TAR Lombardia (MI), Sez. I, n. 426, del 11 febbraio 2014
Caccia e animali.Legittimità esclusione definitiva e immediata dalla caccia collettiva al cinghiale

Appurata la presenza del ricorrente sul luogo del rinvenimento dell’animale, e che possa presumersi con elevato grado di razionalità logica che egli stesso abbia esercitato l’attività venatoria. Infatti, la carcassa dell’animale è stata rinvenuta in un luogo di montagna difficilmente raggiungibile, quindi è assai improbabile che una persona diversa da quella che aveva cacciato potesse sapere che esattamente in quel punto giacesse un cinghiale abbattuto. L’aiuto chiesto a terzi (che ha fornito l'auto e gli attrezzi necessari per l’eviscerazione) ben si giustifica con l’impossibilità di recupero solitario della carcassa, stante il peso dell’animale e il tragitto impervio. Rileva, inoltre, che se pure il ricorrente si fosse imbattuto accidentalmente nella carcassa, non si comprende perché non abbia informato da subito la polizia faunistica, come invece egli stesso ha sostenuto di aver sempre fatto in passato. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00426/2014 REG.PROV.COLL.

N. 00016/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 16 del 2013, proposto da: 
GIULIANO CATENAZZI, rappresentato e difeso dagli avv.ti Gianni Benzoni, Daniela Viva e Francesca Guercio, con domicilio eletto presso l’avv.to Daniela Viva in Milano, via Borgogna, n. 9

contro

PROVINCIA DI VARESE, rappresentata e difesa dagli avv.ti Paolo Ambrosoli e Daniele Albertini, domiciliata ai sensi dell’art. 25 c.p.a. presso la segreteria del Tribunale

nei confronti di

MARIO CATENAZZI, COMPRENSORIO ALPINO NORD VERBANO, DONATO ROSIELLO, nessuno dei quali costituito in giudizio

per l’annullamento:

- del provvedimento del settore politiche per l’agricoltura e gestione faunistica - commercio servizio gestione faunistica della Provincia di Varese - di cui alla lettera raccomandata A.R. 3.10.2012 prot. n. 85106 (o 83106) class. 16.7.1, a firma del dirigente responsabile dott.ssa Marina Rossignoli, indirizzata all’avv. Alberto Zanzi, al presidente Lino Passalacqua ed al dirigente del servizio sicurezza polizia provinciale nucleo faunistico dott. Angelo Gorla, spedita in data 9.10.2012 e pervenuta il successivo 11.10.2012, avente ad oggetto: “sig. Catenazzi Giuliano Ottavio: applicazione dell’art. 28, comma 1, lett. c) del regolamento per la gestione faunistico - venatoria degli ungulati in provincia di Varese, approvato con deliberazione del consiglio provinciale n. 28 del 23.6.2009. approvato con deliberazione della Giunta provinciale, n. 309 del 7.7.2009”, recante “l’esclusione definitiva del sig. Catenazzi Giuliano Ottavio dalla caccia collettiva al cinghiale da applicarsi con effetto immediato”; - degli atti tutti presupposti, conseguenti e/o comunque connessi, fra cui in particolare: il processo verbale di accertamento e trasgressione ex L. 689/81 e L.r. 90/83 n. 1/2011 p.c.l., prot. n. 101162/2011 102 e 85, redatto in data 17.11.2011 a firma dei verbalizzanti Commissario Carlo Piatti e Agente Istruttore Mario Catenazzi del settore sicurezza - polizia provinciale nucleo faunistico, della Provincia di Varese; - del verbale di ricezione di sommarie informazioni redatto in data 11.11.2011 a firma dei verbalizzanti Carlo Piatti, Mario Catenazzi e Mario Lucca allegato all’anzidetto processo verbale di accertamento e trasgressione; - del verbale di sequestro amministrativo 11.11.2011 allegato al processo verbale di accertamento e trasgressione.



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Provincia di Varese;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2013 il dott. Dario Simeoli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

I. Con verbale di accertamento redatto il giorno 11 novembre 2011, l’Amministrazione provinciale ha contestato al signor Giuliano Catenazzi di aver esercitato attività venatoria in violazione del regolamento per la caccia agli ungulati approvato dal Consiglio provinciale con la delibera n. 28 del 23 giugno 2009. In particolare, a chiusura del procedimento è stata adottata, non solo l’ordinanza ingiunzione n. 360 del 1 ottobre 2012 (avente ad oggetto l’irrogazione di sanzione pecuniaria), ma anche il provvedimento disciplinare recante l’esclusione definitiva del ricorrente dalla caccia collettiva al cinghiale. Avverso quest’ultimo atto, meglio specificato in epigrafe, l’istante ha proposto l’impugnazione oggetto del presente giudizio.

I.1. L’amministrazione provinciale si è costituita in giudizio, sostenendo l’infondatezza del ricorso.

I.2. All’esito della camera di consiglio, con ordinanza n. 165/2013, la Sezione: “Ritenuto, prima facie e salvi ulteriori approfondimenti istruttori, che l’indagine espletata dall’amministrazione resistente non sembra aver fatto emergere né la prova né sufficienti elementi indiziari dell’abbattimento del cinghiale ad opera del ricorrente (circostanza costituente antecedente logico della misure sanzionatorie adottate a suo carico), bensì il solo coinvolgimento di quest’ultimo nella fase di recupero della carcassa”; ha accolto l’istanza cautelare e, per l’effetto, sospeso il provvedimento impugnato, fissando per la trattazione di merito del ricorso l’udienza pubblica del 26.6.2013.

I.3. Con ulteriore ordinanza n. 2200/2013 (in data 24/09/2013), la Sezione: “Ritenuto: - che, in tema di sanzioni amministrative, secondo la consolidata giurisprudenza, il verbale di accertamento dell'infrazione fa piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento, oppure da lui compiuti, nonché riguardo alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti; di contro, non può essere, invece, attribuita la fede privilegiata né ai giudizi valutativi, né alla menzione di quelle circostanze relative ai fatti avvenuti in presenza del pubblico ufficiale che possono risolversi in suoi apprezzamenti personali, perché mediati attraverso l’occasionale percezione sensoriale di accadimenti che si svolgono così repentinamente da non potersi verificare e controllare secondo un metro obiettivo (cfr. ex multiis, Cass. civ. sez. VI, 20 settembre 2012, n. 15966); - che appare conseguentemente necessario, al fine del decidere, disporre prova testimoniale scritta ai sensi dell’art. 63, comma 3, c.p.a.”; ha, pertanto, disposto che l’indicato testimone, sig. Donato Rosiello, fornisse per iscritto le risposte ai quesiti come formulati in capitoli nella parte conclusiva del ricorso introduttivo del giudizio (capitoli 12, 13, 14, 15).

I.4. Rinviata l’udienza di discussione del merito alla data del 18.12.2013, depositata la dichiarazione testimoniale scritta in data 21 ottobre 2013, la causa è stata discussa e decisa con sentenza definitiva all’odierna udienza. Di seguito le motivazioni rese nella forma redazionale semplificata di cui all’art. 74 c.p.a.

II. I fatti contestati dalla Provincia di Varese al ricorrente (sulla cui scorta è stata adottata anche la citata ordinanza ingiunzione n. 360/2012), possono così sintetizzarsi: - il giorno 11 novembre 2011, alle ore 9.00 circa, l’agente provinciale Mario Catenazzi avrebbe osservato il ricorrente mentre caricava, coadiuvato dal signor Donato Rosiello, dei pezzi di una carcassa di cinghiale nel baule di una autovettura (di sua proprietà); - qualificatosi come operatore di polizia provinciale, l’agente accertatore avrebbe chiesto chiarimenti ad entrambi; - a questo punto, pur avendo il ricorrente incitato il Rosiello ad andarsene, quest’ultimo, al contrario, avrebbe mostrato all’agente il contenuto dei sacchi riposti nel baule dell’auto; - tuttavia, mentre l’agente stava fotografando il baule della vettura, il ricorrente (conosciuto dall’agente accertatore sia per ragioni di parentela, sia perché già identificato per una precedente violazione) si sarebbe allontanato, sottraendosi all’accertamento ed alla formale identificazione; - secondo l’offerta ricostruzione, il cinghiale abbattuto sarebbe stato eviscerato direttamente nel bosco ed i resti dell’eviscerazione sarebbero stati ritrovati dall’agente accertatore e documentati fotograficamente; - sull’autovettura del Rosiello, invece, sarebbero stati caricati solo i pezzi della carcassa; - gli accertatori avrebbero sequestrato, oltre alla carcassa del cinghiale, anche un borsone di colore blu contenente materiale da macellazione (tre pezzi di corda, due paia di guanti, un coltello da macellaio con lama di 15 cm, un affila lama, uno zainetto); - secondo il veterinario del macello di Luino, dott. Visconti, in base allo stato di conservazione della carcassa e al processo di frollatura delle carni, il cinghiale sarebbe dovuto essere deceduto “entro un arco temporale cha va dalle 24 alle 72 ore”, mentre la causa della morte sarebbe riconducibile al ferimento d’arma da fuoco (zona colpita spalla sinistra).

III. Sennonché il ricorrente disconosce del tutto i fatti affermati. In particolare, replica che: - durante l’intera mattinata dell’11.11.2011, giorno del predetto accertamento, egli non si sarebbe neppure trovato sul posto (a suo dire, essendo stato indisposto, si sarebbe trattenuto in casa quantomeno fino alle ore 11); - tale circostanza sarebbe comprovata dalla lettera di scuse del sig. Rosiello, che perentoriamente escluderebbe la sua presenza in loco e la sua partecipazione alle operazioni di movimentazione e quant’altro del cinghiale (la falsa dichiarazione, nelle intenzioni del Rosiello, gli avrebbe consentito di sottrarsi alle eventuali sanzioni senza recare danno al ricorrente che, in quanto cacciatore, non sarebbe incorso in alcuna violazione); - risulterebbe poi palesemente inattendibile la dichiarazione del Rosiello di essere stato chiamato telefonicamente dal ricorrente alle ore 7,00 della mattina dell'’1.11.2011, non avendo quest’ultimo, quel mattino, effettuato nessuna telefonata compatibile con quella dichiarazione (di ciò farebbe fede la bolletta telefonica, recante l’indicazione delle telefonate in uscita dall’utenza intestata al ricorrente); - sarebbe anche estremamente significativa la circostanza che l’auto, sulla quale venivano caricati i “quarti” del cinghiale, e gli attrezzi utilizzati appartenessero all’interrogato e non invece al ricorrente; - lo stato di deterioramento della carcassa del cinghiale, attesterebbe l’occasionalità del rinvenimento; - per l’addietro il ricorrente avrebbe puntualmente segnalato ai competenti Uffici di Polizia Venatoria il rinvenimento di altri animali, che avrebbe recuperato con la collaborazione di personale (guardie) addetto a quegli Uffici; - quanto al verbale di accertamento e trasgressione, da esso non risulterebbe una positiva (e, tantomeno, formale) identificazione del ricorrente; - dalla contraddittoria esposizione di cui al verbale di accertamento e trasgressione sarebbe lecito desumere che il secondo individuo, erroneamente identificato nel ricorrente, non era stato avvicinato né in misura sufficiente, né per il tempo necessario a consentirne una precisa identificazione.

III.1. L’istante aggiunge che le violazioni a lui contestate (afferenti: - alla mancata annotazione sul tesserino regionale venatorio dell’abbattimento di un cinghiale; - al prelievo della specie cinghiale in firma singola; - alla movimentazione del capo abbattuto senza che fosse munito dell’apposito contrassegno numerato inamovibile; - al mancato conferimento della carcassa del cinghiale al centro di raccolta e di controllo presso il macello civico di Luino; - all’esercizio della caccia al cinghiale in date differenti a quelle consentite), oltre a non essere a lui riferibili per quanto sopra esposto, in ogni caso presupporrebbero, tutte e ciascuna, l’abbattimento del capo di selvaggina ad opera proprio del soggetto assoggettato a contravvenzione, di talché, non essendo dimostrato in capo a tale soggetto l’abbattimento dell’animale, non potrebbero essere a lui riferite neppure le pretese violazioni.

III.2. Con la memoria da ultimo depositata, il ricorrente sottolinea come il contenuto e la veridicità del documento epistolare di ritrattazione del sig. Rosiello sarebbero stati integralmente confermati dal sig. Donato Rosiello, nella forma della testimonianza scritta, raccolta ai sensi degli adii 63, comma 2, d.lgs. 104/2010 e 257 bis c.p.c., cosicché a questo punto, non sussisterebbero più dubbi in merito alla veridicità dei fatti esposti dal ricorrente.

III.3. Il verbale di sommarie informazioni, da ultimo, sarebbe contraddistinto da vizi formali in quanto quest’ultimo avrebbe dovuto essere redatto non già nelle forme di cui all’art. 13, comma 4 della L. 689/81, ma in forma di “verbale di accertamento e trasgressione” ai sensi dell’art. 14, commi 1 e 2, della medesima legge. Infatti, la deposizione fornita dal sig. Rosiello renderebbe evidente la sua attiva partecipazione al fatto ed assume pertanto un valore, quanto ad esso sig. Rosiello, confessorio. Pertanto, le sue dichiarazioni sarebbero dovute essere raccolte in un verbale di accertamento e trasgressione ai sensi dell'art. 14 della medesima L. 689/81. Inoltre il sig. Rosiello avrebbe dovuto, quantomeno, essere reso edotto della sua qualità di responsabile o corresponsabile dei fatti che andava riferendo: ciò in analogia a quanto disposto dagli art.li 63 e 64 c.p.p. (la legge n. 689/81 pone, infatti, un evidente parallelismo fra il procedimento sanzionatorio ed il procedimento penale).

IV. Il Collegio, dopo meditata riflessione, modificando l’avviso espresso in sede cautelare, ritiene il ricorso infondato.

IV.1. Occorre premettere alcuni spunti ricostruttivi sulla questione dell’efficacia probatoria dei fatti attestati nel processo verbale di accertamento delle violazioni amministrative, alla luce delle ripetute statuizioni delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass., sez. un., 24/7/2009 n. 17355; Cass., sez. un., n. 12545/1992). Secondo la Suprema Corte, il processo verbale costituisce un atto pubblico, in quanto forma necessaria dell’esternazione dell’atto di accertamento che il pubblico ufficiale compie sulla base dell’attribuzione normativa di uno specifico potere di documentazione, con effetti costitutivi sostanziali, prima che processuali, perché soltanto attraverso il veicolo necessario di detto atto di accertamento può essere determinato l’ammontare della sanzione pecuniaria che l’autorità competente dovrà riscuotere con l’ordinanza-ingiunzione. L’art. 2700 c.c. attribuisce all’atto pubblico l’efficacia di piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. L’efficacia di prova legale del verbale, tuttavia, non può estendersi alle valutazioni espresse dal pubblico ufficiale e alla menzione di fatti avvenuti in sua presenza, che possono risolversi in apprezzamenti personali, “perché mediati attraverso la occasionale percezione sensoriale di accadimenti, che si svolgono così repentinamente da non potersi verificare e controllare secondo un metro obiettivo, senza alcun margine di apprezzamento”. Proprio quanto all’esclusione dalla fede privilegiata della categoria degli apprezzamenti personali, le Sezioni Unite si sono soffermate circa la possibilità di distinguere la percezione dei fatti in fase statica o dinamica e dell’idoneità delle sole percezioni statiche a dare certezza al fatto accertato, nonché sulla tesi giurisprudenziale che ammette l’espletamento della prova contraria, in base all’unica considerazione della limitata durata dello stimolo sensoriale percepito dal pubblico ufficiale e della sua ridotta possibilità di verifica. A tale orientamento, benché in parte ispirato a condivisibili esigenze di concentrazione e accelerazione processuale e di salvaguardia del diritto di difesa, la Suprema Corte ha dichiarato di non voler dare ulteriore seguito, non soltanto per il suo approssimativo intendimento della nozione di apprezzamento personale fornita dalla sentenza n. 12545/1992 e dei limiti di attendibilità del fenomeno della percezione dinamica, che è frutto, al pari di quella statica, del necessario concorso di una pluralità di stimoli sensoriali in ogni caso elaborati dal pubblico ufficiale nella loro complessità, concludenza e decisività secondo la sua esperienza e qualificata professionalità, ma soprattutto per la lesione che esso ha comportato, e può ulteriormente comportare, al “superiore interesse alla certezza giuridica dell’attività svolta dai pubblici ufficiali” ed alle “esigenze di garanzia del buon andamento della P.A.”, alla cui tutela è funzionale l’efficacia di piena prova attribuita all’atto pubblico dall'art. 2700 c.c. La correlazione tra il dovere di menzionare nel verbale in modo preciso e dettagliato (cfr.: D.P.R. 30 aprile 1992, n. 285, art. 201), anche se sommario, l’elemento fattuale della violazione e l’efficacia che l’art. 2700 c.c., attribuisce ai fatti che il pubblico ufficiale attesta nell’atto pubblico essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, comportano, infatti, che tale efficacia concerna inevitabilmente tutti gli accadimenti e le circostanze pertinenti alla violazione menzionati nell’atto indipendentemente dalle modalità statica o dinamica della loro percezione, fermo l’obbligo del pubblico ufficiale di descrivere le particolari condizioni soggettive e oggettive dell’accertamento, giacché egli deve dare conto nell’atto pubblico non soltanto della sua presenza ai fatti attestati, ma anche delle ragioni per le quali detta presenza ne ha consentito l’attestazione. Tanto premesso, la Suprema Corte, conclude nel senso che l’approccio alla questione relativa all’ammissibilità della contestazione e della prova contraria non va condotto con riferimento alle circostanze di fatto della violazione attestate nel verbale come percepite direttamente ed immediatamente dal pubblico ufficiale ed alla possibilità o probabilità di un errore nella loro percezione, ma esclusivamente in relazione a circostanze che esulano dall’accertamento, quali l’identificazione dell’autore della violazione e la sua capacità o la sussistenza dell’elemento soggettivo o di cause di esclusione della responsabilità, ovvero rispetto alle quali l’atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile oggettiva contraddittorietà (ad esempio, tra numero di targa e tipo di veicolo al quale questa è attribuita).

IV.1. Tanto premesso, quanto alla prova della presenza del ricorrente nel luogo ove il pubblico ufficiale attesta di averlo visto, la “ritrattazione” del Rosiello, oggetto anche di testimonianza scritta, appare al Collegio del tutto inattendibile, in quanto: - contrastante con la versione dei fatti dallo stesso fornita agli agenti nell’immediatezza dei fatti; - contraddetta dal riconoscimento del ricorrente operata dall’agente provinciale; - del tutto inverosimile appare la motivazione che lo avrebbe inizialmente indotto ad una falsa dichiarazione, ovvero di ritenere che il tipo di infrazione compiuta potesse, per contro, essere consentita ad un cacciatore (come il ricorrente).

Al contrario, le dichiarazioni rese sul punto dal pubblico ufficiale in servizio, sebbene in parte qua non possano costituire attestazione facente piena prova fino a querela di falso (considerato il margine di apprezzamento insito nella identificazione “de visu”), sono del tutto credibili: - essendo Catenazzi Giuliano ben noto all’accertatore per essere suo parente in linea collaterale; - essendo il riconoscimento compatibile con le circostanze di tempo, luce, distanza; - considerati i doveri funzionali e deontologici, nonché la condizione di terzietà e disinteresse che ordinariamente contraddistingue la prestazione del pubblico ufficiale (e di cui, nel caso di specie, non è dato motivo di dubitare).

IV.2. Sotto altro profilo, l’assenza del ricorrente dal luogo in questione neppure appare in alcun modo sconfessato dagli ulteriori argomenti spesi dal ricorrente: - quanto al fatto che questi non avrebbe mai telefonato a Rosiello, è facile constatare che il “tabulato” telefonico relativo all’utenza intestata al ricorrente, non esclude certo che il ricorrente abbia potuto utilizzare un altro dispositivo di comunicazione; - alcuna inferenza può trarsi dalla proprietà dell’auto o da quella dei mezzi utilizzati per eseguire l’eviscerazione, giacché il Rosiello sarebbe stato coinvolto proprio per prestare il suo aiuto; - l’asserito deterioramento della carcassa non solo non dimostra di per sé l’occasionalità del rinvenimento, ma rileva sul punto (come sottolineato dalla difesa avversaria) la circostanza che lo stesso veterinario non abbia ordinato la distruzione delle carni perché deteriorate, ma perché, seppur fresche, erano state contaminate da materiale estraneo (ovvero le piante boschive).

IV.3. Ciò detto, appurata la presenza del ricorrente sul luogo del rinvenimento dell’animale, il fatto ignoto che il ricorrente abbia egli stesso esercitato l’attività venatoria (circostanza, invero, sul cui presupposto, la Provincia di Varese ha adottato nei confronti del ricorrente la sopra citata ordinanza ingiunzione, non impugnata innanzi al g.o.), pare possa presumersi con elevato grado di razionalità logica. Considerato, infatti, che la carcassa dell’animale è stata rinvenuta in un luogo di montagna difficilmente raggiungibile, è assai improbabile che una persona diversa da quella che aveva cacciato potesse sapere che esattamente in quel punto giacesse un cinghiale abbattuto. L’aiuto chiesto al Rosiello (che ha fornito l'auto e gli attrezzi necessari per l’eviscerazione) ben si giustifica con l’ impossibilità di recupero solitario della carcassa, stante il peso dell’animale e il tragitto impervio. Rileva, inoltre, come pure osservato da controparte, che se pure il ricorrente si fosse imbattuto accidentalmente nella carcassa, non si comprende perché non abbia informato da subito la polizia faunistica, come invece egli stesso ha sostenuto di aver sempre fatto in passato.

IV.4. Da ultimo, le censure formali avverso il verbale non hanno alcuna portata viziante, in quanto genericamente argomentate in forza di improbabili estensioni analogiche di istituti processuali penalistici. Il motivo di difetto di motivazione, poi, è di puro stile, considerato la compiutezza dei fatti addotti dall’amministrazione in seno all’atto impugnato.

V. Le spese di lite seguono la soccombenza come di norma.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (sez. I), definitivamente pronunciando:

- respinge il ricorso;

- condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dell’amministrazione resistente, che si liquida in €. 3.500,00 ciascuna, oltre IVA e CPA, come per legge.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Mariuzzo, Presidente

Dario Simeoli, Primo Referendario, Estensore

Angelo Fanizza, Referendario

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/02/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)