Consiglio di Stato, Sez. V, n. 3349, del 7 luglio 2015
Rifiuti.Legittimità divieto di prosecuzione dell'attività di recupero rifiuti non pericolosi - ripristino ambientale

E’ illegittima la prosecuzione dell’attività di trattamento dei materiali sulla scorta della sola comunicazione alla Provincia, secondo la modalità R5 di riciclaggio e recupero, in quanto “materiale giacente che avrebbe superato il test di cessione”, come tale non più classificabile rifiuto e quindi liberamente stoccabile, per attuare il programma di utilizzazione attraverso il ripristino ambientale (in modalità R10) delle scorie di fusione giacenti nella cava. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 03349/2015REG.PROV.COLL.

N. 10083/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10083 del 2014, proposto da: 
Provincia di Salerno, in persona del presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Angelo Casella, Marina Tosini, con domicilio eletto presso Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro 13; 

contro

Ico Inerti Srl, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv. Andrea Di Nunno, Giannicola Galotto, con domicilio eletto presso Giuseppe Placidi in Roma, Via Cosseria 2;
Comune di Battipaglia, Settore Prov. le del Genio Civile di Salerno;
Arpac, rappresentato e difeso dall'avv. Lucia Ruggiero, con domicilio eletto presso Regione Campania Ufficio di Rappresentanza in Roma, Via Poli, 29; 

nei confronti di

Regione Campania, in nome del presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Maria Imparato, con domicilio eletto presso Regione Campania Ufficio di Rappresentanza in Roma, Via Poli, 29; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - sez. staccata di Salerno, sezione II n. 01308/2014, resa tra le parti, concernente divieto di prosecuzione dell'attività di recupero rifiuti non pericolosi - ripristino ambientale

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ico Inerti Srl e di Arpac e di Regione Campania;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 giugno 2015 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti gli avvocati Lorenzo Lentini in dichiarata sostituzione dell'avvocato Marina Tosini, Andrea Di Nunno, Lucia Ruggiero, Angelo Marzocchella su delega dell'avvocato Maria Imparato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con ricorso notificato il 18.01.2013 I.Co Inerti s.r.l., autorizzata presso il sito denominato “Serroni” nel comune di Battipaglia alle attività di riciclaggio e recupero di sostanze inorganiche non pericolose in procedura semplificata del sito di cava (in modalità R 5) ai sensi dell’Allegato C d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, ha impugnato gli atti interdittivi adottati dalla Provincia di Salerno.

Premetteva in narrativa, lamentando sul piano formale la violazione delle norme sulla partecipazione al procedimento amministrativo, che il materiale rinvenuto nel sito non sarebbe affatto ascrivibile a rifiuto, tecnicamente inteso, dovendosi invece considerare come liberamente stoccabile, utilizzabile e commerciabile. Né in contrario deporrebbero gli accertamenti tecnici sulla natura del materiale reperito all’interno dell’insediamento produttivo illegittimamente effettuati dall’ARPAC.

Si costituivano in giudizio la provincia di Salerno, l’Arpac, il Sindaco di Battipaglia, in qualità di ufficiale di Governo, contestando la qualificazione del materiale reperito nella cava come materia prima secondaria, liberamente stoccabile.

Con motivi aggiunti, la ricorrente ha impugnato, richiamando nella sostanza le medesime censure già dedotte nell’atto introduttivo, il provvedimento sopravvenuto in corso di causa, adottato dal Commissario straordinario del comune di Battipaglia, di sospensione ad horas dell’attività di recupero rifiuti in regime di procedura semplificata.

Il TAR Campania-Salerno, sez. II, accoglieva la domanda incidentale di tutela cautelare, e, definendo il merito, respingeva l’eccezione preliminare d’inammissibilità per omessa tempestiva impugnazione della diffida al ripristino delle condizioni dell’iscrizione nel registro delle imprese esercenti le attività di recupero e degli atti conseguenti, perché qualificati come atti infraprocedimentali. Riteneva invece l’atto di cancellazione dal registro inibitorio dell’attività – oggetto d’impugnazione – autonomamente lesivo, ed accoglieva il ricorso, ed i motivi aggiunti, sul rilievo che il materiale stoccato dovesse essere ritenuto materia prima secondaria, ex se utilizzabile e commerciabile.

Avverso la sentenza propone appello la provincia di Salerno. All’appello si è associata la regione Campania. L’Arpac, costituendosi in giudizio, ha chiesto l’estromissione dal giudizio medesimo. Resiste la società appellata con atto di costituzione e memoria.

Alla pubblica udienza dell’11.06.2015 la causa, su richiesta della parti, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

In limine va respinta la richiesta d’estromissione dal giudizio formulata da ARPAC.

La questione sostanziale dedotta in giudizio s’incentra infatti sulla qualificazione del materiale reperito all’interno dell’insediamento produttivo della società appellata la cui risoluzione presuppone l’acquisizione in giudizio dei dati tecnico-analitici assunti dall’ARPAC, già oggetto di specifica contestazione con ricorso contenente motivi aggiunti la cui legittimità – con argomenti di segno opposto – è specificamente dedotta in appello dalla provincia (di seguito,ex professo).

Col primo motivo d’appello la Provincia lamenta la plurima e concorrente violazione degli artt. 184 ter e 216 d.lgs. 152/2006, come successivamente modificato e integrato, per avere il Tar disatteso le prescrizioni contenute nell’autorizzazione semplificata – in forza della quale l’impresa esercita l’attività – laddove imponevano che il ciclo di recupero delle terre di fonderia e delle scorie di fusione (in modalità R5) si sarebbe dovuto necessariamente articolare, in una prima fase, nel riciclaggio, e, successivamente in quella conclusiva, nella preparazione per il riutilizzo come prodotto finale: ossia in massicciate ferroviarie, rilevati e sottofondi stradali.

Il Tar, con la sentenza appellata, si sarebbe incentrato esclusivamente sulla cessazione della qualifica di rifiuto conseguente al superamento del c.d. test di cessione in conformità ai criteri da stabilirsi dal Ministero dell’Ambiente richiamati dall’art. 184 ter d.lgs. 152/2006, trascurando, ribadisce l’amministrazione appellante, il contenuto specifico dell’autorizzazione in forma semplificata che, rilasciata ai sensi dell’art. 216 d.lgs. cit, prescriveva invece il recupero del materiale pronto “al suo riutilizzo”.

Il motivo d’appello è fondato.

Va premessa la sintetica ricostruzione diacronica dei fatti di causa.

I responsabili della società appellata, gestrice della cava ricompresa nel compendio industriale sito in località Serroni del comune di Battipaglia, sono stati in passato destinatari di provvedimenti sanzionatori e di chiusura dell’attività, sfociati in procedimenti penali per gestione illecita dei rifiuti sul suolo.

Successivamente,la società, pur non essendo in possesso dell’autorizzazione regionale – benché vi abbia comunque dato inizio – per attuare il programma di utilizzazione attraverso il ripristino ambientale (in modalità R10) delle scorie di fusione giacenti nella cava, ha proseguito l’attività di trattamento dei materiali sulla scorta della (sola) comunicazione alla Provincia, secondo la modalità R5 di riciclaggio e recupero, in quanto “materiale giacente che avrebbe superato il test di cessione”, come tale non più classificabile rifiuto, e quindi liberamente stoccabile.

La cornice dei fatti sinteticamente tracciata, entro cui si colloca la vicenda dedotta in causa, evidenzia che la società appellata, per poter continuare ad esercitare l’attività nella cava, s’è avvalsa di una specifica autorizzazione c.d. semplificata, subordinata ai sensi del d.m. 5.02.1998, richiamato con rinvio materiale ricettizio dal 3°comma dell’art. 184 ter d.lgs. cit., alla “previa verifica, successiva lavorazione e definitiva trasformazione del prodotto o del materiale stoccato”.

A sua volta, il decreto ministeriale, quanto al materiale non effettivamente utilizzato al consumo o al ciclo produttivo, rinvia al regime dei rifiuti, disponendo – a contrario – che esula dall’autorizzazione semplificata l’attività di stoccaggio del materiale non direttamente ed ex se immediatamente utilizzato per “scopi specifici”, di cui al 1° comma lett. a) art. 184 ter d.lgs. cit.: vale a dire – nel dettaglio dei fatti di causa alla stregua di quanto prescritto al punto 4.4.3, lett. e) come riprodotto nel titolo emesso dalla Provincia – per la “formazione di rilevati, sottofondi stradali e massicciate”.

Utilizzo necessario alla stregua altresì del comma 7 dell’art. 216 d.lg.s cit. che prescrive, quale condizione d’efficacia dell’autorizzazione, l’effettivo recupero del materiale.

Sicché il materiale sottoposto al solo test di cessione, non immediatamente utilizzabile per gli scopi specifici prescritti dall’autorizzazione, come prodotto finale, dovendo comunque essere reimpiegato in un ulteriore ciclo di trasformazione per poter essere definitivamente avviato al mercato e utilizzato, è e continua ad essere, ai sensi della normativa qui applicabile, rifiuto.

Con la conseguenza che il suo accumulo sul suolo integra a tutti gli effetti stoccaggio non autorizzato di rifiuti, la cui autorizzazione – va sottolineato – la Regione aveva a suo tempo espressamente negato per mancanza dei requisiti necessari in capo alla società.

Va da sé che la disciplina in vigore appena richiamata relativa al regime d’autorizzazione semplificato, derogatorio di quello ordinario, non è suscettibile di essere interpretata alla stregua d’indefiniti criteri logico-sistematici che di fatto di ne bypassano il contenuto precettivo.

Quale, nel caso in esame, l’indirizzo ermeneutico, proposto dalla società appellata, che scinde il contenuto – e quindi l’efficacia – dell’art. 184 ter d.lgs. 152/2006: il 2° comma, a differenza del 3°comma, letto in combinato disposto con il d.m. 5.02.1998, consentirebbe in thesy di circoscrivere l’operazione di recupero alla sola verifica della sussistenza dei requisiti del reimpiego del materiale stoccato, senza affatto prescrivere il completamento del ciclo di trasformazione della materia nel prodotto finito per il suo immediato utilizzo nel mercato.

Tale prospettazione collide frontalmente con la norma complessivamente considerata.

La disposizione richiamata al comma 2 dell’art. 184 ter d.lgs. cit. fa infatti rinvio ad un regime giuridico di là da venire, ossia a quello successivo all’adozione dei decreti attuativi ancora in fieri: nelle more, come recita lapidariamente la norma, continua ad applicarsi il d.m. 5.02.1998 nella sua interezza.

Va invece respinta la censura proposta avverso l’accoglimento dei motivi aggiunti aventi ad oggetto l’ordine di sospensione dell’attività, emesso dal Commissario straordinario del comune di Battipaglia.

L’ARPAC, costituitasi in appello, ha sostanzialmente riconosciuto l’inadeguatezza delle indagini effettuate dagli organi ispettivi in sede di prelievo del materiale da sottoporre ad analisi, avallando il giudizio sull’ inattendibilità dell’esito delle analisi, fatto proprio dal TAR: le analisi del materiale stoccato nella cava che ha dato causa all’ordinanza di sospensione impugnata – come s’afferma testualmente nella memoria di costituzione dell’Agenzia – sono state effettuate indiscriminatamente sul materiale reperito nel sito, senza alcuna distinzione fra quello di riporto e quello del suolo.

Sicché l’ordinanza contingibile ed urgente di sospensione dell’attività che sulla scorta di tali analisi, effettuate su campioni irregolarmente prelevati, fonda la pericolosità per la salute e l’incolumità delle persona della materiale stoccato è, come già ritenuto dal Tar, illegittima.

Da ultimo, l’accoglimento del motivo d’appello, incentrato sul portato giuridico-sostanziale della disciplina normativa di riferimento, consente d’assorbire la pronuncia sul motivo che ribadisce l’eccezione preliminare, già dedotta in primo grado, d’inammissibilità del ricorso per omessa tempestiva impugnazione della diffida (d. maggio 2012) e della nota successiva (luglio 2012) adottati dalla Provincia nel corso del procedimento conclusosi con l’adozione del provvedimento interdittivo, oggetto di gravame.

La natura della controversia e la controvertibilità in fatto della vicenda dedotta in giudizio giustificano la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie limitatamente ai capi di sentenza aventi ad oggetto il ricorso principale, confermandola nel resto.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2015 con l'intervento dei magistrati:

Mario Luigi Torsello, Presidente

Carlo Saltelli, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere

Doris Durante, Consigliere

Oreste Mario Caputo, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 07/07/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)