Attività di potatura e di sfalcio : i residui sono o non sono rifiuto ?

di Rosa BERTUZZI

 

PoiPoichè molti artigiani praticano l’attività di giardinaggio o hanno comunque giardini dinanzi ai loro capannoni, officine, uffici, o i vivai hanno le piantagioni di frutta da sfrondare/potare, o i taglialegna puliscono i boschi, sembra utile prendere in considerazione le novità legislative introdotte D.Lgs. n. 205 del 3 dicembre 2010 in materia di attività di potatura e di sfalcio. Si anticipa che sono escluse dal campo di applicazione dei rifiuti le attività di potatura e di sfalcio, ma solo limitatamente alle attività di agricoltura.

Conseguentemente gli sfalci e le potature provenienti da aree verdi pubbliche e private, quali giardini, parchi ed aree cimiteriali sono rifiuti urbani e come tali sottoposti alla disciplina disposta dal Codice ambientale (Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006). Allo stato attuale, i diversi residui vegetali provenienti da pulitura di aree verdi, classificati (in base alla loro gestione) come «rifiuti urbani» ex articolo 184, D.Lgs 152/2006 e (in base alla loro natura) / o come «rifiuti organici» , devono essere conferiti al servizio pubblico di raccolta.

Il Ministero dell'ambiente attraverso la nota del 18 marzo 2011 n. 16607, sottolinea che l'esclusione degli scarti vegetali dal campo di applicazione dei rifiuti è riservata solo a sfalci, potature ed altri materiali che provengono da attività agricola o forestale. Tali materiali devono essere adibiti all'impiego in agricoltura, in silvicoltura o nella produzione di energia da biomassa. (art. 185, comma 1, lettera f) del D.Lgs 152/2006). Mentre gli scarti vegetali provenienti da attività diverse, «da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali», sono invece rifiuti classificati come «rifiuti urbani» (ex art. 184, comma 2, lettera e) D.Lgs 152/2006).

 

Si ricorda che la legge 13 agosto 2010 n. 136, aveva modificato dell'articolo 185 del Codice ambientale, introducendo la possibilità di considerare come «sottoprodotti», escludendo dalla disciplina dei rifiuti, i «materiali vegetali provenienti da sfalci e potature di manutenzione del verde pubblico e privato». Il Decreto Legislativo n. 205 del 3 dicembre 2010 ha abrogato tale possibilità, riformando nuovamente l’art. 185 escludendo solo dal campo di applicazione dei rifiuti gli sfalci, potature ed altri materiali da attività agricola-forestale utilizzati in tali attività o nella produzione di energia ("paglia, sfalci e potature, nonche' altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente ne' mettono in pericolo la salute umana." art. 185, comma 1, D.Lgs. 152/06).

 

Il decreto legislativo n. 28 del 3 marzo 2011 in materia di promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, include nella definizione di «biomassa» anche «gli sfalci e le potature provenienti dal verde pubblico e privato». Conseguentemente gli sfalci e le potature, se utilizzate per la produzione di energia derivante da biomassa, nelle attività agricola o selvicoltura, non rientrano nella classificazione rifiuti.

Gli scarti vegetali conseguenti l’attività agricola o impianti aziendali per la produzione di energia successiva a biomassa o biogas, non soggiacciono alla disciplina dei rifiuti, in quanto possono essere definiti come sottoprodotto.

 

Infatti l’art. 185 D.Lgs. 152/06

- comma 1, lett. b), n. 5: non rientrano nel campo di applicazione dei rifiuti le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze naturali e non pericolose utilizzate nell’attività agricola;

- comma 2: possono essere sottoprodotti i materiali fecali e vegetali provenienti da attività agricole utilizzati nelle attività agricole o in impianti aziendali o interaziendali per produrre energia o calore, o biogas.

Affinché gli scarti vegetali possano essere considerati sottoprodotto (art. 184, bis) è necessario che gli scarti:

a) la sostanza o l'oggetto e' originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non e' la produzione di tale sostanza od oggetto;

b) e' certo che la sostanza o l'oggetto sara' utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

c) la sostanza o l'oggetto puo' essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

d) l'ulteriore utilizzo e' legale, ossia la sostanza o l'oggetto soddisfa, per l'utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente e non portera' a impatti complessivi negativi sull'ambiente o la salute umana.

Gli scarti vegetali saranno esclusi dalla disciplina dei rifiuti e relativi adempimenti se non sussiste la volontà di disfarsi e se sussistono i requisiti per rientrare nella nozione di sottoprodotto. In tutti gli altri casi devono essere considerati rifiuti e soggiacere alla parte IV del D. Lgs. 152/2006.

 

La differenza di disciplina dipende dalla destinazione d'uso del materiale derivante dall’attività di potatura o di sfalcio, se sono considerati sottoprodotto, non si dovranno compilare i formulari di identificazione del rifiuto, registri di carico e scarico, modello unico di dichiarazione ambientale e l’iscrizione all'Albo Gestori Ambientali dei mezzi per il trasporto di rifiuti. Se tale materiale è considerato rifiuto il produttore, detentore e trasportatore dovranno osservare tutti gli adempimenti ambientali.

 

L’utilizzo degli scarti che non siano correlati ad alcuna attività agricola configura il reato di smaltimento illecito di rifiuti, disciplinato dall’art. 256, comma 1 del D. Lgs. 152/2006.

 

Interessante è il caso di un soggetto che effettua la manutenzione del verde e trasporta i residui derivanti da tale attività dal luogo di produzione alla propria sede, ad esempio per triturarlo e riutilizzarlo. Tale materiale sarà utilizzato nelle normali pratiche agricole. Tale soggetto non soggiace alla normativa in materia di rifiuti in quanto lo scarto rientra nella nozione di sottoprodotto derivanti da materiali vegetali provenienti da attività agricole (l’art. 185, comma 2). Conseguentemente anche la manutenzione del verde come attività agricola e gli scarti della manutenzione del verde possono riutilizzati , on considerandoli, in questo caso, come rifiuti .

 

Infine è bene sottolineare che si deve fare riferimento alla nozione di imprenditore agricolo ai sensi all'art. 2135 del codice civile: "è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse". Devono considerarsi connesse le attività esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge. Inoltre l'art. 5 del D. Lgs. 99/2004 definisce "attività agromeccanica" quale attività fornita a favore di terzi con mezzi meccanici per effettuare le operazioni colturali dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, la sistemazione e la manutenzione dei fondi agro-forestali, la manutenzione del verde, nonché tutte le operazioni successive alla raccolta dei prodotti per garantirne la messa in sicurezza". Conseguentemente l'attività di manutenzione del verde rientra tra "attività connesse" svolte dall’imprenditore agricolo.

 

Concludendo si può riassumere che gli scarti vegetali possono essere considerati "sottoprodotti" ed essere riutilizzati come biomassa combustibile o nelle normali pratiche agricole.

 

 

Cassazione Penale n. 11886 del 12 marzo 2014 -

I "rifiuti organici (residui di piantagioni)" che colmavano il cassone del veicolo sequestrato sono da classificare rifiuti speciali non pericolosi. Si configura la realizzazione e gestione non autorizzata di discarica di rifiuti ed il trasporto abusivo di rifiuti. Compete al giudice di merito qualificare la natura del materiale di cui concretamente si tratta, in rispetto del dettato generale della normativa in materia; e il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 185, comma 1, non confligge con la qualificazione degli organici residui di piantagioni quali rifiuti. La lettera f) del citato comma, infatti, si limita ad escludere dall'applicabilità della parte quarta del decreto legislativo "le materie fecali, se non contemplate al comma 2, lett. b), paglia, sfalci e potature, nonchè altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente nè mettono in pericolo la salute umana": nel caso di specie, non si tratta di materiale utilizzato per agricoltura, selvicoltura o produzione di energia, essendo invece "residui di piantagioni"; il che non coincide con i tre specifici tipi di residui (paglia, sfalci e potature) indicate dalla norma, esprimendo un concetto chiaramente più ampio, e non comportando quindi la non qualificabilità come rifiuti addotta dal ricorrente. Il motivo risulta pertanto infondato.

 

 

Ecco la sentenza della Cassazione:

 

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIALE Aldo - Presidente -

Dott. DI NICOLA Vito - Consigliere -

Dott. GRAZIOSI Chiara - rel. Consigliere -

Dott. ANDREAZZA Gastone - Consigliere -

Dott. ACETO Aldo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.P. N. IL (OMISSIS);

avverso l'ordinanza n. 210/2013 TRIB. LIBERTA' di PALERMO, del 21/06/2013;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

sentite le conclusioni del PG Dott. Policastro Aldo, rigetto del ricorso.

 

 

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza del 21 giugno 2013 il Tribunale di Palermo ha respinto la richiesta di riesame presentata dal difensore di B. P. - indagato per il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 - avverso decreto di sequestro preventivo di un quadriciclo Piaggio emesso il 4 giugno 2013 dal gip dello stesso Tribunale.

Ha presentato ricorso il difensore adducendo due motivi. Il primo motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 185, comma 1, lett. f), che esclude dai rifiuti i materiali agricoli non pericolosi: non sarebbe configurabile nel caso di specie, quindi, il reato di abbandono dei rifiuti. Il secondo motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 192, commi 1 e 2, e art. 255.

Affinchè la condotta contestata non sia illecito amministrativo, bensì reato ex D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, come riqualificata dal Tribunale, occorre che chi ha effettuato il trasporto abusivo e l'abbandono dei rifiuti abbia svolto attività d'impresa, e su ciò il Tribunale non ha motivato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Il primo motivo adduce che, ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 185, non sono rifiuti "la paglia, sfalci e potature nonchè altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzato in agricoltura, nella selvicoltura...". Non sarebbe pertanto sussistente alcun rifiuto, presupposto della configurabilità del reato di abbandono dei rifiuti.

Il Tribunale ha qualificato i "rifiuti organici (residui di piantagioni)" che colmavano il cassone del veicolo sequestrato rifiuti speciali non pericolosi, conseguentemente, tra l'altro, riqualificando il reato, originariamente rubricato come realizzazione e gestione non autorizzata di discarica di rifiuti, come trasporto abusivo di rifiuti. Compete al giudice di merito qualificare la natura del materiale di cui concretamente si tratta, in rispetto del dettato generale della normativa in materia; e il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 185, comma 1, non confligge con la qualificazione degli organici residui di piantagioni quali rifiuti, come invece prospettato dal ricorrente. La lettera f) del citato comma, infatti, si limita ad escludere dall'applicabilità della parte quarta del decreto legislativo "le materie fecali, se non contemplate al comma 2, lett. b), paglia, sfalci e potature, nonchè altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente nè mettono in pericolo la salute umana": nel caso di specie, non si tratta di materiale utilizzato per agricoltura, selvicoltura o produzione di energia, essendo invece "residui di piantagioni"; il che non coincide con i tre specifici tipi di residui (paglia, sfalci e potature) indicate dalla norma, esprimendo un concetto chiaramente più ampio, e non comportando quindi la non qualificabilità come rifiuti addotta dal ricorrente. Il motivo risulta pertanto infondato.

Il secondo motivo, in sintesi, censura l'ordinanza impugnata per non avere motivato sul riferimento dell'attività illecita ad una attività di impresa, aggiungendo, come evidente argomentazione fattuale, che in realtà nel caso di specie si tratterebbe di un'attività occasionale e non imprenditoriale. Non può non ricordarsi che, trattandosi di cautela reale, è applicabile alla fattispecie l'art. 325 c.p.p. Quale vizio motivazionale, dunque, il ricorso per cassazione deve denunciare la violazione di legge, ovvero l'omesso adempimento dell'obbligo di motivazione da parte del giudice in modo radicale (art. 125 c.p.p., comma 3), così da integrare totale carenza o apparenza (cioè contenuto meramente assertivo o rappresentato da formule di stile) della motivazione stessa (da ultimo, proprio riguardo al sequestro preventivo, Cass. sez. 6, 10 gennaio 2013 n. 6589; cfr. altresì, tra i più recenti arresti, Cass. sez. 5, 1 ottobre 2010 n. 35532 e Cass. sez. 6, 20 febbraio 2009 n. 7472). Nel caso di specie, l'ordinanza non è affetta da tale vizio radicale, e comunque - si nota allora meramente ad abundantiam - l'attribuzione ad un'attività imprenditoriale si evince implicitamente dal rilievo che il veicolo era "con il cassone ricolmo".

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2014.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2014



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