Cass. Sez. III n. 41607 del 13 settembre 2017 (Ud. 6 lug 2017)
Presidente: Amoroso Estensore: Aceto Imputato: Garlando
Rifiuti.Deposito di rifiuti da demolizione

La mancanza di certezze iniziali sull'intenzione del produttore/detentore del rifiuto di «disfarsene» e l'eventualità di un suo riutilizzo legata a pure contingenze, impedisce in radice che esso possa essere qualificato come «sottoprodotto». Il deposito di rifiuti da demolizione in attesa di un loro eventuale riutilizzo denunzia ex se la mancanza della iniziale certezza del loro riutilizzo prima ancora della loro produzione

RITENUTO IN FATTO

1. Il sig. Christian Fabio Garlando ha proposto appello avverso la sentenza del 16/11/2015 del Tribunale di Milano che lo ha dichiarato colpevole del reato di cui agli artt. 110, cod. pen., 256, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006, commesso in Milano in epoca anteriore a prossima al 24/04/2014, e lo ha condannato alla pena di duemila euro di ammenda oltre al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile (Comune di Milano) da liquidarsi in separata sede. Trattandosi di sentenza inappellabile (art. 593, u.c., cod. proc. pen.), l'impugnazione è stata trasmessa a questa Corte di cassazione, quale giudice competente, secondo quanto prevede l'art. 568, u.c., cod. proc. pen..

1.1.Con il primo motivo, deducendo che le testimonianze raccolte hanno dimostrato che tutto il materiale temporaneamente depositato presso il cantiere era (ed è stato) destinato al reimpiego in altri cantieri e che non v'è stato alcun danno, eccepisce la mancanza degli elementi costitutivi del reato ipotizzato sotto il duplice profilo dell'elemento materiale (non essendo qualificabili come destinati all'abbandono, né depositati in modo incontrollato i materiali risultanti dalle demolizioni, bensì come "sottoprodotti") e di quello soggettivo (lo scopo di approntare una discarica o un abbandono di rifiuti).

1.2.Con il secondo motivo eccepisce la totale assenza di prova del danno. 2.11 Comune di Milano ha depositato una memoria con cui ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile o sia comunque respinto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.11 ricorso è inammissibile.

3.L'imputato risponde del reato di cui agli artt. 110, cod. pen., 256, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006, perché, in qualità di liquidatore della «PI GRECO S.r.l.», società proprietaria del suolo sito in Via Oriani Barnaba, 31, nonché di amministratore unico della società «GAREDIL S.r.l.», effettuava una raccolta di rifiuti non pericolosi in mancanza della prescritta comunicazione ex art. 261 (rectius: 216), d.lgs. n. 152 del 2006, ed in particolare, avvalendosi della manodopera dei suoi collaboratori, produceva e depositava all'interno della citata area privata recintata cumuli di rifiuti costituiti da macerie edili, guaine bituminose, spezzoni di legno, rifiuti plastici, ecc. ecc.

3.1.Dalla lettura della sentenza risulta che all'interno dell'area sopra indicata, ormai in disuso da alcuni anni, era stata accertata la presenza di cumuli di rifiuti costituiti da materiale ferroso, termosifoni in ghisa, sacchi di plastica, macerie edili, guaine bituminose, materiale di risulta derivante da demolizione. L'accertamento era stato effettuato dalla Polizia Locale di Milano a seguito del reclamo di un residente (le cui dichiarazioni sono state acquisite al fascicolo del dibattimento ed utilizzate a fini di prova) che aveva denunziato la presenza di una vera e propria discarica. Il terreno era stato acquistato nel 2007 e, per stessa ammissione dell'imputato (in coerenza, tra l'altro con l'odierna linea difensiva), era stato utilizzato come luogo di deposito di materiale edile proveniente dalla demolizione di una palazzina e destinato ad essere riutilizzato sia per la costruzione di una nuova palazzina, per la quale i finanziamenti richiesti tardavano ad arrivare, sia in altri cantieri edili.

4.Tanto premesso, la Corte ricorda che secondo gli arresti di Sez. U, n. 45371 del 31/10/2001, Bonaventura, Rv. 220221 e di Sez. U, n. 45372 del 31/10/2001, De Palma, <<allorché un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quellolegislativamente prescritto, il giudice che riceve l'atto deve limitarsi, a norma dell'art. 568, comma 5, cod. proc. pen., a verificare l'oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonché l'esistenza di una "voluntas innpugnationis", consistente nell'intento di sottoporre l'atto impugnato a sindacato giurisdizionale, e quindi trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un atto giurisdizionale, al giudice competente» (più recentemente, cfr. anche, nello stesso senso, Sez. 1, n. 33782 dell'8/04/2013, Arena, Rv. 257117; Sez. 5, n. 7403 del 26/09/2013, dep. 2014, Bergantini, Rv. 259532). Alla Corte di cassazione, quale giudice competente, in questo caso, a conoscere dell'impugnazione, è riservata ogni valutazione sull'ammissibilità (e fondatezza) dell'impugnazione stessa, alla luce dei motivi per i quali il ricorso per Cassazione è tassativamente consentito (cfr. sul punto, in motivazione, le sentenze citate).

Nel caso di specie dell'impugnazione può essere apprezzata esclusivamente la censura che riguarda la sussistenza del reato avuto riguardo al fatto così come descritto in sentenza, non certo attraverso il riesame, nel merito, delle prove su cui la condanna si basa.

4.1.Sgombrato il campo dall'indagine sul fatto, pur sollecitato dal ricorrente, i primi due motivi sono totalmente infondati posto che, nel caso di specie, stando alla lettura della sentenza impugnata, non si è in presenza di "sottoprodotti".

4.2.Sottoprodotti son sempre stati quelle sostanze o quegli oggetti dei quali sin dall'inizio sia certa, e non eventuale, la destinazione al riutilizzo nel medesimo ciclo produttivo o alla loro utilizzazione da parte di terzi (art. 183, comma 1, lett. n, d.lgs. 152/2006, nella sua versione originaria; art. 183, comma 1, lett. p, d.lgs. 152/2006 come modificato dal d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4; art. 184-bis, d.lgs. 152/2006, introdotto dall'art. 12, d.lgs. 3 dicembre 2010, n. 205). E' questa certezza oggettiva del riutilizzo che esclude a monte l'intenzione di disfarsi dell'oggetto o della sostanza (così espressamente art. 183, comma 1, lett. p, d.lgs. 152/2006 come modificato dal d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4) e che concorre, insieme con le ulteriori condizioni previste dalle norme definitorie che si sono succedute nel tempo, a escluderlo dall'ambito di applicabilità della normativa sui rifiuti. La mancanza di certezze iniziali sull'intenzione del produttore/detentore del rifiuto di «disfarsene» e l'eventualità di un suo riutilizzo legata a pure contingenze, impedisce in radice che esso possa essere qualificato come «sottoprodotto». Il deposito di rifiuti da demolizione in attesa di un loro eventuale riutilizzo denunzia ex se la mancanza della iniziale certezza del loro riutilizzo prima ancora della loro produzione.

4.3.Sotto altro profilo il reato di cui all'art. 256, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006 può essere consumato da chiunque ponga in essere una delle condotte in detta norma previste, non necessariamente solo da chi svolga in modo esclusivo e prevalente le attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, e così via.

Come costantemente insegnato da questa Corte, il reato di attività di gestione di rifiuti in assenza di autorizzazione (art. 256, D.Lgs. n. 152 del 2006), non ha natura di reato proprio integrabile soltanto da soggetti esercenti professionalmente una attività di gestione di rifiuti, ma costituisce una ipotesi di reato comune che può essere pertanto commesso anche da chi svolge attività di gestione dei rifiuti in modo secondario o consequenziale all'esercizio di una attività primaria diversa (Sez. 3, n. 29077 del 04/06/2013, Ruggeri, Rv. 256737; Sez. 3, n. 21925 del 14/05/2002, Saba, Rv. 221959; Sez. 3, n. 16698 del 11/02/2004, Barsanti, Rv. 227956; Sez. 3, n. 7462 del 15/01/2008, Cozzoli, Rv. 239011; Sez. 3, n. 5716 del 07/01/2016, Isoardi, Rv. 265836, secondo cui ai fini della configurabilità del reato di gestione abusiva di rifiuti, non rileva la qualifica soggettiva del soggetto agente bensì la concreta attività posta in essere in assenza dei prescritti titoli abilitativi, che può essere svolta anche di fatto o in modo secondario, purché non sia caratterizzata da assoluta occasionalità).

5.11 terzo motivo è inammissibile perché il ricorrente sollecita un indagine di natura fattuale sulla sussistenza del danno non ammessa in questa sede.

6.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativannente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di C 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.