Cass. Sez. III n. 13232 del 8 aprile 2010 (Cc. 18 feb. 2010)
Pres. De Maio Est. Petti Ric. Monaco
Rifiuti. Reato di cui all'art 256 quarto comma d.lv. 152\06

La fattispecie di cui all'art 256 quarto comma d.lv. 152\06 non sanziona la mancanza del titolo abilitativo ma due diverse condotte che presuppongono entrambe il titolo. La prima concerne l’inosservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione rilasciata dall’autorità per l’attività di gestione dei rifiuti. La seconda riguarda la carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni. Tale ultima fattispecie ha dato luogo a seri problemi interpretativi poiché la carenza dei requisiti e delle condizioni per le iscrizioni e le comunicazioni potrebbe risolversi in un’inesistente comunicazione posto che vi deve essere coincidenza tra il possesso dei requisiti specifici e l’esercizio della corrispondente attività di gestione. Pertanto l’assenza dei requisiti e/o delle condizioni richiesti per una determinata attività di gestione dei rifiuti potrebbe comportare l’impossibilità di utilizzare la procedura semplificata con la conseguenza che quella che viene descritta come ipotesi attenuata assume connotati offensivi identici all’attività di gestione dei rifiuti senza autorizzazione. Occorre quindi distinguere tra quei requisiti e quelle condizioni che incidono sulla medesima sussistenza del titolo abilitativo, da quelli che riguardano unicamente le modalità di esercizio della medesima attività

 

 


UDIENZA del 18.02.2010

SENTENZA N. 318

REG. GENERALE N. 38348/2009


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale



Composta dai sigg. magistrati:


Dott. Guido De Maio                                 presidente
Dott. Ciro Petti                                         consigliere
Dott. Alfredo Teresi                                   consigliere
Dott Silvio Amoresano                              Consigliere
Dott. Santi Gazzarra                                consigliere


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


- sul ricorso proposto difensore di Monaco Giuseppe, nato ad Acireale il xx/xx/xxxx, avverso l'ordinanza del tribunale di Catania del 27 luglio del 2009;
- udita la relazione svolta dal consigliere dott. Ciro Petti;
- sentito il Procuratore generale nella persona dott. Francesco Mauro Iacoviello, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
- udito il difensore avv. Carmelo Galati, il quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
- Letti il ricorso e l'ordinanza denunciata osserva quanto segue:


IN FATTO


Con decreto notificato il 27 maggio del 2008, il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Catania, disponeva il sequestro preventivo dell'impianto di compostaggio e recupero deiezioni animali sito nell'opificio per la produzione di combustibile della società "Ofelia Ambiente s.r.l." rappresentata da Monaco Giuseppe nonché dei piazzali e dei rifiuti in esso stoccati, ipotizzando il reato di cui all'articolo 256 comma quattro del decreto legislativo n 152 del 2006 nonché il reato di cui all'articolo 483 c.p. per una mendace dichiarazione del Monaco, quale legale rappresentante della società anzidetta in ordine all'avvenuta regolarizzazione delle prescrizioni impartite.


Successivamente il Monaco, assumendo che la Provincia di Catania, con provvedimento del 20 ottobre del 2008, aveva revocato il precedente ordine di sospensione dell'attività, ha chiesto la revoca del sequestro, ma l'istanza è stata respinta prima dal giudice per le indagini preliminari e successivamente dal tribunale in base al rilievo che la realizzazione dell'impianto in zona agricola avrebbe dovuto essere autorizzata dalla Regione, non essendo sufficiente il mero piano di emersione progressiva, comunque limitato a parte dell'impianto e che in ogni caso la Provincia, nel revocare il precedente provvedimento di sospensione dell'attività, aveva imposto una serie di prescrizioni alle quali la società avrebbe dovuto adeguare la propria attività.


Ricorre per Cassazione il Monaco deducendo:
1) la nullità dell'ordinanza impugnata derivante dalla nullità del provvedimento originario del giudice per difetto di motivazione;
2) violazione del principio devolutivo e dell'articolo 597 c.p.p., per avere il tribunale modificato l'ipotesi accusatoria avendo ritenuto configurabile la diversa ipotesi di cui all'articolo 256 comma 1, giacché ha considerato l'impianto privo di una non ben specificata autorizzazione regionale;
3) violazione degli artt. 208 del decreto legislativo n 152 del 2006 e 31 e 33 del decreto legislativo n 22 del 1997, per avere il tribunale omesso di considerare che la società operava in forma semplificata in forza della quale, decorsi 90 giorni, l'attività deve considerarsi autorizzata e che non era stata mai contestata l'assenza di un titolo abilitativo per la realizzazione dell'impianto, in quanto non era mai stata considerata una contestazione connessa alla mancata autorizzazione dell'impianto, trattandosi di impianto che operava in regime semplificato ed era munito della prescritta autorizzazione per le emissioni in atmosfera;
4) violazione dell'articolo 125 c.p.p. e 111 della Costituzione per difetto di motivazione del provvedimento originario e di quello del tribunale, il quale nulla ha osservato in merito alle note del Comune di Ramacca con cui si era dichiarata la compatibilità dell'impianto di compostaggio in area agricola in forza dell'articolo 22 della legge regionale n 71 del 1978, nonché per avere omesso di apprezzare la documentazione prodotta dalla difesa e rilasciata dal Comune di Ramacca attestante che nello strumento urbanistico non v'era disponibilità di aree per insediamenti produttivi o industriali.


I motivi sono stati ulteriormente illustrati con memoria

 

IN DIRITTO


Il ricorso è fondato.


Il Tribunale si è soffermato ad esaminare la compatibilità dell'impianto con gli strumenti urbanistici benché tale questione non avesse formato oggetto d'impugnazione. Secondo quanto emerge dallo stesso provvedimento impugnato il sequestro non era stato disposto per violazioni urbanistiche ma per le irregolarità riscontrate nella fase dell'attività di recupero dei rifiuti e più precisamente si era contestata l'ipotesi criminosa di cui all'articolo 256 comma quarto del decreto legislativo n 152 del 2006. In base a tale norma le pene stabilite nei primi tre commi sono ridotte della metà nelle ipotesi di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni nonché nell'ipotesi di carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni. Come risulta dal tenore letterale della norma, le condotte descritte nei primi tre commi assumono rilevanza penale allorché le stesse siano esercitate in assenza del prescritto titolo legittimante, il quale a sua volta può essere costituito, a seconda dei casi, da un'autorizzazione, da un'iscrizione o da una comunicazione. Quelle di cui al quarto comma sono invece dirette a sanzionare la condotta di chi, pur avendo ottemperato all'obbligo di sottoporre l'esercizio dell'attività di gestione dei rifiuti menzionata nei primi tre commi della norma in esame al preventivo vaglio amministrativo, non si sia poi adeguato alle autorizzazioni esplicite dell'autorità o non abbia osservato i requisiti e le condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni. Le ipotesi di cui al quarto comma della norma citata presuppongono quindi l'esistenza di un titolo abilitativo costituito o dall'autorizzazione esplicita nella procedura ordinaria o dalla comunicazione o iscrizione nelle procedure semplificate. La fattispecie richiamata nello stesso provvedimento impugnato (art 256 quarto comma decreto citato) non sanziona quindi la mancanza del titolo abilitativo ma due diverse condotte che presuppongono entrambe il titolo. La prima concerne l'inosservanza delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione rilasciata dall'autorità per l'attività di gestione dei rifiuti. La seconda riguarda la carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni. Quest'ultima è l'ipotesi addebitata nella fattispecie, essendo pacifica la mancanza di un'esplicita autorizzazione. Tale fattispecie ha dato luogo a seri problemi interpretativi poiché la carenza dei requisiti e delle condizioni per le iscrizioni e le comunicazioni potrebbe risolversi in un'inesistente comunicazione posto che vi deve essere coincidenza tra il possesso dei requisiti specifici e l'esercizio della corrispondente attività di gestione. Pertanto l'assenza dei requisiti e/o delle condizioni richiesti per una determinata attività di gestione dei rifiuti potrebbe comportare l'impossibilità di utilizzare la procedura semplificata con la conseguenza che quella che viene descritta come ipotesi attenuata assume connotati offensivi identici all'attività di gestione dei rifiuti senza autorizzazione.


Per risolvere il problema si è affermato in giurisprudenza (ed anche in dottrina) che occorre distinguere tra quei requisiti e quelle condizioni che incidono sulla medesima sussistenza del titolo abilitativo, da quelli che riguardano unicamente le modalità di esercizio della medesima attività. Così, per semplificare, si è ritenuto da parte di questa Corte che il trasporto di rifiuti diversi rispetto a quelli per i quali si era chiesta l'iscrizione nell'albo dei trasportatori, configura il reato di cui al comma primo del decreto legislativo n 152 del 2006, in quanto la carenza di tale elemento rende l'iscrizione inesistente (cfr Cass n43849 del 2007). Viceversa il trasporto di rifiuti con mezzi diversi da quelli comunicati incide solo sulle modalità di esercizio dell'attività e quindi è configurabile l'ipotesi attenuata (Cass n 5342 del 2008).
Nel provvedimento impugnato non si è precisato in cosa consisterebbe la carenza delle condizioni o dei requisiti richiesti per le procedure semplificate. Ma, essendosi fatto riferimento al quarto comma dell'articolo 256 del più volte citato decreto, si deve presumere che la divergenza fosse relativa alle sole modalità di esercizio dell'attività.
In ogni caso il problema che pone la fattispecie non riguarda la legittimità del sequestro sulla quale è intervenuto il giudicato cautelare, ma consiste nello stabilire se le divergenze a suo tempo riscontrate con riferimento alla gestione dei rifiuti, quali che siano, siano state o no eliminate successivamente all'adozione del provvedimento.

L'interessato aveva chiesto la revoca del sequestro sulla base di due elementi nuovi ossia:

a) l'intervenuta ottemperanza alla diffida rivolta all'Azienda dall'Assessorato regionale concernente il ripristino della fase biossidativa, come da progetto approvato;

b) la revoca del precedente provvedimento di sospensione dell'attività da parte dell'autorità amministrativa.


Questi erano i due punti che il tribunale avrebbe dovuto esaminare al fine di stabilire se le carenze prima riscontrate fossero state o no eliminate. Invece tali elementi non sono stati valutati, in quanto il tribunale si è limitato a fare riferimento ad una non meglio precisata mancanza di autorizzazione esplicita e ad alcune irregolarità urbanistiche estranee al devolutum, perché il sequestro dell'impianto relativo all'attività di compostaggio non risulta disposto per irregolarità urbanistiche. Inoltre non ha adeguatamente apprezzato la differenza tra la procedura ordinaria di gestione dei rifiuti e quella semplificata, avendo richiamato la necessità di un titolo legittimante la realizzazione dell'impianto senza considerare che l'impianto era preesistente ed operava in regime semplificato tanto è vero che era stata ipotizzata la violazione di cui al quarto comma dell'articolo 256 e non quella di cui al primo comma della medesima norma.


Il provvedimento impugnato va quindi annullato con rinvio per carenza assoluta di motivazione in ordine agli elementi addotti dal ricorrente per ottenere la revoca del sequestro e per l'erronea applicazione delle norme sui rifiuti in quanto, come già precisato, non si è adeguatamente apprezzata la differenza tra la gestione dei rifiuti in base alla procedura ordinaria e quella espletata in base a quella semplificata.


Il giudice del rinvio, tenuto conto dell'ipotesi criminosa ipotizzata, deve riesaminare l'istanza di revoca al fine di stabilire se la carenza delle condizioni per l'esercizio dell'impianto in regime semplificato sia stato o no eliminata.


P.Q.M
LA CORTE


Letto l'articolo 623 c.p.p.


Annulla


L'ordinanza impugnata e rinvia al tribunale di Catania


Così deciso in Roma il 18 febbraio del 2010