Cass. Sez. III n. 1583 del 16 gennaio 2020 (UP  30 ott 2019)
Pres. Izzo Est. Corbetta Ric. Italia
Rifiuti. Residui della produzione industriale originariamente classificati come rifiuti

In tema di gestione dei rifiuti, ove i residui della produzione industriale siano ab origine classificati da chi li produce come rifiuti, gli stessi devono ritenersi sottratti alla normativa derogatoria prevista per i sottoprodotti, in quanto la classificazione operata dal produttore esprime quella volontà di disfarsi degli stessi idonea a qualificarli come "rifiuti" in base all'art. 183, comma primo, lett. a) del citato D.Lgs.

RITENUTO IN FATTO


1. Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Torino condannava Antonino Francesco Italia alla pena di 4.000 euro di ammenda in relazione al reato di cui all’art. 256, comma 1, lett. a) d.lgs. n. 152 del 2006, per aver effettuato il trasporto di rifiuti non pericolosi (costituiti da scarti plastici provenienti dalla OMP srl) in assenza della prescritta autorizzazione.

2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per Cassazione, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 256, comma 1, lett. a) e 184-bis d.lgs. n. 152 del 2006. Assume il ricorrente che la motivazione sarebbe errata nella parte in cui ha ritenuto che il materiale plastico di cui al capo imputazione sia da qualificarsi come “rifiuto” anziché come “sottoprodotto”. Nel riprendere, riportandole testualmente nel corpo del ricorso, le cadenze argomentative della sentenza di questa Corte, Sez. 3, n. 40109/2015 - che, si sostiene, affronterebbe un caso sovrapponibile a quello in esame – secondo il ricorrente l’imputato agiva all’interno di un sistema chiuso, partecipando alla gestione degli sfridi per come prodotti dalla General Plastic srl, la quale, nell’ambito della propria normale pratica industriale, tritura tali sfridi e li reimmette nel ciclo produttivo per stampare paraurti per automobili; nondimeno, non potendo accatastare grandi volumi di sfridi presso i propri stabilimenti, la General Plasti esternalizza le operazioni di riduzione di volume, triturazione e riduzione in granuli alla SMP srl, la quale riconsegna gli sfridi, ridotti di volume, alla General Plastic, operazione a cui era preposto l’imputato, il quale, pertanto, trasportava materiale che sin dall’origine è da considerarsi “sottoprodotto” e, dunque, viaggia con documento di trasporto.
2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. in ordine alla definizione di rifiuto del materiale plastico in questione. Sostiene il ricorrente che la motivazione sarebbe contraddittoria e illogica nella parte in cui ha ritenuto che gli sfridi rappresentino uno scarto di produzione, e quindi un rifiuto, sebbene poi si sia affermato che gli sfridi, una volta ridotti in granuli da CMP, sono riconsegnati alla General Plastic, che nuovamente li utilizzava nella produzione. Il Tribunale, inoltre, ha omesso di considerare le risultanze desumibili dai documenti di trasporto, da cui emerge la natura e la tipologia della “plastica” prima e dopo  il passaggio in CMP. La motivazione sarebbe perciò illogica, laddove il Tribunale ha ravvisato il reato in esame, ritenendo non raggiunta la prova in ordine al riutilizzo integrale dei materiali provenienti da General Plastic, in quanto, in assenza di accertamenti sul materiale sequestrato e alla luce delle considerazioni svolte dal consulente di parte, l’imputato ha invece fornito la prova che egli trasportava il medesimo materiale che ritornava in General Plastic sotto forma di granulo, come emerge dai documenti di trasporto, che, appunto, attestano la natura e la quantità del materiale trasportato.

 
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I due motivi di ricorso, strettamente connessi e quindi esaminabili congiuntamente, sono infondati.

2. Va premesso – dato non contestato – che il 10/02/2016 personale dell’Arpa, presso l’azienda Effei srl, società rappresenta dall’Italia e avente ad oggetto il trasporto per conto terzi di merci (ma non di rifiuti, né tantomeno il loro trattamento), rinvenne una grande quantità di materiale dismesso di varia natura (scatole contenenti sfridi di plastica, materozze e parti di plastica per autovettura, sfridi di plastica già macinati, legno e imballaggi, una carcassa di un’autovettura) privo di etichettatura e detenuto alla rinfusa nel piazzale e nel magazzino della ditta. Nell’immediatezza, l’Italia non fu in grado di offrire alcuna documentazione, salvo poi consegnare alcuni DDT, dai quali però non si poteva individuare chiaramente non solo la natura, ma anche il riferimento al materiale detenuto, non corrispondendo le quantità indicate a quelle rivenute in loco, e la tracciabilità della provenienza, essendo detto materiale detenuto alla rinfusa e privo di etichettatura.

3. Orbene, la tesi sostenuta dal ricorrente, secondo cui gli sfridi sarebbero da classificarsi come sottoprodotto, non si confronta con un dato dirimente, ossia che sono stati classificati come scarto di lavorazione, come affermato dagli operanti e dal consulente della difesa; da ciò il Tribunale ha logicamente dedotto che gli sfridi non possono che reputarsi rifiuti, ovvero materiali non utili dei quali il produttore intende disfarsi.
Il Tribunale ha perciò fatto corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di gestione dei rifiuti, ove i residui della produzione industriale siano ab origine classificati da chi li produce come rifiuti, gli stessi devono ritenersi sottratti alla normativa derogatoria prevista per i sottoprodotti, in quanto la classificazione operata dal produttore esprime quella volontà di disfarsi degli stessi idonea a qualificarli come "rifiuti" in base all'art. 183, comma primo, lett. a) del citato D.Lgs. (Sez. 3, n. 32207 del 11/07/2007 - dep. 07/08/2007, Mantini, Rv. 237136: fattispecie nella quale un produttore di vetro e prodotti vetrari aveva classificato residui della produzione costituiti da ritagli di PVB, oggetto di transazione commerciale, con il codice C.E.R. 20.01.39 identificativo dei "rifiuti in plastica").

4. Va, in ogni caso, rammentato che l’art. 184-bis d.lgs. n. 152 del 2006, prevede cogenti condizioni, il cui concomitante rispetto sottrae una determinata sostanza o oggetto al regime dei rifiuti rendendo invece applicabile la disciplina prevista per i sottoprodotti; in particolare, occorre che siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni: “a)  la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; b)  è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; c)  la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; d)  l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana”.

5. Trattandosi di una disciplina avente natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria, essendo causa di esclusione di responsabilità penale, grava sull’imputato la prova circa la sussistenza delle condizioni appena indicate, che definiscono la categoria di sottoprodotto (cfr. Sez. 3, n. 56066 del 19/09/2017 - dep. 15/12/2017, Sacco e altro, Rv. 272428).

6. Nel caso in esame, il Tribunale ha comunque escluso la sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 184-bis d.lgs. n. 20, non essendo stata fornita la prova in ordine al riutilizzo integrale dei materiali provenienti di General Plastic e conferiti, tramite l’imputato, alla CMP, né l’esatto tipo di trattamento cui venivano sottoposti presso la CMP.  

7. Peraltro, la natura di sottoprodotto sarebbe stata agevolmente documentata anche e sopratutto sotto il profilo prettamente tecnico, involgendo, come è noto, le caratteristiche del ciclo di produzione, il successivo reimpiego, eventuali successivi trattamenti, la presenza di caratteristiche atte a soddisfare, per l'utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente e l'assenza di impatti complessivi negativi sull'ambiente o la salute umana. Ma di tale documentazione non vi è traccia nel ricorso e, prima ancora, nei dati probatori acquisiti nel corso dell’istruttoria dibattimentale. Né, ovviamente, ciò è desumibile dai DMT, pure allegati al ricorso ma in maniera non ordinata, in quanto, non solo non è stata accertata la corrispondenza dei detti documenti al materiale rinvenuto presso l’azienda, ma, ovviamente, essi non danno conto dei requisiti ora indicati, richiesti per la qualificazione di una sostanza come sottoprodotto.

8. Per i motivi indicati, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna de ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 30/10/2019.