Cass. Sez. III n. 51681 del 5 dicembre 2016 (Ud 26 nov 2015)
Pres. Mannino Est. Grillo Ric. Dell’Eva ed altro
Beni culturali.Ricerche archeologiche e sanzioni penali

La condotta prevista dall'art. 175 d.lgs. 42\2004 (già art. 124 del d.lgs. 490/99) si realizza indipendentemente dal rinvenimento degli oggetti e concorre - laddove ne ricorrano le condizioni - con il reato di impossessamento di oggetti di interesse archeologico, in considerazione della diversità delle due fattispecie, in quanto è chiamato a rispondere di quest'ultimo reato anche chi sia munito di autorizzazione per effettuare ricerche archeologiche. Quanto alla condotta di esecuzione delle ricerche archeologiche, tale condotta, per essere posta in essere senza conseguenze di carattere penale, necessita della preventiva autorizzazione del Ministero competente. E’ irrilevante la circostanza che nella zona esistono oggetti vetusti e che tali oggetti posseggono interesse archeologico ovvero che tale situazione sia nota all'agente, in quanto quello che conta ai fini della punibilità è l'effettuazione di ricerche archeologiche sprovvisto di apposita autorizzazione o concessione

RITENUTO IN FATTO
1.1 Con sentenza del 29 gennaio 2015 la Corte di Appello di Bologna confermava la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia del 4 marzo 2013 che aveva affermato la penale responsabilità di DELL'EVA Francesco e FERRARI Leo imputati entrambi, del reato di cui all'art. 175 del D. Lgs. 42/04 (effettuazione di ricerche archeologiche senza autorizzazione) e ciascuno del reato di cui all'art. 176 stesso D. Lgs. (impossessamento di materiale archeologico ritrovato nel sottosuolo e appartenente allo Stato - reati commessi quanto all'art. 175 in data 18 agosto 2010 e quanto all'art. 176 il 21 dicembre 2010), condannandoli, per ilo solo reato di cui al capo A) alla pena di mese uno di arresto ed C 1.000,00 di ammenda con sostituzione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria della ammenda ex art. 53 della L. 689/81 ed assolvendoli dai residui reati sub b) e c) perché il fatto non sussiste.
1.2 Ricorrono avverso la detta sentenza entrambi gli imputati a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi. Con il primo lamenta il difensore violazione di legge per inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale in quanto la Corte territoriale ha ritenuto vietate le ricerche in corso da parte degli imputati con il metal detector, nonostante gli stessi si trovassero in area non classificata come sito archeologica e nessun materiale archeologico era stato ritrovato indosso agli imputati all'atto della perquisizione da parte dei CC. Con il secondo motivo viene eccepita la manifesta illogicità della motivazione in relazione all'accenno fatto dalla Corte territoriale ad una conoscenza da parte del Dirigente dei Musei Civici di Reggio Emilia dell'esistenza di un sito, peraltro distante alcuni chilometri rispetto all'area in cui si trovavano i due imputati, di età romana e dove sarebbe stata rinvenuta una moneta celtica. Con il terzo motivo la difesa lamenta carenza di motivazione per il mancato riferimento nelle argomentazioni della Corte di Appello all'art. 10 del D. Lgs. 42/04 espressamente richiamato invece dalla norma violata.
1.3 Nei termini la difesa depositata motivi nuovi con i quali invoca l'applicabilità dell'art. 131 bis del cod. pen. non richiesta prima per inesistenza della norma al momento della proposizione dell'appello, insistendo per il resto nei motivi originari e nella prescrizione del reato nel frattempo maturata. .
1. Diritto
1. Il ricorso è fondato nei limiti e termini che seguono. Incontestato il fatto che i due imputati sono stati individuati da una guardia giurata faunistica mentre muniti di metal detector perlustravano una zona del Comune di Gattatico - località "Corte Santa Rita" adiacente alla strada che dalla località S. Ilario portava verso l'autostrada, va rilevato che tale zona non era classificata come archeologica anche perché non esistevano in riferimento al detto Comune carte 1 /(-27 archeologiche redatte da parte dei Musei Civici o dalla Provincia o dalla Sopraintendenza ai BB.CC .AA.
2. Per una migliore conoscenza della vicenda sotto l'aspetto processuale va fatto un doveroso richiamo al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 175 che punisce "con l'arresto fino ad un anno e l'ammenda da Euro 310,00 a Euro 3.099,00: a) chiunque esegue ricerche archeologiche o, in genere, opere per il ritrovamento di cose indicate all'art. 10 senza concessione, ovvero non osserva le prescrizioni date dall'amministrazione; b) chiunque, essendovi tenuto, non denuncia nel termine prescritto dall'art. 90, comma 1, le cose indicate nell'art. 10 rinvenute fortuitamente o non provvede alla loro conservazione temporanea."
2.1 Ancora deve essere fatto riferimento - in relazione al richiamo espresso contenuto nel cennato art. 175, nella lett. a) all'art. 10, comma 1 del medesimo D.Lgs. secondo il quale "Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonchè ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico." Per completezza va poi ricordato che vengono ritenuti beni culturali quelli espressamente indicati nel comma 2, alle lett. a), b) e c), nonchè quelli indicati nel comma 3 semprechè sia intervenuta la speciale dichiarazione di cui all'art. 13, indicati alle lett. a), b), c), d) ed e) ed infine che rientrano tra le cose indicate nel comma 1 e nel comma 3, lett. a) quelle menzionate nelle lett. da a) a l) del comma 4.
2.2 Tanto premesso, va precisato che la condotta prevista dall'art. 175 del menzionato D.Lgs. (già D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 124) si realizza indipendentemente dal rinvenimento degli oggetti e concorre - laddove ne ricorrano le condizioni - con il reato di impossessamento di oggetti di interesse archeologico, in considerazione della diversità delle due fattispecie in quanto è chiamato a rispondere di quest'ultimo reato anche chi sia munito di autorizzazione per effettuare ricerche archeologiche (Sez. 3^ 7.5.2015 n. 9927, Sarullo, Rv. 266764; idem 26.10.2007 n. 44967, Liberatore e altri, Rv. 238276).
2.3 Quanto alla condotta di esecuzione delle ricerche archeologiche, è sempre stato affermato che tale condotta, per essere posta in essere senza conseguenze di carattere penale, necessita della preventiva autorizzazione del Ministero competente (Sez. 3" 23.10.1972 n. 1448, Petronio, Rv. 123232 con riferimento alla L. 1 giugno 1939, n. 1089). Così come è stato affermato che è irrilevante la circostanza che nella zona esistono oggetti vetusti e che tali oggetti posseggono interesse archeologico ovvero che tale situazione sia nota all'agente, in quanto quello che conta ai fini della punibilità è l'effettuazione di ricerche archeologiche sprovvisto di apposita autorizzazione o concessione (in termini Sez. 5^ 17.7.1973 n. 8839, Masala, Rv. 125647).
2.4 Va quindi ribadito il principio di diritto cui il Collegio intende dare continuità, secondo il quale ai fini della integrazione della fattispecie non rileva l'esistenza o meno del sito archeologico quanto la condotta in sè caratterizzata da ricerche nel sottosuolo di tipo archeologico indirizzate, quindi, alla scoperta di beni di interesse archeologico ed effettuate senza autorizzazione.
3. Tuttavia nel caso in esame deve riconoscersi che la decisione della Corte territoriale è caratterizzata da una serie di affermazioni di tipo apodittico che inducono a ritenere non manifestamente infondato il motivo del ricorso basato sulla manifesta illogicità della motivazione.
3.1 Vale, al riguardo, oltre alla circostanza sottolineata dalla difesa (ma in realtà enunciata dalla stessa Corte territoriale) che il sito in cui i due imputati vennero notati non era classificato come archeologico, anche perchè non raffigurato in alcuna mappa redatta dalle competenti autorità sia locali che statali, la non inverosimiglianza della tesi - disattesa dalla Corte di merito sulla base di affermazioni autoreferenziali - della ricerca di meteoriti come riferito dai due imputati nella immediatezza della loro individuazione: tesi ritenuta dalla Corte di merito inverosimile perchè effettuata "secondo un criterio di causalità" (pag. 3 della sentenza impugnata) e senza alcuna programmazione, con argomentazione di tipo presuntivo.
3.2 Il vizio di manifesta illogicità dedotto dalla difesa rende, quindi, nulla la sentenza impugnata per la quale si imporrebbe un annullamento con rinvio per nuova motivazione sul punto. Ma tale soluzione, stante la maturata prescrizione rispetto alla data di commissione dei fatti risalenti all'agosto 2010, senza che siano intervenuti medio tempore sospensioni del suo corso, appare del tutto superflua, dovendosi invece pronunciare l'annullamento della sentenza senza rinvio per estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata comunque dopo la sentenza di appello e dedotta dalla difesa dei ricorrenti con i motivi aggiunti.
3.3 Vale, sul punto, il principio affermato dalle SS.UU. di questa Corte secondo il quale nella ipotesi di maturazione del termine prescrizionale successivamente alla sentenza di appello è solo l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi a precludere la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p., non potendo considerarsi formato un valido rapporto di impugnazione (S.U. 22.11.2000 n. 32 D.L. Rv. 217266; Sez. 2^, 20.11.2003 n. 47383, Viola, Rv. 227546; Sez. 4^ 20.1.2004 n. 18641, Tricorni, Rv. 228349; Sez. 2^ 8.5.2013 n. 28848, Ciaffoni, Rv. 256463).
4. Quanto al motivo nuovo dedotto dalla difesa con i motivi aggiunti depositati il 14 ottobre 2015 va osservato che, anche a voler ritenere sussistente il potere di questa Corte Suprema di pronunciarsi sulla ammissibilità in sede di legittimità della eventuale richiesta di applicazione del nuovo istituto codicistico, formulata per la prima volta nel giudizio di cassazione, nel caso in esame tale evenienza è da ritenersi preclusa essendo il reato in esame prescritto ed essendo tale formula di proscioglimento prevalente sulla causa di non punibilità.
4.1 Tale conclusione si giustifica, come precisato nella decisione testè menzionata, in relazione alla particolare struttura del nuovo istituto il cui testo implica valutazioni di merito sulla sussistenza della causa di non punibilità (causa, sia detto per incidens, non rientrante nel novero delle ipotesi contemplate dall'art. 129 c.p.p. che prevedono un proscioglimento dell'imputato secondo una delle formule enunciate nel detto articolo) che sono sottratte al giudizio della Corte di legittimità, una volta che il reato risulti prescritto.
4.2 Se è vero, infatti, che il D.Lgs. in esame non contiene alcuna disciplina transitoria e che, trattandosi di norma più favorevole, va fatto richiamo ai principi generali in tema di successione delle norme nel tempo ex art. 2 c.p., comma 4 per verificare la possibilità di applicare il nuovo istituto ai procedimenti in corso, è del pari indubitabile che nel caso regolamentato dall'art. 131 bis c.p. il fatto viene pur sempre qualificato come "reato" (si richiamano i contenuti dell'art. 651 bis c.p.p. come introdotto dal citato D.Lgs. n. 28 del 2015 e va ricordato anche che l'imputato viene dichiarato "non punibile"), sicchè la causa di non punibilità di cui si discute va qualificata come atipica.
4.3 Ciò comporterebbe ancora una volta l'esigenza di annullare la sentenza con rinvio, (circostanza contraria alle ragioni di economia processuale legate alla maturata prescrizione del reato medio tempore) in relazione alla necessità - in mancanza di riferimenti contenuti nella sentenza di appello - di effettuare accertamenti di merito onde verificare la applicabilità del nuovo istituto in relazione alle condizioni richieste dalla norma.
4.4 Si ritiene allora di dare continuità al principio già affermato da questa Corte con sentenza di questa stessa Sezione 26.5.2015 n. 27055, P.C. in proc. Sorbara, Rv. 263885, ribadendosi che l'eventuale declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevale su una declaratoria di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, sia in relazione alle diverse conseguenze scaturenti dalle due pronunce, sia in relazione al fatto che con la declaratoria di prescrizione il reato si estingue, laddove la declaratoria di non punibilità per la particolare tenuità del fatto lascia del tutto intatto il reato nella sua esistenza sia storica che giuridica.
5. Tanto doverosamente chiarito, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione.
PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2016