Cass. Sez. III n. 11599 del 20 marzo 2024 (UP 6 mar 2024)
Pres. Ramacci Est. Galanti Ric. La Fauci
Rifiuti.Rinvenimento rifiuti smaltiti illecitamente da terzi
Commette il reato di gestione illecita di rifiuti di cui all’articolo 256, comma 1, d. lgs. 152/2006, colui che, rinvenuti rifiuti da altri abusivamente smaltiti o abbandonati, compia a sua volta attività di gestione degli stessi, quali la raccolta, lo stoccaggio, l’abbandono o lo smaltimento in assenza di autorizzazione.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 17/03/2023, la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Messina del 05/07/2022, nell’assolvere il La Fauci in relazione ai reati urbanistici connessi all’attività estrattiva di una cava di argilla azzurra (capi b, c e d), confermava la condanna per il reato di cui all’articolo 256 d. lgs. 152/2006 (Capo a), condannando il medesimo alla pena di mesi tre di arresto e 3.000 euro di multa, con pena sospesa.
2. Avverso la sentenza l’imputato propone ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo censura la mancata correlazione tra accusa e sentenza e violazione degli articoli 521, 522, 125 e 546 cod. proc. pen..
L’editto contestava al La Fauci lo svolgimento di attività di «raccolta» abusiva di rifiuti, laddove la sentenza di secondo grado parla di gestione di una «discarica abusiva» e di «ammasso» di rifiuti rinvenuti all’interno dell’immobile in cui avveniva la cavazione dell’argilla, interrati anni prima e rinvenuti nell’esercizio della cava.
Il fatto è quindi diverso da quello contestato.
2.2. con il secondo motivo, lamenta violazione dell’articolo 606, lettere b), c) ed e) cod. proc. pen., in riferimento alla dedotta mancanza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato.
Il giudice è vittima dell’enorme confusione fatta dai consulenti della Procura, che hanno confuso le aree di escavazione con altre attigue e confinanti alla cava che in passato erano utilizzate come discariche, che riguardavano però altri soggetti (come emerge dalla deposizione del teste assistito Saia).
La Corte di appello non ha valutato affatto né le consulenze tecniche né i documenti offerti sul punto dalla difesa, omettendo di rispondere alle precise censure formulate.
Né ha motivato in alcun modo in ordine alla consapevolezza del conferimento dei rifiuti precedenti da precedenti interramenti.
2.3. Con il terzo motivo censura l’illegalità della pena congiunta irrogata, laddove la norma incriminatrice prevede la pena alternativa dell’arresto e dell’ammenda.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato limitatamente al terzo motivo.
2. Il primo motivo è inammissibile.
All’imputato è contestata una generica violazione dell’articolo 256 d. lgs. 152/2006, senza indicazione del comma; nel testo dell’editto accusatorio si parla tuttavia di «raccolta» di rifiuti, ossia una forma di «gestione» degli stessi, riconducibile chiaramente al comma 1 della disposizione in parola.
Il concetto viene approfondito in sentenza, laddove si precisa (pag. 5) che «nello scavare l'argilla della cava, il La Fauci, quale titolare della ditta in atti indicata, ha in concreto rotto il fronte dei rifiuti ivi interrati egli ha poi ammassati in zona limitrofa, non curandosi di dare avviso alcuno, peraltro, alle competenti autorità per il loro stoccaggio e/o trasferimento in diverso sito, finendo col raccoglierli, riversarli e abbandonarli giacenti tutto intorno al fronte di cava (v. Foto in allegato e relazioni di P.G.)».
Precisa inoltre la sentenza che, avendo rinvenuto, durante lo scavo (autorizzato) per coltivare la cava di argilla, l’imputato, che aveva rinvenuto rifiuti previamente interrati abusivamente, «anziché procedere alla bonifica del sito e ad allertare le competenti autorità, abbia continuato imperterrito le attività di scavo, “ammassando” così i rifiuti ritrovati durante le stesse in zone interne alla stessa area di cava».
Conclude la sentenza per un’attività di «raccolta» ovvero di «deposito incontrollato» dei rifiuti, ossia delle forme di «gestione» di rifiuti indicate dalla norma sanzionatoria.
Questa Corte, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, ritiene (Sez. 3, n. 24932 del 10/02/2023, Gargano, Rv. 284846 - 04) che «per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, sicché l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione».
Si è anche rilevato che sussiste la violazione dell’obbligo di correlazione laddove «il fatto ritenuto nella decisione si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità, ovvero quando il capo d'imputazione non contenga l'indicazione degli elementi costitutivi del reato ritenuto in sentenza, né consenta di ricavarli in via induttiva, tenendo conto di tutte le risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione» (Sez. 2, n. 21089 del 29/03/2023, Saracino, Rv. 284713 - 02).
Il Collegio evidenzia come perfino la mancata indicazione degli articoli di legge violati è irrilevante quando il fatto addebitato sia puntualmente e dettagliatamente esposto, in modo tale che non possa insorgere alcun equivoco sul pieno esercizio del diritto di difesa (Sez. 3, n. 5469 del 5/12/2013 (dep. 2014), Russo, Rv. 258920 ed altre prec. conf.).
Nel caso di specie non vi è dubbio che l’imputato fosse ben consapevole che allo stesso fosse contestata una forma di «gestione» illecita di rifiuti di cui all’articolo 256, comma 1, d. lgs. 152/2006: la circostanza che si trattasse di “smaltimento” ovvero di “abbandono”, invece che di “raccolta”, come descritto in rubrica, non appare circostanza in grado di rappresentare quella immutatio libelli che concretizza una indebita immutatio libelli.
La doglianza del ricorrente è quindi manifestamente inondata.
2. Il secondo motivo è inammissibile in quanto articolato sulla base di rilievi meramente fattuali che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità, limitandosi il ricorrente a dedurre aspetti di puro merito, nelle parti in cui contesta le conclusioni della Corte di appello circa l’epoca e lo specifico luogo di ammasso dei rifiuti, attribuendo l’errore valutativo alla «confusione» dei consulenti tecnici.
Come noto, infatti, non spetta alla Corte di cassazione esprimere giudizi sullo spessore dimostrativo delle risultanze processuali trattandosi di una prerogativa attribuita, pleno iure, al giudice di merito, con la conseguenza che la verifica che la Corte di cassazione è abilitata a compiere sulla completezza e sulla correttezza della motivazione di una sentenza non deve essere confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito.
Deve ritenersi quindi preclusa alla Corte di cassazione «la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova» (così, di recente, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, dep. 2018, Colomberotto, Rv. 271702; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; da ultimo cfr. Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, dep. 2019, Battaglia, Rv. 275100, in motivazione), salvo il caso che ricorra il vizio di travisamento della prova, peraltro neppure dedotto dal ricorrente.
Il Collegio aggiunge che deve ritenersi corretta l’affermazione, contenuta in sentenza, secondo cui l’attività di gestione illecita sussiste anche nel caso di cui l’imputato ponga in essere attività di raccolta, deposito e ammasso di rifiuti abusivamente smaltiti da altri in precedenza.
Se, infatti, non può attribuirsi una condotta concorsuale nella gestione illecita a chi, rinvenuti dei rifiuti abusivamente smaltiti, ometta una attività di rimozione e bonifica (Sez. 3, n. 13606 del 08/02/2019, Liguori, n.m., secondo cui occorre la specificazione del contributo causale consapevolmente fornito dalle imputate all'illecita gestione effettuata da altri, non essendo sufficiente la semplice inerzia del proprietario), diverso è il caso di chi, rinvenuti i rifiuti, compia a sua volta attività di gestione degli stessi, quale quella contestata all’imputato.
Va quindi affermato il principio secondo cui commette il reato di gestione illecita di rifiuti di cui all’articolo 256, comma 1, d. lgs. 152/2006, colui che, rinvenuti rifiuti da altri abusivamente smaltiti o abbandonati, compia a sua volta attività di gestione degli stessi, quali la raccolta, lo stoccaggio, l’abbandono o lo smaltimento in assenza di autorizzazione.
Il motivo è quindi manifestamente infondato.
3. Il terzo motivo è fondato.
Ed infatti, per la gestione illecita di rifiuti non pericolosi, l’articolo 256, comma 1, lettera a), commina la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda (tale pena è richiamata anche in caso di abbandono o deposito incontrollato).
Pena congiunta è invece prevista in caso di gestione, deposito incontrollato o abbandono di rifiuti pericolosi (circostanza non contestata), ovvero in caso di discarica abusiva.
Tale ultima ipotesi sembra adombrata dalla Corte di appello, ma l’eventuale riqualificazione del fatto non è mai stata formalizzata, neppure nella motivazione, come visto in relazione al primo motivo, quindi si deve ritenere che la pena sia stata quantificata – erroneamente - sulla base della fattispecie di gestione illecita di rifiuti non pericolosi.
La non manifesta infondatezza del motivo, determinando l’instaurazione di un valido rapporto di impugnazione, determina l’obbligo per la Corte di verificare l’eventuale sussistenza di cause di estinzione del reato.
Nel caso in esame, il termine di prescrizione del reato, tenuto conto della sospensione di 334 giorni del termine di prescrizione, risulta decorso il 08/07/2023.
La sentenza va pertanto annullata senza rinvio essendo il reato estinto per intervenuta prescrizione del reato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso il 06/03/2024.