Cass. Sez. IV n. 19342 del 18 maggio 2007 (Ud. 20 feb. 2007)
Pres. Marzano Est. Licari Ric. Rubiero e altri.
Ambiente in genere. Disastro ambientale. Caratteristiche

Per la configurabilità del reato di disastro innominato colposo di cui agli articoli 449 e 434 cod. pen. è necessaria una concreta situazione di pericolo per la pubblica incolumità, nel senso della ricorrenza di un giudizio di probabilità relativo all'attitudine di un certo fatto a ledere o a mettere in pericolo un numero non individuabile di persone, anche se appartenenti a categorie determinate di soggetti. A tal fine, l'effettività della capacità diffusiva del nocumento (cosiddetto pericolo comune) deve essere, con valutazione "ex ante", accertata in concreto, ma la qualificazione di grave pericolosità non viene meno allorché, eventualmente, l'evento dannoso non si è verificato: ciò perché si tratta pur sempre di un delitto colposo di comune pericolo, il quale richiede, per la sua sussistenza, soltanto la prova che dal fatto derivi un pericolo per l'incolumità pubblica e non necessariamente anche la prova che derivi un danno.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. MARZANO Francesco - Presidente - del 20/02/2007
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere - SENTENZA
Dott. LICARI Carlo - Consigliere - N. 248
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere - N. 11985/2006
ha pronunciato la seguente:



SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. Imputato ricorrente, Rubiero Lino, N. IL 27/4/1946;
2. Imputato ricorrente, Quaglio Ottimo Dino, N. IL 22/9/1937;
3. Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte Appello di Venezia;
4. Parte civile, Ministero dell'Ambiente e del Territorio;
Il terzo ed il quarto ricorrente nei confronti di:
- Ferrari Luigi, imputato non ricorrente, N. IL 15/6/1953;
- Amministrazione Provinciale di Rovigo, quale responsabile civile;
avverso la sentenza del 25/10/2005 emessa dalla Corte di Appello di Venezia;
- udita in pubblica udienza la relazione fetta dal Consigliere Dott. Carlo Licari;
- udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. Tindari Baglione, il quale ha concluso per il rigetto dei ricorsi proposti da Rubiero e Quaglio e, in parziale accoglimento dei ricorsi proposti dal P.G. e dalla parte civile nei confronti di Ferrari Luigi, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere i reati ascrittigli estinti per prescrizione;
- udito, per la parte civile ricorrente, l'Avvocato dello Stato, Giovanni Palatiello, il quale ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti di Ferrari Luigi, con rinvio al Giudice civile per la liquidazione dei danni cagionati dal medesimo Ferrari, in solido con il responsabile civile. Con vittoria di spese ed onorali, come da nota che deposita;
- udito il difensore, avv. Falcolini Enrico, nell'interesse degli imputati ricorrenti Rubiero e Quaglio, il quale ha concluso, chiedendo l'accoglimento dei ricorsi proposti da ciascuno dei propri difesi;
- udito il difensore, avv. Luigi Migliorini, nell'interesse dell'imputato non ricorrente, Ferrari Luigi, nonché nell'interesse del responsabile civile Amministrazione Provinciale di Rovigo (per quest'ultimo intervenendo quale sostituto processuale, nominato dal difensore di fiducia, avv. Carla Bernecoli), il quale ha concluso, chiedendo, da un lato, il rigetto dei ricorsi proposti dal P.G. e dal Ministero dell'Ambiente e, dall'altro lato, la conferma della sentenza impugnata.
OSSERVA
L'11 Settembre 1997, in Mardimago di Rovigo, su terreno di proprietà di Quaglio Ottimo Dino, dato in locazione a Rubiero Lino, prendeva fuoco un enorme cumulo (circa 60.000 metri-cubi) di rifiuti, che ivi era stato ammassato dallo stesso Rubiero, con la personale collaborazione del Quaglio.
Le fiamme assumevano proporzioni tali da imporre l'intervento dei Vigili del Fuoco, anche perché si erano sprigionati imponenti fumi che, analizzati dai tecnici del Comune, rivelavano la presenza nell'aria di una quantità di acreolina (gas tossico intensamente irritante, altamente volatile, capace di raggiungere considerevoli distanze e rimanere inalterato nel suo potere di tossicità, dall'odore pungente, con effetti lacrimatoli e punto di combustione a 234^ c), tale da destare allarme nelle autorità locali e da determinare l'avvio di nuove indagini da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Rovigo, non essendo stato, peraltro, quello dell'11/9/2997 l'unico, ma il più grave di una serie di incendi, uno dei quali aveva avuto luogo anche all'inizio del Dicembre del 1996.
Invero, l'attività del Rubiero, quale titolare della ditta Geotecas, e del Quaglio, quale titolare della ditta Geotech, era stata in precedenza fatta oggetto di indagini da parte della medesima Procura, avendo essi poi assunto, nei procedimenti penali n. 1510/96 bis R.g.n. r. e n. 581/97 R.G. Trib., la qualità di imputati di vari reati ambientali, sia per emissione di fumi dal deposito di Mardimago, sia per lo stoccaggio abusivo di rifiuti tossico-nocivi nel medesimo deposito e in altro, sito in Lama Polesine di Ceregnano;
e, inoltre, nel procedimento penale n. 2029/97, avendo assunto la qualità di imputati del reato di inottemperanza a diverse ordinanze del Sindaco, dirette allo smaltimento dei rifiuti e alla messa in sicurezza dell'area inquinata dal sale da conceria ivi depositato. In esito alle nuove, approfondite, indagini, che confermavano la natura tossico-nociva dei rifiuti accumulati nei due depositi, la Procura della Repubblica di Rovigo, nell'ambito del procedimento principale n. 1047/97 R.G. n.r., individuava quali responsabili, in cooperazione colposa tra loro, degli incendi e del disastro ecologico, Rubiero Lino e Quaglio Ottimo Dino, per avere effettuato l'accumulo illegale dei rifiuti; Ferrari Luigi, nella qualità di dirigente del settore Ecologia della Provincia di Rovigo, per avere omesso di far analizzare a tempo debito detti rifiuti; sia, tra gli altri e per quel che qui interessa, Redaelli Vittorio e Ballandolo Walter, per avere, quali legali rappresentanti, rispettivamente, della ditta Transider e della s.p.a. Acciaierie Venete di Padova, conferito al Rubiero ed al Quaglio rifiuti indicati nelle bolle di accompagnamento come Fluff (definito D.M. 16 gennaio 1995, punto 8, come materia prima secondaria, ottenuta dalla frantumazione degli autoveicoli, dopo la separazione dei componenti metallici, avente la caratteristica di essere, di per sè, pronta per la combustione e la conversione energetica), ma rivelatisi, in esito alle analisi di laboratorio, come materiali aventi, già fin dalla fase di uscita dai rispettivi stabilimenti di produzione, natura tossico-nociva, in quanto contenenti metalli pesanti, imbrattati di oli minerali, bisognevoli, quindi, per divenire effettivamente Fluff, di una ulteriore lavorazione.
I tre indicati procedimenti penali venivano, per ragioni di connessione, riuniti dal Tribunale di Rovigo, il quale, in composizione monocratica, all'esito di una complessa istruttoria dibattimentale, decideva, con sentenza del 27/5/2003, di dichiarare la colpevolezza degli imputati Rubiero, Quaglio, Redaelli e Ballandino in ordine soltanto al reato di incendio colposo (di cui al capo A di imputazione del proc. principale), limitatamente all'episodio di incendio avvenuto in Mardimago l'11/9/1997, ed esclusa l'ipotesi della cooperazione colposa di cui all'art. 113 c.p., e, quindi, di condannare Rubiero alla pena di anni 2, mesi 9 di reclusione, riconosciuta l'aggravante contestata di avere agito nonostante la previsione dell'evento; Quaglio, con la stessa aggravante, alla pena di anni 2, mesi 3 di reclusione; Redaelli e Ballandino, rispettivamente, alla pena di anno 1, mesi 3 di reclusione ed alla pena di anno 1 di reclusione, concedendo ad entrambi le circostanze attenuanti generiche e quella di cui all'art. 62 c.p., n. 6, con giudizio di prevalenza rispetto alla contestata aggravante, nonché il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Ferrari Luigi veniva, con la stessa sentenza, assolto dalla imputazione sub A), con la formula perché il fatto non costituisce reato, e tutti gli imputati, inoltre, dalla imputazione di disastro colposo (capo B del proc. principale) con la formula più ampia perché il fatto non sussiste; in riferimento ai restanti procedimenti riuniti, veniva pronunciata nei confronti di Rubiero e Quaglio declaratoria di improcedibilità per essere tutti i reati, ivi contestati, estinti per intervenuta prescrizione. Gli imputati Rubiero e Quaglio, nonché Redaelli e Ballandino, in solido con i responsabili civili, (Termica Lucchese s.r.l., già Transider, ed Acciaierie Venete s.p.a.) venivano, inoltre, condannati dal Tribunale di Rovigo al risarcimento del danno non patrimoniale patito dalle costituite associazioni ambientaliste (WWF Italia, Italia Nostra e Legambiente Veneto), liquidato in via equitativa nella somma di Euro 8.000,00 per ciascuna delle anzidette associazioni; mentre i soli imputati Rubiero e Quaglio venivano condannati, in solido tra loro, al risarcimento del danno patrimoniale patito dal Ministero dell'Ambiente, costituitosi parte civile, liquidato immediatamente nella somma di Euro 10.00,00, nonché al risarcimento del danno ambientale L. 8 luglio 1986, n. 349, ex art. 18, in favore del medesimo Ministero, al quale assegnava, in mancanza di prova certa sul quantum, la somma, a titolo di provvisionale, di Euro 35.000,00 a carico solidale dei due predetti imputati e rimettendo le parti innanzi al competente Giudice civile per la definitiva quantificazione dello stesso; le spese di costituzione e di patrocinio delle parti civili venivano, infine, poste a carico degli imputati condannati e dei responsabili civili, in solido tra loro; mentre, in riferimento alla richiesta di ripristino dello stato dei luoghi avanzata dalle parti civili, il Tribunale di Rovigo riteneva di non poterla accogliere, sul rilievo che non disponeva di dati adeguati circa l'effettiva situazione attuale, a seguito della intervenuta rimozione dal sito della massa dei rifiuti.
Avverso la decisione di primo grado proponevano appello tutti gli imputati condannati ed i correlati responsabili civili; il Procuratore della Repubblica nei confronti degli stessi e dell'imputato assolto, Ferrari Luigi; il Ministero dell'Ambiente nei confronti di Rubiero, Quaglio, Ferrari e dell'Amministrazione Provinciale di Rovigo, quale responsabile civile per i danni cagionati dal Ferrari; le associazioni ambientaliste, costituite parti civili, nei confronti degli imputati Rubiero, Quaglio, Redaelli, Ballandino e Ferrari, nonché dei corrispondenti responsabili civili.
La Corte di Appello di Venezia, con sentenza del 25/10/2005. in parziale riforma di quella di primo grado, ritenuta la sussistenza del delitto di disastro colposo contestato al capo B) del procedimento principale, limitatamente ai fatti verificatisi in Mardimago di Rovigo nei giorni 11 e 12 Settembre 1997, ed assorbito in tale delitto il reato di incendio colposo di cui al capo A), per il quale vi era già stata pronuncia di condanna in primo grado, dichiarava non doversi procedere contro gli imputati Ballandino e Redaelli in ordine al delitto come sopra ritenuto, perché, esclusa l'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 3, e confermate le attenuanti già concesse con giudizio di prevalenza, tale delitto si era estinto per effetto della prescrizione.
La Corte territoriale, quindi, dichiarava responsabili del delitto di disastro colposo come sopra configurato, gli imputati Rubiero e Quaglio, ai quali rideterminava la pena, confermata l'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 3, loro contestata, nella misura, rispettivamente, di anni 4, mesi 6 di reclusione e di anni 3, mesi 9 di reclusione, dichiarandoli entrambi interdetti dai pubblici uffici per anni 5 ed obbligati, in solido, a ripristinare lo stato dei luoghi, nonché a pagare le spese del processo anticipate dallo Stato ed a rimborsare quelle sostenute nel grado dalle costituite parti civili; infine, dava atto che, a seguito degli accordi transattivi intervenuti nelle more con le associazioni ambientaliste, tutte le statuizioni civili relative al Redaelli ed al Ballandino ed agli stabilimenti di produzione da loro rappresentati, già presenti nel giudizio come responsabili civili, dovevano ritenersi revocate, mentre confermava nel resto la sentenza di primo grado, ivi compresa l'assoluzione del Ferrari dalle imputazioni ascrittegli. I Giudici di secondo grado spiegavano in sentenza di avere accolto l'appello proposto dal Procuratore della Repubblica limitatamente alla sussistenza del delitto di disastro innominato colposo (capo B). avendo ritenuto, contrariamente alla decisione di primo grado, che ricorressero gli elementi costitutivi di tale delitto, tuttavia limitatamente a quanto accaduto nei giorni 11 e 12 Settembre 1997. Ciò, perché i predetti giudici ritenevano erroneo che il primo Giudice avesse escluso il delitto in esame sul rilievo che fosse mancante la prova certa del pericolo per la pubblica incolumità, mentre - partendo dalla premessa che il pericolo va riferito ad una realtà futura che si presenta necessariamente incerta, anche se probabile - la prova del pericolo per la pubblica incolumità non poteva considerarsi raggiungibile in modo certo, dovendo ancorarsi ad un mero giudizio di probabilità che un certo fatto abbia attitudine a mettere in pericolo un numero non individuabile di persone e cose. Derivava dall'anzidetto, secondo i giudici di appello, che era corretto, invece, ritenere indispensabile l'accertamento in concreto solo dell'effettiva capacità diffusiva del pericolo, non anche, come aveva ritenuto il primo giudice, dell'avvenuto verificarsi dell'evento dannoso, prodotto causalmente dalla condotta colposa. La Corte territoriale escludeva la configurabilità del reato di incendio colposo oltre quello divampato l'11 Settembre 1997 a Mardimago - in occasione del quale i Vigili del Fuoco si erano impegnati per quasi 7 ore per domarlo e le fiamme ed il fumo erano talmente intensi da indurre le autorità pubbliche a predisporre, come si è menzionato, piani di sorveglianza continua e di evacuazione della popolazione - posto che tale giuridicamente non potevano classificarsi le fiamme che avevano avuto luogo prima di quel giorno, non avendo esse assunto le caratteristiche della vastità, diffusività e difficoltà di spegnimento ricorrenti, invece, nell'incendio dell'11 Settembre.
Osservavano i giudici di appello, a riprova dell'assunto, che, nel riferirsi a quelle fiamme, il P.M. e l'Avvocatura dello Stato appellanti avevano fatto uso del concetto di incendio latente, nel senso che il fuoco sarebbe rimasto, nel periodo precedente all'11 Settembre 1997, allo stato latente all'interno del cumulo dei rifiuti, concetto, questo, però, ritenuto dai medesimi Giudici di secondo grado inaccettabile giuridicamente, perché non corrispondente alla fattispecie legale di cui all'art. 449 c.p., in relazione all'art. 423 c.p..
I medesimi Giudici, inoltre, spiegavano di avere proceduto all'assorbimento del reato di incendio colposo (sub A) nel delitto di disastro innominato colposo (sub B), del quale avevano ritenuto per le spiegate ragioni la sussistenza, avendo ritenuto quest'ultimo delitto più grave, per essersi protratta la sua consumazione in un arco di tempo maggiore rispetto all'incendio, consumatosi nella sola giornata dell'11 Settembre 1997.
Dal riconoscimento della colpevolezza degli imputati - resistenti all'appello del P.M. - Rubiero e Quaglio, in ordine al delitto più grave, come sopra configurato, è derivata la condanna di ciascuno di essi a pena più consistente rispetto a quella loro, rispettivamente, irrogata in primo grado, nonché la loro condanna in solido al ripristino dello stato dei luoghi, statuizione sanzionatoria, questa, reputata una conseguenza obbligatoria (prevista dalla L. n. 349 del 1986, art 18, comma 8) della sentenza di condanna per fatto illecito generatore di danno ambientale, nonché espressione di un potere non surrogatorio, ma primario ed esclusivo dell'A.G. rispetto a quello meno ampio della P.A., non essendo sufficienti a denegarla, come aveva opinato il primo Giudice, le eventuali difficoltà che potessero emergere in sede di materiale esecuzione. L'esclusione nei confronti del Redaelli e del Ballandino dell'aggravante di avere agito nonostante la previsione dell'evento - legittimata dalla constatazione del Giudice di primo grado che il materiale da essi conferiti al deposito di Mardimago non fosse in grado di per sè di creare fenomeni di autocombustione, nonché dalla considerazione ulteriore che fosse opera esclusiva del Rubiero e del Quaglio la miscelazione dei materiali metallici con quelli organici, come la carta da macero e gli scarti di conceria - comportava, ferme restando le attenuanti già concesse con giudizio di prevalenza, la presa d'atto dell'estinzione per i predetti imputati del delitto di disastro colposo, come sopra configurato, per effetto della prescrizione; così come, la revoca della costituzione di parte civile, intervenuta nel corso del giudizio di appello ad opera delle associazioni ambientaliste, rendeva conseguenziale la pronuncia di revoca delle statuizioni civili adottate nei confronti dei medesimi imputati e dei correlati responsabili civili.
La conferma dell'assoluzione pronunciata nei confronti di Ferrari Luigi, in ordine a tutte le imputazioni ascrittegli nel procedimento principale, era assistita in sentenza da ampia motivazione in replica alle argomentazioni ex adverso proposte nei rispettivi appelli dal Procuratore della Repubblica e dall'Avvocatura dello Stato, quest'ultima per conto e nell'interesse del Ministero dell'Ambiente, costituitosi parte civile.
Qui, sembra sufficiente fare cenno alla più saliente argomentazione esposta dalla Corte di Appello a sostegno della decisione nella parte di che trattasi.
Secondo i Giudici di secondo grado, al di là dell'analisi sull'ampiezza dei poteri e dei doveri derivanti al Ferrari dalla sua qualità di Dirigente del settore ecologia della Provincia di Rovigo, la soluzione del quesito sulla fondatezza o meno delle accuse contro di lui mosse era ricavabile soprattutto dalla ricostruzione della condotta assunta dal predetto funzionario nei confronti delle ditte, di cui erano titolari il Rubiero ed il Quaglio.
La ricostruzione, fatta in tal senso dal Giudice di prime cure, veniva reputata puntuale e condivisibile, derivandone la conclusione che fosse mancante la prova della colpa per negligenza addebitata all'imputato.
Avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Venezia propongono ora, con atti separati, ricorso per cassazione, da un lato, gli imputati condannati Rubiero e Quaglio, dall'altro lato, ma limitatamente alla conferma dell'assoluzione di Ferrari Luigi, il Procuratore Generale della Repubblica e la parte civile, in persona del Ministro dell'Ambiente, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Venezia.
I ricorsi del Rubiero e del Quaglio presentano motivi in larga parte di analogo contenuto, sicché di essi è opportuno, per comodità di esposizione, farne una comune illustrazione.
1. La prima doglianza - espressa sotto il profilo della erronea interpretazione della legge e del difetto di motivazione - riguarda il delitto di disastro colposo innominato, ritenuto sussistente dalla Corte territoriale sulla scorta degli stessi elementi probatori che avevano indotto, invece, il primo giudice ad escluderne la configurabilità, per essere assente il requisito essenziale del pericolo per la pubblica incolumità.
Il Giudice di prime cure si sarebbe attenuto, per la verifica di detto requisito, a criteri obbiettivi, prendendo in esame ciascuno dei tre eventi di pericolo contemplati nell'imputazione di disastro colposo: lo sviluppo dei fuochi non avrebbe assunto dimensioni notevoli e la diffusione degli stessi non avrebbe riguardato il centro abitato; quanto allo sviluppo dei gas venefici, l'esposizione agli stessi avrebbe riguardato un periodo di tempo limitato e due sole famiglie, le uniche abitanti ad un centinaio di metri dalla discarica, con valori ridotti di concentrazione dell'acreolina e, comunque, non superiori al limite fissato per il "mero disagio";
l'inquinamento delle falde acquifere e del terreno, poi, non sarebbe emerso, perché le acque circostanti il sito di stoccaggio dei rifiuti sarebbero risultate stagnanti e non utilizzate per l'irrigazione dei campi limitrofi.
Disponendo, quindi, degli stessi elementi, la Corte di Appello - soggiungono i due ricorrenti - sarebbe pervenuta illogicamente a conclusioni diametralmente opposte, errando nell'affermare la sussistenza del pericolo concreto per la pubblica incolumità e, pertanto, nel ritenere configurabile il delitto di disastro colposo ai due ricorrenti addebitato (capo B), in esso addirittura assorbendo il reato di incendio colposo (capo A), senza considerare che, trattandosi non già di due eventi, ma di uno solo, generatosi ed esauritosi il giorno 11 Settembre 1997, non era applicabile il principio dell'assorbimento.
2. Censurabile sarebbe anche la decisione di confermare la sussistenza della circostanza aggravante della colpa con previsione dell'evento, assumendo i ricorrenti che le risultanze processuali deponevano, invece, in senso contrario, in quanto la loro dichiarata ignoranza sulla reale composizione chimica dei rifiuti, acquistati dagli stabilimenti di produzione con bolle dì accompagnamento che ne attestavano l'innocuità per la salute pubblica, avrebbe dovuto far riconoscere, piuttosto, l'impossibilità di prevedere che la loro attività di stoccaggio fosse la causa di un evento di proporzioni tali da estrinsecarsi in un vero e proprio disastro.
3. Parimenti censurabile sarebbe l'erronea sussunzione dell'evento verificatosi l'11 Settembre 1997 nella fattispecie di incendio colposo, non solo perché quell'evento sarebbe risultato di modeste dimensioni e non pericoloso per la popolazione di Mardimago, ma anche perché non sarebbe certa la prova che la causa scatenante dell'incendio possa riconnettersi alla mera attività di accumulo dei rifiuti esplicata dal Rubiero, con la occasionale collaborazione del Quaglio.
4. Viziata per violazione di legge e difetto di motivazione sarebbe, inoltre, la decisione della Corte di merito di negare ai ricorrenti la concessione delle circostanze attenuanti generiche sulla base soltanto dei precedenti penali.
5. Ultima censura, comune ai due ricorrenti, è quella che si riferisce al rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, presidiato da motivazione solo nei confronti del Rubiero, ritenuta, comunque, non corretta giuridicamente, in quanto, contrariamente all'opinione dei Giudici di appello, la rinnovazione sarebbe consentita anche nell'ipotesi, come quella di specie, di mancata indicazione dei mezzi di prova di cui l'appellante intendeva avvalersi.
Il Rubiero, solo per conto proprio, deduce, infine, eccezione di nullità assoluta del giudizio di secondo grado, per essere stata celebrata l'udienza dibattimentale del 18/10/2005 senza disporre il chiesto rinvio per l'assenza del suo difensore di fiducia, avv. Sabina Canato, nonostante costei avesse comunicato alla Cancelleria della Corte di Appello di Venezia il suo impedimento a comparire per ragioni di malattia.
Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Venezia, nel chiedere l'annullamento della sentenza impugnata nella parte in cui era stata confermata l'assoluzione di Ferrari Luigi, si duole, sotto l'aspetto della violazione di legge, che siano stati sottovalutati gli specifici profili di colpa contestatigli, in relazione ai quali sarebbe stato, invece, possibile valutare, in raffronto alla sua posizione di garanzia, la sua condotta nei confronti dei gestori della discarica di Mardimago. Per tale via, sarebbe stato possibile accertare come non fosse stata tempestiva l'attivazione da parte sua dei poteri cautelari ed interdettivi a distanza di tre mesi dalla comunicazione iniziale del Rubiero, in tal modo consentendo a costui ed al correo Quaglio l'accumulo medio tempore di enormi quantità di rifiuti nel deposito, ove poi, l'11 Settembre 1997 si era verificato l'incendio ed il conseguente disastro ambientale, dei quali l'antecedente causale necessario avrebbe dovuto riconoscersi nella condotta colposa del Ferrari.
Secondo il P.G., a scriminare la condotta colposa del funzionario non sarebbe idonea l'iniziativa, da lui presa il 13 e 14 Giugno 1996, di denunciare i fatti all'Autorità Giudiziaria e di diffidare i gestori della discarica dal continuare ad operare, per la ragione che quelle denunce e quelle diffide non avrebbero fatto, comunque, venir meno, in capo all'autorità amministrativa di controllo, il dovere di tutelare la pubblica incolumità e, pertanto, quelle iniziative non avrebbero interrotto il nesso di causalità tra il ritardo colpevole e gli eventi pericolosi per la pubblica incolumità che ne seguirono. Con il ricorso proposto nell'interesse della parte civile, Ministero dell'Ambiente, l'Avvocatura dello Stato - nel prefiggersi la riforma della sentenza assolutoria nei confronti del Ferrari, come mezzo al fine di ottenere la condanna al risarcimento del danno a carico del medesimo imputato e dell'Amministrazione Provinciale di Rovigo, suo responsabile civile - deduce sostanzialmente analoghi vizi della decisione impugnata in parte de qua, proponendo un dettagliato excursus sulle vigenti disposizioni di legge che, attribuendo all'Amministrazione Provinciale ampi poteri e doveri di vigilanza e controllo in materia di igiene ambientale, costituirebbero per il Ferrari, dirigente del settore ecologia della Provincia di Rovigo, la fonte normativa della sua personale posizione di garanzia, della quale il medesimo, però, non si sarebbe fatto carico. Ciò sarebbe avvenuto, secondo la parte civile ricorrente, per effetto dell'inosservanza della normativa in materia e non della mera negligenza del funzionario, avendo egli omesso di esercitare tempestivamente gli ampi poteri - doveri di controllo e di intervento impostigli dalla normativa di settore, esercitando i quali sarebbe stato possibile impedire l'evento dannoso o, quanto meno, la concentrazione in area vicina all'abitato degli ingenti quantitativi di rifiuti tossico-nocivi, poi tardivamente scoperti nella discarica di Mardimago.
Negata alla comunicazione scritta di sospensione del procedimento amministrativo, di poco successiva al 4 Marzo 1996, nonché alle diffide, inviate in data 13 e 14 Giugno 1996, l'idoneità ad interrompere il nesso causale tra condotta ed evento, la parte civile sì duole che i giudici di appello abbiano sottovalutato le conseguenze della sostanziale inottemperanza da parte del Ferrari delle disposizioni legislative nella materia specifica de qua, illustrandone a contrario, qualora fossero state osservate con tempestività, la loro idoneità ad impedire l'evento verificatosi:
come, ad esempio, esercitando il potere di assumere informazioni, di eseguire sopralluoghi, di richiedere il sequestro preventivo dell'area.
Il Collegio ritiene infondati i ricorsi proposti nell'interesse degli imputati Rubiero e Quaglio.
La loro prima, comune, doglianza riguarda il criterio seguito dai giudici di secondo grado per ritenere configurabile in concreto il delitto di disastro innominato colposo, in contrasto con la opposta decisione sul punto adottata da primo giudice, apparsa ai ricorrenti immune da censure.
Trattasi di doglianza infondata e sostanzialmente aspecifica, in quanto sfugge al doveroso confronto con le argomentazioni esposte dai Giudici di appello per pervenire alla opposta soluzione:
quest'ultima, però, è retta da solido impianto motivazionale, per di più presidiato dalla scelta di un metodo interpretativo aderente ai principi giuridici affermati da questa Corte di Cassazione, secondo cui il delitto di disastro colposo innominato - di cui agli artt. 449 e 434 c.p., contestati agli odierni ricorrenti al capo B) dell'imputazione - richiede un avvenimento grave e complesso con conseguente pericolo per la vita o l'incolumità delle persone indeterminatamente considerate al riguardo; è necessaria una concreta situazione di pericolo per la pubblica incolumità nel senso della ricorrenza di un giudizio di probabilità relativo all'attitudine di un certo fatto a ledere o a mettere in pericolo un numero non individuabile di persone, anche se appartenenti a categorie determinate di soggetti; ed, inoltre, l'effettività della capacità diffusiva del nocumento (c.d. pericolo comune) deve essere, con valutatone ex ante, accertata in concreto, ma la qualificazione di grave pericolosità non viene meno allorché, eventualmente, l'evento dannoso non si è verificato.
In coerenza con tali principi, l'abbandono del metodo seguito dal primo Giudice - in questa sede apprezzato dai ricorrenti - è spiegato dai giudici di secondo grado, appunto, con la necessità di ancorare l'accertamento del requisito essenziale del delitto de quo, non già all'avvenuto verificarsi dell'evento dannoso, collegato eziologicamente alla condotta colposa degli imputati, bensì alla effettiva capacità diffusiva del pericolo per la pubblica incolumità, dalla quale l'evento, per assumere le dimensioni del disastro, deve essere caratterizzato.
La prospettiva ex ante dell'accertamento condotto dai giudici del gravame, al fine di verificare se un certo fatto abbia avuto attitudine a mettere in pericolo un numero non definito di persone e di cose, è condivisa da questo Collegio, in quanto essa si pone in logica correlazione con la nozione di pericolo come realtà futura che si presente necessariamente incerta, anche se probabile. Muovendo da tale premessa, è corretta la logica conclusione che la prova del pericolo non debba essere traslata da quella dell'avvenuto danno cagionato dalla condotta colposa, in quanto si andrebbe incontro inevitabilmente ad una contraddizione in punto di diritto, quella cioè di travisare la vera natura del delitto di disastro innominato (alias, altro disastro) colposo, di cui all'art. 449 c.p., negandone l'appartenenza al genus dei delitti colposi di comune pericolo, il quale richiede - per effetto del richiamo alla nozione di altro disastro preveduto dal capo 1^ del titolo 6^ del libro 2^ del codice di rito, del quale fa parte l'art. 434 c.p. - soltanto la prova che dal fatto derivi un pericolo per la incolumità pubblica e non necessariamente anche la prova che derivi un danno. È, quindi, frutto di erroneo metodo interpretativo la decisione del primo Giudice di ricavare la prova dell'insussistenza del delitto di disastro dalla valutazione della entità dei danni effettivamente verificatisi in relazione all'inquinamento dell'aria, del territorio e delle acque.
Proprio dello stesso errore è affetta anche la doglianza in questa sede proposta dai ricorrenti, i quali pretendono di dedurre la mancanza del requisito del pericolo per la pubblica incolumità, ora, in relazione all'esposizione ai gas tossici, dal danno limitato nel tempo e concentrato su poche persone abitanti in vicinanza della discarica di Mardimago, ora, in relazione all'inquinamento delle acque, dalla pratica di non utilizzo di quelle circostanti la stessa discarica per l'irrigazione dei campi, ora, in relazione al territorio, dalla considerazione che l'incendio non si è diffuso fino ad interessare il centro abitato di Mardimago.
Adottando nella valutazione del materiale processuale il corretto metodo interpretativo, invece, la Corte di Appello ha ritenuto - dandone ampia motivazione, esente da vizi logici e, quindi, non suscettibile di censure in sede di legittimità - che nel caso di specie fosse configurabile, per i soli giorni dell'11 e del 12 Settembre 1997, il delitto di disastro colposo contestato al Rubiero ed al Quaglio, odierni ricorrenti:
1. in primo luogo, per la ragione che era stata acquisita la prova che nella giornata del 12 Settembre 1997 la popolazione di Mardimago di Rovigo era stata esposta a reale e grave pericolo per resistenza nell'aria di rilevanti percentuali di acreolina - la cui nocività per la salute umana andava valutata al di là dell'inadeguato parametro riferito alle persone abili all'interno degli ambienti di lavoro - sicché il pericolo non poteva che ritenersi ricorrente anche il giorno precedente, 11 Settembre 1997, quando i valori di concentrazione del gas erano sicuramente più elevati, durante le fasi iniziali e più violente della combustione, rispetto a quelli presi a campione il giorno successivo e pur ritenuti rivelatori di valori medi di concentrazione altamente pericolosi per la salute della popolazione e, comunque, stimati 44,6 volte inferiori rispetto alle concentrazioni iniziali dell'11 Settembre;
2. in secondo luogo, in quanto era stata acquisita la prova che nei fumi sprigionati dall'incendio in Mardimago erano presenti anche altri composti chimici sotto forma di aldeidi, oltre l'acreolina, sicché l'effetto sinergico della miscela di gas nocivi aveva legittimato la decisione delle Autorità preposte alla tutela dell'igiene pubblica di predisporre il monitoraggio permanente del sito e, addirittura, anche un piano di evacuazione di tutta la popolazione residente, a comprova della complessità e gravita dell'avvenimento e dell'estensione del senso di allarme e di pubblica emozione che esso aveva suscitato;
3. infine, in quanto era stata acquisita la prova che il pericolo per la pubblica incolumità era concretamente derivato anche dall'inquinamento del terreno e delle acque circostanti la discarica di Mardimago, come dimostrato dalle analisi in atti, dalla testimonianza del Prof. Rabiti (il quale aveva riferito di avere personalmente constatato la completa essiccazione degli alberi siti al confine della discarica, fenomeno talmente grave da avere comportato addirittura la decorticazione degli stessi), nonché dall'iniziativa del Servizio di Igiene Pubblica locale di allertare il Consorzio di bonifica del Polesine, al fine di impedire ogni nocumento alla salute pubblica che derivasse dall'utilizzo irriguo di quelle acque.
Per quanto attiene alla seconda, comune, doglianza, sembra al Collegio che i giudici di appello si siano attenuti ad una valutazione logica delle risultanze processuali, allorché hanno ritenuto infondata la tesi difensiva sulla pretesa induzione in errore sulla reale natura dei materiali conferiti dalle acciaierie, da queste ingannevolmente indicati nelle bolle di accompagnamento come "residuo riutilizzabile" o "assimilabile all'urbano", in quanto tale tesi risultava non solo smentita dalle acquisizioni processuali attestanti invece la consapevolezza del Rubiero e del Quaglio della natura tossico-nociva dei rifiuti accumulati, ma anche inidonea a superare l'obiezione tratta dal principio giuridico, secondo il quale risponde del reato di incendio colposo anche chi, pur non avendo dato materialmente origine al fuoco, tuttavia abbia dato causa colposamente all'incendio per avere posto le condizioni necessarie a cagionare l'incendio.
Orbene, i due nominati imputati, gestori della discarica abusiva di Mardimago, secondo il verdetto dei Giudici di merito, avevano concorso colposamente a dare causa all'incendio loro addebitato al capo A), in quanto essi non avevano provveduto ad adottare alcuna cautela necessaria ad evitare il pericolo per la pubblica incolumità, anzi avevano tenuto un comportamento irresponsabile, ritenuto ai limiti del dolo, avendo essi, per loro ammissione, posto al di sotto dei materiali ricevuti dalle acciaierie anche sostanze organiche facilmente combustibili (carta a tonnellate, paglia, legno e scarti da conceria), che costituivano, come accertato dai tecnici, un vero e proprio "innesco" per il cumulo ammassato nel deposito di Mardimago.
In riferimento alla terza, comune, doglianza, il Collegio, nel ritenerne l'infondatezza, conferma la correttezza della decisione della Corte territoriale di assorbire il reato di incendio colposo nel delitto di disastro colposo, proprio perché, nella fattispecie, quest'ultimo delitto, protraendosi il tempo di consumazione oltre la giornata dell'11 Settembre 1997, è risultato, in concreto, più grave.
È opportuno, per completezza di motivazione, premettere che l'art. 434 c.p. - richiamato dall'art. 449 c.p. - prevede congiuntamente il delitto di crollo doloso di costruzioni e il delitto di disastro doloso innominato (alias, altro disastro), ed è ricompreso - così come il delitto di incendio doloso previsto dall'art. 423 c.p. - tra i delitti di comune pericolo mediante violenza (Libro 2^, Titolo 6^, Capo 1^, artt. da 422 a 437 c.p.).
Orbene, la peculiarità dell'art 434 c.p., (proprio per il fatto di prevedere congiuntamente il crollo doloso e il disastro innominato doloso) è quella di costituire una norma di chiusura nel quadro, appunto, della sottoclasse dei delitti di disastro. Ritiene, quindi, il Collegio che l'espressione "fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti", contenuta nell'art. 434 c.p., rimanda non già a tutti gli articoli precedenti contenuti nel Capo 1^, bensì soltanto a quelli, tra gli articoli precedenti, che prevedono altri delitti di disastro. Tra questi ultimi rientrano, per esempio, l'art. 428 c.p., (naufragio), l'art. 430 c.p., (disastro ferroviario), l'art. 432 c.p., (attentato alla sicurezza dei trasporti), ma non anche l'art 423 c.p., che prevede il delitto di incendio.
Nel caso di specie, il delitto di disastro colposo innominato, di cui all'art. 449 c.p., in relaz. all'art. 434 c.p., è stato contestato - in concorso con il delitto di incendio colposo di cui all'art. 449 c.p. - perché, in conseguenza dell'incendio dell'11 Settembre 1997, si è verificato un evento con effetti sul territorio, sull'aria e sulle acque produttivi di concreto pericolo per la pubblica incolumità, per modo che la pubblica accusa ha ritenuto che i due imputati, odierni ricorrenti, provocando colposamente l'incendio, abbiano al tempo stesso commesso colposamente "un fatto diretto a cagionare... un altro disastro ".
In altri termini, lo stesso fatto materiale è stato configurato come reato due volte (capo A e capo B), sulla base di due distinte norme incriminataci.
Ritiene questa Corte che l'iter-logico motivazionale percorso dalla sentenza impugnata per affermare la consunzione dei due reati in quello più grave (capo B) sia corretto anche sotto il profilo giuridico, dovendosi riconoscere tra le due imputazioni in questione, quando vengano ricollegati ad un'identica condotta, l'esistenza di un rapporto di sussidiarietà, ovvero di consunzione, ispirato al principio del ne bis in idem sostanziale, secondo il quale (anche fuori dei casi di vera e propria specialità) nessuno può essere punito più volte per lo Stesso fatto (ovvero, più precisamente, per la medesima offesa ai beni tutelati dalla legge).
In particolare, il rapporto di consunzione, secondo la più autorevole dottrina in argomento, è un rapporto dì valore tra due norme incriminatoci, in base al quale l'apprezzamento negativo dell'accadere concreto, riconducibile ad un'unica condotta, appare tutto già compreso nella norma che prevede il reato più grave, di guisa che applicare anche la norma che prevede il reato meno grave condurrebbe ad un ingiusto moltiplicarsi della sanzione. In altri termini, il rapporto di consunzione comporta sempre la prevalenza della norma che prevede il reato più grave, ovvero, più precisamente, quella che prevede il trattamento penale più severo, anche quando il trattamento più severo si ricolleghi, come nel caso di specie, alla valutazione in concreto di diversi gradi di offesa del medesimo bene della pubblica incolumità, con la conseguenza che l'offesa maggiore (capo B) assorbe quella minore (capo A). Altre doglianze, comuni ai due predetti imputati, sono, infine, quella che attiene al diniego delle circostanze attenuanti generiche e quella relativa al rigetto dell'istanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale.
In riferimento alla prima, avendo in realtà la sentenza impugnata dedicato una congrua spiegazione in ordine alla decisione di non concedere in favore dei due odierni ricorrenti il beneficio di cui all'art. 62 bis c.p., negato per la capacità a delinquere dei due imputati, di cui i precedenti penali costituivano un indice evidente, non meritevole di benevola considerazione, è innegabile che i giudici di secondo grado si siano correttamente attenuti nel caso di specie al consolidato principio giurisprudenziale affermato da questa Corte, secondo cui, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, basta che il giudice del merito prenda in esame quello tra gli elementi indicati nell'art. 133 c.p., che ritiene prevalente ed atto a consigliare o meno la concessione del beneficio; e, quindi, anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti stesse.
La seconda delle due doglianze è patimenti infondata, in quanto risulta corretta giuridicamente la statuizione adottata dai giudici di secondo grado di non dare seguito alla richiesta di rinnovazione del dibattimento, essendo essa sfornita dalla indicazione delle prove delle quali si richiedeva l'ammissione.
Ciò perché l'ipotesi di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello disciplinata dall'art. 603 c.p.p., comma 4, non esclude che il giudice debba effettuare le opportune vantazioni, nel contraddittorio delle parti, in relazione alla rilevanza ed ammissibilità delle prove richieste e, pertanto, presuppone una indicazione specifica da parte dell'imputato delle prove che si vogliono assumere.
Peraltro, la questione, sottesa alla richiesta generica di rinnovazione del dibattimento, è stata esaminata e decisa in modo persuasivo dai giudici di appello, i quali hanno dimostrato che i responsabili della gestione della discarica di Mardimago erano perfettamente consapevoli che il prodotto ricevuto dalle acciaierie non era Fluff, dal momento che essi medesimi avevano comunicato alla Provincia di Rovigo che la loro attività sarebbe consistita nel rimuovere manualmente dalla massa di rifiuti il materiale ferroso - ovviamente non combustibile - per trasformarla in Fluff, quest'ultimo, invece, utilizzabile direttamente come combustibile. Non si palesava, quindi, utile, ne' rilevante ai fini della decisione, come ha rettamente statuito la Corte territoriale, rinnovare l'istruttoria in appello solo per esaudire l'istanza generica degli imputati di procedere alla verifica della natura dei materiali accumulati nella discarica.
Del resto, in seno alla motivazione della sentenza impugnata è precisato che lo stesso Quaglio aveva riconosciuto che il fuoco era partito proprio da dove erano state inserite molte tonnellate di carta, oltre, come aliunde si è accertato, altre sostanze organiche, legittimando la conclusione che tale "innesco" aveva costituito il punto di combustione dei materiali ferrosi aggiunti, fortunatamente dotati di un punto di combustione più elevato rispetto al Fluff, altrimenti, se di Fluff si fosse trattato, l'incendio avrebbe assunto dimensioni apocalittiche, agevolando per la sua speciale composizione chimica la diffusione delle fiamme in modo rapido e catastrofico. L'eccezione di nullità del giudizio di appello, formulata in questa sede solo dal Rubiero, appare al Collegio generica e, comunque, destituita di fondamento, se è vero, come è vero, che nello stesso atto di ricorso non viene fatto alcun cenno alla natura e gravita della malattia che avrebbe costituito il preteso impedimento del difensore dell'imputato, avv. S. Canato, a partecipare all'udienza dibattimentale del giorno 18/10/2005, con la conseguenza che, in assenza di indicazioni al riguardo provenienti dalla parte interessata ovvero dal verbale di udienza, legittima si palesa la statuizione della Corte di appello di assicurare in ogni caso la difesa al predetto imputato con la nomina di un difensore di ufficio, in sostituzione di quello assente di fiducia, e di proseguire oltre nel dibattimento.
Per la coincidenza sostanziale delle doglianze proposte nei rispettivi ricorsi per cassazione dal P.G. e dall'Avvocatura dello Stato nell'interesse del Ministero dell'Ambiente, intervenuto quale parte civile, è d'uopo, per ragioni di sintesi, procedere alla esposizione congiunta delle ragioni che determinano questa Corte a ritenerle immeritevoli di accoglimento.
A parere del Collegio, i giudici di secondo grado hanno risposto al quesito sulla fondatezza o meno delle accuse mosse contro Ferrari Luigi puntando correttamente la loro attenzione, più che sull'analisi sull'ampiezza dei poteri e dei doveri derivanti al Ferrari dalla sua qualità di Dirigente del settore ecologia della Provincia dì Rovigo - portando simile analisi, in questa sede perorata in special modo dall'Avvocatura dello Stato, ad un risultato formale, poco significativo sul piano della ricerca della verità, in quanto racchiuso nell'angusta rappresentazione statica del suo ruolo di pubblico funzionario, quello cioè della assunzione in capo al Dirigente del settore ecologia della Provincia di Rovigo di una posizione di garanzia in materia appunto di igiene ambientale - piuttosto e, soprattutto, puntando la loro attenzione sulla valutazione critica della condotta in concreto assunta dal Ferrari nei confronti delle ditte, di cui erano titolari il Rubiero ed il Quaglio, pervenendo in tal modo ad un risultato sostanziale più significativo, perché aderente alla finalità di accertare la verità attraverso la puntuale ricostruzione della vicenda sulla scorta delle acquisizioni processuali.
La ricostruzione, fatta in tal senso dai Giudici di appello, va reputata corretta e persuasiva sotto l'aspetto logico-giuridico, sicché il Collegio ne condivide la conclusione che fosse mancante la prova della colpa addebitata all'imputato.
Il Ferrari, secondo la Corte di Appello, aveva agito, secondo una valutazione ex ante, con diligenza e nel sostanziale rispetto degli obblighi di legge all'epoca vigenti:
- rispondendo a stretto giro di posta alla prima missiva del 4 Marzo 1996, con la quale Rubiero Lino, quale rappresentante della ditta Geotecas, dichiarava la sua intenzione di svolgere l'attività di stoccaggio e smaltimento di "residui riutilizzabili", precisando che le quantità annue stoccate si sarebbero aggirate "intorno alle 2.000 tonnellate";
- comunicando al Rubiero che, per carenza dei requisiti di legge, non era possibile dare corso alla procedura di smaltimento semplificata, invitandolo a provvedere alle adeguate integrazioni;
- sollecitandolo, con lettera del 18 Aprile 1996, a fornire ulteriori chiarimenti in ordine a ben 10 punti da modificare da parte dell'istante in assenza dei quali, si precisava, non era possibile considerare la missiva del Rubiero del 9 Aprile 1996 adempiente alla precedente richiesta di elementi integrativi e che, pertanto, il relativo procedimento non poteva considerarsi avviato;
- inviando al Quaglio - ritenuto in un primo momento il gestore unico della discarica di Mardimago - e poi al Rubiero, identificato come il vero gestore di essa, dopo circa un mese dall'ultima comunicazione e senza attenderne la risposta, due diffide dirette al ripristino della situazione anteatta ed a cessare immediatamente di ricevere altro materiale, in tal modo bloccando il procedimento amministrativo che il Rubiero aveva tentato di iniziare con le sue lacunose comunicazioni;
- inviando in data 7 Giugno 1996 vigili provinciali sul posto per effettuare diversi sopralluoghi e, resosi consapevole dell'anomalia della situazione che si stava creando nel deposito di Mardimago, provvedendo in data 13 Giugno 1996 ad informare, con denuncia, di detta situazione tutti gli organi competenti, compresa la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Rovigo.
In riferimento alle ulteriori obiezioni, ancora in questa sede reiterate dal P.G. e dalla parte civile nei rispettivi ricorsi, i giudici di secondo grado, nel confutarle, fornivano ampie e logiche spiegazioni, che si ritiene opportuno qui menzionare, in quanto anch'esse condivise pienamente da questa Corte:
- all'accusa di avere il Ferrari omesso i dovuti controlli, si opponeva che il predetto imputato aveva di fatto esercitato i propri poteri-doveri di controllo, dal momento che aveva inviato i vigili provinciali per effettuare i sopralluoghi e, di seguito, aveva notiziato le competenti autorità, diffidando i responsabili della discarica abusiva affinché ripristinassero la situazione anteatta e cessassero dal procedere allo stoccaggio di altri rifiuti;
- all'accusa che dalla comunicazione iniziale del Rubiero poteva già comprendersi che i rifiuti, oggetto del progetto di stoccaggio e di lavorazione, non consistevano in Fluff, in quanto tale materia non è bisognevole appunto di ulteriore lavorazione, si replicava che il Ferrari, proprio perché si era reso conto di ciò, aveva immediatamente comunicato per iscritto all'istante che non ricorrevano le condizioni per consentire la gestione della discarica in regime semplificato e chiedeva chiarimenti per iscritto;
- all'accusa che il primo sopralluogo del 7 Giugno 1996 era stato effettuato con colpevole ritardo, dopo tre mesi dalla comunicazione iniziale, quando era prevedibile che fossero state già collocate 5.000 tonnellate di rifiuti, si rispondeva che la previsione di accumulo era in ogni caso errata in eccesso, in quanto la missiva iniziale indicava invece una previsione di quantità da stoccare pari a sole 2.000 tonnellate all'anno e che la risposta immediata del Ferrari che l'attività non poteva avere inizio per mancanza dei requisiti di legge appariva, pertanto, tempestiva e adeguata. Ciò, tenuto conto che l'azione del predetto imputato, consistita nel bloccare il procedimento amministrativo e nel richiedere ulteriori informazioni integrative, era, con valutazione ex finte, certamente diretta ad impedire l'evento e, quindi, conforme ai doveri del pubblico funzionario.
Come è agevole rilevare da quanto sopra passato in rassegna, tutte le argomentazioni proposte dai nominati ricorrenti, in relazione alla pronuncia assolutoria adottata nei riguardi del Ferrari, trovano una congrua ed esauriente risposta, esente da vizi di logicità, nel tessuto motivazionale della sentenza impugnata: così, è bene ribadire, in tema di omessa attivazione dei poteri cautelativi ed interdettivi, si è efficacemente replicato, evidenziando la sostanziale aderenza della condotta assunta dal pubblico funzionario a criteri di normale diligenza e di osservanza delle disposizioni di legge vigenti nella specifica materia de qua; così pure, in tema di inidoneità di quella condotta ad interrompere il nesso causale tra condotta ed evento, si è obiettato opportunamente che le comunicazioni scritte, le diffide e le denuncie attivate dal pubblico funzionario erano - assunta la corretta prospettiva di una valutazione ex ante della vicenda - dirette certamente ad impedire l'evento, potendosi ex post spiegare che l'evento si è successivamente verificato, tenendo a mente che a produrlo eziologicamente era stata solo la condotta illecita sinergicamente posta in essere per colpa dal Rubiero e dal Quaglio, condotta non facilmente prevedibile da parte del Ferrari, legittimato a trarre dalle comunicazioni e dalle istanze avanzate dai due privati cittadini alla Amministrazione Provinciale di Rovigo, semmai, la logica presunzione che essi avessero intenzione di adeguare la loro attività all'osservanza della normativa in materia di igiene ambientale.
In conclusione, tutti i ricorsi vanno rigettati, con le conseguenze indicate in dispositivo in ordine all'obbligo del pagamento delle spese del processo.
P.Q.M.
Rigetta tutti i ricorsi e condanna i ricorrenti Rubiero Lino, Quaglio Ottimo Dino ed il Ministero dell'Ambiente al pagamento in solido delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Pubblica Udienza, il 20 febbraio 2007. Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2007