Brevi notazioni in tema di prescrizione del reato di traffico illecito di rifiuti

di Alberto GALANTI

1. Introduzione

La recente “sentenza Taricco” (Corte di Giustizia dell’Unione europea, 8 settembre 2015, Taricco e altri, pubblicata in Giurisprudenza europea il 19/10/2015) si è abbattuta come una vera è propria tsunami nel panorama normativo italiano.

Come è noto, detta sentenza concerneva una ipotesi di frode fiscale; essa tuttavia, per la sua portata innovativa, è stata fin da subito percepita come una sorta di “punto di non ritorno” nei rapporti tra giurisdizione domestica e giurisdizione europea.

Si cercherà, di seguito, di verificare se tale sentenza possa proiettare la sua onda lunga anche nella diversa materia della tutela penale dell’ambiente.

 

2. La giurisprudenza comunitaria e della Corte EDU

Va doverosamente premesso che il quadro normativo europeo afferente la tutela penale dell’ambiente è sensibilmente diverso da quello concernente la tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea.

Ed infatti, nel Trattato UE, a mente dell’art. 325 TFUE, gli Stati membri sono tenuti a lottare contro le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione «con misure dissuasive ed effettive1», laddove, al contrario, l’articolo 191 (ex 174) della versione consolidata del Trattato UE, si limita, ai primi due commi, a stabilire quanto segue:

“La politica dell'Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi:

- salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente,

- protezione della salute umana,

- utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali,

- promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici.

2. La politica dell'Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell'Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione

e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga»”.

E’ quindi del tutto evidente la maggiore pervasività del principio di Trattato posto a base della tutela degli interessi finanziari dell’UE rispetto a quello relativo alla tutela dell’ambiente.

Ciò che tuttavia attribuisce alla citata sentenza una importanza di primario rilievo è la parte motiva della stessa in cui si affronta la tematica relativa “natura” della prescrizione del reato.

Seguendo l’impostazione dell’Avvocato Generale, secondo cui le norme in materia di prescrizione che si tratterebbe qui di disapplicare avrebbero, nonostante la loro collocazione nel codice penale italiano, natura processuale e non sostanziale, disciplinando semplicemente le condizioni per la perseguibilità di reati compiutamente definiti dalla legge sostanziale nazionale, la Corte ha chiarito come la sentenza non viola in alcun modo il principio di legalità in materia penale.

A chiare note la Corte stabilisce infatti che una disapplicazione del diritto nazionale siffatta non violerebbe i diritti degli imputati, quali garantiti dall’articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (c.d. “Carta di Nizza”).

Tale disposizione codifica, a livello Europeo, il principio di legalità e proporzionatezza della pena, stabilendo al comma 1 che “Nessuno può essere condannato per un'azione o un'omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l'applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest'ultima”, e al comma 2 che “Il presente articolo non osta al giudizio e alla condanna di una persona colpevole di un'azione o di un'omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali riconosciuti da tutte le nazioni”.

Al punto 56 della sentenza si legge infatti che “non ne deriverebbe affatto una condanna degli imputati per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva un reato punito dal diritto nazionale (v., per analogia, sentenza Niselli, C‑457/02, EU:C:2004:707, punto 30), né l’applicazione di una sanzione che, allo stesso momento, non era prevista da tale diritto. Al contrario, i fatti contestati agli imputati nel procedimento principale integravano, alla data della loro commissione, gli stessi reati ed erano passibili delle stesse sanzioni penali attualmente previste”.

La prescrizione, pertanto, non opererebbe nell’ambito del diritto sostanziale, bensì in quello del diritto processuale.

In tal senso si è espressa anche la Corte EDU.

In numerose pronunce, richiamate dalla Corte di Giustizia UE nel caso Taricco, è dato leggere che la proroga del termine di prescrizione e la sua immediata applicazione non comportano una lesione dei diritti garantiti dall’articolo 7 della suddetta Convenzione, dato che tale disposizione non può essere interpretata nel senso che osta a un allungamento dei termini di prescrizione quando i fatti addebitati non si siano ancora prescritti (v., in tal senso, Corte eur D.U., sentenze Coëme e a. c. Belgio, nn. 32492/96, 32547/96, 32548/96, 33209/96 e 33210/96, § 149, CEDU 2000‑VII; Scoppola c. Italia (n. 2) del 17 settembre 2009, n. 10249/03, § 110 e giurisprudenza ivi citata, e OAO Neftyanaya Kompaniya Yukos c. Russia del 20 settembre 2011, n. 14902/04, §§ 563, 564 e 570 e giurisprudenza ivi citata).

A tali pronunce devesi aggiungere la recente sentenza sul “caso Diaz” (IV sez., sent. 7 aprile 2015, Cestaro c. Italia, ric. n. 6884/11), in cui la Corte di Strasburgo, dopo aver ricordato che “nella sentenza Alikaj e altri c. Italia (n. 47357/08, § 108, 29 marzo 2011), la Corte, dopo aver affermato che «le azioni intraprese dalle autorità incaricate dell'indagine preliminare (...) poi dai giudici di merito durante il processo non [davano adito] a contestazione», ha anche ritenuto che «l'applicazione della prescrizione rientra senza dubbio nella categoria di «misure» inammissibili secondo la giurisprudenza della Corte riguardo al profilo procedurale dell'articolo 2 della Convenzione, in quanto ha avuto come effetto quello di impedire una condanna»”.

Non vi è quindi dubbio che le due Giurisdizioni superiori a livello Europeo, ossia la Corte di Giustizia dell’Unione europea e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo procedono a braccetto nell’affermare che il tema della prescrizione del reato non trova tutela all’interno né della Convenzione EDU né della Carta di Nizza, essendo quindi estraneo al principio di legalità.

 

3. La giurisprudenza nazionale dopo la sentenza “Taricco”

 

Le reazioni alle sentenze dianzi menzionate non si sono fatte attendere. La recente sentenza n. 2210/2016 della Corte di Cassazione (p.u. 19.09.2015, dep. 20.01.2016, in proc. Pennacchini) ha applicato per la prima volta la sentenza Taricco, chiarendo che “la specifica norma che ci interessa [l’articolo 160 c.p.] non è coperta dalla tutela dell'art. 25 Cost. e dall'art. 7 CEDU come afferma anche la sentenza n. 236 del 2011 della Corte costituzionale”, per cui sarebbe “pacifico che, per la giurisprudenza della Corte costituzionale, oltre che per quella europea, la specifica norma di cui agli artt. 160 e 161 cod. pen., che qui viene in rilievo, non è dotata della copertura costituzionale dell'art. 25”.

Tale pronuncia, in particolare, si sofferma sull’argomento secondo cui “nel caso Taricco, la legalità penale non è violata in quanto la disciplina della prescrizione (o almeno la disciplina della interruzione della prescrizione) ha, per la CGUE, natura processuale. La legalità penale riguarderebbe insomma l'incriminazione e la garanzia di libere scelte di azione da parte del cittadino, ma non avrebbe tale copertura l'affidamento del cittadino «che le norme applicabili sulla durata, il decorso e l'interruzione della prescrizione debbano necessariamente orientarsi sempre alle disposizioni di legge in vigore al momento della commissione del reato» (§ 119). Nell'Unione europea la legalità processuale ha una tutela meno intensa di quella penale sostanziale, come confermato ad esempio dalla materia del MAE e dalle ripercussioni interne delle pronunce della CGUE sulla legge 69 del 2005 (si v., ad esempio, le pronunce di questa Corte: Sez. 6, n. 34355 del 23/09/2005 - dep. 26/09/2005, Ilie Petre e Sez. U, n. 4614 del 30/01/2007 - dep. 05/02/2007, Ramoci, sul MAE; v., ancora, le pronunce che hanno dato attuazione interna alla sentenza della CGCE Pupino). Questo minor vigore della legalità processuale in sede europea sembrerebbe, secondo alcuni, "accettato" o "tollerato" dallo Stato Italiano che firmando il Quarto Protocollo alla Convezione del Consiglio d'Europa del 1957 sulla estradizione, nella cui formulazione si accetta il principio per cui il decorso della prescrizione nello Stato richiesto non impedisce la consegna della persona allo Stato richiedente, sembrerebbe testimoniare come anche per il legislatore la prescrizione non è propriamente un elemento della fattispecie penale”.

La sentenza della Corte Costituzionale citata (n. 236/2011), rammenta la citata sentenza Pennacchini, ha espressamente stabilito il principio secondo cui dalla “stessa giurisprudenza della Corte europea emerge che l'istituto della prescrizione, indipendentemente dalla natura sostanziale o processuale che gli attribuiscono i diversi ordinamenti nazionali, non forma oggetto della tutela apprestata dall'art. 7 della Convenzione, come si desume dalla sentenza 22 giugno 2000 (Coéme e altri contro Belgio) con cui la Corte di Strasburgo ha ritenuto che non fosse in contrasto con la citata norma convenzionale una legge belga che prolungava, con efficacia retroattiva, i tempi di prescrizione dei reati”.

Tuttavia, e in senso diametralmente contrario, tralaticia giurisprudenza costituzionale ha sostenuto la natura “sostanziale” dell’istituto della prescrizione del reato.

Tra tutte, si prenda ad esempio la sentenza n. 393/2006, resa nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 3, della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione, c.d. “ex-Cirielli”), la quale icasticamente aveva affermato che “la norma del codice penale deve essere interpretata, ed è stata costantemente interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte (e da quella di legittimità), nel senso che la locuzione «disposizioni più favorevoli al reo» si riferisce a tutte quelle norme che apportino modifiche in melius alla disciplina di una fattispecie criminosa, ivi comprese quelle che incidono sulla prescrizione del reato (sentenze n. 455 e n. 85 del 1998; ordinanze n. 317 del 2000, n. 288 e n. 51 el 1999, n. 219 del 1997, n. 294 e n. 137 del 1996).

Una conclusione, questa, coerente con la natura sostanziale della prescrizione (sentenza n. 275 del 1990) e con l'effetto da essa prodotto, in quanto «il decorso del tempo non si limita ad estinguere l'azione penale, ma elimina la punibilità in sé e per sé, nel senso che costituisce una causa di rinuncia totale dello Stato alla potestà punitiva» (Cass., Sez. I, 8 maggio 1998, n. 7442). Tale effetto, peraltro, esprime l'«interesse generale di non più perseguire i reati rispetto ai quali il lungo tempo decorso dopo la loro commissione abbia fatto venir meno, o notevolmente attenuato (…) l'allarme della coscienza comune, ed altresì reso difficile, a volte, l'acquisizione del materiale probatorio» (sentenza n. 202 del 1971; v. anche sentenza n. 254 del 1985; ordinanza n. 337 del 1999).

Pertanto, le norme sulla prescrizione dei reati, ove più favorevoli al reo, rispetto a quelle vigenti al momento della commissione del fatto, devono conformarsi, in linea generale, al principio previsto dalla citata disposizione del codice penale”.

A tale impostazione, che potremmo definire “tradizionale”, non è rimasta insensibile una parte della giurisprudenza di legittimità. La Corte d'appello di Milano, II sez. pen., ord. 18 settembre 2015, Pres. Maiga, Est. Locurto, ha infatti prontamente sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130 con cui viene ordinata l'esecuzione nell'ordinamento italiano del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea (TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona, “nella parte che impone di applicare la disposizione di cui all'art. 325 §§ 1 e 2 TFUE, dalla quale - nell'interpretazione fornitane dalla Corte di giustizia nella sentenza in data 8.9.2015, causa C-105/14, Taricco - discende l'obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli artt. 160 ultimo comma e 161 secondo comma c.p. in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, anche se dalla disapplicazione discendano effetti sfavorevoli per l'imputato, per il prolungamento del termine di prescrizione, in ragione del contrasto di tale norma con l'art. 25, secondo comma, Cost.23, seguita a ruota dalla terza Sezione della Corte di Cassazione, che in data 30 marzo 2016 ha sollevato analoga questione4.

In sostanza, la Corte di secondo grado meneghina invita la Corte Costituzionale ad attivare quelli che sono stati definiti i c.d. “controlimiti” alla supremazia del diritti dell’Unione europea sul diritto nazionale, anche di rango costituzionale, sono costituiti dai “principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale”5, tra cui è incluso anche il principio di legalità (“si ritiene necessario rimettere alla Corte costituzionale la valutazione della opponibilità di un «controlimite» alle limitazioni di sovranità derivanti dall'adesione dell'Italia all'ordinamento dell'Unione europea ai sensi dell'art. 11 Cost., in funzione del rispetto del principio fondamentale dell'assetto costituzionale interno, poziore rispetto agli stessi obblighi di matrice europea”).

Segue una elencazione della giurisprudenza di legittimità che, seguendo l’interpretazione del Giudice delle leggi, ha in modo incontrastato ritenuto la “natura sostanziale delle norme sulla prescrizione - e del conseguente loro assoggettamento al regime di cui all'art. 2 c.p. (cfr., tra le altre, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 32781 del 22/05/2014, Abbinate, Rv. 260536; Sez. 1, Sentenza n. 20430 del 27/01/2015, Bilardi Rv. 263687)”.

A ben vedere, la questione sembra aver assunto i classici toni di una vera e propria “guerra di religione” tra i sostenitori delle teorie più garantiste e coloro che colgono l’occasione fornita da una giurisprudenza sovranazionale più pragmatica e di tipo anglosassone per porre rimedio ad un problema, quello della prescrizione del reato post legge Cirielli, che ha decreto di fatto la morte del nostro sistema processuale.

Chi scrive, sommessamente, ritiene che la questione vada affrontata non in astratto, ma in relazione al concreto esame delle varie disposizioni normative coinvolte.

A tal proposito, si è chiarito, per come espresso dalle Corti europee in modo univoco, che l’istituto della prescrizione del reato non pertiene al principio di legalità come stabilito dall’articolo 49 del Trattato UE e dall’art. 7 della Convenzione EDU, resta da valutare se essa rientri al contrario nel principio di legalità sancito dall’articolo 25 della Costituzione.

Sotto il profilo testuale, sia l’articolo 49 del trattato di Nizza6 che l’articolo 7 della CEDU7 (a sua volta “costituzionalizzato” a livello europeo dall’art. 6 comma 1 del Trattato di Lisbona8) contengono una definizione del principio di legalità in materia penale del tutto analogo a quello contenuto nell’articolo 25 della Costituzione italiana9.

Inoltre, come è stato correttamente rilevato, “la Corte di giustizia ha riconosciuto che i diritti fondamentali della persona umana costituiscono parte integrante dei principi generali del diritto comunitario di cui essa stessa deve garantire l’osservanza sia da parte degli atti comunitari, sia da parte degli atti normativi adottati dagli Stati membri in attuazione del diritto comunitario, fatta eccezione – esclusivamente - per quella normativa nazionale priva di ogni legame con quest’ultimo”10, tanto che, come visto, la stessa Convenzione EDU ha assunto, con il Trattato di Lisbona, un rilievo “costituzionale”.

Questo a significare un profondo avvicinamento dei principi generali dell’ordinamento comunitario ai principi generali dell’ordinamento costituzionale. Tuttavia, il medesimo Autore rileva anche che “un diritto fondamentale, pur avendo lo stesso nomen, può avere una portata intrinseca assai differente a livello comunitario rispetto a quella che ha a livello statale”, e ciò per il fatto che l’ordinamento comunitario persegue esclusivamente le finalità indicate nel Trattato, mentre nell’ordinamento nazionale “i diritti fondamentali sono anche e soprattutto strutture di valore, aperti ad una pluralità di letture possibili che vivono nella storia”. Così, toccherà alla Corte costituzionale valutare, caso per caso, se, un determinato diritto fondamentale, pur avendo il medesimo nome (nel caso di specie “principio di legalità”), riceva a livello comunitario la stessa tutela che riceve a livello costituzionale”11.

Con l’avvertenza, tuttavia, che la questione non pertiene all’esistenza o al tenore letterale del principio costituzionale (che è il medesimo), ma solamente all’interpretazione del medesimo in modo potenzialmente difforme tra la Corte nazionale e quella sovranazionale.

 

 

4. La prescrizione del delitto di cui all’articolo 260 del decreto legislativo n. 152/2006

La questione dianzi affrontata non è meramente teorica. Come è noto, l’art. 11 della legge 13 agosto 2010, n. 136 (“Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al governo in materia di normativa antimafia”), entrato in vigore il 28 agosto 2010, ha incluso tra le competenze delle Direzioni Distrettuali Antimafia, l’articolo 260 del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, modificando a tal uopo l’art. 51, comma 3-bis, c.p.p..

Va rammentato come l’articolo 157, sesto comma, del codice penale, stabilisce che per i reati di cui all’articolo 51 comma 3-bis c.p.p. i termini di prescrizione sono raddoppiati.

Pertanto, poiché l’articolo 260 TUA è edittalmente sanzionato con la pena della reclusione da uno a sei anni, il termine prescrizionale massimo è, dal 2010, stabilito in dodici anni.

Come è evidente, seguendo l’impostazione della sentenza Taricco (ossia della natura processuale della prescrizione), il nuovo regime prescrizionale dovrebbe applicarsi a tutti quei reati commessi anche prima del 28 agosto 2010 ma non ancor prescritti a tale data: non essendo infatti il regime della prescrizione coperto dal principio di legalità in materia penale, a tali delitti dovrebbe applicarsi il regime prescrizionale massimo sfavorevole al reo, pari a dodici anni.

 

Alberto Galanti

Sost. Proc. Repubblica Roma

 

 

1 La Carta dei Diritti Fondamentali proclamata a Nizza prevede all’art. 37 che “un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile”.

Tra gli obiettivi specifici in materia ambientale, l’art. 191 del Trattato prende in considerazione la salvaguardia‚ tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente; la protezione della salute umana; l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali; la promozione, sul piano internazionale, di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale.

I principi ai quali l’azione dell’Unione in campo ambientale: i principi della precauzione e dell'azione preventiva‚ sul principio della correzione‚ in via prioritaria alla fonte‚ dei danni causati all'ambiente e sul principio "chi inquina paga".

 

2 Alla pronuncia segue l’elencazione di una serie di pronunce della Corte Costituzionale, in primis la sentenza n. 394/2006, che ribadiscono la natura “sostanziale” e non “processuale” della prescrizione del reato.

3 Sul punto v. anche F. Viganò: “Prescrizione e reati lesivi degli interessi finanziari dell’UE: la Corte d’appello di Milano sollecita la Corte costituzionale ad azionare i ‘controlimiti’”, sul sito www.dirittopenalecontemporaneo.it, 21 Settembre 2015; F. Viganò: “Il caso Taricco davanti alla Corte costituzionale: qualche riflessione sul merito delle questioni, e sulla reale posta in gioco”, ibidem, 9 maggio 2016; A. Venegoni: “Ancora sul caso Taricco: la prescrizione tra il diritto a tutela delle finanze dell'Unione Europea ed il diritto penale nazionale”, ibidem, 30 Marzo 2016; P. Faraguna: “L'insostenibile imprescrittibilità del reato. La Corte d'Appello di Milano mette la giurisprudenza ''Taricco'' alla prova dei controlimiti”, ibidem, 30 Marzo 2016.

4 Si pubblica il testo dell’ordinanza di rimessione: "Letto l'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87, solleva la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130, che ordina l'esecuzione del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (TFUE), nella parte che impone di applicare l'art. 325, § 1 e 2, TFUE, dalla quale - nell'interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia, 08/09/2015, Causa C-105/14, Taricco - discende l'obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli artt. 160, comma 3, e 161, comma 2, cod. pen., in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, allorquando ne derivi la sistematica impunità delle gravi frodi in materia di IVA, anche se dalla disapplicazione, e dal conseguente prolungamento del termine di prescrizione, discendano effetti sfavorevoli per l'imputato, per contrasto di tale norma con gli artt. 3, 11, 25, comma 2, 27, comma 3, 101, comma 2, Cost. "

5 Cfr. Corte cost. sentt. n. 183/1973; n. 170/1984; 21 aprile 1989, n. 232, in Giur. cost., 1989, 1001 ss.; ord. n. 132/1990; sent. n. 168/1991; sent. 31 marzo 1994, n. 117, in Giur. cost., 1994, 994 ss.; sent. 18 dicembre 1995, n. 509, in Foro it., 1996, I, 784 ss.; ord. n. 536/1995; sent. 22 marzo 2001, n. 73, in Giur. cost., 2001, 428, ss., giurisprudenza citata da F. Salmoni: “La Corte costituzionale e la Corte di giustizia delle Comunità europee”, Relazione al Convegno annuale dell’Associazione “Gruppo di Pisa”, reperibile on line sul sito “www.rivistaaic.it”.

La Corte e le Corti, Catanzaro, 31 maggio-1 giugno 2002”

6 “Nessuno può essere condannato per un'azione o un'omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l'applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest'ultima”.

7 “Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso”.

8 “L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati”.

9 “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.

10 Salmoni, cit., 11.

11 Salmoni, cit. 14.