TAR Abruzzo (AQ) Sez. I sent. 70 dell'11 febbraio 2010
Rifiuti.Ordine rimozione

L'art. 14, comma 3, del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 introduce una sanzione amministrativa di tipo reintegratorio, avente a contenuto l'obbligo di rimozione, di recupero o di smaltimento e di ripristino a carico del responsabile del fatto di discarica o immissione abusiva (a carico, cioè, di "chiunque viola i divieti di abbandono e di deposito incontrollato di rifiuti sul suolo"), in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o di colpa. Va pertanto chiarito che rimane ex se indifferente, sull’individuazione dei soggetti passivi tenuti al ripristino ambientale, la circostanza che tali soggetti abbiano nel tempo a vario titolo perso il rapporto giuridico o materiale sul territorio inquinato; in particolare per ciò che qui interessa, risulta irrilevante che il titolare di funzioni qualificate di vigilanza e di controllo sulla sicurezza degli impianti abbia medio tempore cessato dagli incarichi societari che il medesimo ricopriva durante il periodo in cui i fatti inquinanti si sono verificati.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo
(SezionePrima)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


Sul ricorso numero di registro generale 868 del 2004, proposto da:
Sgambati Gaetano, rappresentato e difeso dagli avv. Francesca Di Mattia, Luigi Manzi, con domicilio eletto presso Luca Avv. Bruno in L'Aquila, piazza della Repubblica 17;


contro


Comune di L'Aquila, rappresentato e difeso dagli avv. Domenico De Nardis, Paola Giuliani, Luciano Torelli, con domicilio eletto presso - Ufficio Legale Comune in L'Aquila, piazza Palazzo 19;

nei confronti di

Fallimento Lares Tecno S.p.A., Sicietà Cozzi S.p.A.;

per l'annullamento

DELL’ORDINE DI MESSA IN SICUREZZA DEL SITO, DI RIMOZIONE, RECUPERO O SMALTIMENTO DELLE SOSTANZE NOCIVE E RIFIUTI SPECIALI.


Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di L'Aquila;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16/12/2009 il dott. Paolo Passoni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO


La vicenda contenziosa in odierna decisione trova origine da una situazione di abbandono di rifiuti tossici e di sostanze pericolose all’interno dell’azienda “Lares Tecno sp.a.” (in liquidazione dal 2003 e poi dichiarata fallita il 4.3.04 dal Tribunale di L’Aquila), situazione denunciata dal nominato Curatore alle autorità competenti fin dal 24.3.04.

In particolare, il competente comando dei vigili del fuoco con fonogramma del 2.4.04 riferiva di aver riscontrato la fuoriuscita di sostanza corrosiva da un serbatoio di stoccaggio all’interno dello stabilimento dismesso, mentre da ulteriori verifiche effettuate dopo pochi giorni da parte dell’ARTA risultava la presenza in loco di prodotti chimici, rifiuti speciali e speciali pericolosi in contenitori in stato di abbandono e degrado. Quanto allo sversamento riscontrato dai VVFF, i tecnici dell’ARTA rilevavano l’avvenuta raccolta del liquido corrosivo, fermo restando che “da un primo esame visivo sembrava che si fosse verificata la contaminazione del terreno circostante”.

Con nota del 15 luglio il curatore del fallimento precisava gli adempimenti svolti fino a quel momento, riferendo altresì che all’ing. Sgambati (odierno ricorrente) era stato conferito l’incarico di controllo in materia di infortuni e di tutela dell’ambiente, in qualità di direttore dello Stabilimento dismesso ed in funzione delle deleghe ricevute.

In tale contesto, il Comune di L’Aquila con nota del 26 luglio 2004 comunicava (anche) all’ing. Sgambati l’avvio del procedimento ex art. 17 comma 3 del Decreto legislativo 22/97, per la bonifica dell’area.

L’ing. Sgambati replicava ex adverso all’ente civico aquilano in data 2.8.04 di non rivestire più la carica di direttore dello stabilimento, per intervenuto pensionamento dal 30.6.03; egli puntualizzava altresì che la Lares Tecno era regolarmente autorizzata al trattamento dei reflui e che per la messa in sicurezza degli impianti si avvaleva della collaborazione continuativa di tecnici specializzati.

Con ordinanza del 6.8.04 –tuttavia- il comune dell’Aquila adottava l’ordine di bonifica con articolate prescrizioni conformative nei confronti (anche) dell’ex direttore dello stabilimento, ritenendo ancora valide ed efficaci le deleghe conferite all’ing. Sgambati.

Quest’ultimo insorge con il presente gravame, nel quale si sostiene che:

la contaminazione del territorio non sarebbe stata accertata, ma solo paventata, e l’ordinanza sembrerebbe piuttosto rivolta ad addebitare a soggetti privati quel completamento di indagini, al quale avrebbe dovuto invece attendere proprio l’amministrazione intimata;

sarebbero stati imposti al ricorrente comportamenti che –per funzione o per condizione- non sarebbe più in grado di adempiere, anche per l’impossibilità di intervenire all’interno di un’area appartenente a società fallita;

in particolare, le deleghe a suo tempo conferite attenevano nella sostanza alla “organizzazione e supervisione della sorveglianza degli impianti produttivi” nell’ottica di un rilancio dell’impresa, così che l’intervenuto fallimento non solo avrebbe determinato in modo irreversibile l’impossibilità di qualsiasi rilancio, ma avrebbe altresì operato uno spossessamento dei beni del fallito, vietando la prosecuzione dell’attività delegata;

in relazione a detto ultimo profilo, l’amministrazione comunale avrebbe così erroneamente ritenuto l’ing. Sgambati il soggetto responsabile dello squilibrio ambientale, pur non trovandosi egli nel possesso qualificato degli impianti;

il comune avrebbe a suo tempo sottovalutato l’importanza della notoria situazione di crisi fin dal 2002 della società Lares, la cui presenza nella realtà socio economica locale sarebbe stata di primo piano; infatti l’interruzione del ciclo produttivo e l’ovvia mancanza di capacità di spesa per la manutenzione degli impianti ormai dismessi avrebbero dovuto indurre l’autorità civica a recepire tempestivamente tali segnali di allarme, al fine di prevenire quegli effetti inquinanti che (quand’anche risultassero comprovati) il comune medesimo avrebbe invece ingiustamente addebitato all’odierno ricorrente.

Si è costituito in giudizio il comune di L’Aquila che ha contrastato le avverse pretese, mentre alla pubblica udienza del 16.12.09 la causa è stata trattenuta a sentenza.


DIRITTO


Come meglio esposto in narrativa, l’ing. Sgambati rivestiva la qualifica di direttore dello stabilimento della Lares Tecno Spa, poi dismesso a causa del fallimento della società dichiarato il 4.3.2004 (con gravi problematiche di inquinamento, derivanti dall’incuria manutentiva degli impianti in disuso). In virtù di apposite deleghe, egli era stato incaricato dello svolgimento in loco di tutte le funzioni di vigilanza e di controllo nonché di tutela dell’ambiente, ed in tale qualità è risultato (fra gli altri) destinatario di ordinanza di ripristino ambientale del 6.8.04, adottata dal Comune di L’Aquila ai sensi dell’art. 14 comma 3 decreto legislativo 22/97.

Tale provvedimento è stato impugnato dall’ing. Sgambati, che ha sostenuto da una parte la sua estraneità alla vicenda inquinante (anche per intervenuto pensionamento dal 30 giugno 2003, data in cui dovevano intendersi decadute le deleghe di cui sopra), e dall’altra l’assenza di accertamenti definitivi sull’effettiva esistenza del danno ambientale addebitatogli.

Il ricorso è infondato.

L'art. 14, comma 3, del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 introduce una sanzione amministrativa di tipo reintegratorio, avente a contenuto l'obbligo di rimozione, di recupero o di smaltimento e di ripristino a carico del responsabile del fatto di discarica o immissione abusiva (a carico, cioè, di "chiunque viola i divieti di abbandono e di deposito incontrollato di rifiuti sul suolo"), in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o di colpa.

Va pertanto in primo luogo chiarito che rimane ex se indifferente, sull’individuazione dei soggetti passivi tenuti al ripristino ambientale, la circostanza che tali soggetti abbiano nel tempo a vario titolo perso il rapporto giuridico o materiale sul territorio inquinato; in particolare per ciò che qui interessa, risulta irrilevante che il titolare di funzioni qualificate di vigilanza e di controllo sulla sicurezza degli impianti abbia medio tempore cessato dagli incarichi societari che il medesimo ricopriva durante il periodo in cui i fatti inquinanti si sono verificati.

Nel caso di specie, l’ARTA nei propri rapporti (come ben precisato nella parte motivazionale del provvedimento) ha riferito che l’evidente stato di degrado di tutto il sito ex Lares Tecno rimane dovuto ad un intollerabile deficit manutentivo, che si è perpetrato per anni.

Lo stesso ricorrente ha riconosciuto che fin dal 2002, anno in cui è iniziata la crisi irreversibile della società ed in cui egli rivestiva pacificamente l’incarico di direttore dello stabilimento, la situazione degli impianti, dei serbatoi e delle tubazioni (al cui interno veicolavano prodotti chimici) si è progressivamente aggravata sotto il profilo della sicurezza, sia per l’avvenuta riduzione dell’attività produttiva (poi cessata nel marzo 2004), sia per la mancanza di capacità di spesa nella manutenzione, tanto da imputare al Comune di non aver avvertito il serio pericolo ambientale determinatosi con il progressivo stato di decozione della società (circostanza che a tutto voler concedere si atteggia comunque in modo neutro sull’obbligo del comune stesso di provvedere –pur tardivamente- nei confronti dei responsabili, ivi compresi i soggetti muniti di importanti incarichi sulla sicurezza al tempo in cui tale declino gestionale è iniziato).

Anche l’imperiosa urgenza con cui la curatela –non appena insediatasi- ha avvertito le autorità circa il degrado dello stabilimento (rifiuti pericolosi stoccati in serbatoi e fusti privi di etichettatura, con tanto di protezioni “danneggiate e corrose da micro perdite”) rende un’idea eloquente del fatto che l’incuria manutentiva –in una situazione che dal 2002 restava caratterizzata da un alto livello di allarme- risale a periodi ben anteriori alla data del 30 giugno 2003, giorno in cui l’ing. Sgarbati è andato in pensione.

Si palesano pertanto non convincenti le affermazioni del ricorrente sul presunto ordine amministrativo in cui la società in liquidazione versava al momento del suo pensionamento, poiché la regolare autorizzazione al trattamento dei reflui e la presenza di tecnici per ogni emergenza non escludono affatto l’ipotesi di una funzione di una sorveglianza apicale svolta al di sotto degli standard richiesti, visto il risalente degrado ambientale della zona attestato dall’ARTA, dai VVFF ed anche dalla Provincia, degrado peraltro aggravato –e non escluso- dalla disponibilità di personale specializzato a disposizione dell’ing. Sgambati.

Né appare plausibile che le deleghe conferite a quest’ultimo riguardassero una tipologia di sorveglianza degli impianti produttivi da intendersi confinata alla sola finalità di un rilancio dell’impresa, almeno in assenza di espliciti richiami a tale singolare limitazione.

Può pertanto prescindersi dalla questione relativa alla “resistenza” o meno delle deleghe a seguito del pensionamento del ricorrente, atteso che assumono a tal fine sufficiente rilevanza i periodi di servizio pacificamente svolti dal ricorrente medesimo, prima del suo collocamento a riposo.

Peraltro, seppure la giurisprudenza ha chiarito che il soggetto passivo di ordinanze di tal fatta debba aver concorso con dolo o colpa al verificarsi dell’inquinamento, va puntualizzato che tale responsabilità (sufficiente per incardinare l’obbligo di attivarsi per la bonifica dei luoghi) non deve essere necessariamente comprovata secondo i canoni processuali ex artt. 2043 c.c. e 41-42 c.p., dovendosi invece richiedere che il destinatario dell’ordine risulti comunque inserito e coinvolto nel contesto giuridico e fattuale dell’evento inquinante, senza univoche esimenti dovute all’assoluta estraneità ai fatti, ovvero alla comprovata diligenza nell’aver apprestato ogni tentativo esigibile per scongiurare l’evento stesso.

La stessa sentenza del giudice penale allegata agli atti di causa (n. 417 in data 25 giugno 2005 del Tribunale di L’Aquila), con cui l’ing. Sgambati è stato assolto dal reato ex art. 51 decreto legislativo 22/97, ha dato atto di un quadro probatorio carente ed insufficiente per incardinare la responsabilità penale dell’odierno ricorrente in relazione all’evento dello sversamento di “cloruro rameico” dalle vasche di contenimento (non potendosi risalire con certezza al dies a quo della negligenza manutentiva, dalla quale è poi scaturito l’evento), fermo restando che dall’istruttoria dibattimentale è comunque emersa la mancanza della messa in sicurezza degli impianti, pur se estranea all’imputazione oggetto del giudizio.

Torna pertanto a ribadirsi che il quadro delle responsabilità rilevanti per la legittimazione passiva nell’ordinanza di bonifica risulta diversificata rispetto alle rigorose garanzie di difesa dell’imputato nel processo penale, così che un’assoluzione in tale sede non esclude l’obbligo del medesimo soggetto di attivarsi comunque per la rimozione degli effetti inquinanti.

Anche la doglianza circa il difetto di istruttoria in cui sarebbe incorsa l’autorità civica non può trovare condivisione, poiché nel provvedimento impugnato si è data ampia contezza circa gli esiti consultivi delle varie autorità tecniche interpellate, esiti univoci che hanno evidenziato non solo lo stato di pericolo connesso al precario livello di sicurezza degli impianti, ma anche la concreta aggressione inquinante avvenuta con il noto sversamento della sostanza chimica fuoriuscita dalle vasche, sversamento che -pur prontamente raccolto dai VVFF- non può affatto condurre ad escludere l’avvenuta contaminazione dell’ambiente, come autorevolmente precisato nei vari pareri acquisiti nell’istruttoria. Né il Comune –prima di provvedere in merito- avrebbe dovuto attendere ad oltranza dettagliati responsi sul grado di contaminazione rimasta sul luogo, poiché la certezza del fatto inquinante rappresenta ex se circostanza sufficiente ad attivare le doverose misure ricognitive e correttive analiticamente indicate nel provvedimento impugnato.

In conclusione il ricorso non può trovare accoglimento.

Sussistono ragioni per compensare integralmente le spese di lite.


P.Q.M.


Respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in L'Aquila nella camera di consiglio del giorno 16/12/2009 con l'intervento dei Magistrati:

Michele Perrelli, Presidente
Paolo Passoni, Consigliere, Estensore
Alberto Tramaglini, Consigliere

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/02/2010