Cass. Sez. III n. 1426 del 15 gennaio 2020 (UP  18 set 2019)
Pres. Lapalorcia Est. Ramacci Ric. Ferrari
Rifiuti.Pastazzo di agrumi e parziale utilizzazione come mangime

La qualificazione quale  rifiuto  del “pastazzo di agrumi” esposto senza alcun particolare accorgimento agli agenti atmosferici e soggetto, stante la sua composizione, a naturali processi di fermentazione, tali da consentire di escluderne una destinazione diversa dal mero abbandono, non viene meno neppure nel caso in cui una parte dello stesso venga utilizzata per cibare il bestiame


RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Messina, con sentenza del 23 maggio 2018, ha riformato la decisione emessa in data 1 giugno 2016 dal Tribunale di quella città ed appellata, tra gli altri, da Sebastiano FERRARI, che ha assolto, per insussistenza del fatto, dal reato di cui all'art. 6, comma 1, lett. d)  legge 210/2008, rideterminando la pena per la residua imputazione di cui al comma 1 lett. b) del medesimo articolo, attribuitagli quale affittuario di un terreno sul quale venivano riversati considerevoli quantitativi di “pastazzo” di agrumi che si ritenevano oggetto di abbandono o, comunque, di deposito incontrollato (fatti accertati in Francavilla di Sicilia, il 10 marzo 2011).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, osservando che nel dispositivo della sentenza impugnata non sarebbe chiaramente indicato se la determinazione della pena è riconducibile alla lettera b) del capo a) dell'imputazione e che la Corte territoriale avrebbe richiamato nella motivazione l'art. 184-bis d.lgs. 152/2006, mai in precedenza considerato nel giudizio di appello.

3. Con il secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, deducendo la mancanza di correlazione tra imputazione e sentenza, in quanto l'imputato sarebbe stato ritenuto responsabile di non aver conservato il “pastazzo” in apposite vasche di contenimento, condotta non evidenziata nel capo di imputazione.

4. Con il terzo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, osservando che nella dichiarazione dello stato di emergenza, effettuata con DPCM 9 luglio 2010, è stato fissato come termine finale il 31 dicembre 2012 e che il decreto legge 59/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 119/2013 ha successivamente modificato l'art. 5, legge 225/92 (posto alla base della dichiarazione dello stato di emergenza) inserendo il comma 1-bis, il quale prevede testualmente che la durata della dichiarazione dello stato di emergenza non può superare i 180 giorni ed è prorogabile per non più di ulteriori 180 giorni.
Ritenendo quindi l'efficacia retroattiva di tale disposizione, osserva che all'epoca in cui sono stati accertati i fatti per cui è processo il termine massimo fissato dalle richiamate disposizioni era spirato, sicché  non sarebbe stata più vigente la disciplina emergenziale applicata.

5. Con un quarto motivo di ricorso deduce di aver utilizzato il terreno per fini leciti e che la condotta posta in essere non avrebbe integrato alcuna delle condotte penalmente rilevanti punite dall'art. 6 della legge 210/2008, come sarebbe dimostrato dalle emergenze istruttorie, le quali evidenziano la natura di sottoprodotto del materiale, proveniente dalla lavorazione di agrumi e poi destinato ad alimentare gli animali da lui allevati.

6. Con un quinto motivo di ricorso rileva che, nelle more del presente giudizio, sarebbe spirato il termine massimo di prescrizione del reato.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.


CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso è inammissibile.

2. Occorre preliminarmente rilevare come nel giudizio di merito si sia accertato che sul terreno in affitto ed in uso al ricorrente era presente un consistente quantitativo di “pastazzo” di agrumi, ivi conferito previo acquisto da una società che lo cedeva quale scarto di produzione per destinarlo a mangime per gli animali allevati.
La Corte territoriale, attraverso l’analisi delle emergenze processuali, ha considerato la natura originaria di sottoprodotto del “pastazzo” rilevando, tuttavia, che le modalità con le quali lo stesso era stato rinvenuto consentivano di qualificarlo come rifiuto, applicando conseguentemente le relative sanzioni previste dalla disciplina emergenziale per l’abbandono o il deposito incontrollato ed assolvendo l’imputato per le condotte prodromiche al conferimento del materiale sull’area nella sua disponibilità.

3. Ciò premesso, va dunque rilevato che, diversamente da quanto, peraltro del tutto laconicamente, rilevato nel primo motivo di ricorso, nel dispositivo della sentenza impugnata è del tutto evidente che la rideterminazione della pena è stata effettuata dalla Corte territoriale, come peraltro chiarito in motivazione, per la residua imputazione di cui all’art. 6, comma 1, lett. b) legge 210\2008, stante l’intervenuta assoluzione dall’unica altra contestazione, relativa, come si è detto, alla lettera d) del primo comma del medesimo art. 6.
Anche il riferimento all’art. 184-bis d.lgs. 152\06 risulta del tutto coerente, avendo i giudici del gravame ampiamente motivato sulle ragioni per le quali il “pastazzo”, pur possedendo in astratto i requisiti per essere qualificato come sottoprodotto, non rispettava in concreto le prescrizioni di cui al menzionato art. 184-bis ed era, quindi, da qualificare quale rifiuto.
Il richiamo alla disposizione, pertanto, risulta del tutto pertinente nell’economia del complessivo discorso articolato dalla Corte di appello.

4. Altrettanto evidente risulta la insussistenza della violazione di legge lamentata nel secondo motivo di ricorso, non rilevandosi alcun difetto di correlazione tra imputazione e sentenza, poiché, anche in questo caso, il riferimento effettuato dalla Corte territoriale alle modalità possibili di conservazione del “pastazzo” sono inserite in un complessivo percorso motivazionale, segnatamente nella parte in cui i giudici del merito spiegano le ragioni per le quali il “pastazzo” - rinvenuto in grande quantità sul terreno, esposto agli agenti atmosferici e solo in parte mangiato dagli animali allevati dall’imputato, tanto da indurre i confinanti a richiedere l’intervento della polizia giudiziaria a causa degli odori provenienti dal terreno dell’imputato - doveva ritenersi un rifiuto abbandonato o, comunque, depositato in modo incontrollato.

5. Anche il terzo motivo di impugnazione risulta manifestamente infondato.
Come ricordato anche in ricorso, per la Sicilia lo stato di emergenza in materia di gestione dei rifiuti è stato dichiarato fino al 31 dicembre 2012, a norma dell'art. 5, comma 1 della L. 24 febbraio 1992, n. 225 e succ. modif., con D.P.C.M. 09/07/2010.
L’art. 5 è stato oggetto di plurimi interventi di modifica (da ultimo quello abrogativo ad opera del d.lgs. 2 gennaio 2018, n. 1) tra i quali quello ricordato (con errati riferimenti) dal ricorrente, mediante l’inserimento del comma 1-bis all’art. 5, dapprima con diverso contenuto (ad opera del d.l. 59/2013, convertito, con modificazioni nella legge 100/2012) e, successivamente (ad opera del d.l. 93/2013, convertito, con modificazioni,dalla legge 119/2013), nel contenuto riportato in ricorso, mantenuto fino alla successiva abrogazione.
La Corte territoriale ha rigettato l’eccezione prospettata nel giudizio di appello sul presupposto delle  caratteristiche delle disposizioni in esame in ragione di quanto disposto dall’art. 2, comma 5 cod. pen.
Va altresì rilevato che, in ogni caso, le richiamate disposizioni nulla dispongono in merito ai decreti già emanati in forza dell’art. 5, comma 1 l. 225/1992 prima delle modifiche apportate mediante l’inserimento del comma 1-bis, né prevedono alcuna conseguenza in caso di superamento del termine di durata dello stato di emergenza, risultando così evidente che dette modifiche non possono che operare per il futuro.

6. Anche il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Con articolata motivazione ed ampi richiami agli esiti dell’istruzione dibattimentale, la Corte del merito ha, come si è già detto, dato conto del fatto che il “pastazzo” rinvenuto sul terreno dell’imputato era esposto agli agenti atmosferici e depositato in modo incontrollato, tanto da provocare odori nauseabondi.
La Corte di appello ha anche indicato, sulla base di dati fattuali, le ragioni per le quali le quantità di  “pastazzo” presenti sul terreno erano sproporzionate rispetto ai capi di bestiame che se ne potevano cibare, come peraltro dimostrato dall’assenza di alcuna cautela per la conservazione.
I giudici del gravame hanno anche opportunamente richiamato il contenuto di una pronuncia di questa Corte (Sez. 3, n. 7163 del 12/01/2017, Lattari, non massimata) ove viene analizzato anche il contenuto dell’art. 41-quater del d.l. 69/2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 98/2013, il quale prevede l’emanazione di un decreto interministeriale contenente disposizioni che consentano la produzione, la commercializzazione e l'uso del pastazzo quale sottoprodotto della lavorazione degli agrumi ad uso agricolo e zootecnico, sottraendolo in modo definitivo alla disciplina dei rifiuti (decreto non ancora emanato, risultando, allo stato, la notificazione alla Commissione europea, il 13 febbraio 2019, di uno schema di regolamento con termine di differimento fissato al 14 maggio 2019).  
Nella citata pronuncia, richiamati i precedenti, viene ritenuta corretta la qualificazione quale  rifiuto  del “pastazzo” esposto senza alcun particolare accorgimento agli agenti atmosferici e soggetto, stante la sua composizione, a naturali processi di fermentazione, tali da consentire di escluderne una destinazione diversa dal mero abbandono, che non viene meno neppure nel caso in cui una parte dello stesso venga utilizzata per cibare il bestiame (negli stessi termini, Sez. 3, Sentenza n. 38364 del 27/6/2013, Beltipo, Rv. 256387).
A fronte di tali considerazioni il ricorrente oppone argomenti basati su dati fattuali non suscettibili di valutazione in questa sede di legittimità, formulando una lettura alternativa delle risultane istruttorie già adeguatamente considerate dal giudice dell’appello.

7. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità  consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00.
L'inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all'art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità (Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, Rv. 256463, Sez. 4, n. 18641 del 20/1/2004, Tricomi, Rv. 228349; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D. L, Rv. 217266).



P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 18/9/2019