Consiglio di Stato Sez. IV n. 3990 del 2 maggio 2024
Sviluppo sostenibile.Procedura abilitativa semplificata

La procedura abilitativa semplificata (P.A.S.) di cui all’articolo 6 del d. lgs. n. 28 del 2011 è ascrivibile al genus della DIA, ora SCIA, e conseguentemente va qualificato quale atto soggettivamente ed oggettivamente privato. Al decorso del termine di legge di trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione, non si determina infatti il perfezionamento di una fattispecie legale tipica che, sul piano della produzione degli effetti, rende l’inerzia equivalente ad un vero e proprio provvedimento di accoglimento, come avviene per la fattispecie del silenzio assenso, bensì, più semplicemente, si determina l’effetto di rendere una determinata attività privata lecita, secondo il meccanismo proprio della Scia; ciò in linea con la diversa natura dei due istituti, laddove il primo risponde ad una ratio di semplificazione amministrativa, mentre il secondo di vera e propria liberalizzazione, con conseguente fuoriuscita dell’attività privata dal regime amministrato a controllo preventivo (fattispecie relativa a P.A.S. per la realizzazione di un impianto fotovoltaico a terra).

Pubblicato il 02/05/2024

N. 03990/2024REG.PROV.COLL.

N. 05790/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5790 del 2023, proposto dal Comune di Latina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alessandra Capozzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Società Agricola Apollo Solare 2 S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mileto Mario Giuliani, Ginevra Biadico e Luigi Maria Giuseppe Costa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima) n. 00203/2023, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Società Agricola Apollo Solare 2 S.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 febbraio 2024 il Cons. Rosario Carrano e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La società Apollo Solare 2 s.r.l., in data 27 ottobre 2020, ha presentato al Comune di Latina un’istanza di procedura abilitativa semplificata (P.A.S.) per la realizzazione di un impianto fotovoltaico a terra denominato “Gasparotto”, ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 28/2011 e dell’art. 3 della legge regionale del Lazio n. 16/2011. Inoltre, ha presentato anche domanda per un permesso di costruire per la realizzazione di due cabine prefabbricate per la connessione dell’impianto fotovoltaico alla rete elettrica nazionale.

Nell’ambito di quest’ultimo procedimento, il Comune di Latina, nel gennaio 2022, ha comunicato che, in data 11 agosto 2021, era stato modificato l’art. 3.1 della L.R. 16/2011. Pertanto, è stata disposta la sospensione della PAS nelle more del completamento dell’avviata procedura da parte del Comune di Latina di individuazione delle aree “non idonee” all’installazione di impianti fotovoltaici a terra, a cui ha fatto seguito il provvedimento impugnato, con il quale è stato comunicato il divieto a dare inizio e/o continuità ai lavori di cui alla PAS, ordinando il ripristino dello stato dei luoghi, ove necessario.

Con la medesima nota, il Comune di Latina ha altresì comunicato alla società ricorrente il rigetto dell’istanza di permesso di costruire.

Con il ricorso di primo grado, la società ha proposto nove motivi di impugnazione:

1) violazione dell’art. 6 del d.lgs. 28/2011, dal momento che i provvedimenti impugnati sarebbero intervenuti in epoca successiva al definitivo spirare del termine di 30 giorni per l’esercizio del potere inibitorio da parte del Comune;

2) violazione degli artt. 20, comma 3, 21-quinquies e 21-nonies della L. 241/1990, nonché degli artt. 7 e 8 della L. 241/1990 per mancata comunicazione di avvio del procedimento: dopo il decorso dei 30 giorni, in capo all’Amministrazione residuava solo il potere di agire in autotutela per annullare la PAS formatasi a seguito di silenzio-assenso e il provvedimento impugnato non poteva essere qualificato come tale. Inoltre, anche considerando il provvedimento impugnato alla stregua di un atto di autotutela, lo stesso sarebbe stato comunque viziato poiché emesso in assenza dei presupposti di cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies della L. 241/1990 e non preceduto da alcuna comunicazione di avvio del relativo procedimento;

3) violazione del legittimo affidamento riposto dalla società ricorrente nell’avvenuto perfezionamento della PAS. Inoltre, il comportamento contraddittorio, arbitrario ed irragionevole del Comune sarebbe stato dimostrato dal fatto che il Comune aveva dapprima fatto in modo che la PAS si consolidasse (in maniera tacita), per poi adottare, a distanza di oltre un anno, un atto volto a bloccare i lavori di realizzazione dell’impianto;

4) difetto di sufficiente motivazione e carenza di istruttoria;

5) il Comune di Latina non avrebbe tenuto conto delle risultanze documentali degli atti formanti la PAS, da cui risultava che la ricorrente era titolare di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi per realizzare il progetto, secondo quanto disposto dalla normativa sugli imprenditori agricoli e dalla normativa concernente la realizzazione di impianti fotovoltaici su aree aventi destinazione agricola;

6) carenza di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità e incongruenza delle valutazioni finali espresse dal Comune di Latina;

7) violazione del principio del tempus regit actum e di irretroattività della legge;

8) la qualificazione dell’area di progetto come “non idonea” sarebbe stata del tutto errata, fuorviante e frutto della insufficiente istruttoria del Comune di Latina, posto che il P.T.P.R. non individuava le aree inidonee (essendo tale processo ancora in corso alla data di presentazione e perfezionamento della PAS) e considerato che, in ogni caso, il “layout” di impianto non ricadeva su beni paesaggisticamente tutelati, nei soli confronti dei quali il P.T.P.R. aveva valenza prescrittiva. A differenza di quanto ritenuto dall’Amministrazione, gli impianti fotovoltaici sarebbero compatibili con la destinazione agricola delle aree, così come stabilito dalla normativa nazionale e dallo stesso Comune di Latina, il quale aveva disciplinato con proprio regolamento la realizzazione di impianti fotovoltaici in zone rurali;

9) contrasto con la normativa nazionale ed eurounitaria volta alla tutela dell’interesse pubblico alla massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili.

Con la sentenza impugnata, il T.a.r. ha accolto il ricorso.

In particolare, sui primi tre motivi di ricorso, trattati congiuntamente, il TAR ha ritenuto formato il silenzio-assenso: “non risulta che il Comune, nei trenta giorni successivi al 27 ottobre 2020 abbia dato luogo ad alcuna attività istruttoria relativa al riscontro dell’assenza di una o più condizioni di cui al comma 2 o di false dichiarazioni del progettista, con la evidente conseguenza che, alla scadenza, si era formato il “silenzio assenso” (pag. 14 della sentenza impugnata).

Inoltre, ha aggiunto che “Né può dirsi che la pratica relativa alla PAS non fosse completa nei trenta giorni successivi al 27 ottobre 2020, avendo la ricorrente inviato altra documentazione in riferimento solo ai diversi procedimenti relativi al PUA e al permesso di costruire.

In sostanza, il Comune avrebbe dovuto intervenire mediante un procedimento in autotutela e non disporre direttamente dapprima la sospensione e poi l’inibizione alla realizzazione dell’impianto.

Inoltre, l’intervenuta modifica alla normativa regionale in data 11 agosto 2021 (art. 3.1, comma 5 quater) faceva esplicito riferimento alle “autorizzazioni non ancora rilasciate alla data di entrata in vigore della presente disposizione”, mentre – come detto – alla data dell’11 agosto 2021 l’autorizzazione via PAS doveva considerarsi rilasciata per silenzio assenso.

Sul punto, inoltre, non può tacersi dell’intervento della Corte Costituzionale, la quale, con la sentenza n. 221/2022, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, tra altre disposizioni, proprio dell’art. 75, comma 1, lett. b), numero 5), della l. r. Lazio n. 14/2021 che aveva introdotto i nuovi commi 5-quater e 5-quinquies dell’art. 3.1. della l.r. n. 16/2011, e dell’art. 6 della l.r. Lazio n. 20/2021, nella parte in cui aveva sostituito il richiamato comma 5-quater.

Come noto, le pronunce di incostituzionalità della Corte operano “ex tunc”, per cui la normativa richiamata dal Comune non era comunque efficace.

Sotto i profili ora dedotti, pertanto, i primi tre motivi del ricorso introduttivo sono connotati di fondatezza e sono assorbenti rispetto ai motivi dal quarto al settimo, che lamentavano carenza di motivazione e prospettavano l’incostituzionalità della norma suddetta, poi in effetti dichiarata nelle more” (pag. 17 della sentenza impugnata).

Con atto di appello, il Comune di Latina ha impugnato la suddetta sentenza deducendo i seguenti motivi:

1) trattandosi di semplificazione amministrativa e non di liberalizzazione, il silenzio assenso non si sarebbe formato in difetto dei relativi presupposti, come la carenza documentale relativa, in particolare, alla disponibilità dell’area e al pagamento degli oneri istruttori, allegando sul punto che: a) al momento dell’invio della comunicazione la società non era titolata a proporre l’istanza ai sensi del comma 2 dell’art. 6 D.lgs 28/2011, in quanto avrebbe acquistato il diritto di superficie sul terreno interessato dal progetto di realizzazione dell’impianto soltanto il 12 novembre 2021 e nessun titolo di disponibilità sarebbe mai stato allegato prima del 10 marzo 2022; b) la più significativa ed esplicita integrazione documentale sarebbe stata apportata con la nota del 10 marzo 2022, con la quale la società ha prodotto: la perizia giurata sulla stima dei costi necessari alla demolizione e dismissione dell’impianto e delle relative opere connesse, l’atto di disponibilità del terreno, la relazione dettagliata vegetazionale, l’atto di trasformazione sociale; c) la società ha trasmesso il Piano di Utilizzazione Aziendale per attività multimprenditoriali ai sensi dell’art. 57 bis L.R. 38/99, in linea con il Regolamento impianti fotovoltaici del Comune di Latina onde svolgere la produzione di energia elettrica in regime di connessione con l’attività agricola, documentando, attraverso l’atto di trasformazione, il possesso del requisito della imprenditorialità nel settore; d) mancherebbe l’atto di assenso che avrebbe dovuto essere necessariamente allegato, vertendosi nelle materie di cui al comma 4 dell’art. 20 della legge 241/1990 (art. 6, commi 2 e 5, D.lgs. 28/2011); e) il 14 maggio sarebbe stata presentata dalla società una variante tecnologica al progetto, riservandosi di produrre i relativi elaborati progettuali;

2) il comportamento della società si configurerebbe come acquiescenza al provvedimento amministrativo, in quanto, mediante l’integrazione della procedura nel senso indicato dall’ufficio, avrebbe posto in essere una implicita rinuncia ad avvalersi dell’eventuale silenzio assenso, ove maturato, nella concomitante persistenza del mancato avvio dei lavori; la mancata impugnazione del provvedimento presupposto determinerebbe, inoltre, la preclusione della impugnazione del successivo provvedimento di conferma del 31 maggio 2022;

3) il T.a.r. avrebbe valutato la questione esclusivamente alla stregua del procedimento dettato dall’art. 6 del D.Lgs 28/2011 senza tener conto del pertinente quadro normativo di riferimento regionale e senza tener conto della specificità del concreto procedimento posto in essere che si prefigurava come una procedura sostanzialmente aggravata/integrata di autorizzazione.

Con apposita memoria, si è costituita la società resistente, la quale ha chiesto il rigetto del ricorso. 

All’odierna udienza pubblica, la causa è stata trattenuta per la decisione. 

L’appello è infondato.

Con il primo motivo di appello, il Comune ha dedotto che, trattandosi di semplificazione amministrativa e non di liberalizzazione, il silenzio assenso non si sarebbe formato in difetto dei relativi presupposti, come la carenza documentale relativa, in particolare, alla disponibilità dell’area, al pagamento degli oneri istruttori, alla mancanza dell’atto di assenso e alla successiva presentazione di una variante progettuale.

Il motivo è infondato.

A tal riguardo, occorre innanzitutto richiamare l’orientamento espresso da questo Consiglio di Stato in ordine alla materia in esame.

In particolare, questa Sezione ha già ribadito (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 gennaio 2023, n. 130; Cons. Stato, IV, 5 ottobre 2018, n. 5715) che la procedura abilitativa semplificata di cui all’articolo 6 del d. lgs. n. 28 del 2011 è ascrivibile al genus della DIA, ora SCIA, e conseguentemente va qualificato quale atto soggettivamente ed oggettivamente privato (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 29 luglio 2011, n. 15).

Al decorso del termine di legge di trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione, non si determina infatti il perfezionamento di una fattispecie legale tipica che, sul piano della produzione degli effetti, rende l’inerzia equivalente ad un vero e proprio provvedimento di accoglimento, come avviene per la fattispecie del silenzio assenso, bensì, più semplicemente, si determina l’effetto di rendere una determinata attività privata lecita, secondo il meccanismo proprio della Scia; ciò in linea con la diversa natura dei due istituti, laddove il primo risponde ad una ratio di semplificazione amministrativa, mentre il secondo di vera e propria liberalizzazione, con conseguente fuoriuscita dell’attività privata dal regime amministrato a controllo preventivo.

La ricostruzione che precede è stata confermata dalla Corte costituzionale che con sentenza n. 45 del 2019 ha ritenuto, in generale con riguardo alla Scia, che: “Il dato di fondo è che si deve dare per acquisita la scelta del legislatore nel senso della liberalizzazione dell’attività oggetto di segnalazione, cosicché la fase amministrativa che ad essa accede costituisce una – sia pur importante – parentesi puntualmente delimitata nei modi e nei tempi. Una dilatazione temporale dei poteri di verifica, per di più con modalità indeterminate, comporterebbe, invece, quel recupero dell’istituto all’area amministrativa tradizionale, che il legislatore ha inteso inequivocabilmente escludere”.

Inoltre, il comma 2 del menzionato articolo 6 del d. lgs. n. 28 del 2011, indica in modo puntuale, tra gli altri requisiti da accertare, i soggetti legittimati a presentare la dichiarazione asseverata, individuandoli nel “proprietario dell’immobile o chi abbia la disponibilità sugli immobili interessati dall’impianto e dalle opere connesse”, sicché allorquando, al successivo comma 4, la disposizione in esame prevede che il Comune notifichi all’interessato l’ordine motivato di non effettuare il previsto intervento “ove entro il termine indicato al comma 2 sia riscontrata l’assenza di una o più delle condizioni stabilite al medesimo comma” onera il Comune di accertare specificamente anche le condizioni di legittimazione alla presentazione della dichiarazione nel predetto termine decadenziale, pena il perfezionamento della fattispecie legittimante l’intervento (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 gennaio 2023, n. 130).

Nel caso di specie, peraltro, la società aveva dichiarato la disponibilità dell’area in questione, mediante autocertificazione allegata all’istanza, oltre ad aver assolto i relativi oneri istruttori come emerge dalla documentazione in atti.

Con specifico riferimento, invece, alla censura del Comune (sempre nell’ambito del primo motivo di appello relativo alla asserita carenza documentale) secondo cui mancherebbe l’atto di assenso che avrebbe dovuto essere necessariamente allegato, vertendosi nelle materie di cui al comma 4 dell’art. 20 della legge 241/1990 (art. 6, commi 2 e 5, D.lgs. 28/2011), si osserva quanto segue.

Se da un lato è vero che dal certificato di destinazione urbanistica (doc. 4B del fascicolo di primo grado della società) risulta che delle 3 particelle in questione (2, 32 e 47), la n. 2 ricade in parte in zona “H rurale”, in parte in area di “rispetto stradale” con vincolo di inedificabilità, in parte in area di “Servitù di elettrodotto” e in parte tra i beni paesaggistici (aree boscate) del Piano Territoriale Paesistico Regionale (P.T.P.R.), tuttavia, dall’altro lato, è anche vero che, dalla documentazione in atti, non si evince l’incidenza dell’intervento in questione su tale ultima area protetta, con la prospettata necessità di conseguire uno specifico atto di assenso.

Peraltro, lo stesso Comune di Latina nulla specifica al riguardo nelle proprie difese pur a fronte di una autodichiarazione del tecnico della società con la quale si afferma che per il suddetto intervento non occorrono nulla osta.

Per quanto riguarda, invece, la censura relativa alla variante tecnologica al progetto, con riserva da parte della società di produrre i relativi elaborati progettuali (che dimostrerebbe l’asserita carenza documentale: cfr. pag. 12 dell’atto di appello), si osserva come si tratti di una variante non sostanziale che indice solo sulla parte esecutiva e non su quella autorizzativa.

Si prevede, infatti, l’installazione di moduli fotovoltaici più performanti, con diminuzione del numero degli stessi rispetto al progetto originario (da 2016 moduli a 1820 moduli) restando quindi invariato l’impatto urbanistico e addirittura migliorato quello ambientale (doc. 11 del fascicolo di primo grado della società).

Tali censure, pertanto, sono infondate.

In secondo luogo, in ordine alle modalità di esercizio del potere di autotutela, giova rammentare, in via generale, che la Corte costituzionale con la richiamata sentenza n. 45 del 2019 ha chiarito che “Le verifiche cui è chiamata l’amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono (…) quelle già puntualmente disciplinate dall’art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-novies) [ora dodici mesi]. Decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo. Questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, anche l’interesse si estingue.”.

E’ dunque pacificamente configurabile una forma di autotutela, anche in presenza di un atto soggettivamente ed oggettivamente privato, sebbene la peculiare natura dell’atto valga tuttavia a connotarla in termini di autotutela atipica e soprattutto di doverosità, in deroga alla regola generale della natura discrezionale del potere, con specifico riferimento all’obbligo di provvedere (cfr. in termini Cons. Stato, IV, 11 marzo 2022, n. 1737).

Pertanto, alla luce delle suddette considerazioni, ne deriva che nel caso di specie, una volta decorso pacificamente il termine di 30 giorni dalla presentazione della dichiarazione asseverata, senza che il Comune avesse notificato l’ordine di non effettuare l’intervento, a motivo della riscontrata carenza di una o più delle condizioni stabilite dall’articolo in questione, l’attività di costruzione dell’impianto doveva intendersi definitivamente assentita.

Concludendo sul punto, quindi, il primo motivo di appello deve ritenersi infondato.

Con il secondo motivo di appello, il Comune ha censurato il comportamento della società il quale andrebbe configurato, secondo la prospettazione attorea, in termini di acquiescenza al provvedimento amministrativo, dal momento che, mediante l’integrazione della procedura nel senso indicato dall’ufficio, avrebbe posto in essere una implicita rinuncia ad avvalersi dell’eventuale silenzio assenso, ove maturato, nella concomitante persistenza del mancato avvio dei lavori.

Il motivo è inammissibile.

Si tratta infatti di un motivo nuovo, proposto per la prima volta in appello, come si evince da un piano confronto tra la memoria di primo grado e il ricorso di appello. Dato che tale censura non è mai stata sottoposta al contraddittorio con le altre parti in prime cure e all’esame del giudice del Tar, la stessa è inammissibile, stante il divieto dei nova in appello (art. 104 c.p.a.).

In ogni caso, il motivo è anche infondato, in quanto la produzione della documentazione integrativa, che secondo l’appellante dimostrerebbe una condotta acquiescente da parte della società, non può essere sintomatica di un atto di acquiescenza trattandosi di documentazione relativa ad un diverso procedimento amministrativo. Ad ogni modo, risulta che tale documentazione sia stata inviata a conferma di quanto già risultante dall’istanza.

Con il terzo motivo di appello, il Comune ha censurato la sentenza in quanto il T.a.r. avrebbe valutato la questione esclusivamente alla stregua del procedimento dettato dall’art. 6 del D.Lgs. n. 28/2011 senza tener conto del pertinente quadro normativo di riferimento regionale e senza tener conto della specificità del concreto procedimento posto in essere che si prefigurava come una procedura sostanzialmente aggravata/integrata di autorizzazione.

Il motivo è inammissibile.

Invero, con tale censura, il Comune appellante si è sostanzialmente limitato a ribadire la propria tesi, secondo cui il perfezionamento della PAS necessiterebbe dell’approvazione del PUA, già respinta dal giudice di primo grado, omettendo però di prendere in esame la motivazione di rigetto e sottoporla a relativa critica.

Secondo il costante insegnamento giurisprudenziale, infatti, è inammissibile per genericità il motivo di appello che si limita a riproporre il motivo già dedotto in primo grado e disatteso dal T.a.r. in mancanza delle specifiche ragioni che inducono a ritenere erronea la decisione del giudice di prime cure (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2023, n. 276).

Ciò in quanto “Il principio di specificità dei motivi di impugnazione, posto dall’art. 101, comma 1, c.p.a ., impone che sia rivolta una critica puntuale alle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, non essendo sufficiente la mera riproposizione dei motivi contenuti nel ricorso introduttivo; il giudizio di appello dinanzi al giudice amministrativo, infatti, si presenta come revisio prioris instantiae i cui limiti oggettivi sono segnati dai motivi di impugnazione” (così, ex multiis, Consiglio di Stato, sez. II , 19 luglio 2022 , n. 6285).

In conclusione, quindi, l’appello deve essere rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese di lite che si liquidano in € 5.000,00, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Carbone, Presidente

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Silvia Martino, Consigliere

Luca Monteferrante, Consigliere

Rosario Carrano, Consigliere, Estensore