Cass. Sez. III n. 9491 del 3 marzo 2009 (Ud. 29 gen. 2009)
Pres. Onorato Est. Marini Ric. PM in proc. Acco ed altro
Rifiuti. Limo
Con riferimento al regime giuridico applicabile al limo derivante dalle attività di primo lavaggio dei materiali provenienti da escavazione, trova applicazione la disposizione contenuta nella lett. d) del primo comma dell\'art.185 del d.lgs. 3 aprile 2006, n.152. Tale disposizione esclude che trovino applicazione le norme contenute nella parte quarta del citato decreto, c quindi le norme in materia di
rifiuti e bonifica dei siti, con riferimento ai "rifiuti risultanti dalla prospezione, dall\'estrazione, dal
trattamento, dall\'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave; ... “
I Sigg. Acco, quali soci accomandatari della “Impresa Acco Umberto Sas di Acco Umberto & C.” sono stati tratti a giudizio avanti il Tribunale di Pordenone, Sezione distaccata di San Vito al Tagliamento, per rispondere dei reati previsti dall’art.256, comma terzo del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e dall’art. 18l del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 per avere senza autorizzazione effettuato scavi su superficie di circa 3.000 mq di un terreno situato entro i 50 metri dal corso d’acqua “La Roia” ed ivi realizzato una discarica di materiale “limo”, che risultava dall’attività di lavaggio di inerti protrattasi per almeno cinque anni e che assommava a oltre 72.000 mc.
Accolta la tempestiva richiesta degli imputati di procedere con rito abbreviato condizionato, il Tribunale ha assunto le prove necessarie alla decisione ed ha quindi pronunciato sentenza con cui ha ritenuto estinto il reato ambientale contestato al capo b) per essere lo stesso estinto per avvenuta rimessione in pristino dei luoghi ed ha condannato gli imputati, previa riqualificazione giuridica del fatto, in relazione al reato contestato al capo a).
In particolare, il Tribunale ha ritenuto provato che il consistente accumulo di limo fosse solo in minima parte (mc 3.500,00) destinato ad essere ceduto a terzi, così potendo essere ricompreso nella nozione di “sottoprodotto” ex art. l83 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, mentre la parte restante avrebbe dovuto subire successiva attività di recupero mediante lavorazioni che ne avrebbero alterato le caratteristiche merceologi che e la qualità.
Peraltro, una volta considerato che il limo vada in tal modo ricompreso all’interno della categoria “rifiuti”, il Tribunale ha ritenuto non sussistente l’ipotesi che il suo accumulo per oltre un quinquennio abbia comportato il sorgere di una vera e propria discarica abusiva. Muovendo dalla lettera dell’art. 2, lett. g) del d.lgs. n. 36 del 2003, il Tribunale ha evidenziato che il termine triennale quale periodo massimo dello stoccaggio dei materiali debba essere considerato termine che consente una valutazione caso per caso e che deve essere rapportato alle caratteristiche del caso concreto. Ebbene, la necessità che il limo sia sottoposto ad un lungo periodo di essiccazione consente di affermare che, una volta provata la destinazione del limo a futura e diversa utilizzazione, anche una permanenza sul suolo per circa cinque anni non comporti il determinarsi di una discarica. Prosegue, poi, il Tribunale, che anche qualora non si ritenesse di accedere a tale interpretazione del dato normativo, l’assenza di una chiara definizione del concetto di discarica all’interno del d.lgs. 3 aprile 2006, n.l52 e le pronunce del giudice di legittimità imporrebbero di escludere nel caso in esame l’esistenza dei presupposti del reato contestato; ed infatti: il limo era stato stoccato per futuri impieghi; lo stoccaggio del materiale è avvenuto all’interno del luogo di lavorazione degli inerti; non risultano effettuati interventi strutturali per le esigenze funzionali alla gestione dei rifiuti; non si è verificato alcun degrado dell’area con alterazione permanente dei luoghi
Alla luce di quanto sopra, il Tribunale ha ritenuto che il fatto debba essere più correttamente qualificato come “deposito incontrollato di rifiuti non pericolosi”, atteso il superamento dei limiti volumetrici previsti dalla legge ed esclusa l’ipotesi di “messa in riserva” dei materiali che si verifica quando i materiali vengano stoccati in area diversa da quella di produzione.
Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione sia il Pubblico Ministero sia gli imputati.
Il Pubblico Ministero ha censurato l’interpretazione data dal Tribunale all’art. 2, lett. g) del d.lgs. n. 36 del 2003. Una volta affermato che il limo deve essere incluso tra i “rifiuti”, il mancato rispetto dei limiti temporali di un anno o di tre anni stabiliti dalla norma ora citata non può essere ritenuto privo di valore decisivo per il solo fatto che si è in presenza di deposito non definitivo, bensì di deposito funzionale a successivo reimpiego dei materiali. E’ evidente, infatti, che in ipotesi di deposito temporaneo la legge impone che il materiale debba trovare destinazione entro un anno, operando il termine di tre anni esclusivamente per il materiale stoccato al di fuori dell’area di produzione e destinato a future attività di recupero (termine che scende ad un anno in caso di rifiuti destinati allo smaltimento).
I Sigg. Acco tramite il Difensore hanno presentato un ricorso articolato su plurimi motivi.
Con primo motivo lamentano violazione dell’art. 606, lett. b) c.p.p. in relazione all’art. 8, comma 1, lett. b) del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 e all’art. 185 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 per avere il Tribunale erroneamente incluso il limo tra i “rifiuti”, così disattendendo l’interpretazione della legge operata dalla stessa Corte di Cassazione con plurime decisioni, e per avere omesso di considerare che il futuro possibile reimpiego del limo in attività industriale rappresenta allo stato una mera eventualità, mentre è pacifico che esso è destinato dalla società ad essere ceduto a terzi per impieghi che non comportano alcuna sua trasformazione.
Con secondo motivo lamenta violazione dell’art. 606, lett. b) c.p.p. in relazione all’art. 5 c.p. per avere il Tribunale omesso di assolvere gli imputati per mancanza dell’elemento soggettivo del reato
In apertura di udienza il Difensore ha prodotto certificazione in data 12 Novembre 2008 attestante l’avvenuto decesso del Sig. Acco Renzo in data 24 Ottobre 2008.
In diritto
Le contrapposte proposizioni contenute nei ricorsi delle parti private e del Pubblico ministero impongono alla Corte di affrontare in via preliminare il quesito se per il prodotto definito come “limo” trovi applicazione la normativa in tema di rifiuti contenuta nella parte quarta del d.lgs. 3 aprile 2006, n. l52.
1. Sul punto questa Sezione si è già pronunciata sull’argomento con le sentenze n. 5315 dell’11 Ottobre 2006-8 Febbraio 2007, Doneda (rv. 235640) e n. 4l584 del 9 Ottobre-12 Novembre 2007, Frezza (rv. 237955). Quest’ultima decisione, in particolare, ha affrontato il regime giuridico applicabile al limo derivante dalle attività di primo lavaggio dei materiali provenienti da escavazione, ed ha concluso che dovesse trovare applicazione la disposizione contenuta nella lett. d) del primo comma dell’art. 185 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Tale disposizione esclude che trovino applicazione le norme contenute nella parte quarta del citato decreto, e quindi le norme in materia di rifiuti e bonifica dei siti, con riferimento ai “rifiuti risultanti dalla prospezione. dall’estrazione, dal trattamento, dall’ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave;
2. Osservava sul punto la decisione citata:
“… Questa Sezione della Corte di Cassazione ha in precedente occasione riconosciuto l’applicabilità immediata delle regole contenute nell’art. 185 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e la conseguente non inclusione tra i rifiuti” del limo proveniente da estrazione di cava.
Infatti, con decisione n. 5315 del 11 ottobre 2006-8 febbraio 2007, Doneda (rv 235640) la Terza Sezione Penale ha stabilito il principio che i fanghi ed i limi derivanti dalla prima pulitura del materiale di cava non possono essere considerati rifiuti.
La motivazione di tale sentenza afferma che l’esclusione contemplata dall’art. 185 del d lgs. n. 152 del 2006 non può operate esclusivamente per la prima setacciatura del materiale estratto, in quanto “non si vede la ragione per la quale la ‘prima pulitura’ del materiale estratto, necessaria per separare il materiale commerciale, debba avvenire esclusivamente mediante setacciatura o grigliatura e non possa avvenire, quando necessità tecniche lo richiedano o lo rendano opportuno, mediante lavaggio …, il quale costituirebbe, a differenza della setacciatura o grigliatura, attività ontologicamente successiva alla estrazione vera e propria”. La motivazione dà atto che una precedente decisione (sentenza Terza Sezione Penale n. 42949 del 29 ottobre 2002, rv. 222968) sembra giungere a conclusioni contrarie, ma osserva che quella decisione fa riferimento non al lavaggio del materiale estratto bensì al materiale risultante dalla demolizione della cava stessa. In ogni caso, prosegue, quella posizione sarebbe ormai abbandonata e superata da più recenti decisioni (per tutte, Sezione Terza Penale, sentenza n. 42966 del 28 novembre 2005, Viti, rv. 232243), che, all’interno di una interpretazione restrittiva della norma che introduce una deroga ai principi generali in materia di rifiuti, afferma che restano esclusi dal concetto di rifiuti esclusivamente i fanghi che “derivano direttamente dallo sfruttamento della cava e non da diversa e successiva lavorazione delle materie prime”.
“Questa Corte ritiene di concordare con l’interpretazione che la sentenza n. 5315 del 2007 ha dato dell’art. 8, lett. b) del d.lgs. n. 22 del 1997 e dell’art. 185 del d.lgs. n. 152 del 2006, con la conseguenza che, apparendo evidente dalla sentenza impugnata che nel caso in esame il limo veniva prodotto dall’attività di primo lavaggio del materiale (ghiaia) estratto, deve concludersi che il ricorso è fondato e merita accoglimento con riferimento alla contestazione che ipotizza una violazione in materia di rifiuti.
“Va considerato, peraltro, che l’escludere che la normativa in vigore consideri come “rifiuto” i fanghi di primo lavaggio non comporta un disinteresse dell’ordinamento per le ricadute che l’attività di lavaggio può avere sull’ambiente circostante, posto che la normativa a tutela delle acque e della loro qualità può costituire riferimento in caso di eventuali modalità di trattamento del materiale che comportino ricadute negative sulle acque fluviali interessate”.
3. Una volta escluso che il limo possa essere ricompreso tra i rifiuti e affermato che la gestione di tale materiale può integrare forme diverse e specifiche di illecito, quali la violazione ambientale contestata ai ricorrenti e quindi estinta per le ragioni illustrate, non resta alla Corte che escludere la sussistenza del reato residuo oggetto del ricorso oggi in esame. Con la conseguenza che, applicato alla posizione del Sig.Renzo Acco il disposto del comma secondo dell’art. 129 c.p.p., la sentenza impugnata deve essere annullata perché il fatto non sussiste.