Sez. 3, Sentenza n. 42212 del 29/09/2004 Cc. (dep. 28/10/2004 ) Rv. 230078
Presidente: Dell'Anno P. Estensore: Petti C. Relatore: Petti C. Imputato: De Flammineis. P.M. Consolo S. (Conf.)
(Qualifica appello il ricorso, Trib.Ries. Bari, 16 Febbraio 2004)
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Gestione dei rifiuti - Deposito temporaneo - Condizioni - Stoccaggio - Individuazione.

Nuova pagina 2

Massima (Fonte CED Cassazione)
In tema di gestione dei rifiuti, il raggruppamento degli stessi nel luogo di produzione non è soggetto ad autorizzazione ove contenuto nel limite temporale dell'anno ed in quelli quantitativi previsti dall'art. 6 del D.Lgs. n. 22 del 1997, integrando diversamente l'ipotesi di deposito incontrollato punito ex art. 51, comma secondo, del citato decreto n. 22; diversamente ove il deposito avvenga in luogo diverso da quello di produzione si configura uno stoccaggio solo se riguarda rifiuti destinati allo smaltimento o al recupero ex art. 6, comma primo lett. l), del decreto n. 22.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. DELL'ANNO Paolino - Presidente - del 29/09/2004
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - SENTENZA
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - N. 1114
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 17171/2004
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
società Mazzitelli, in persona del suo amministratore Alberto De Flammineis, nato a Marigliano l'11 gennaio 1951 e da quest'ultimo anche in proprio quale indagato;
avverso l'ordinanza del tribunale del riesame di Bari del 16 febbraio 2004;
udita la relazione del Consigliere Dott. Ciro Petti;
sentito il sostituto procuratore generale in persona del Dott. Consolo Santi, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
sentito il difensore avv. Gargano Raffaele: osserva quanto segue:
FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il 29 ottobre 2003, i carabinieri del N.O.E di Bari a seguito di un sopralluogo all'impianto di compostaggio, sito in agro di Molfetta e gestito dalla società Mazzitelli, la quale era stata autorizzata al trattamento ed allo smaltimento dei rifiuti urbani e dei fanghi derivanti da impianti di depurazione, sequestrarono tre aie perché sulle stesse erano stati accumulati ingenti quantitativi di rifiuti indifferenziati. Il P.M., rilevato che il sequestro preventivo era stato legittimamente eseguito, lo convalidò e, a seguito d'istanza di restituzione avanzata dalla società, chiese al GIP, non solo la conferma del provvedimento, ma anche il sequestro preventivo dell'intero impianto, essendo configurabili, sia i reati di cui all'articolo 51 D.leg.vo n. 22 del 1997, per avere l'indagato destinato aree poste all'interno dell'azienda a deposito e lavorazione di rifiuti indifferenziati senza autorizzazione nonché per avere depositato i rifiuti derivanti dal ciclo di trattamento, per il quale era stato autorizzato, senza rispettare il limite massimo di venti metri cubi previsto dall'articolo 6 lett. m) del citato decreto legislativo; sia quello di cui all'674 c.p., perché dalla illecita gestione di tali rifiuti erano derivate emissioni maleodoranti in atmosfera quale conseguenza di fenomeni di marcescenza ed autocombustione e comunque erano stati superati i limiti autorizzati dalla Regione.. Rigettata dal G.I.P. la richiesta di sequestro preventivo, il P.M. propose ricorso al Tribunale del riesame di Bari, il quale, accogliendo il ricorso, dispose il sequestro dell'intero impianto. Il collegio del riesame a sostegno della decisione osservò che dai verbali di sopralluogo e sequestro del 29 ottobre 2003 erano emerse le seguenti circostanze:
1) l'impianto era fermo e sulle e tre aree oggetto del sequestro ossia su quelle destinate alla maturazione e stoccaggio del compost si trovavano rifiuti vari indifferenziati (vetri, scarti di raffinazione, frammenti di plastica);
2) il manufatto temporaneo di ricezione indifferenziata non era stato realizzato ed in detta area erano stati accumulati rifiuti legnosi;
3) gli ingenti quantitativi di rifiuti, anche indifferenziati, ammassati all'aperto, erano in grado di produrre esalazioni moleste ed insetti ed il dirigente medico dell'ASL di BA/2, intervenuto nel corso del sopralluogo, aveva evidenziato che la situazione poteva definirsi a rischio sanitario; inoltre il ciclo produttivo non poteva essere completato perché le aree adibite a maturazione del compost erano occupate da rifiuti vari e non era possibile accumulare ulteriori sovvalli non esistendo all'interno dell'impianto aree a ciò autorizzate;
4) durante il sopralluogo, in prossimità di alcuni cumuli di rifiuti erano visibili fenomeni di autocombustione che sprigionavano fumo e gli inquirenti erano dovuti altresì intervenire per spegnere un principio di incendio sviluppatosi all'interno del capannone di raffinazione del prodotto maturo;nel corso dello stesso sopralluogo i carabinieri avevano sorpreso un camion con rimorchio dell'azienda municipalizzata della nettezza urbana di Molfetta scaricare rifiuti urbani indifferenziati in un piazzale retrostante l'insediamento. Sulla base di tali premesse il tribunale ritenne configurabili entrambe le ipotesi criminose. In particolare con riferimento al superamento dei limiti di cui all'articolo 6 lett. m) Decreto legislativo n. 22 del 1997, osservò che lo stesso impianto era a sua volta produttore di rifiuti (sovvalli) i quali rientrano tra quelli speciali a norma dell'articolo 7 comma secondo lettera g) del decreto legislativo più volte citato. Rilevò pertanto che, quanto meno con riguardo a tali rifiuti prodotti all'interno dell'azienda prima della raccolta, dovendo a loro volta essere smaltiti dall'azienda Mazzitelli, era applicabile l'articolo 6 lettera m).del D.leg.vo n. 22 del 1997, trattandosi di rifiuti giacenti soprattutto sull'aia destinata alla maturazione del compost Per tali rifiuti (sovvalli) erano stati superati i limiti quantitativi e temporali per il deposito temporaneo. In ogni caso, secondo il tribunale, a prescindere dal superamento dei limiti di cui all'articolo 6 lett. m), era comunque configurabile il reato di cui al primo comma dell'art. 51, come sostenuto dal P.M., avuto riguardo al fatto che nell'impianto in questione giacevano cumuli di rifiuti indifferenziati, tra cui vetri e plastica, che rendevano inservibili le aree destinate alla lavorazione del compost. In definitiva, l'esercizio dell'impianto era di fatto impedito dall'accumulo, in condizioni di degrado non temporaneo ne' precario, di rifiuti d'ogni genere. Ritenne altresì configurarle anche il reato ci sui all'articolo 674 c.p. a nulla rilevando che non fosse stato compiuto alcun accertamento sul superamento dei valori di emissione essendo allo stato sufficienti le dichiarazioni rese dal medico dell'ASL che aveva preso parte al sopralluogo.
Contro tale provvedimento ricorrono per cassazione la società Mazzitelli, che gestiva l'impianto, in persona del suo amministratore Alberto de Flammineis, nonché quest'ultimo in proprio quale indagato, sulla base di due motivi analiticamente indicati nel ricorso ed ulteriormente illustrati con la memoria del 23 settembre 2004.
DIRITTO
Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 51 D.Leg.vo n. 22 del 1977 nonché travisamento del fatto, mancanza ed illogicità della motivazione, il tutto ex art 606 lett b) ed e) c.p.p..
I ricorrenti assumono che il tribunale, partendo dall'erronea premessa che le superfici destinate alla maturazione e stoccaggio del compost fossero differenziate, è giunto alla conclusione di ritenere configurabile il reato di deposito incontrollato;invece nella fattispecie l'impianto di compostaggio era finalizzato al trattamento dei rifiuti prodotti altrove e conferiti presso l'azienda per la lavorazione. Il reato ipotizzato dal tribunale non è quindi prospettabile mancando un deposito temporaneo e comunque, quand'anche si volesse ritenere sussistente il deposito temporaneo per i rifiuti prodotti dalla ditta, non sarebbe comunque configurabile il reato perché i rifiuti venivano avviati alle operazioni di smaltimento con cadenza almeno trimestrale.
La censura non è fondata.
Giova premettere che in materia di sequestro(preventivo o probatorio) il giudice del riesame non deve accertare la sussistenza del reato ipotizzato, ma solo il cosiddetto "fumus commissi delicti" ossia l'astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto, sulla base degli elementi evidenziati dalle parti, in una determinata ipotesi di reato, giacché l'accertamento della sussistenza del reato è riservato al giudice del merito(cfr Cass sez un 29 gennaio 1997 n. 23, Bassi; sez un 25 marzo 1993, Gifimni; sez 6^ 3 marzo 1998, Campo, soprattutto, Cass sez un 4 maggio 2000 n 7, che supera e rilegge Bassi).Siffatta limitazione dei poteri cognitivi non significa però mera presa d'atto della tesi accusatoria ma esprime solo l'esigenza di svolgere l'accertamento su un piano astratto, tenendo conto che si è in una fase di ricerca ed acquisizione delle fonti di prova nella quale non vi sono ancora certezze. Tuttavia, sia nel sequestro probatorio che in quello preventivo, deve essere comunque accertato il rapporto di pertinenzialità della cosa con il reato prospettato. Va altresì premesso che, a norma dell'articolo 325 c.p.p., in materia di misure cautelari reali, il ricorso per Cassazione può essere proposto soltanto per "violazione di legge". Sul significato di tale espressione in passato si registravano due diverse interpretazioni. Secondo un primo orientamento con questa espressione la norma, da un lato, escludeva che oggetto dell'impugnazione potesse essere il merito e dall'altro, intendeva riferirsi a qualsiasi violazione di legge sostanziale o processuale compresa la violazione dell'articolo 125 c.p.p. che impone, a pena di nullità, la motivazione dei provvedimenti. Di conseguenza la violazione di legge, con riferimento alla motivazione, poteva essere dedotta o quando essa mancava completamente ovvero quando il vizio fosse riconducibile all'ipotesi di cui all'articolo 606 lett. e) -mancanza o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento- (cfr Cass 7 novembre 1990, Lo Bianco; 23 aprile 1998, Marrone)-; secondo l'altro orientamento, a parte l'ipotesi teorica della mancanza di motivazione, nell'espressione "violazione di legge" non doveva ritenersi compresa anche la manifesta illogicità, giacché questa era separatamente prevista come motivo di ricorso dalla lettera e) dell'articolo 606(cfr per tutte Cass 4 giugno 1997, Baisi). Il contrasto è stato definitivamente superato dalle sezioni unite con la decisione n. 2 del 28 gennaio 2004, Ferrazzi, con la quale, tra l'altro, si è statuito che nella nozione "violazione di legge" rientrano la mancanza assoluta di motivazione e la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, ma non l'illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all'articolo 606 lett. e).
Ciò premesso, nella fattispecie, contrariamente all'assunto del ricorrente, la motivazione non è apparente o illogica; al contrario il tribunale con motivazione esente da vizi censurabili in questa sede ha esaminato tutte le censure prospettate dalla parte. Invero, con riferimento al reato di cui all'art. 51 decreto legislativo n. 22 del 1997, ha chiarito che la violazione dell'articolo 6 lettera m) deve intendersi riferita ai rifiuti prodotti dalla stessa azienda mentre per gli altri, comprendenti anche vetro e plastica, era configurabile il reato di cui all'articolo 51 comma primo in quanto venivano raggruppati in maniera indifferenziata rendendo di fatto inservibili le aree destinate alla lavorazione del compost. Ha altresì precisato che al momento del sopralluogo l'impianto era fermo e che la società, secondo le indagini compiute dal P.M., da circa due anni riceveva rifiuti senza smaltirli. Sulla base di tali premesse, che non contengono alcun travisamento del fatto perché il tribunale ha richiamato il verbale di sopralluogo, si devono ritenere astrattamente configurabili quanto meno i reati ipotizzati. A tal fine è opportuno sotto il profilo giuridico richiamare le nozioni di stoccaggio, discarica e deposito temporaneo.
Stoccaggio. Nelle direttive comunitarie l'attività di stoccaggio viene considerata un'operazione di smaltimento o di recupero a seconda che si tratti di rifiuti destinati appunto allo smaltimento o al recupero e quindi ad esso si riferiscono il termine di "deposito preliminare", contenuto nell'allegato sulle operazioni di smaltimento e quello di "messa in riserva" contenuto nell'allegato sulle operazioni di recupero In linea con tale impostazione l'articolo 6 lettera 1) qualifica stoccaggio "le attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D 15 dell'allegato B) nonché le attività di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di materiali di cui al punto R13 dell'allegato C). Orbene, sebbene nelle norme sanzionatorie non compaia il termine stoccaggio, ad esso si applicheranno le disposizioni previste, a seconda dei casi, per lo smaltimento ed il recupero. In proposito questa corte ha già precisato che l'attività di stoccaggio, consistente nel deposito preliminare ai fini dello smaltimento, rappresentando una fase del trattamento dei rifiuti, deve essere autorizzata(Cass 16 giugno 1998, Arcidiacono, n. 3474) come peraltro deve essere autorizzata ogni fase della gestione dei rifiuti. Anche lo stoccaggio, come il deposito temporaneo, è sottoposto a termini massimi. Invero, in base all'articolo 2 comma 1 lett.. G del D. Leg.vo n. 36 del 2003 uno stoccaggio che si protragga oltre tre anni per i rifiuti destinati a trattamento e recupero ovvero oltre un anno per quelli destinati allo smaltimento, viene considerato per legge come gestione di una vera e propria discarica.
Discarica. Il legislatore, con la norma dianzi citata, recependo l'indirizzo prevalente di questa sezione (Cfr Cass 11 ottobre 2000, Cimini; Cass 19 ottobre 2001, Gollino;Cass. 10 gennaio 2002, Garzia;
Cass 14 marzo 2002, n 16383, Cass n 4013 del 1997) qualifica discarica: "ogni area adibita a smaltimento di rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area dove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno". Con la norma anzidetta, di origine comunitaria, il legislatore si è preoccupato, non solo di fissare il limite massimo per il deposito temporaneo, che coincide con quello già indicato nell'articolo 6 lett. m), ma ha voluto anche sottolineare che, trascorso tale limite, il deposito temporaneo diventa discarica abusiva punibile a norma del terzo comma dell'articolo 51. Deposito temporaneo. In base all'articolo 6 lett. m d.legvo n. 22 del 1997 per deposito temporaneo deve intendersi " qualsiasi raggruppamento di rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti" purché siano rispettate le condizioni analiticamente indicate nella norma tra le quali, per quello che rileva in questa fattispecie, è opportuno segnalare:a) la necessità che il deposito temporaneo sia effettuato per tipi omogenei; b) la durata che non può comunque superare l'anno, altrimenti diventa discarica abusiva; c) l'avvio alle operazioni di recupero e smaltimento, se non si raggiunge il limite di 20 mc, con cadenza almeno bimestrale (se rifiuti pericolosi), e trimestrali (se non pericolosi)e, se si raggiunge il limite di 20 mc, non appena viene raggiunto tale limite.
Da tali definizioni discende che il raggruppamento di rifiuti nel luogo dove vengono prodotti, se non supera l'anno e ricorrono le altre condizioni previste dalla norma, non è soggetto ad alcuna autorizzazione, ma solo all'obbligo del registro di carico e scarico;
se supera l'anno diventa discarica punibile ex art. 51 terzo comma decreto legislativo citato; se non supera l'anno ma evidenzia il mancato rispetto degli altri i limiti previsti dalla norma, diventa deposito incontrollato punibile, secondo l'orientamento di questa sezione, a norma del comma secondo dell'articolo 51(cfr per tutte Cass 4957 del 2000, Rigotti). Il raggruppamento di rifiuti in attesa di recupero, trattamento o smaltimento, qualora non ricorra l'ipotesi del deposito temporaneo(perché effettuato non nel luogo di produzione), diventa stoccaggio e quindi smaltimento se riguarda rifiuti destinati allo smaltimento o recupero se riguarda rifiuti destinati al recupero (art. 6 comma 1, lett. 1 D.Leg.vo n. 22 del 1997) semprecché siano rispettati i limiti temporali fissati dalla legge. Si è invece in presenza di una discarica, secondo l'orientamento di questa corte, "tutte le volte in cui, per effetto di una condotta ripetuta, i rifiuti vengono scaricati in una determinata area trasformata di fatto in deposito o ricettacolo di rifiuti, sicché rientra nella nozione in parola l'accumulo ripetuto di rifiuti con tendenziale carattere di definitività, in considerazione della quantità considerevole dei rifiuti e dello spazio occupato, a nulla rilevando la circostanza che tale accumulo avvenga sullo stesso terreno in cui è situato l'operatore che in parte li tratta" (Cass sez. 3^ 19 ottobre 2001, Gollino) La discarica si differenzia quindi dal deposito incontrollato, quando questo non supera l'anno, per la tendenziale definitività e la maggiore estensione nei tempi di smaltimento.
Richiamate tali nozioni, sulla base delle considerazioni svolte dal tribunale, che non appaiono manifestamente illogiche, non può essere esclusa l'astratta configurabilità dei reati sommariamente indicati dal P.M. (in questa fase del procedimento la contestazione non può che essere sommaria). D'altra parte non è compito di questa corte stabilire in quale misura siano stati superati i limiti qualitativi e quantitativi ai quali si è dianzi fatto cenno. Allo stato è sufficiente sottolineare:a) che i rifiuti venivano raccolti e raggruppati in maniera indifferenziata;b)che, secondo quanto emerge dalla sentenza, la società da circa due anni riceveva rifiuti ma non li smaltiva;che al momento del sopralluogo l'impianto era fermo e dall'accumulo di rifiuti si elevavano emissioni maleodoranti nocive per la salute, come accertato dal sanitario intervenuto sul posto, che per il deposito temporaneo era stato superato il limite quantitativo di 20 mc.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell'articolo 674 c.p. nonché travisamento del fatto omessa e contraddittoria motivazione, il tutto con riferimento all'articolo 606 lett b) ed e) sull'esistenza delle ragioni di mantenimento della misura cautelare.
Sostengono i ricorrenti che il reato di cui all'articolo 674 c.p. sarebbe stato configurabile, solo se si fosse accertato il superamento dei limiti delle emissioni autorizzate. Anche tale censura è infondata. Richiamate le considerazioni svolte nella premessa in merito alla deducibilità dei vizi di motivazione (peraltro se questa manca non può essere contraddittoria), si rileva che la contestazione provvisoria non richiama soltanto le emissioni provenienti dall'attività autorizzata ma soprattutto quelle derivanti da fenomeni di marcescenza ed autocombustione di rifiuti non smaltiti, con conseguenti emissioni di fumo, come accertato dal sanitario dell'ASL intervenuto al momento del sopralluogo, allorché l'impianto era fermo. Siffatta accertamento, sia pure sommario, compiuto da persona qualificata, allo stato si deve ritenere sufficiente a giustificare il provvedimento cautelare, che è stato legittimamente disposto anche per impedire ulteriori fenomeni di putrefazione e combustione ritenuti nocivi per la salute dal dirigente medico dell'ASL di BA/2.
P.Q.M.
LA CORTE Letto l'art. 616 c.p.p. rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti in solido alle spese del processo.
Così deciso in Roma, il 29 settembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2004