Commissione ecomafia: 4 shopper di plastica su 10 sono illegali

di Gianfranco AMENDOLA

pubblicato su osservatorioagromafie.it. Si ringaziono Autore ed Editore

Ma come si può continuare a cianciare di transizione e di riconversione ecologica se poi si fa di tutto per favorire la diffusione delle plastiche monouso, e cioè di quegli oggetti destinati all’«usa e getta» che diventano rifiuti «eterni» e, in buona parte, finiscono nei nostri mari, ove stanno rapidamente diventando più numerosi dei pesci?

Già ci siamo occupati, su queste colonne 1 del vergognoso decreto legislativo n. 196 del novembre 2021, il quale doveva recepire una direttiva UE del 2019 sulla premessa che «dall’80 all’85 per cento dei rifiuti marini rinvenuti sulle spiagge sono plastica: di questi, gli oggetti di plastica monouso rappresentano il 50 per cento e gli oggetti collegati alla pesca il 27 per cento del totale. I prodotti di plastica monouso comprendono un’ampia gamma di prodotti di consumo frequente e rapido che sono gettati una volta usati, raramente sono riciclati e tendono pertanto a diventare rifiuti. Una percentuale significativa degli attrezzi da pesca immessi sul mercato non è raccolta per essere trattata. I prodotti di plastica monouso e gli attrezzi da pesca contenenti plastica sono pertanto un problema particolarmente serio nel contesto dei rifiuti marini, mettono pesantemente a rischio gli ecosistemi marini, la biodiversità e la salute umana, oltre a danneggiare attività quali il turismo, la pesca e i trasporti marittimi». Rinviando, quindi, per approfondimenti e richiami, a quanto già abbiamo scritto, sembra sufficiente, in questa sede, ricordare che la legge italiana di recepimento, in vigore dal gennaio 2022 e tutt’ora in fase iniziale, non solo ritardava il termine entro cui la direttiva doveva essere resa operativa ma aggiungeva che, comunque, il divieto vale solo «dopo l’esaurimento delle scorte»; e, soprattutto, sancisce che, in presenza di alcune condizioni, il divieto non vale per i « prodotti realizzati in materiale biodegradabile e compostabile (...) con percentuali di materia prima rinnovabile », con l’evidente fine di «salvare» la produzione italiana di bioplastiche e di involucri di carta ricoperti di plastica 2; deroga di cui non v’è traccia nella norma comunitaria che si limita al divieto di immissione sul mercato dei prodotti di plastica monouso elencati nella parte B dell’allegato e dei prodotti di plastica oxo-degradabile 3 . Tanto è vero che la Commissione UE, nelle sue linee guida (giugno 2021) evidenzia, che il divieto riguarda anche « la plastica a base organica e biodegradabile, a prescindere dal fatto che siano derivati da biomassa o destinati a biodegradarsi nel tempo », aggiungendo, negli Orientamenti per l’applicazione delle norme sulla plastica monouso (Bruxelles 31 maggio 2021), che « attualmente non esistono norme tecniche ampiamente condivise per certificare che un determinato prodotto di plastica sia adeguatamente biodegradabile nell’ambiente marino in un breve lasso di tempo e senza causare danni all’ambiente » e che « l’inclusione di prodotti monouso a base di carta con rivestimenti o strati di plastica è in linea con gli obiettivi principali della direttiva, ovvero ridurre i rifiuti di plastica e promuovere un’economia più circolare, in cui la prevenzione dei rifiuti è fondamentale ».

E, come se non bastasse, l’art. 4, comma 7 del d.lgs. n. 196/2021, « al fine di promuovere l’acquisto e l’utilizzo di materiali e prodotti alternativi a quelli in plastica monouso », riconosce addirittura un contributo pubblico a tutte le imprese che acquistano e utilizzano prodotti « che sono riutilizzabili o realizzati in materiale biodegradabile o e compostabile, certificato secondo la normativa UNI EN 13432:2002 », anche se si tratta di prodotti vietati in sede comunitaria ma ammessi dalla deroga italiana.

Pertanto, come era prevedibile, la UE ha iniziato una procedura di infrazione contro l’Italia notificandole un parere motivato del tutto condivisibile, che sicuramente porterà ad una ennesima condanna del nostro Paese per violazione della normativa comunitaria a tutela dell’ambiente.

A tutto questo si aggiunga, infine, che la Corte dei conti UE 4 ha recentemente evidenziato la inattendibilità dei dati relativi al riciclaggio ed al riutilizzo dei rifiuti di plastica a causa della carenza di controlli sul territorio, di stime imprecise degli imballaggi di plastica immessi sul mercato e dell’ampia diversità dei metodi di calcolo e delle procedure di verifica, soprattutto per quanto concerne il punto di misurazione, per cui viene calcolata come riciclata anche la plastica (circa il 40 per cento) che non viene realmente mandata a riciclo per inadeguatezza della raccolta differenziata; così come viene calcolata come riciclata la plastica inviata all’estero che finisce, invece, molto spesso in immonde discariche. Ed anche l’Interpol, in un recente rapporto 5, evidenzia che «i criminali dei rifiuti hanno dimostrato di adattare il loro modus operandi ai rapidi cambiamenti normativi e le tendenze criminali hanno mostrato rapide evoluzioni negli ultimi due anni. Inoltre, quando i cambiamenti non sono ben regolamentati, possono offrire opportunità per la crescita di nuove attività criminali. È quindi cruciale che la comunità globale delle forze dell’ordine continui a monitorare le tendenze criminali nel settore dei rifiuti di plastica, per adattare i metodi di applicazione ai rapidi cambiamenti nelle tendenze criminali (...) »6.

L’ultimo tassello sulla illegalità nella plastica è stato aggiunto da una articolata indagine, focalizzata sul mercato delle buste non compostabili 7, effettuata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti (c.d. «Commissione ecomafia»), la cui relazione finale 8 , con riferimento alla legge n. 123/2017 9 – la quale impone, tra le altre cose, di utilizzare, a partire del 1° gennaio 2018, sacchetti biodegradabili e compostabili –, pone in evidenza che attualmente ogni 10 sacchetti in circolazione ben 4 sono ancora in plastica tradizionale, ossia non a norma, e che « la produzione delle plastiche non a norma spesso avviene negli stessi siti produttivi dove vengono prodotte le plastiche biodegradabili e compostabili e ciò al fine di occupare una porzione di mercato “diversa”, generando così un surplus di profitti». Proprio per questo – prosegue la Commissione – l’attività di sanzionamento del commerciante poco influisce sulla riduzione della dimensione del fenomeno, in quanto colpisce il commercio della busta «illecita», ma non interrompe la filiera di approvvigionamento delle stesse dal produttore al commerciante al dettaglio. Peraltro, l’indagine ha spesso evidenziato, sotto il profilo della competenza per i controlli, che il commercio al dettaglio illecito è di prassi localizzato in un territorio comunale mentre il distributore all’ingrosso è sito in altro Comune se non in altra Provincia/Regione così come i siti produttivi spesso localizzati a distanza dal luogo della commercializzazione. Ma, più in particolare, « le forze dell’ordine appuravano che tutti i commercianti acquistano gli shopper da persone che, sistematicamente, si presentano in modo anonimo presso il loro negozio con mezzi propri, divisi per quartiere, senza rilasciare ricevute di pagamento, fatture o quant’altro documento fiscalmente valido anche ai fini della tracciabilità degli shopper. Tutte circostanze, queste, che lasciano supporre l’esistenza di un sistema di persone legate da un vincolo associativo il quale sfocia in un’organizzazione criminale dedita al traffico illecito per trarne profitto ».

Ma non emergeva solo questa criticità. La Commissione, infatti, a seguito delle numerose audizioni effettuate con le diverse forze dell’ordine, sottolinea anche:

a ) la mancanza di specifica formazione tecnico-operativa per l’applicazione dei requisiti previsti dalla normativa di settore auspicando, per la identificazione analitica del tipo di plastica utilizzato (plastiche tradizionali o bioplastiche compostabili), un incremento della disponibilità di laboratori pubblici;

b ) le difficoltà investigative derivanti dalla ricostruzione della filiera che dalla commercializzazione risalga alla distribuzione fino alla produzione, nazionale o estera;

c ) la applicazioni di sanzioni solo amministrative in quanto raramente risulta contestato, in relazione alla cessione al consumatore di buste non conformi alle norme, il reato di frode nell’esercizio del commercio, astrattamente ravvisabile nella condotta di colui che, nell’esercizio di una attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente buste con indicazione di conformità false.

Trattasi, come è evidente, di considerazioni rilevanti, certamente valide per le illegalità connesse alla produzione ed al commercio non solo di buste di plastica, ma anche di tutte le plastiche monouso.

In conclusione, quindi, appare del tutto evidente che in Italia molto c’è ancora da fare per eliminare una delle peggiori minacce incombenti sul nostro ambiente già fortemente degradato.

Da un lato, infatti, la normativa europea è stata fortemente «annacquata» per favorire interessi industriali nazionali e dall’altro appare certamente carente il settore dei controlli sia per difficoltà di accertamento sia per la rilevante specializzazione che la materia impone. Tanto è vero che, nonostante la benevolenza della legge e la carenza di controllo, la Commissione parlamentare ha evidenziato la presenza di un altissimo tasso di illegalità certamente non scoraggiato dalla minaccia di minime sanzioni amministrative.

Insomma, è l’ennesima conferma che il settore delle plastiche è altamente a rischio e costituisce un terreno particolarmente appetibile dalla criminalità organizzata a tutti i livelli in quanto presenta pochi rischi ed assicura ingenti profitti.

1 Amendola,La normativa all’italiana contro le plastiche monouso, in www.osservatorioagromafie.it.

2 L’Italia si colloca al decimo posto della classifica mondiale di rifiuti in plastica pro-capite (23 chili) in cui svettano gli Stati Uniti (53 chili a testa). In valori assoluti il maggior produttore di rifiuti in plastica al mondo è la Cina (25 milioni di tonnellate) seguita dagli Usa (18 milioni) e dall’India (oltre 5 milioni di tonnellate).

3 «Materie plastiche contenenti additivi che attraverso l’ossidazione comportano la frammentazione della materia plastica in microframmenti o la decomposizione chimica» [art. 3, lett. c)].

4 Corte dei conti europea: L’azione della UE per affrontare il problema dei rifiuti di plastica , analisi n. 04 del 2020;

5 Interpol: Strategic Analysis Report: «Emerging criminal trends in the global plastic waste market since January 2018 » , agosto 2020.

6 Per approfondimenti, citazioni e richiami, si rinvia a Amendola, Interpol e Unione europea sui rifiuti di plastica: poco attendibili i dati ufficiali sul riciclaggio, aumenteranno i traffici illeciti. Il caso Italia e il nodo dei controlli , in Dir. giur. agr. al. amb., 2020, 6.

7 I dati ISPRA indicano che il quantitativo totale di borse in plastica immesse sul mercato nel 2020, risulta essere pari a quasi 88 mila tonnellate, in lieve aumento rispetto al 2019 dell’1,6 per cento, pari a circa 1.400 tonnellate. Le tipologie di borse di plastica più diffuse sono costituite dalle borse biodegradabili e compostabili, 78,3 per cento del totale, pari a circa 68 mila tonnellate.

8 Doc. XXIII, n. 29, relazione finale approvata nella seduta del 7 settembre 2022.

9 Contenente la nuova disciplina sui «sacchetti in plastica» e i «sacchetti in bioplastica».