Miscele di rifiuti: analisi e criticità occasionate dalla lettura del DGR Lombardia n. IX-3596.

di Andrea VOLPATO

 

Introduzione1

 

La miscelazione di rifiuti tra loro o con sostanze e materiali ha da sempre suscitato interesse sia tra gli operatori di settore sia tra gli organi di vigilanza seppure con finalità palesemente diverse. La presunta o sperata svolta si ha con il noto decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205 che recepì sul filo di lana la direttiva (CE) n. 98 del 19 novembre 2008. La direttiva de qua vieta2 la miscelazione di rifiuti ovvero la permette solo a particolari condizioni3 demandando nel contempo agli Stati membri la possibilità di concedere autorizzazioni in deroga. A tal proposito, l’articolo 15 del decreto legislativo in parola prevede che un’eventuale autorizzazione in deroga sia concessa ai sensi degli artt. 2084, 2095 e 2116 del decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152 e quindi senza dettare de facto i criteri per una corretta gestione ex ante dell’attività di miscelazione spostando il problema a livello regionale. Tutto ciò sta determinando un’affannosa corsa alla stesura, da parte del legislatore locale, di delibere, linee guida, pareri etc. che inevitabilmente porteranno le autorità preposte al rilascio delle autorizzazioni (in deroga), leggasi regioni, ad imporre prescrizioni che saranno conseguentemente diverse da regione a regione ingenerando di conseguenza situazioni di concorrenza sleale tra operatori che svolgono la stessa attività di gestione dei rifiuti (miscelazione nel caso di cui trattasi) ancorché in aree geografiche diverse.

 

Narrazione

 

Innanzitutto è opportuno premettere che a livello europeo l’operazione di miscelazione è riconducibile alle operazioni D13 ovvero R12 come del resto richiamato nella nota dell’allegato B al decreto in discorso. Tuttavia, è da notare ancora una volta l’originalità tutta italiana che nella traduzione dall’inglese definisce l’operazione D13 con non poca fantasia7 trascurando o volutamente omettendo il termine “ miscelazione” con l’effetto (non poi così raro nella dottrina italiana quando vengono recepite direttive europee) di ingenerare confusione, sicuramente a qualcuno andava bene così (cui prodest). Volutamente si tralasciano le questioni in base alle quali molti operatori del settore ritengono che la miscelazione sia riconducibile all’operazione D9.

Calandosi nel contesto gerarchico delle attività connesse alla gestione dei rifiuti, la miscelazione è da considerarsi come operazione residuale quasi avversa all’attività di recupero ed al raggiungimento di una “società del riciclaggio” come auspicato a livello comunitario. Infatti, il 28° considerando della direttiva di cui trattasi nel Sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente sollecita misure volte a garantire la separazione alla fonte, la raccolta e il riciclaggio dei flussi di rifiuti prioritari. In linea con tale obiettivo e quale mezzo per agevolarne o migliorarne il potenziale di recupero, i rifiuti dovrebbero essere raccolti separatamente nella misura in cui ciò sia praticabile da un punto di vista tecnico, ambientale ed economico, prima di essere sottoposti a operazioni di recupero che diano il miglior risultato ambientale complessivo. Gli Stati membri dovrebbero incoraggiare la separazione dei composti pericolosi dai flussi di rifiuti se necessario per conseguire una gestione compatibile con l’ambiente. A tal proposito, l’art. 7 del decreto legislativo di cui si novella sottolinea palesemente che per facilitare o migliorare il recupero, i rifiuti sono raccolti separatamente, laddove ciò sia realizzabile dal punto di vista tecnico, economico e ambientale, e non sono miscelati con altri rifiuti o altri materiali aventi proprietà diverse. Va da sé che, in linea di principio, i singoli flussi di rifiuti dovrebbero essere tenuti separati dagli altri rifiuti in modo tale da garantirne l’omogeneità. In particolare la miscelazione dovrebbe essere evitata per le seguenti ragioni8:

  • al fine di assicurare la corretta gestione dei rifiuti (il ri-utilizzo ed il recupero di flussi omogenei di rifiuti sono generalmente più semplici dei flussi di miscele di rifiuti);

  • al fine di semplificare la gestione dei rifiuti (in particolare le operazioni di riciclaggio e recupero), dato che le caratteristiche dei singoli flussi di rifiuti possono essere previste e controllate più agevolmente che nel caso delle miscele;

  • al fine di evitare la contaminazione di flussi di rifiuti adatti piuttosto al riciclaggio e per evitare l’inclusione di sostanze pericolose in prodotti che derivano dal riciclo dei materiali; e

  • al fine di prevenire la miscelazione di rifiuti con l’intenzione di ridurre i livelli di contaminazione e le caratteristiche di pericolosità allo scopo di rientrare nei valori limite o per eludere i disposti normativi.

Inoltre, la corretta gestione dei rifiuti e quindi anche la miscelazione degli stessi non deve aumentare gli effetti potenzialmente avversi che possono inficiare la salvaguardia sia della salute umana che dell’ambiente e pertanto dovrebbe essere consentita solo qualora il pericolo posto dai singoli componenti una miscela non sia inferiore alla miscela stessa.

In linea con il principio di precauzione, il divieto di miscelazione di cui all’art. 15(1) del decreto in discorso si applica sostanzialmente alle seguenti fattispecie:

  • rifiuti pericolosi aventi differenti caratteristiche di pericolosità e

  • rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi.

Diversamente, sempre richiamandosi al principio di precauzione, prevede l’art. 18(1)9 della direttiva de qua, la quale vieta le miscelazioni tra:

  • rifiuti pericolosi e altre categorie di rifiuti pericolosi

  • rifiuti pericolosi con altri rifiuti, materiali, sostanze

Il termine “categorie” che in senso stretto rimanda all’abrogato allegato G del decreto del 3 aprile 2006, n. 152 è stato cassato dal recepimento legislativo e sostituito con “aventi differenti caratteristiche di pericolosità” prendendo quindi una netta e chiara posizione forse anche a fini chiarificatori (una volta tanto). Tuttavia potremmo ricondurre il divieto anche a rifiuti aventi le stesse caratteristiche di pericolosità ma di CER diverso come proposto dalle linee guida su cennate. E’ certo che il termine utilizzato a livello comunitario è improprio ed infelice vista anche l’abrogazione della direttiva 91/689/CEE (che introdusse appunto il termine “categoria”) apportata dalla direttiva in parola. A nostro modesto avviso si sarebbe dovuto mantenere l’impianto della direttiva 2008/98/CE che prevede anche il divieto di miscelazione non solo tra rifiuti pericolosi e non pericolosi ma anche con sostanze, materiali o altri rifiuti. Infatti, l’art. 15(1) sembra consentire la miscelazione non in deroga di un rifiuto pericoloso con materiali assorbenti (ad es. segatura) mentre, al paragrafo 2 si prevede il rilascio di un’autorizzazione da parte della regione per tale fattispecie, entrando così in un contradditorio legislativo che si sarebbe potuto evitare mantenendo la struttura originale del testo. Non da ultimo merita nota la diluizione che viene ricompresa nell’attività di miscelazione10. Il legislatore non aveva di certo intenzione di autorizzare la diluizione quale strumento per poter “legalizzare” atti delinquenziali come ad esempio quelli afferibili alla diluizione tout court al fine di rendere compatibile e conforme un rifiuto in un dato impianto che altrimenti non potrebbe trattarlo, piuttosto si è voluto precisare che la miscelazione può avere come conseguenza accessoria quella della diluizione di sostanze pericolose o di altri parametri sensibili ai fini della corretta gestione dei rifiuti (vedasi TOC, DOC etc.). D’altra parte, non potrebbe essere diversamente, si veda ad esempio lo stesso art. 6(2) del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 che vieta di diluire o miscelare rifiuti al solo fine di renderli conformi ai criteri di ammissibilità in discarica o l’art. 184(5-ter) del D.Lgs 3 aprile 2006, n. 152 che stabilendo che la declassificazione da rifiuto pericoloso a rifiuto non pericoloso non può essere ottenuta attraverso una diluizione o una miscelazione del rifiuto che comporti una riduzione delle concentrazioni iniziali di sostanze pericolose sotto le soglie che definiscono il carattere pericoloso del rifiuto, confina la eventuale diminuzione di concentrazione delle sostanze pericolose a conseguenza e non a finalità del trattamento.

Brevemente, richiamando l’art. 15(2) del decreto in parola:

In deroga al comma 1, la miscelazione dei rifiuti pericolosi che non presentino la stessa caratteristica di pericolosità, tra loro o con altri rifiuti, sostanze o materiali, può essere autorizzata ai sensi degli articoli 208, 209 e 211 a condizione che:

a) siano rispettate le condizioni di cui all'articolo 177, comma 411, e l'impatto negativo della gestione dei rifiuti sulla salute umana e sull'ambiente non risulti accresciuto;

b) l'operazione di miscelazione sia effettuata da un ente o da un'impresa che ha ottenuto un'autorizzazione ai sensi degli articoli 208, 209 e 211;

c) l'operazione di miscelazione sia conforme alle migliori tecniche disponibili di cui all'articoli 183, comma 1, lettera nn).

Analizzando le tre condizioni (nel testo della direttiva in ordine diverso!) per le quali può essere concessa l’autorizzazione in deroga notiamo alla lettera a) l’insistenza quasi ossessiva con cui il legislatore mira alla tutela della salute umana e dell’ambiente quali peculiarità primarie e imprescindibili per una corretta gestione dei rifiuti mentre alla lettera b) la necessaria validazione della miscelazione attraverso un atto regolatorio da esprimersi in un permesso concesso dalla regione di competenza correlando altresì la miscelazione ad un’attività voluta e non incidentale per concludere con la lettera c) che, in ottemperanza principalmente a quanto individuato alla lettera a) subordina l’ attività di miscelazione alle migliori tecniche disponibili (BAT) come delineate dalla direttiva IPPC 2008/1/CE12.

 

La DGR Lombardia n. IX/3596

 

Prima di addentrarci nello specifico della delibera della giunta regionale Lombardia 6 giugno 2012, n. IX/359613 vorremmo tentare di definire il termine “miscelazione” che ad oggi non trova una accezione armonizzata a livello europeo né tantomeno una definizione nella direttiva di cui trattasi. A nostro modesto avviso, una miscela dovrebbe essere intesa come il risultato della combinazione14 di due o più rifiuti compatibili tra loro, senza reazione chimica, la cui separazione, non necessariamente fattibile, può essere eventualmente condotta solo attraverso metodi chimici e/o fisici non meccanici. Pertanto la miscelazione dovrebbe intendersi come il processo che origina la miscela. La compatibilità chimico-fisica deve essere garantita non tanto da congetture tabellari sulle caratteristiche di pericolosità ma da valutazioni caso per caso effettuate e certificate da chimici esperti del settore, né tantomeno si devono attribuire alla miscela le caratteristiche di pericolosità dovute alla somma delle caratteristiche di pericolosità dei singoli componenti (non avrebbe altrimenti senso effettuare l’analisi della miscela). Si ha reazione chimica quando partendo dalla combinazione di due o più sostanze contenute nei rifiuti ottengo una nuova sostanza o miscela diversa da quelle di partenza. Nella delibera de qua si definisce miscelazione la unione di due o più rifiuti aventi diverso CER o diverse caratteristiche di pericolosità, anche con sostanze o materiali, al fine di inviare la miscela ottenuta ad un diverso impianto di smaltimento o recupero. La miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose. Attenendosi a tale definizione ed al punto 2 ultimo paragrafo dell’allegato A alla delibera stessa, dovremmo considerare miscela, ad esempio, l’accorpamento di reagenti di laboratorio obsoleti in uno stesso imballaggio esterno. Infatti, rientriamo nella fattispecie di rifiuti aventi stesso CER (16 05 06*) ma di diverse caratteristiche di pericolosità con la conseguente codifica sotto una voce 19 xx xx (il codice è prerogativa del produttore), il che andrebbe a cozzare contro i principi statuiti negli artt. 177(4) e 178 del D.Lgs 3 aprile 2006, n. 152 o paradossalmente barattoli di colle (ad es. 08 04 09) e di vernici (ad es. 08 01 11) posti in contenitori separati non costituiscono (ovviamente) miscela mentre se imballati non sversati nello stesso collo costituirebbero miscela. Non poco rilevanti risultano le nuove disposizioni per quanto attiene la domanda di autorizzazione sia essa in deroga o meno e che riportiamo in nota15 per maggior chiarezza nella trattazione in itinere. Innanzitutto è da notarsi che, pur non essendo previsto dall’art. 187 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, la Regione Lombardia assoggetti ad autorizzazione anche quelle attività di miscelazione non in deroga ossia le miscele costituite da rifiuti non pericolosi e quelle tra rifiuti pericolosi caratterizzati da medesime caratteristiche di pericolosità. Inoltre, a nostro modesto avviso, ci pare improbabile poter fornire aprioristicamente le informazioni di cui alle lettere a), b) e d) ossia produrre in fase istruttoria informazioni quali i codici CER che andranno a costituire la miscela e le caratteristiche di pericolosità di ogni costituente senza ad esempio sottoporre il rifiuto ad analisi di caratterizzazione – non si può analizzare un rifiuto ipotetico - (forse per pascere l’autorità ci si dovrebbe avvalere di un algoritmo che dia tutte le migliaia di combinazioni possibili tra tutti i CER) senza contare l’aspetto commerciale ed di libero mercato a cui tanto appella il nostro governo. Infatti, tale costrizione impedirebbe l’acquisizioni di nuovi clienti e quindi nuove tipologie di rifiuti (alias codici CER e caratteristiche di pericolosità non contemplate nella prima domanda di autorizzazione). A tacere le richieste di cui alla lettera d) anch’essa precludente l’apertura a nuove soluzioni di trattamento che nel prosieguo dell’attività possono incontrarsi sia attraverso il processo evolutivo delle BAT sia attraverso il progresso scientifico e tecnologico, il tutto appesantito dal gravame portato dal modello di cui all’allegato C alla delibera in parola. Addirittura ed in aggiunta, per le miscelazioni in deroga, alla lettera b) si prevede la redazione di una relazione che assicuri la conformità alle BAT ai sensi del disposto di cui all’art. 183, c. 1 lettera nn) del D.Lgs n. 152/2006 che rimandando ad altri articoli non fissa esso stesso i criteri di soddisfacimento della norma. Tuttavia, a livello europeo, seppure con connotazione del tutto generale, si è stabilito che un processo di miscelazione è da evitarsi se tale processo o trattamento porta i costituenti da miscelare ad un livello qualitativo inferiore a quello desiderabile e che pertanto in tale evenienza non si possa parlare di BAT16. Venendo alle prescrizioni relative alla miscelazione dei rifiuti adottate dalla regione Lombardia, l’artifizio del registro e della scheda miscelazione complicano anziché semplificare l’attività di gestione della miscelazione. L’efficacia di tale disposizione, a nostro modesto avviso, è discutibile e probabilmente stimolerà la fantasia di certi operatori del settore (dei soliti noti) più che garantire la trasparenza delle operazioni eseguite appesantendo per contro la già articolata gestione di chi correttamente rispetta la norma. Di conseguenza, la rispondenza tra quanto verrà dichiarato in tali documenti e quanto in realtà contenuto nella miscela sarà tutta da dimostrare relegando l’utilità di tale disposto alla mera flagranza di reato, forse unico strumento per dimostrare in vigilando la colpevolezza del controllato.

Spostandoci al punto XII dalla lista di cui al paragrafo 4 della delibera, viene imposta la idoneità a monte dei costituenti la miscela ossia l’accorpamento e miscelazione di rifiuti destinati a recupero possono essere fatti solo se i singoli rifiuti posseggono già singolarmente le caratteristiche di idoneità per questo riutilizzo (termine quest’ultimo infelice e di tutt’altro significato). Tuttavia, tale disposizione viene limitata solo al caso di miscele destinate ad operazioni di recupero con altresì possibilità di deroga (siamo il paese delle deroghe!) solo ove l’utilità della miscelazione sia adeguatamente motivata in ragione del trattamento finale e comunque mai nel caso in cui questo consista nell’operazione R10, sminuendo quindi la svolta normativa data dalla parte iniziale del paragrafo. Particolare nota meritano le spedizioni in miniera soprattutto in Germania in cui la diluizione è ammessa (solo per i metalli, non per il TOC) ma solo per tale destinazione. La regione sarebbe disposta a concedere siffatta deroga così strettamente legata alla diluizione?

Appare “oscura” la motivazione per cui l’operazione di smaltimento rimane esclusa da tale decisione con l’eccezione, già per altro prevista dalla legge, dei rifiuti destinati a deposito in discarica. Riteniamo che il corretto smaltimento non sia di priorità minoritaria rispetto alla tracciabilità ed al corretto recupero. Altresì, sostenere tout-court che la tracciabilità mi garantisca il corretto smaltimento è a dir poco riduttivo. Infatti, pur conoscendo la genesi/storia e la destinazione finale di un dato rifiuto non posso essere certo di una corretta gestione dello stesso! In generale, chiunque miscela deve assicurare che i singoli componenti la miscela siano comunque conferibili all’impianto in cui viene conferita la miscela stessa, indipendentemente dall’operazione a cui verrà sottoposta sia di recupero o smaltimento. In questo modo si da senso alla miscelazione il cui scopo primario è quello di ridurre il volume dei rifiuti, di renderli più facilmente trasportabili, di omogeneizzarli per una più facile gestione etc. E’ importante sottolineare che l’azione di idoneità del singolo componente deve essere primaria e non come spesso avviene accessoria vedi costi di smaltimento presso l’impianto finale minori e/o diluizioni atte a rientrare “più o meno” nei limiti di accettabilità di un dato impianto. Così facendo, si evitano anche le problematiche di rigetto della spedizione (anche dall’estero) con tutte le conseguenze del caso (intervento delle autorità preposte, indagini etc.). Infatti, la miscelazione a scopo lucrativo e di diluizione spesso cela problematiche come l’insorgenza di hot-spots all’interno della miscela stessa. Esemplificando: supponiamo di avere 2 rifiuti A e B e di miscelarli. A contiene il 4% di zolfo mentre B l’ 1%. A pesa 5 t mentre B 20 t. Otterrò una miscela con lo zolfo all’ 1,6%. Ci sono 2 impianti: un cementificio con limite di accettabilità per lo zolfo del 2% ed un forno a tamburo rotante senza limitazioni sullo zolfo. Ho diluito, però conferendo la miscela al cementificio sottopongo i rifiuti ad un’operazione solo e meramente per rientrare nei limiti e strappare un prezzo migliore (primario a scopo lucrativo) rischiando che ci siano degli hot-spots per i quali potrei avere un respinto. Mentre nell’altro impianto la diluizione diventa accessoria poiché i componenti sarebbero comunque conferibili singolarmente e quand’anche vi fossero degli hot-spots l’unica conseguenza sarebbe un costo aggiuntivo. Quindi la preparazione della miscela può rientrare nelle logiche di economicità senza però infirmare i principi di salvaguardia ambientale e della salute umana conseguenti alla scelta di un impianto “economico” ma con vincoli prescrittivi nelle modalità di esercizio (ad es. parametri in ingresso). E i danni all’ambiente e alla salute umana causati dagli hot-spots? Nel primo caso spesso gravi ed a volte irrimediabili (si pensi alle emissioni in atmosfera) nel secondo nessuno in quanto, come da autorizzazione, l’impianto può trattare fino al 100% di zolfo! Quindi, subordinare l’utilità della miscelazione al mero fine economico, oltre a litigare con gli obiettivi sanciti nella direttiva di cui trattasi ed in particolare con il principio secondo cui i rifiuti sono raccolti separatamente, laddove ciò sia realizzabile dal punto di vista tecnico, economico e ambientale, e non sono miscelati con altri rifiuti o altri materiali aventi proprietà diverse, significa legalizzare la diluizione finalizzandoli ad interessi di tipo privatistico e non collettivistico a cui invece la norma mira con la salvaguardia della salute umana e dell’ambiente. Come abbiamo visto in precedenza, trattamenti chimico-fisici, di stabilizzazione, di inertizzazione etc. afferenti all’operazione D9 non sono da considerarsi miscelazione in quanto lo scopo del trattamento non è la miscela ma un processo appunto chimico-fisico e la miscelazione ne è mera conseguenza. Tuttavia, si ritiene che il legislatore dovrebbe mettere fine a una pratica consolidata che vede l’utilizzo di questi trattamenti quale espediente primario per poter rendere idonee certe tipologie di rifiuti ad esempio al conferimento in miniera vedasi la diluizione del carico di TOC per il conferimento in miniera (limite del 6%). Tutti sappiamo che la carica organica non può essere ridotta, se non per diluizione, con trattamenti quali l’aggiunta di calce o cemento ma solo attraverso processi termici. E’ quindi palese che se l’operazione D9 non è miscelazione non è neppure diluizione (art. 187 del D.Lgs 3 aprile 2006, n. 152) e quindi non deve perseguire con primo fine la riduzione di parametri (TOC, DOC etc.) per cui non è concepito il trattamento stesso (vedi invece la stabilizzazione dei metalli pesanti). Sarebbe opportuno che il legislatore mettesse fine a questa consueta pratica delinquenziale imponendo l’idoneità ex ante dei rifiuti per i parametri per cui non è finalizzato il trattamento a cui verranno sottoposti. Inoltre, guardando sotto una prospettiva di più ampio respiro l’art. 184 del D.Lgs 3 aprile 2006, n. 152 e sotto un profilo strettamente giuridico, la declassificazione ottenuta mediante miscelazione ovvero diluizione non può incontrarsi solo nel codice a specchio non pericoloso (ammesso che ci sia) ma deve essere riconducibile anche ai casi in cui il produttore, pur non cambiando il codice CER (da pericoloso a non pericoloso se ricorre il caso) per non destare sospetti, volutamente diluisce tramite miscelazione al solo scopo di rendere idoneo il rifiuto al dato impianto. Per quanto attiene alle spedizioni transfrontaliere17 di rifiuti, negli ultimi anni abbiamo assistito ad un irrigidimento dell’interpretazione della norma da parte delle autorità competenti degli altri paesi, probabilmente anche grazie a molti operatori italiani che, vedendo l’esportazione intra- ed extra-comunitaria anche come beneficio per eludere i controlli e la tracciabilità stessa, hanno causato innumerevoli problemi agli impianti finali a volte con conseguente rigetto della spedizione. Ne è esempio la repubblica federale tedesca che impone per le miscele destinate al conferimento in discarica la idoneità dei singoli componenti la miscela (come del resto in Italia) persino (ed inspiegabilmente) se proveniente da stabilizzazione (D9) rendendo de facto detto trattamento inutile!

Il punto XVI sembra mettere fine ai meandri creati dai vari trasferimenti di miscele tra impianti intermedi e di ciò se ne da atto, peccato per quel salvo il conferimento della miscela ad impianti autorizzati alle operazioni D15, D14, D13, R13, R12, solo se strettamente collegati ad un impianto di smaltimento/recupero definitivo. Per impianto strettamente collegato si intende un impianto dal quale, per motivi tecnico/commerciali, devono obbligatoriamente transitare i rifiuti (senza peraltro operare ulteriori miscelazioni tra rifiuti) perché gli stessi possano accedere all’impianto di recupero/smaltimento finale che prelude alle più disparate interpretazioni e che consentirà di aggirare la norma. Infatti, appare inverosimile il dover sottoporre una miscela ad un trattamento ulteriore ed obbligatorio per motivi tecnico/commerciali in impianto strettamente collegato. Quindi, se per ragioni tecnico/commerciali avessi necessità di “ritrattare” la miscela potrei inviarla dall’Italia all’Austria e successivamente all’impianto strettamente collegato a quello austriaco ma situato in Ungheria alla faccia della tracciabilità!

Non si comprende il quia del divieto (paragrafo 7 punto XVIII) alla miscelazione di POPs di cui al regolamento del 29 aprile 2004, n. 850 (come emendato) per concentrazioni eccedenti i limiti riportati in tabella IV, limiti che andrebbero imposti guardando piuttosto all’esposizione degli operatori nei luoghi di lavoro ed in considerazione di un corretto confezionamento/etichettatura ai fini del trasporto (ADR 2011).

 

Conclusioni

 

Da quanto sopra esposto si evince che la miscelazione è concettualmente opposta al recupero, infatti essa deriva dall’impossibilità al recupero delle differenti frazioni che andranno a comporre la miscela stessa. Poca attenzione si è prestata nel considerare le spedizioni transfrontaliere di rifiuti le quali ammettono ad esempio le spedizioni ad impianti intermedi e non è affatto chiaro il ruolo e l’allocazione della scheda di miscelazione in tali spedizioni tant’è che non è possibile imporre una disposizione regionale ad un regolamento europeo (si ricorda la posizione assunta dalla commissione europea nei confronti del sistema di tracciabilità SISTRI nelle spedizione transfrontaliere). La miscelazione rimane comunque un trattamento indispensabile soprattutto per certune tipologie di impianti come ad esempio quelli di incenerimento o valorizzazione energetica in cui, attraverso il sistema di alimentazione al forno, i rifiuti presenti nel bunker vengono miscelati in modo tale da ottimizzare la combustione ed ottenere così maggiori rese energetiche e minori residui da smaltire/recuperare18.

Rimaniamo ansiosamente in attesa delle disposizioni che verranno predisposte dalle altre regioni invocando ed auspicando un sistema armonizzato che stabilisca regole comuni per tutti gli operatori.

1 sia concesso citare per altre prospettazioni il Nuovo Manuale di diritto e gestione dell’ambiente, Rimini, 2012 edito da Maggioli (a cura di A. PIEROBON) e l’articolo dello scrivente: Il clientelismo nell'attribuzione della caratteristica di pericolosità H14.

2 Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che i rifiuti pericolosi non siano miscelati con altre categorie di rifiuti pericolosi o con altri rifiuti, sostanze o materiali. La miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose.

3 2. In deroga al paragrafo 1, gli Stati membri possono permettere la miscelazione a condizione che:

a) l’operazione di miscelazione sia effettuata da un ente o da un’impresa che ha ottenuto un’autorizzazione a norma dell’articolo 23;

b) le disposizioni dell’articolo 13 siano ottemperate e l’impatto negativo della gestione dei rifiuti sulla salute umana e sull’ambiente non risulti accresciuto; e

c) l’operazione di miscelazione sia conforme alle migliori tecniche disponibili.

4 art. 208, autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti

5 art. 209, rinnovo delle autorizzazioni alle imprese in possesso di certificazione ambientale

6 art. 211, autorizzazione di impianti di ricerca e di sperimentazione

7 in inglese “Blending or mixing prior to submission to any of the operations numbered D 1 to D 12”, in spagnolo “Combinación o mezcla previa a cualquiera de las operaciones numeradas de D 1 a D 12”, in francese “Regroupement ou mélange préalablement à l'une des opérations numérotées D 1 à D 12”, in portoghese “Mistura anterior à execução de uma das operações enumeradas de D 1 a D 12” e così via.

8 linee guida afferenti alla direttiva 2008/98/CE che come tali non sono cogenti ma di opinabile condivisione.

9 in realtà il decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205 “miscela” gli artt. 18(1) e 18(2) perdendo solo il termine “categorie”.

10 art. 15(1) D.Lgs 3 dicembre 2010, n. 205 …”la miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose”.

11 I rifiuti sono gestiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente e, in particolare:

a) senza determinare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo, nonché per la fauna e la flora;

b) senza causare inconvenienti da rumori o odori;

c) senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse, tutelati in base alla normativa vigente.

12 La direttiva 2008/1/CE verrà abrogata a decorrere dal 7 gennaio 2014 dalla direttiva 2010/75/UE.

13 D.G.R. Lombardia del 6 giugno 2012, n. IX/3596 pubblicata su S.O. n. 24 – mercoledì 13 giugno 2012.

14 il termine unione utilizzato nella delibera, a nostro modesto parere, dovrebbe essere meglio specificato per non incorrere nelle fattispecie portate di seguito a titolo esemplificativo. Si ritiene che l’unione dovrebbe essere definita “intima unione” nell’accezione di “elementi non disgiungibili per semplice procedimento meccanico” (ad esempio separazione manuale etc.).

15 3.1 – Miscelazione non in deroga

I soggetti interessati dovranno indicare nella domanda di autorizzazione:

a) denominazione della miscela, i CER (rifiuti di partenza) e le sostanze o i materiali che la compongono;

b) le caratteristiche di pericolosità (classi H) dei rifiuti e delle sostanze o materiali che compongono ogni singola miscela;

c) un Piano di Gestione Operativa che descriva attrezzature, impianti e modalità operative che si intendono utilizzare in funzione dei tipi di miscelazione;

d) descrizione dei possibili processi produttivi e/o delle tipologie impiantistiche di recupero/smaltimento cui sarà destinata la miscela;

e) modalità di deposito temporaneo o di stoccaggio autorizzato delle miscele ottenute;

f) la potenzialità (t/die e t/anno) richiesta per l’operazione di miscelazione R12/D13 da autorizzare come segue:

1. impianti già autorizzati alla miscelazione (adeguata o meno alla dgr 8571/08):

1.a potenzialità di miscelazione R12 e/o D13 da ricomprendersi all’interno della capacità di trattamento complessiva già autorizzata all’impianto;

2.a potenzialità di miscelazione R12 e/o D13 da autorizzarsi al di fuori della capacità di trattamento complessiva già autorizzata all’impianto; tale potenzialità dovrà essere richiesta e calcolata dalla ditta sulla base dei quantitativi effettivamente miscelati nell’impianto negli anni precedenti e dovrà essere autorizzata limitatamente alle operazioni di miscelazioni e senza sommarsi alla capacità di trattamento complessiva, già autorizzata all’impianto;

2. nuovi impianti o impianti non autorizzati alla miscelazione: potenzialità di miscelazione R12 e/o D13 da autorizzarsi ex novo, con assoggettamento alla normativa in materia di V.I.A. nei casi dalla stessa previsti.

I dati di cui ai precedenti punti a), b) ed d) dovranno essere presentati anche secondo il modello riportato nell’allegato C.

3.2 – Miscelazione in deroga

Le operazioni di miscelazione dei rifiuti anche con altre sostanze o materiali, effettuate ai sensi del 2° comma dell’art. 187 del d.lgs. 152/06 e s.m.i., possono essere autorizzate, in deroga al divieto generale, con la finalità di rendere più sicuri le successive operazioni di recupero o smaltimento e a condizione che:

a) sia dimostrato il rispetto delle condizioni di cui all’art. 177, comma 4 del d.lgs. 152/06 e s.m.i.,e l’impatto negativo della gestione dei rifiuti sulla salute umana e sull’ambiente non risulti accresciuto;

b) l’operazione di miscelazione sia effettuata da un ente o da un’impresa che ha ottenuto un’autorizzazione ai sensi degli art. 208, 209 e 211 del d.lgs. 152/06 e s.m.i.;

c) sia dimostrato che l’operazione di miscelazione è conforme alle migliori tecniche disponibili di cui all’art. 183, c.1, lettera nn).

Il rilascio dell’autorizzazione all’effettuazione di miscelazioni in deroga è subordinata alla presentazione all’ente competente di una specifica domanda da parte del soggetto titolato.

La domanda di autorizzazione alla miscelazione in deroga dovrà comprendere una relazione dettagliata, da cui risultino:

a) il conseguimento degli effettivi e dimostrati miglioramenti nella sicurezza del processo complessivo di smaltimento o recupero, nel rispetto dell’art. 177, comma 4, ed il non accresciuto impatto negativo sull’ambiente e sulla salute umana ed in particolare:

1. devono essere predisposte valutazioni in funzione del trattamento finale a cui sarà sottoposta la miscela, con riferimento al procedimento specifico, ai limiti di accettabilità del trattamento, agli inquinanti eventualmente abbattuti in riferimento a quelli presenti nei rifiuti costituenti la miscela;

2. devono essere indicate le caratteristiche chimico-fisiche dei singoli rifiuti che si intendono miscelare;

b) descrizione dei possibili processi produttivi e/o delle tipologie impiantistiche di recupero/smaltimento cui sarà destinata la miscela;

b) la conformità delle operazioni di miscelazione alle migliori tecniche disponibili di cui all’art. 183, c.1, lettera nn) e che l’impatto negativo della gestione dei rifiuti sulla salute umana e sull’ambiente non risulti accresciuto;

c) la descrizione dettagliata dell’organizzazione delle procedure gestionali adottate dalla ditta per consentire l’identificazione della provenienza, della classificazione e della destinazione di ogni carico di rifiuto conferito ed avviato alla miscelazione;

d) denominazione della miscela, i CER (rifiuti di partenza) e le sostanze o i materiali che la compongono;

e) le caratteristiche chimico-fisiche dei singoli rifiuti e delle sostanze o materiali che si intendono miscelare;

f) le caratteristiche di pericolosità (classi H) dei rifiuti e delle sostanze o materiali che compongono ogni singola miscela;

g) le attrezzature, gli impianti e le modalità operative;

h) le prove di miscelabilità da effettuarsi con la relativa durata;

i) modalità di deposito temporaneo o di stoccaggio autorizzato delle miscele ottenute;

j) la potenzialità (t/die e t/anno) richiesta per l’operazione di miscelazione R12/D13 da autorizzare come segue:

1. impianti già autorizzati alla miscelazione (adeguata o meno alla dgr 8571/08):

1.a potenzialità di miscelazione R12 e/o D13 da ricomprendersi all’interno della capacità di trattamento complessiva già autorizzata all’impianto;

2.a potenzialità di miscelazione R12 e/o D13 da autorizzarsi al di fuori della capacità di trattamento complessiva già autorizzata all’impianto; tale potenzialità dovrà essere richiesta e calcolata dalla ditta sulla base dei quantitativi effettivamente miscelati nell’impianto negli anni precedenti e dovrà essere autorizzata limitatamente alle operazioni di miscelazioni e senza sommarsi alla capacità di trattamento complessiva, già autorizzata all’impianto;

2. nuovi impianti o impianti non autorizzati alla miscelazione: potenzialità di miscelazione R12 e/o D13 da autorizzarsi ex novo, con assoggettamento alla normativa in materia di V.I.A. nei casi dalla stessa previsti.

I dati di cui ai precedenti punti b), d) ed f) devono essere presentati anche secondo il modello riportato nell’allegato C.

16 una trattazione esaustiva esiste per la miscelazione negli impianti di incenerimento e la si ritrova nel corrispondente documento BREF (si veda innanzi nelle conclusioni).

17 si rimanda anche a A. PIEROBON, miscele plastiche e spedizione transfrontaliera verso Paesi non OCSE per una trattazione specifica sulle materie plastiche in www.pierobon.eu.

18 si veda il documento BREF relativo agli impianti di incenerimento: http://eippcb.jrc.es/reference/BREF/wi_bref_0806.pdf