TAR Sicilia (CT) Sez. I sent. 206 del 29 gennaio 2008
Rifiuti. Bonifiche, provvedimenti sanzionatori

Vi è un obbligo gravante sull’Amministrazione di non adottare provvedimenti sanzionatori nei confronti del privato se non previo esame espresso e nelle forme di rito, aperte alla sua partecipazione, delle eventuali istanze che lo stesso abbia eventualmente proposto per la regolarizzazione di quella medesima situazione: è questo un principio immanente all’attività della Pubblica Amministrazione, riscontrabile in vari e differenti campi, che non può non considerarsi come espressione di un principio di logica e di ordinato svolgimento dell’attività dei pubblici poteri direttamente ricavabile dall’art. 97 della Costituzione e dalle norme sul procedimento amministrativo in tema di motivazione dell’atto

REPUBBLICA ITALIANA N. 0206/08 Reg. Sent.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N. 1063/07 Reg. Gen.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia - Sezione staccata di Catania - Sezione Prima, composto dai Signori Magistrati:
Dott. Vincenzo Zingales, Presidente
Dott.ssa Rosalia Messina, Giudice
Dott. Salvatore Gatto Costantino Giudice rel.est.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 1063/2007 R.G., proposto dal Fallimento della CO.GE.MA. S.p.a., rappresentato e difeso dall’Avv. Antonino Galasso, con domicilio presso la Segreteria del TAR;
CONTRO
- il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del mare, la Direzione Generale per la Qualità della vita del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare il Ministero della Salute, il Ministero dello Sviluppo economico, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Presidente della Regione Siciliana, il commissario delegato per l’emergenza rifiuti e per la tutela delle acque nella Regione Sicilia, l’Assessorato alla Presidenza della Regione Siciliana, l’Assessorato Territorio ed Ambiente della Regione Siciliana, ognuno in persona del proprio rappresentante legale pro tempore e tutti rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, presso i cui uffici in Catania, via Vecchia Ognina n. 149 sono domiciliati;
E NEI CONFRONTI
Del Comune di Priolo Gargallo e della Provincia di Siracusa, in persona dei rispettivi rappresentanti legali p.t., non costituiti;
PER L’ANNULLAMENTO
1) del decreto della Dir.Gen. per la Qualità della Vita del Min.dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare n. 3387/QDV/DI/B del 1.3.2007, pervenuto il 15.3.2007, con il quale è stato approvato il verbale della Conferenza dei Servizi decisoria del 16.2.2007;
2) il suddetto verbale della Conferenza dei servizi decisoria del 16.2.2007, convocata presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, nella parte relativa alle prescrizioni stabilite per il Fallimento della COGEMA Spa;
3) degli atti presupposti e conseguenziali;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’ atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate, a mezzo dell’Avvocatura di Stato;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore all’udienza pubblica dell’ 11 ottobre 2007 il Referendario dr. Salvatore Gatto Costantino;
Uditi altresì gli avvocati delle parti, come da relativo verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
IN FATTO
Il Fallimento della società ricorrente, dichiarato con la Sentenza nr. 12 del 10 maggio 2006 dal Tribunale di Siracusa, espone che (con provvedimento pervenuto al Fallimento per il tramite della Prefettura di Siracusa in data 31.5.2006) la Direzione generale Qualità della Vita del Ministero dell’Ambiente disponeva interventi di “Messa In Sicurezza d’Emergenza” (M.I.S.E.) riguardo allo stabilimento industriale della CO.GE.MA, ubicato in c.da Marina di Melilli, nel quale si erano verificate perdite di acido solforico dai serbatoi di stoccaggio.
Tra gli interventi ordinati, figuravano la rimozione dei rifiuti, l’esecuzione di indagini di caratterizzazione, invio di un piano di caratterizzazione dell’area ed infine la comunicazione di chiarimenti sull’accaduto.
Il Fallimento rispondeva, con nota del 1 giugno 2006, che durante le procedure di concordato preventivo era stata disposta dal Giudice delegato una Consulenza Tecnica sulla problematica in oggetto, la cui relazione (datata 20.04.2006) escludeva pericoli immediati di ulteriori sversamenti; in ogni caso, nella medesima nota, si comunicava che il CTU era stato richiamato, ad istanza del curatore fallimentare, dal giudice delegato affinchè indicasse le modalità necessarie a dare ottemperanza alle prescrizioni del Ministero dell’Ambiente.
Seguiva un sopralluogo (in data 23.6.2006), in esito al quale, con ulteriore provvedimento del 13.7.2006 comunicato a mezzo fax in pari data, l’Autorità procedente dettava nuove prescrizioni, tra le quali si prevedeva la rimozione dell’acido dai serbatoi, l’esecuzione delle indagini di caratterizzazione, la predisposizione e l’invio del piano di caratterizzazione, la fornitura di idonea cartografia, l’adozione di sistemi di delimitazione delle aree al mare e la caratterizzazione dell’area marina.
La Curatela fallimentare comunicava in data 20.7.2006 che il giudice delegato aveva integrato l’incarico già conferito al CTU con riferimento alle nuove prescrizioni, facendo presente, tuttavia, che il Fallimento non disponeva dei mezzi sufficienti a provvedere agli incombenti ordinati dal Ministero, quindi rappresentando che probabilmente quest’ultimo avrebbe dovuto fare ricorso ai poteri sostitutivi.
Veniva quindi prodotta la relazione tecnica del CTU, il quale stimava assommare il costo degli interventi richiesti dal Ministero a circa 745.000 euro, individuando le operazioni da compiere ed allegando le planimetrie del sito richieste.
In esito a tale relazione, con provvedimento del giudice delegato del 10.10.2006, comunicato al Ministero a cura della Curatela in data 16.10.2006, il Fallimento dichiarava di non avere i mezzi per ottemperare alle prescrizioni della PA e chiedeva formalmente al Ministero l’attivazione dei poteri sostitutivi,a mente dell’art. 304 del dlgs 3.4.2006, nr. 152.
A detta richiesta faceva riscontro l’Ufficio Legislativo del Ministero dell’Ambiente, con nota del 9.11.2006, prot. n. 7196, che, nell’esprimersi favorevolmente rispetto alla proposta del Fallimento, invitava la Direzione Generale della Qualità della Vita dello stesso Ministero a disporre, ove ne ricorressero i presupposti, le misure di cui all’art. 304 comma 4 del dlgs 152/06; la nota veniva indirizzata anche alla Curatela fallimentare, affinchè quest’ultima provvedesse ad informare tempestivamente il Ministero degli sviluppi del fallimento, al fine di consentire l’esercizio dell’eventuale diritto di rivalsa di cui all’art. 304 comma 4 Dlgs 152/06.
Mentre la Curatela restava dunque in attesa di risposta da parte della Direzione generale Qualità della Vita, da parte di questa stessa autorità perveniva invece il decreto nr. 3387/Qdv/DI/B dell’1.3.2007, di approvazione del verbale della conferenza dei servizi del 16.2.2007 ove, in relazione al sito della società Co.GE.MA. oltre alla reiterazione degli ordini di intervento già precedentemente impartiti, e nel presupposto dell’inadempimento della società CO.GE.MA. all’ordine contenuto nelle note ministeriali del 25.5.2006 e dell’11.07.2006, si prevedeva l’attivazione del trasferimento coattivo della proprietà del sito industriale del Fallimento COGEMA spa ai sensi dei commi 343, 344 e 345 dell’art. 1 della l. 23.12.2005, n. 266.
Avverso il suddetto provvedimento, la ricorrente ha proposto quindi l’odierno gravame, notificato il 5 ed il 7 maggio 2007 e depositato il 17 maggio successivo, affidandolo alle seguenti censure:
I- Eccesso di potere per errore sul presupposto, per difetto di istruttoria e per contraddittorietà con precedenti atti della stessa Amministrazione – Difetto di motivazione – Violazione degli artt. 242, 250, 252, 253 e 304 e ss del dlgs 3.4.2006 nr. 152 – Violazione dell’art. 17 del Dlgs 5.2.1997 n. 22, degli artt. 8, 14 e 15 del DM 25.10.1999 n. 471 e dell’art. 4 dell’O.M. 25.5.2001 n. 133 – illogicità ed ingiustizia manifeste;
II- eccesso di potere per difetto del presupposto, di istruttoria e di motivazione – Falsa applicazione dei commi 434, 435 e 436 dell’art. 1 l. 23.12.2005 nr. 266 – Illogicità ed ingiustizia manifeste – Incostituzionalità;
III- violazione e falsa applicazione dell’art. 8 e ss. dalla l.r. 30 aprile 1991 n. 10 ;
IV- eccesso di potere sotto il profilo della carenza istruttoria in relazione al disposto di cui all’art. 146 del d.lgs. n.42/2004 violazione e falsa applicazione dell’art. 146 d.lgs n. 42/2004.
Con memoria depositata il 28 settembre 2007, si è costituita, a difesa delle Amministrazioni intimate, l’Avvocatura di Stato, che resiste al ricorso chiedendone il rigetto, previa pronuncia di estraneità delle Amministrazioni concludenti.
Le parti hanno scambiato memorie e documenti.
Alla Udienza Pubblica dell’11 ottobre 2007, la causa è stata trattenuta in decisione.
IN DIRITTO
Va preliminarmente respinta la richiesta di estromissione delle Amministrazioni rappresentate dall’Avvocatura di Stato, contenuta nella memoria di costituzione depositata il 28 settembre 2007.
Tutte le Amministrazioni intimate sono infatti parti della Conferenza dei servizi le cui determinazioni sono oggetto di gravame, o hanno comunque titolo, ex lege 152/06, alla difesa dei provvedimenti impugnati per essere titolari di specifiche potestà nel campo del recupero ambientale e della difesa del territorio e del mare dall’inquinamento.
*****
Con il presente ricorso, la Curatela del Fallimento della Società CO.GE.MA. si duole delle determinazioni della Conferenza dei servizi del 16 febbraio 2007, rese esecutive dal decreto del Direttore della Qualità della Vita del Ministero dell’Ambiente del 1.3.2007, con cui si dettano prescrizioni di bonifica del sito industriale di proprietà della società fallita e quindi nella disponibilità del Fallimento, e, nel presupposto dell’avvenuto inadempimento da parte di quest’ultimo organo delle precedenti prescrizioni intese a fronteggiare un fenomeno di inquinamento prodottosi nel sito industriale medesimo, ne dispone il trasferimento di proprietà in favore dello Stato.
La ricorrente afferma che i suddetti provvedimenti sono illegittimi, in quanto fondati sull’unico presupposto della pretesa inerzia del Fallimento e l’insufficienza delle risposte che lo stesso diede al Ministero con le note (richiamate in parte narrativa) dell’ 1.6.2006 e del 20.7.2006 e con la perizia del CT del Giudice delegato del 20.4.2006 ed omettono quindi di considerare del tutto le comunicazioni successivamente intercorse, pure richiamate in parte narrativa, ed in particolare la seconda relazione del perito datata 29.09.2006, con cui si era anche data una (parziale) esecuzione delle prescrizioni imposte (I motivo di censura); inoltre, l’Amministrazione avrebbe attivato le procedure previste dai commi 434, 435 e 436 dell’art. 1 della l. 23.12.2005, n. 266, senza che ne ricorressero i presupposti, posto che la legge sanziona con l’acquisizione della proprietà del sito solo la mancanza di esecuzione delle prescrizioni imposte (che la ricorrente deduce avere avuto un inizio di esecuzione) che, a sua volta, può venire in considerazione solo laddove “rimproverabile”, ossia imputabile a colpevole inerzia del proprietario (II motivo); infine, lamenta l’avvenuta violazione delle regole poste dalla legge a tutela della partecipazione al procedimento della parte interessata, in particolare con riguardo all’adozione del provvedimento finale (III motivo).
La difesa dell’Avvocatura, nell’opporsi all’accoglimento della domanda della parte ricorrente, eccepisce che dal momento del fallimento entrano nella massa fallimentare anche i rifiuti, che come tali obbligano la gestione del Fallimento medesimo alla loro rimozione, non essendo possibile far gravare sulla collettività i risultati dell’inquinamento medesimo prodotti dalla ditta ancora in bonis.
I) Il Collegio prende in esame preliminarmente il primo e l’ultimo motivo di gravame, che sono strettamente connessi e li accoglie.
La Conferenza dei servizi ha infatti approvato le determinazioni oggetto di gravame, senza rispettare le regole in tema di partecipazione al procedimento, in particolare sotto l’aspetto del preavviso di rigetto ex art. 10 bis l. 241/90, che non è stato emanato e che da solo costituisce un vizio determinante l’annullamento degli atti impugnati; ma si riscontra anche una palese infrazione delle regole volte a presidiare lo svolgimento della istruttoria e la motivazione dell’atto.
Già dalla semplice esposizione dei fatti, così come emergenti dagli atti di causa, è evidente che, a fronte di una precisa serie di richieste da parte del Fallimento, il quale ha comunicato di non possedere i mezzi per attivare le procedure di carattere ripristinatorio necessarie a fare fronte all’inconveniente ambientale per il quale si è proceduto, l’Amministrazione ha agito come se ci si trovasse di fronte ad un soggetto negligente o comunque inadempiente.
Da un punto di vista istruttorio, l’Autorità procedente ha omesso (ciò emerge già nelle premesse dell’atto, ove dovrebbero essere richiamati i presupposti in fatto ed in diritto della decisione amministrativa), di annoverare e considerare la relazione tecnica del CT del giudice del 29.09.2006, nonché il provvedimento del 10.10.2006 del Giudice delegato, nonché la successiva nota del 15.10.2006, con cui il Fallimento chiede l’attivazione dei poteri sostitutivi ed, infine, la nota dell’Ufficio legislativo del Ministero dell’Ambiente che invitava la Direzione generale per la Qualità della Vita ad esercitare i poteri sostitutivi richiesti, esprimendo quindi, a nome dell’Autorità Pubblica, un parere contenente l’apprezzamento favorevole delle ragioni della parte odierna ricorrente.
Ne consegue che l’azione della P.A., nel caso di specie, è illegittima in quanto, a fronte di una precisa richiesta dell’interessato e di una proposta da parte di quest’ultimo inerente la bonifica del sito, oggetto della prescrizione dell’Autorità, quest’ultima ha direttamente attivato una procedura (gravemente) sanzionatoria senza preavvisare il proponente del rigetto (implicito) della sua proposta, quindi in violazione dell’art. 10 bis della l. 241/90; senza prendere in considerazione ai fini dell’istruttoria e quindi della motivazione dell’atto, i contenuti variamente proposti dall’interessato nel procedimento; senza fornire alcuna motivazione circa la difformità tra l’atto finale (lesivo) e la proposta istruttoria proveniente da altro ufficio dell’Amministrazione e che era invece favorevole all’accoglimento della proposta del privato stesso.
Ne consegue anche l’illegittimità dell’atto impugnato per violazione dell’obbligo gravante sull’Amministrazione di non adottare provvedimenti sanzionatori nei confronti del privato se non previo esame espresso e nelle forme di rito, aperte alla sua partecipazione, delle eventuali istanze che lo stesso abbia eventualmente proposto per la regolarizzazione di quella medesima situazione: come condivisibilmente dedotto dalla difesa della parte ricorrente, è questo un principio immanente all’attività della Pubblica Amministrazione, riscontrabile in vari e differenti campi, che non può non considerarsi come espressione di un principio di logica e di ordinato svolgimento dell’attività dei pubblici poteri direttamente ricavabile dall’art. 97 della Costituzione e dalle norme sul procedimento amministrativo in tema di motivazione dell’atto (cfr. CGA 19.2.1988, n. 66; TAR Catania, III, 30.7.2002, n. 1366 e II, 28.2.1994, n. 245).
II) Resta adesso al Collegio l’esame delle censure introdotte al secondo punto del ricorso.
Va precisato che l’esame del secondo gruppo di censure va condotto essenzialmente al fine di concorrere ad orientare la futura azione della P.A., nella riedizione del potere che necessariamente consegue dall’accoglimento del gravame per le ragioni di doglianza introdotte ai punti 1 e 3 del ricorso.
Infatti, annullate le prescrizioni impugnate con l’odierno gravame, per effetto dell’accoglimento dei motivi di ricorso sub 1 e 3, la P.A. dovrà necessariamente esaminare le proposte di intervento del Fallimento e procedere alla riedizione del potere secondo diritto e nel rispetto dell’apporto partecipativo offerto dal privato stesso; tuttavia, anche l’esame del secondo gruppo di censure contiene argomenti che incidono sulla riedizione del potere e, conseguentemente, in tali limiti sussiste interesse attuale della parte ricorrente alla pronuncia anche su questa parte del gravame.
A tale proposito, osserva il Collegio che l’istanza non evasa della parte ricorrente (e tacitamente respinta dal provvedimento impugnato) era intesa a che l’Amministrazione, a fronte di una carenza di risorse da parte del fallimento, facesse uso dei poteri affidatile dal legislatore all’art. 304 comma 4 del dlgs 152/06, a norma del quale “4. Se l'operatore non si conforma agli obblighi previsti al comma 1 o al comma 3, lettera b), o se esso non può essere individuato, o se non è tenuto a sostenere i costi a norma della parte sesta del presente decreto, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio ha facoltà di adottare egli stesso le misure necessarie per la prevenzione del danno, approvando la nota delle spese, con diritto di rivalsa esercitabile verso chi abbia causato o concorso a causare le spese stesse, se venga individuato entro il termine di cinque anni dall'effettuato pagamento.”
La tesi difensiva dell’Avvocatura, invece, contesta la ammissibilità di un intervento sostitutivo, posto che sarebbe iniquo far ricadere sulla collettività il costo della bonifica di un sito inquinato dall’impresa ancora in bonis, sol perché, nel frattempo, la stessa è stata dichiarata fallita.
Osserva ancora il Collegio che l’Amministrazione ha fatto applicazione delle norme di cui all’art. 1 comma 436 della l. 266/2005, a norma del quale “L'accordo di programma di cui al comma 434 individua il soggetto pubblico al quale deve essere trasferita la proprieta' dell'area. Il trasferimento della proprieta' avviene trascorsi centottanta giorni dalla dichiarazione di fallimento qualora non sia stato avviato l'intervento di messa in sicurezza d'emergenza, caratterizzazione e bonifica.”
Va a questo punto osservato che la disposizione in esame è collocata all’interno di un istituto normativo pù generale volto a consentire nei siti di bonifica di interesse nazionale la “realizzazione degli interventi di messa in sicurezza d'emergenza, caratterizzazione, bonifica e ripristino ambientale delle aree inquinate per le quali sono in atto procedure fallimentari” (art. 1 l. cit. comma 434).
In tale contesto normativo, si prevede per i siti di imprese fallite la sottoscrizione di appositi accordi di programma tra il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio con gli enti locali interessati e la Regione, aventi il contenuto ampiamente prescritto al citato comma 434, da finanziarsi con le modalità di cui al successivo comma 435 e salva, comunque, “la vigente disciplina normativa in materia di responsabilita' del soggetto che ha causato l'inquinamento nelle aree e nei siti di cui al comma 434” (comma 437).
Dalla complessiva impostazione difensiva dell’Amministrazione, scaturente sia dalle difese dell’Avvocatura che dal contenuto sostanziale del provvedimento impugnato, emerge dunque che la Conferenza dei Servizi ha agito come se le disposizioni di cui all’art. 1 comma 436 fossero da intendersi in un rapporto di specialità rispetto a quelle generali contenute nell’art. 304 comma 4 del dlgs 152/06.
Rispetto a tale interpretazione, appropriatamente la difesa della parte ricorrente pone il dubbio sulla legittimità costituzionale delle disposizioni di cui alla legge 266/2005, per disparità di trattamento (in quanto a fronte di una medesima violazione all’obbligo di bonifica, sarebbero previste irrazionalmente due diverse sanzioni delle quali la più grave, quella dell’acquisizione al patrimonio pubblico del sito industriale, comminata proprio a fronte di una situazione di oggettiva impossibilità di adempiere, data appunto dalla situazione fallimentare che è per definizione di insolvenza), con violazione degli artt. 24 Cost. (perché incide sul diritto di azione dei creditori), 42 Cost. (viola il diritto di proprietà e l’obbligo di indennizzo in caso di espropriazione), e 27 comma 1 Cost. (in quanto l’effetto finale della sanzione verrà a gravar sugli incolpevoli creditori).
Osserva il Collegio che la questione di legittimità costituzionale, in questa sede, non può essere sollevata perché, per effetto della riedizione del potere necessariamente conseguente all’annullamento degli atti impugnati conseguente all’accoglimento dei motivi di gravame sub 1 e 3, la norma di cui si sospetta l’incostituzionalità non trova applicazione ai fini della decisione della causa, posto che si potrà eventualmente ricorrere ad essa solamente all’esito del procedimento amministrativo che sarà nuovamente posto in essere.
Tuttavia, in accoglimento delle tesi difensive poste al secondo argomento di ricorso, va anche affermato che per poter pervenire all’applicazione dell’istituto di cui ai commi da 434 a 437 della l. 266/2005, devono concorrere più requisiti che dovranno essere oggetto di puntuale apprezzamento da parte della P.A. e che, nel caso di specie, non sono stati presi in considerazione dall’Autorità.
Il primo tra essi è indubbiamente quello indicato dalla parte ricorrente: ossia per poter attivare l’acquisizione al demanio dell’are inquinata, per le più generali finalità dell’accordo di programma, è necessario, innanzitutto, che sussista un inadempimento degli obblighi di bonifica in capo alla curatela fallimentare, rimproverabile e quindi ascrivibile a colpa (o dolo) della stessa. Tale requisito va accertato dalla P.A., con conseguente onere istruttorio e motivazionale; ed è necessario che nel termine di 180 giorni dalla dichiarazione di fallimento l’intervento di bonifica non abbia avuto neppure un minimo inizio di esecuzione.
Sotto il primo aspetto, la tesi difensiva della parte ricorrente è suffragata dal comma 437 della disposizione in esame, che fa salva la disciplina vigente in tema di responsabilità per l’inquinamento.
Questa Sezione ha affermato che l’istituto, nel vigore del dlgs 152/06, è pienamente regolato dal principio della responsabilità soggettiva “colpevole”, in applicazione della regola di matrice comunitaria “chi inquina paga” (TAR Catania, I, sent. n. 1254/07), e con esclusione quindi di qualsiasi tipo di responsabilità oggettiva.
Pertanto, il richiamo alla disciplina vigente in tema di responsabilità per inquinamento è sufficiente a porre anche la “sanzione” dell’acquisizione dell’area dell’industria fallita al demanio pubblico ai fini dell’accordo di programma di cui al comma 434, sotto l’egida delle regole generali in tema di sanzioni e di illecito amministrativo (l. 689/81), che, com’è noto, postula l’accertamento della responsabilità del soggetto agente ed in coerenza al quale è informato anche il sistema dell’illecito ambientale (cfr. TAR Catania, I, sent. nr. 1254/07).
Nel caso di specie, nessun accertamento di responsabilità è stato condotto dalla P.A. che ha disposto l’acquisizione dell’area per il solo fatto “oggettivo” della mancanza dell’intervento di bonifica nel termine dei 180 giorni dalla dichiarazione del fallimento, ignorando quindi sia le stesse “richieste di aiuto” della Curatela, sia la necessità di una apposita istruttoria sul punto dell’esigibilità dell’adempimento.
Quest’ultimo aspetto conduce all’esame dell’ulteriore presupposto normativamente previsto per l’attivazione dell’istituto in esame, fondato, a sua volta, sulla lettura testuale della disposizione di cui al citato comma 436, secondo il quale l’acquisizione può avvenire laddove, nel termine di 180 giorni dal fallimento, l’intervento di bonifica non “sia stato avviato”.
Dal punto di vista dell’esercizio del potere, quindi, la disposizione, a fronte della affermazione di parte ricorrente secondo cui il fallimento ha dato avvio alle procedure di bonifica, individuando tutti gli interventi di bonifica e progettando l’intervento stesso, salvo fermarsi per mancanza di risorse e supplendo a ciò con la richiesta di attivazione dei poteri sostitutivi, impone che, prima di procedere all’acquisizione dell’area, vada espressamente apprezzato lo sforzo del soggetto agente al fine di accertare se esso costituisca o meno un avvio dell’intervento di bonifica.
A giudizio del Collegio, la lettura della disposizione in esame consente di ritenere compreso nello schema normativo ogni positivo sforzo del soggetto agente, da apprezzare in relazione alle concrete situazioni di fatto, per rimuovere l’inconveniente ambientale: infatti, le disposizioni di cui alla legge 266/2005 si pongono rispetto alla più generale previsione di cui al citato art. 304 comma 4 in un rapporto di concorrenza e non di specialità, come vorrebbe la interpretazione datane dall’Amministrazione.
In altri termini, posto lo scopo di interesse pubblico che è quello di pervenire, nel modo più rapido ed accurato alla integrale bonifica e recupero ambientale dei siti interessati da fenomeni di inquinamento, entrambe le norme in esame costituiscono altrettanti “strumenti” di intervento da utilizzarsi per risolvere le situazioni di inquinamento ambientale nella direzione del pieno ripristino al contempo dell’equilibrio ambientale e produttivo, e come tali obbligano l’Amministrazione a preferire, volta per volta, lo strumento più idoneo in termini di efficacia e di efficienza dell’azione della P.A. con corrispondente riflesso nella motivazione dell’atto con cui tale scelta si compie.
Infatti, da un punto di vista letterale (e tenendo conto del noto atecnicismo del legislatore delle finanziarie, che produce norme che spesso pongono problemi interpretativi di notevole portata, specie a livello sistematico), va ritenuto che il comma 434 dell’art. 1 della l. 266/2005, nel prevedere l’istituto dell’accordo di programma per il recupero dei siti contaminati interessati dalle procedure di fallimento, costituisce una facoltà in capo alle P.A. procedenti (Ministero ed Enti locali) e non certamente un obbligo di azione.
Sebbene l’uso dell’indicativo presente solitamente esprime un precetto cogente (ossia va interpretato come un attuale obbligo a procedere), nel caso in esame ragioni di interpretazione sistematica della norma con la (successivamente intervenuta) disposizione di cui al dlgs 152/06, nonché una lettura costituzionalmente orientata dell’istituto, impongono all’interprete di considerare la norma in esame come costitutiva di una “facoltà” di azione, in capo alla P.A., interpretandola quindi come se dicesse “Possono essere stipulati accordi di programma….”.
D’altronde, è la stessa struttura dell’istituto che ne impone una lettura in termini di facoltà e non di obbligo per la P.A.: l’acquisizione dell’impianto è funzionale alla realizzazione di un accordo di programma, che come tale va prima sottoscritto; inoltre gli oneri dell’accordo di programma devono essere appositamente finanziati (a tale funzione assolve il comma 435 della disposizione in esame) e quindi l’acquisizione del sito è condizionata non solo alla stipula dell’accordo di programma, ma anche al suo effettivo finanziamento; lo stesso accordo di programma, infine, deve indicare una serie di finalità di recupero e di riutilizzo che non sono assolutamente compatibili con un esercizio obbligatorio del potere amministrativo, in quanto si tratta di finalità intimamente connesse con le funzioni di programmazione degli Enti locali interessati, aspetto questo che non è certo compatibile con una acquisizione del sito coattiva non solo nei confronti del privato, ma obbligatoria anche per la P.A.
Tra l’altro, a condizionare la scelta della P.A. concorrerà anche la concreta tipologia del fallimento: tenendo presente che il credito della P.A. per il recupero degli oneri finanziari connessi alla bonifica “d’ufficio” è assistito da cospicue garanzie tra le quali l’onere reale sul sito (cfr. TAR Catania, I, sent. nr. 1254/07), la convenienza a procedere con l’uno o con l’altro strumento potrà essere misurata anche sulle concrete capacità del fallimento di consentire il pieno soddisfacimento dei propri creditori.
Ne consegue che, una volta riedito il potere, solo una effettiva valutazione di convenienze ed opportunità possono indurre la P.A. a stipulare un accordo di programma per acquisire il sito, in assenza del quale troverà piena applicazione la disposizione generale dell’art. 304 comma 4 del dlgs 152/06 invocata dalla parte ricorrente (e, comunque, l’applicazione concreta dell’istituto dell’acquisizione del sito della impresa fallita porrà comunque l’ulteriore questione dell’esame del sospetto di incostituzionalità della norma che la difesa della parte ricorrente ha articolato nel presente gravame).
Pertanto, anche sotto questi profili il ricorso è fondato e come tale va accolto, disponendosi l’annullamento degli atti impugnati e l’obbligo dell’Amministrazione di procedere al riesame della proposta del Fallimento della società COGEMA secondo tutto quanto esposto nella parte motiva della presente sentenza entro 180 giorni dalla comunicazione da parte della Segreteria o sua notifica a cura di parte.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano, forfetariamente e definitivamente, in euro 3.000, oltre all’importo del contributo unificato, delle altre spese sostenute per le notifiche, IVA e CPA.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia –Sezione staccata di Catania (Sez.1°):
- RIGETTA la richiesta di estromissione delle Amministrazioni rappresentate dall’Avvocatura di Stato;
- ACCOGLIE il ricorso in epigrafe;
- per l’effetto ANNULLA gli atti ed i provvedimenti impugnati;
- DICHIARA l’obbligo della parte pubblica resistente di procedere all’esame della proposta di parte ricorrente, meglio descritta in premessa narrativa e nella parte motiva, entro il termine di 180 giorni dalla comunicazione della presente sentenza o sua notifica a cura di parte e con le modalità pure in parte motiva specificate.
CONDANNA le Amministrazioni resistenti, in solido tra loro, alla refusione integrale delle spese di giudizio che liquida, forfetariamente e definitivamente, in euro 3.000 oltre l’importo del contributo unificato, notifiche, IVA e CPA, in favore della parte ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa e manda alla Segreteria di comunicarla alle parti.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 11 ottobre 2007

L’Estensore Il Presidente
Dr. Salvatore Gatto Costantino Dr. Vincenzo Zingales


Depositata in Segreteria il 29 gennaio 2008