Cass. Civile Sez. 1, Sentenza n. 5538 del 13/04/2001
Presidente: Carnevale C. Estensore: Salvago S. P.M. Palmieri R. (Conf.)
Paulon (Sivieri e Bianchin) contro Prov. Pordenone (Non cost.)
(Cassa e decide nel merito, Pret. Pordenone, 4 febbraio 1998).
CACCIA - SANZIONI PER VIOLAZIONI - Divieto venatorio per gli ufficiali e agenti di PG - Applicabilità alla polizia municipale - Presupposti - Richiamo alla nozione di agente di P.G. dell'art. 57 cod. proc. pen. - Fattispecie.

Il divieto di esercizio venatorio di cui all'art. 27, quinto comma, della legge n. 157 del 1992 opera nei confronti degli appartenenti alla Polizia Municipale - i quali, ai sensi dell'art. 57 cod. proc. civ., hanno la qualifica di agenti di polizia giudiziaria soltanto nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza e limitatamente al tempo in cui sono in servizio - subordinatamente alla limitazione spaziale che essi si trovino nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza ed alla condizione che siano effettivamente in servizio (nella specie la SC ha cassato la sentenza di merito e, decidendo nel merito, ha annullato la sanzione irrogata per violazione dell'art. 27 cit. a vigile urbano che esercitava la caccia fuori dall'orario di servizio senza rivestire, quindi, la qualifica di agente di PG).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORRADO CARNEVALE - Presidente -
Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO - Consigliere -
Dott. SALVATORE SALVAGO - rel. Consigliere -
Dott. FABRIZIO FORTE - Consigliere -
Dott. LUIGI MACIOCE - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
PAULON ALDO, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA DELLA LIBERTÀ 13, presso l'avvocato SIVIERI ORLANDO, rappresentato e difeso da se medesimo ed in unione all'avvocato BIANCHIN ROMEO, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI PORDENONE;
- intimata -
avverso la sentenza n. 38/98 del Pretore di PORDENONE, depositata il 04/02/98;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/12/2000 dal Consigliere Dott. Salvatore SALVAGO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Raffaele PALMIERI che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. Svolgimento del processo
Con ricorso del 2 aprile 1997 Aldo Paulon, agente di polizia municipale presso il comune di Barcis (PN), propose opposizione al Pretore di Pordenone, contro l'ordinanza-ingiunzione del 4 marzo 1997 con cui la Provincia di Pordenone gli aveva ingiunto il pagamento della sanzione amministrativa di L. 200.000 perché, malgrado i compiti di vigilanza venatoria esercitati, aveva praticato la caccia nel territorio di competenza, malgrado il divieto posto dall'art. 27 della legge 157 del 1992.
L'adito Pretore ha respinto l'opposizione osservando che la norma vietava l'esercizio venatorio agli agenti di polizia giudiziaria, fra i quali rientrano gli agenti di polizia municipale quando sono in servizio; e che tale divieto a differenza che per le guardie venatorie volontarie, per le quali opera durante l'esercizio delle loro funzioni, è assoluto e peraltro giustificato dallo scopo di evitare ogni possibilità di confusione di ruoli tra i controllori ed i soggetti controllati.
Per la cassazione di questa sentenza il Paulon ha proposto ricorso affidato ad un motivo.
La Provincia di Pordenone non ha spiegato difese.
Motivi della decisione
Con il ricorso Aldo Paulon, denunciando violazione dell'art. 27 della legge 157 del 1992, censura la sentenza impugnata per non aver considerato che l'agente di polizia municipale, secondo il disposto dell'art. 57 cod. proc. pen., è agente di polizia giudiziaria nell'ambito dell'ente territoriale di appartenenza solo quando è in servizio e che dunque il divieto presuppone un'effettiva e concreta attribuzione di funzioni di vigilanza venatoria; che egli peraltro non svolgeva come attestato dalle mansioni attribuitegli, esercitando, infine, la caccia fuori dall'orario di servizio, allorché più non rivestiva la qualità di agente di polizia giudiziaria.
Il ricorso è fondato.
L'art. 27 della legge n. 157 del 1992, così come l'art. 27 della precedente legge n. 968 del 1977, ha individuato i soggetti tenuti all'espletamento dei compiti di vigilanza venatoria, riproducendo nel 2^ comma, esattamente il 2^ comma della legge del 1977 e perciò includendo nella categoria di soggetti cui è affidata "la vigilanza sulla applicazione della presente legge delle leggi regionali", "gli ufficiali, sottufficiali guardie del Corpo forestale dello Stato, le guardie addette a parchi nazionali e regionali, gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, le guardie giurate comunali, forestali e campestri e le guardie private riconosciute ai termini della legge di pubblica sicurezza.
Nel successivo 5^ comma ha, quindi, ribadito per gli agenti dipendenti dagli enti locali delegati dalle Regioni di cui al primo comma ed introdotto per gli agenti di cui al 2^ comma con compiti di vigilanza il divieto di esercizio venatorio "nell'ambito del territorio in cui esercitano le funzioni": divieto che è esteso infine dall'ultima parte della norma alle Guardie venatorie volontarie "durante l'esercizio delle loro funzioni". Pertanto, poiché il solo collegamento fra le categorie di soggetti indicati dal 2^ comma cui la norma ha attribuito funzioni di vigilanza venatoria e gli agenti di Polizia comunale, fra cui rientra pacificamente il ricorrente (pag. 2 della sentenza), è costituito dalla qualifica di ufficiale ed agente di polizia giudiziaria, per stabilire se anche detti agenti di Polizia municipale siano destinatari del divieto di esercizio venatorio di cui al 5^ comma, diviene indispensabile accertare preventivamente se ed in quali limiti gli stessi possano essere considerati agenti di polizia giudiziaria.
Al quesito fornisce risposta univoca l'art. 57 del cod. proc. pen., il quale nel 2^ comma lett. b) attribuisce detta qualifica "ai carabinieri, alle guardie di finanza, agli agenti di custodia, alle guardie forestali e nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza alle guardie delle province e dei comuni, quando sono in servizio": perciò limitandola con riferimento agli agenti di polizia comunale nel tempo ("quando sono in servizio") e nello spazio ("nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza"), a differenza di altri corpi (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, ecc.) i cui appartenenti operano su tutto il territorio nazionale e sono sempre in servizio.
Consegue che, siccome il 5^ comma dell'art. 27 della legge del 1992 non pone il divieto di esercizio venatorio agli appartenenti dei vari corpi dello Stato e degli altri enti pubblici menzionati dai precedenti commi in quanto tali e per il semplice rapporto di dipendenza, ma per il fatto che abbiano "compiti di vigilanza" e poiché il precedente 2^ comma detti compiti attribuisce per quel che interessa solo "agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria", la cui qualifica compete agli agenti di polizia municipale esclusivamente alle condizioni e con i limiti di cui si è detto, ne deriva necessariamente che essi non sono destinatari di un divieto incondizionato ed assoluto di esercizio venatorio; ma che tale divieto è pur esso subordinato alla limitazione spaziale che essi si trovino nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza ed alla condizione che essi siano effettivamente in servizio, perciò esercitando la funzione di vigilanza loro demandata dalla legge: a differenza di agenti appartenenti ad altri corpi, quali esemplificativamente quelli di Polizia di Stato o della Guardia di Finanza, ovvero i carabinieri, per i quali il divieto opera comunque e dovunque, essendo gli stessi considerati dal legislatore sempre in servizio in qualsiasi parte del territorio dello Stato. D'altra parte, la stessa sentenza impugnata ha riconosciuto che la ratio del divieto è quella di evitare una commistione e confusione di ruoli tra controllori e controllati, contraria ai principi di trasparenza e di imparzialità dell'amministrazione, oltre che fonte di inconvenienti e di disservizi; per cui tale ragione verrebbe meno fuori dall'orario di servizio degli agenti in questione, dato che gli stessi, più non rivestendo ex art. 57 cod. proc. pen. la qualifica di agenti di polizia giudiziaria, perdono perciò stesso ogni funzione di vigilanza venatoria anche nell'ambito territoriale del comune di appartenenza. E non può, dunque, essere superata dal tenore dell'ultima parte della norma che estende il divieto alle guardie venatorie volontarie "durante l'esercizio delle loro funzioni", dimostrando nell'interpretazione offerta dal Pretore, che solo per questa categoria ne diviene, dunque, decisivo l'esercizio effettivo: in quanto la disposizione non mira affatto a contrapporre i limiti del divieto valevoli per le guardie venatorie volontarie a quelli peculiari delle altre categorie, ma ad estendere il divieto di esercizio venatorio, che l'art. 25, 5^ comma della precedente legge 968/1967, limitava invece agli agenti venatori dipendenti degli enti delegati, nell'ambito del territorio in cui esercitano le funzioni, per di più consentendo loro di esercitare la caccia in presenza di particolari motivi e previa autorizzazione degli organi dai quali dipendevano; e che ora riguarda, invece, tutte indistintamente le categorie cui sono devoluti compiti di vigilanza, indicati nei precedenti commi 1 e 2.
E tuttavia, attesa la ragione del divieto che si è avanti evidenziata, lo stesso è stato subordinato per gli agenti di cui ai suddetti commi, all'effettivo esercizio delle funzioni di vigilanza loro attribuite direttamente dalla legge (2^ comma) o dagli enti pubblici specificati dal 1^ comma lett. a) nell'ambito del territorio in cui le esercitano; mentre per le guardie volontarie (comma 2^ lett. b e comma 4^), non dipendenti da alcun ente pubblico ne' appartenti a corpi dello Stato o di altri enti pubblici (si da non rientrare in alcuna delle categorie individuate dal 2^ comma) e senza una propria competenza territoriale, il divieto non poteva che venir collegato (e subordinato) al periodo di esercizio delle relative funzioni, che per un verso costituisce il presupposto dei compiti di vigilanza loro (in astratto) conferiti dalle disposizioni dei commi suddetti; e per altro verso evita di tradursi - operando solo al di fuori di detto periodo - in un'inutile esclusione dal diritto di esercitare la caccia riconosciuto a qualsiasi altro soggetto. Pertanto, avendo il Pretore accertato che il Paulon esercitava la caccia fuori dall'orario di servizio, allorché dunque non rivestiva la qualifica di agente di polizia giudiziaria, allo stesso non poteva applicarsi il divieto in esame; e, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata che ha ritenuto legittima la sanzione allo stesso irrogata dalla Provincia di Pordenone non attenendosi a siffatto principio, va cassata.
Poiché, infine, non occorrono ulteriori accertamenti, il Collegio decidendo nel merito ex art. 384 cod. proc. civ., deve annullare la sanzione impugnata ed in aderenza al principio legale della soccombenza, condannare l'amministrazione provinciale al pagamento delle spese dell'intero giudizio che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, annulla la sanzione opposta e condanna l'amministrazione provinciale al pagamento delle spese processuali che liquida in complessive L. 800.000 per il giudizio di merito; ed in complessive L. 1.100.000=, di cui L. 1.000.000 per onorario di difesa, per il giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2000.
Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2001