Cass. Sez. III n. 47402 del 18 novembre 2014 (Ud 21 ott 2014)
Pres. Teresi Est. Ramacci Ric.Chisci ed altro
Urbanistica. Inammissibilità della sanatoria giurisprudenziale o impropria

La legittimazione postuma dell’opera abusiva per effetto della c.d. sanatoria giurisprudenziale non determina l’estinzione del reato urbanistico e non giustifica neanche la revoca dell’ordine di demolizione dell’opera medesima.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze, quale giudice dell'esecuzione, ha respinto de plano, con decreto del 12.11.2013, l'istanza di revoca o sospensione dell'ordine di demolizione emanato dal Procuratore della Repubblica di Firenze in relazione al decreto penale di condanna emesso dal medesimo G.I.P. in data 3.3.2005 ed esecutivo il 10.2.2009 per il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), concretatosi nell'esecuzione di un intervento di ristrutturazione, su preesistente fabbricato, in totale difformità dalla concessione edilizia, perchè eseguito realizzando il piano sottotetto con caratteristiche costruttive e dimensionali tali da comportare la edificazione, in luogo di due soffitte di pertinenza delle sottostante unità immobiliari, di due autonome unità immobiliari e senza provvedere alla demolizione, nel termine indicato, dei volumi indicati al punto A) dell'ordinanza m. 806 del 19.12.2003. Venivano inoltre contestati i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93 e 95 e art. 481 cod. pen..

Avverso il decreto del giudice dell'esecuzione propongono personalmente e congiuntamente ricorso per cassazione C. F. e F.R., quali proprietari dell'immobile.

2. Premessa una ricostruzione della vicenda, con ampi richiami ai provvedimenti amministrativi concernenti l'immobile ed allegati in copia all'impugnazione, deducono, con un primo motivo di ricorso, la violazione di legge, lamentando la erronea valutazione di manifesta infondatezza della richiesta avanzata al giudice, a fronte di una situazione che, per la sua complessità, richiedeva la trattazione nel contraddittorio delle parti.

3. Con un secondo motivo di ricorso lamentano la violazione del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 55, non avendo il giudice dell'esecuzione tenuto conto di un provvedimento cautelare del giudice amministrativo.

Insistevano, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.

4. Il Procuratore Generale, nella sua requisitoria scritta, concludeva per l'annullamento con rinvio dell'impugnato provvedimento.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati.

L'art. 666 c.p.p., comma 2, stabilisce che, se la richiesta presentata al giudice dell'esecuzione appare manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge, ovvero costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi, questi, sentito il pubblico ministero, la dichiara inammissibile con decreto motivato, che è notificato entro cinque giorni all'interessato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il provvedimento de plano è giustificato dalla immediata rilevabilità dell'infondatezza dell'istanza, con la conseguenza che, al di fuori dei casi di insussistenza dei presupposti normativi della richiesta - in quanto la manifesta infondatezza deve riguardare il difetto delle condizioni di legge, intese, in senso restrittivo, come requisiti non implicanti una valutazione discrezionale, ma direttamente imposti dalla norma - rimangono riservate al rito camerale la pronuncia di incompetenza, le questioni di diritto di non univoca soluzione e la delibazione di fondatezza nel merito dell'istanza (Sez. 5 n. 34960, 17 settembre 2007; Sez. 1 n. 24164, 26 maggio 2004; Sez. 5 n. 15099, 30 marzo 2004; Sez. 1 n. 27737, 26 giugno 2003; Sez. 5 n. 2793, 19 giugno 1998 ed altre prec. conf.).

2. Ciò posto, deve notarsi che, nella fattispecie, dall'esame dei contenuti del provvedimento impugnato e del ricorso, non risultavano presenti le condizioni per l'adozione, da parte del giudice dell'esecuzione, di un provvedimento de plano.

Rileva, infatti, il giudice dell'esecuzione che il procedimento penale era stato definito con decreto penale di condanna, il quale disponeva anche la demolizione delle opere abusive salvo rilascio di concessione in sanatoria. Successivamente, in data 10 aprile 2006, era stata rilasciata la "sanatoria giurisprudenziale" n. 31/06 la quale, tuttavia, non avrebbe alcuna incidenza sull'ordine di demolizione emesso dalla Procura della Repubblica, in quanto dichiarata inefficace per il mancato completamento di opere di adeguamento nei termini assegnati, così come attestato dalla Direzione Urbanistica di Firenze, che aveva, con ordinanza (n. 121 dell'8.1.2013), ingiunto la demolizione delle opere e la rimessione in pristino dello stato dei luoghi.

Osservano invece i ricorrenti, ricostruendo, come si è detto in premessa, il procedimento amministrativo che ha portato al rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, che a quest'ultimo ha fatto seguito un ulteriore permesso di costruire (n. 8/2007 del 18.1.2007) per l'esecuzione di "opere a variante delle opere di completamento di cui alla stessa sanatoria n. 31/06" e che l'efficacia della già menzionata ordinanza di demolizione n. 121 del 2013 è stata sospesa dal giudice amministrativo, avendo il TAR Toscana accolto una domanda incidentale di sospensione fissando la trattazione di merito del ricorso, non ancora deciso, con la conseguenza che il provvedimento del giudice dell'esecuzione si porrebbe anche in contrasto con il D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 55, oltre a violare il disposto dell'art. 666 c.p.p., comma 2.

3. Così stando le cose, correttamente i ricorrenti hanno richiamato il principio, affermato da questa Sezione, secondo il quale l'ordine di demolizione è revocabile, anche nella fase dell'esecuzione, in tutti i casi in cui esso si ponga in un contesto di incompatibilità rispetto a situazioni sopravvenute.

Si è infatti affermato che l'ordine di demolizione impartito dal giudice, pur costituendo una statuizione sanzionatoria giurisdizionale, ha natura amministrativa e non è suscettibile di passare in giudicato, essendo sempre possibile la sua revoca quando risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorità, che abbia conferito all'immobile altra destinazione o abbia provveduto alla sua sanatoria (così Sez. 3 n. 14329, 7 aprile 2008, V. anche Sez. 3 n. 3456, 23 gennaio 2013; n. 23212, 26 giugno 2012; n. 24273, 24 giugno 2010; n. 38997, 23 ottobre 2007; n. 37120, 13 ottobre 2005; n. 3682, 4 febbraio 2000).

Una simile situazione, tuttavia, non determina alcuna automatica caducazione dell'ordine di demolizione, restando fermo il potere- dovere del giudice dell'esecuzione di verificare la legittimità dell'atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio (cfr. Sez. 3 n. 42164, 14 ottobre 2013; n. 40475, 16 novembre 2010; n.46831, 22 dicembre 2005).

Tale doverosa disamina si rende necessaria anche nella fattispecie in esame, caratterizzata, come già osservato, dall'emanazione di plurimi atti amministrativi il cui contenuto, per quanto è dato rilevare dal provvedimento impugnato e dal ricorso, unici atti ai quali ha accesso questo giudice di legittimità, meritava considerazione.

4. Pare, infatti, che il provvedimento di sanatoria sia stato subordinato a condizioni e prescrizioni, tanto che, come affermato nel provvedimento impugnato, la sua inefficacia, dichiarata dalla Direzione Urbanistica di Firenze (prot. 29146/2013 dell'1.7.2013), sarebbe stata determinata dal "mancato compimento delle opere di adeguamento nei termini assegnati", venendosi così a creare una situazione in apparente contrasto con il consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale deve escludersi la possibilità della cosiddetta sanatoria condizionata, caratterizzata dal fatto che i suoi effetti vengono subordinati alla esecuzione di specifici interventi aventi lo scopo di far acquisire alle opere il requisito della conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia che non posseggono, poichè tali provvedimenti devono ritenersi illegittimi, in quanto il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36 si riferisce esplicitamente ad interventi già ultimati e stabilisce come la doppia conformità debba sussistere sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria. Inoltre, il rilascio del provvedimento consegue ad un'attività vincolata della P.A., consistente nell'applicazione alla fattispecie concreta di previsioni legislative ed urbanistiche a formulazione compiuta e non elastica, che non lasciano all'Amministrazione medesima spazi per valutazioni di ordine discrezionale (Sez. 3 n. 3895, 26 settembre 2013; Sez. 3 n. 23726, 8 giugno 2009 non massimata; n. 41567, 12 novembre 2007; n. 48499, 18 dicembre 2003; n. 740, 13 gennaio 2003; n. 42927, 19 dicembre 2002; n. 41669, 21 novembre 2001; n. 10601, 11 ottobre 2000).

Per le stesse ragioni questa Corte ha pure escluso l'ammissibilità di una sanatoria parziale, dovendo l'atto abilitativo postumo contemplare gli interventi eseguiti nella loro integrità (v. Sez. 3 n. 19587, 18 maggio 2011; n. 45241, 5 dicembre 2007, non massimata; n. 291, 9 gennaio 2004) 5. Detto provvedimento, inoltre, viene denominato "sanatoria giurisprudenziale", evidentemente con riferimento alla cosiddetta sanatoria giurisprudenziale o impropria individuata, in passato, dalla giurisprudenza amministrativa (v., ad es., Cons. St. Sez. 5 n. 1796, 19 aprile 2005) ed in base alla quale si ritengono sanabili le opere che, non conformi alla disciplina urbanistica ed alle previsioni degli strumenti di pianificazione, lo siano divenute successivamente e che sarebbe insensato demolire quando, a demolizione avvenuta, potrebbero essere legittimamente assentite.

Si tratta, tuttavia, di un orientamento nettamente minoritario che può dirsi ormai definitivamente superato, avendo la giurisprudenza amministrativa (v. Cons. St. Sez. 4, n. 4838, 17 settembre 2007) successivamente escluso l'ammissibilità della sanatoria giurisprudenziale sul presupposto che la sua applicazione contrasterebbe con il principio di legalità, dal momento che non vi è stata alcuna espressa previsione di tale istituto allorquando il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36 ha sostituito la corrispondente disciplina della legge urbanistica 47/85, nonostante il favorevole parere del 29 marzo 2001 della Adunanza generale del Consiglio di Stato, che ne aveva sollecitato l'introduzione al legislatore delegato il quale, tuttavia, come evidenziato nella Relazione illustrativa al testo Unico dell'edilizia, non raccoglieva il suggerimento, ponendo in evidenza l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale che impediva la formazione di un diritto vivente che avrebbe consentito la modifica del dato testuale ed il parere nettamente contrario espresso dalla Camera.

Lo stesso giudice amministrativo ha inoltre osservato, in un secondo tempo, che l'art. 36 citato, in quanto norma derogatoria al principio per il quale i lavori realizzati sine titulo sono sottoposti alle prescritte misure ripristinatorie e sanzionatorie, non è suscettibile di applicazione analogica nè di una interpretazione riduttiva (Cons. St. Sez. 4 n. 6784, 2 novembre 2009) e che la sanatoria giurisprudenziale non può ritenersi applicabile in quanto introduce un atipico atto con effetti provvedimentali, al di fuori di qualsiasi previsione normativa e non potendosi ritenere ammessi nell'ordinamento, caratterizzato dal principio di legalità dell'azione amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati dall'Amministrazione, secondo il principio di nominatività, poteri che non possono essere surrogati dal giudice, pena la violazione del principio di separazione dei poteri e pena l'invasione nelle sfere di attribuzioni riservate all'Amministrazione (così Cons. St. Sez. 5 n. 3220, 11 giugno 2013).

Più recentemente, il Consiglio di Stato ha ulteriormente confermato la propria posizione in tema di sanatoria giurisprudenziale (alla quale, peraltro, risultano conformati anche i Tribunali Amministrativi Regionali) osservando come il divieto legale di rilasciare un permesso in sanatoria anche quando dopo la commissione dell'abuso vi sia una modifica favorevole dello strumento urbanistico sia giustificato della necessità di "evitare che il potere di pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di rendere lecito ex post (e non punibile) ciò che risulta illecito (e punibile)" oltre che dall'esigenza di "disporre una regola senz'altro dissuasiva dell'intenzione di commettere un abuso, perchè in tal modo chi costruisce sine titulo sa che deve comunque disporre la demolizione dell'abuso, pur se sopraggiunge una modifica favorevole dello strumento urbanistico" (Cons. Stato Sez. 5 17 marzo 2014, n. 1324. Conf. Sez. 5 27 maggio 2014, n. 2755) 6. L'attuale, consolidato orientamento del giudice amministrativo ha trovato peraltro conferma in una recente decisione della Corte Costituzionale (sent.l01/2013) la quale, nel giudizio di legittimità costituzionale della L.R. Toscana 31 gennaio 2012, n. 4, art. 5, commi 1, 2 e 3 e artt. 6 e 7 (Modifiche alla L.R. 3 gennaio 2005, n. 1 "Norme per il governo del territorio" e della L.R. 16 ottobre 2009, n. 58 "Norme in materia di prevenzione e riduzione del rischio sismico"), ha affermato che il principio della "doppia conformità" risulta finalizzato a "garantire l'assoluto rispetto della "disciplina urbanistica ed edilizia" durante tutto l'arco temporale compreso tra la realizzazione dell'opera e la presentazione dell'istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformità" e, richiamando la giurisprudenza amministrativa, ha pure osservato che la sanatoria, che si distingue dal condono vero e proprio, "è stata deliberatamente circoscritta dal legislatore ai soli abusi "formali", ossia dovuti alla carenza del titolo abilitativo, rendendo così palese la ratio ispiratrice della previsione della sanatoria in esame, "anche di natura preventiva e deterrente", finalizzata a frenare l'abusivismo edilizio, in modo da escludere letture "sostanzialiste" della norma che consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione, ma con essa conformi solo al momento della presentazione dell'istanza per l'accertamento di conformità".

7. Va a questo punto ricordato come la giurisprudenza di questa Corte abbia, in passato, preso atto delle diverse posizioni del giudice amministrativo aderendo, in un primo tempo, a quella che riconosceva efficacia alla sanatoria giurisprudenziale, escludendone comunque ogni effetto estintivo dei reati urbanistici e precisando che detto titolo abilitativo sanante avrebbe dovuto essere conforme alla disciplina urbanistica vigente al momento del rilascio, escludendo, peraltro, la possibilità di procedere ad una diversa qualificazione giuridica dell'intervento edilizio per consentirne la regolarizzazione, parcellizzando le opere (Sez. 3 n. 286 e 291, 9 gennaio 2004, non massimate sul punto).

In altre occasioni, confermando che la sanatoria impropria sarebbe comunque improduttiva di effetti estintivi dei reati urbanistici, si è presa in considerazione la sua rilevanza con riferimento specifico all'ordine di demolizione, rilevando, previo richiamo ai principi generali di buon andamento ed all'economia dell'azione amministrativa invocato dalla giurisprudenza amministrativa favorevole, che l'eventuale suo rilascio renderebbe inapplicabile l'ordine di demolizione, osservando, sostanzialmente, che sarebbe insensato procedere alla demolizione di ciò che può poi essere legittimamente ricostruito (v. Sez. 3 n. 14329, 7 aprile 2008; Sez. 3 n. 40969, 11 novembre 2005; Sez. 3 n. 1492, 9 febbraio 1998, V. anche Sez. 3 n. 3082, 21 gennaio 2008, non massimata; Sez. 3 n. 24451, 21 giugno 2007). Veniva comunque dato atto anche dell'orientamento difforme del giudice amministrativo (v. Sez. 3 n. 21208, 28 maggio 2008, non massimata).

8. La più recente ed approfondita disamina della questione concernente l'ammissibilità della sanatoria giurisprudenziale o impropria da parte del giudice amministrativo e l'autorevole richiamo a tale giurisprudenza operata dalla Corte Costituzionale consentono di ritenere ormai superate le argomentazioni sviluppate nelle decisioni di questa Corte appena ricordate, in quanto fondate, prevalentemente, sul mero richiamo di un orientamento, già minoritario, che può dirsi ormai completamente abbandonato dagli stessi giudici che lo avevano in passato formulato.

Le argomentazioni sviluppate a sostegno dell'attuale indirizzo interpretativo appaiono, ad avviso del Collegio, del tutto condivisibili, poichè tengono conto della formulazione letterale della norma e della sua genesi e risultano pienamente conformi al richiamato principio di legalità cui deve necessariamente conformarsi l'azione amministrativa perchè, come osservato in dottrina, non può esservi rispetto del principio di buon andamento della pubblica amministrazione se non vi è, al tempo stesso, rispetto del principio di legalità.

La espressa previsione, nel D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, del requisito della doppia conformità delle opere da sanare e la deliberata scelta del legislatore di non inserire nel Testo Unico dell'edilizia la sanatoria giurisprudenziale nonostante le indicazioni in tal senso ricevute dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato rendono evidente la volontà di limitare la possibilità di sanatoria ai soli abusi formali.

Altrettanto significative appaiono, poi, le considerazioni della più recente giurisprudenza amministrativa riguardo alla negativa incidenza sull'effetto deterrente dell'ordine di demolizione - che il legislatore ha evidentemente voluto - che sarebbe provocata dalla previsione di una sanatoria conseguente ad una conformità dell'opera sopravvenuta alla sua realizzazione, creando l'aspettativa di una futura possibile regolarizzazione anche in presenza di condizioni inizialmente ostative alla esecuzione dell'intervento edilizio.

9. Alla luce delle considerazioni dianzi esposte, appare dunque evidente che, nella fattispecie in esame, non sussistevano i presupposti per una decisione de plano i sensi dell'art. 666 c.p.p., comma 2, in quanto il giudice dell'esecuzione avrebbe dovuto prendere in considerazione l'eventuale incidenza dei provvedimenti amministrativi emanati apprezzandone i contenuti e valutando il procedimento amministrativo finalizzato al loro rilascio nel suo complessivo sviluppo, procedendo però a tale disamina nel necessario contraddittorio delle parti.

10. Ne consegue che il provvedimento impugnato deve essere annullato senza rinvio disponendo la trasmissione degli atti al Tribunale di Firenze.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata ed ordina la trasmissione degli atti al Tribunale di Firenze.
Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2014.