una funzione prodromica al governo del territorio stesso. È pertanto sufficiente l'accertamento della mancanza del provvedimento amministrativo, ai fini della sua configurabilità (Sez. 3^, 28 febbraio 2002, Barbadoro, m. 221.456;
Sez. 1^, 31 agosto 2001, Fontana, m. 219.895; Sez. 3^, 26 giugno 2000, Gregori, m. 216.820; Sez. 3^, 14 febbraio 2000, Tommasi, m. 216.853; Sez. 6^, 24 luglio 1977, Stanzione, m. 209.282; Sez. 3^, 16 gennaio 1996, Re, m. 203.836; Sez. 3^, 12 luglio 1995, D'Emilio, m. 202.883; Sez. 3^, 30 giugno 1995, Montone, m. 202.702; Sez. 3^, 16 marzo 1994, Mastellone, m. 199.181; Sez. 3^, 27 gennaio 1994, Lambri, m. 197.592; Sez. 3^, 4 febbraio 1993, De Lieto, m. 193.636). Il legislatore ha infatti voluto che nelle zone paesaggisticamente vincolate vi sia in ogni caso un preventivo vaglio della autorità preposta alla tutela del vincolo e che il soggetto si astenga da qualsiasi intervento senza che detta autorità si sia espressa, dettando la norma incriminatrice proprio a tutela di questo interesse rappresentato dal necessario preventivo parere della autorità competente. Il reato in questione, invero, prescinde del tutto dalla verificazione di un concreto danneggiamento, o alterazione o deturpamento dell'ambiente e si realizza per il solo fatto di porre in essere un intervento che sia astrattamente e potenzialmente idoneo a porre in pericolo il bene ambientale e che, proprio per questa astratta e potenziale possibilità, può essere realizzato solo dopo previo il rilascio della prescritta autorizzazione. Il reato non è configurarle esclusivamente quando si tratti di un intervento sull'immobile di entità talmente minima che non sia neppure astrattamente idoneo a porre in pericolo il paesaggio e a pregiudicare il bene paesaggistico-ambientale, ossia che si tratti di un intervento ontologicamente estraneo al paesaggio ed all'ambiente (Sez. 3^, 3 marzo 2000, Faiola, m. 216.975; Sez. 3^, 26 novembre 1999, Gargiulo, m. 215.891; Sez. 3^, 2 ottobre 2001, Farà, m. 220.356; Sez. 3^, 17 marzo 1999, Zotti, m. 213.243). E difatti, il reato in esame, ha natura di reato di pericolo ed esclude dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio. L'interesse protetto dalla norma incriminatrice, pur dovendosi individuare nella tutela prodromica del paesaggio, non può peraltro logicamente prescindere da una sia pur minima possibilità di "vulnus" al bene tutelato. Pertanto la messa in pericolo del paesaggio deve concretarsi pur sempre in un nocumento potenziale, da valutarsi "ex ante", oggettivamente insito nella minaccia ad esso portata (Sez. 3^, 17 maggio 1998, Vassallo, m. 211.218; Sez. 3^, 17 dicembre 1998, Galimberti, m. 212.247).
Nella specie, peraltro, questa ipotesi eccezionale palesemente non ricorre essendo evidente che la apertura di due nuove finestre e di una porta finestra in un sottotetto trasformato da soffitta in unità abitativa è un intervento sicuramente astrattamente idoneo a porre in pericolo il paesaggio e a pregiudicare il bene paesaggistico- ambientale e la cui esecuzione, quindi, doveva essere preventivamente sottoposta all'esame della autorità competente. Del resto, per l'integrazione del reato de quo non occorre che vi sia un danno all'ambiente ed il manufatto realizzato può essere anche più bello o più consono all'ambiente di quello preesistente e quindi non occorre che il giudice del merito stabilisca se la alterazione dello stato dei luoghi e dell'aspetto esteriore dell'edificio (che nel caso in esame si era sicuramente verificata) fosse in meglio o in peggio, essendo sufficiente per la sussistenza del reato la realizzazione di un intervento in una zona paesaggisticamente tutelata senza la preventiva valutazione della autorità preposta alla tutela del vincolo.
È poi pacifico che la concessione edilizia in sanatoria, accompagnata dal nulla osta della autorità preposta alla tutela del vincolo, può comportare la sola estinzione del reato edilizio ma, per le ragioni indicate, non può incidere in alcun modo sulla sussistenza del reato di cui all'art. 163 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, perché non esclude la lesione all'interesse da tale norma tutelato (la necessità che la autorità competente sia previamente avvisata di qualsiasi intervento da realizzare in una zona vincolata). L'unico effetto che il successivo nulla osta ambientale può comportare è il venir meno del dovere del giudice di ordinare la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, ordine che, infatti, il giudice di primo grado si è correttamente astenuto dall'emettere.
È infondata anche la richiesta di sospensione del processo avanzata dal difensore all'odierna udienza e ciò per due ordini di motivi. In primo luogo perché, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, sulla base della recente normativa che ha previsto il nuovo condono edilizio non sono comunque condonabili le opere abusive che siano state realizzate in zone sottoposte a vincolo paesaggistico ambientale ai sensi dell'art. 163 decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, come appunto si verifica nel caso di specie. In secondo luogo per la ragione - comunque assorbente - che in realtà per l'opera abusiva per la quale la sentenza impugnata ha pronunciato condanna non è stata presentata alcuna richiesta di condono edilizio nè è stata versata alcuna oblazione per la definizione dell'illecito edilizio. Ed infatti, la domanda di condono e la ricevuta di oblazione presentate dal difensore in udienza riguardano espressamente l'illecito edilizio costituito dalla "realizzazione di vano ascensore per l'abbattimento delle barriere architettoniche e modifiche prospettiche" mentre non riguardano in alcun modo l'abuso edilizio e l'illecito ambientale oggetto del presente processo penale, costituito da opere edilizie comportanti la modifica di destinazione del vano sottotetto da soffitta ad unità abitativa, con apertura di due finestre e di una porta finestra.
I ricorsi devono pertanto essere rigettati con conseguente condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali. PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 9 luglio 2004.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2004