TAR Lombardia (BS) Sez. I n.1341 del 13 luglio 2012
Beni ambientali.Rapporto tra tutela urbanistica e tutela paesaggistica

La tutela urbanistica e quella paesaggistica sono autonome ed hanno pari dignità, il che sta a significare che in un’area paesaggisticamente vincolata l’assegnazione di una certa volumetria nello strumento di piano da parte dell’ente locale è solo condizione necessaria, ma non sufficiente, perché possano poi essere rilasciati i titoli abilitativi per costruirla. In un’area paesaggisticamente vincolata l’assegnazione di una certa volumetria nello strumento di piano da parte dell’ente locale non dà alcuna garanzia in ordine alla futura edificazione, perché l’esercizio della funzione di tutela paesaggistica può rivedere completamente le volumetrie assegnate in sede urbanistica ed arrivare anche a negare del tutto di edificare anche un solo metro cubo, perché nelle valutazioni di pertinenza dell’autorità preposta alla tutela del paesaggio deve essere obbligatoriamente presa in considerazione anche la stessa possibilità di cui dispone l’autorità preposta alla tutela urbanistica, e cioè la opzione zero, cioè la possibilità di non realizzare nulla.

 

 

N. 01341/2012 REG.PROV.COLL.

N. 00104/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 104 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
DOLOMITES REAL ESTATE Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Luppi, Alberto Luppi, con domicilio eletto presso Alberto Luppi in Brescia, via Solferino, 10;

contro

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA' CULTURALI - SOPRINTENDENZA BENI ARCHITETTONICI E PAESAGGISTICI BS CR MN, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliata per legge in Brescia, via S. Caterina, 6;

nei confronti di

COMUNE DI TOSCOLANO-MADERNO, COMUNITÀ MONTANA PARCO ALTO GARDA BRESCIANO, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

(con ricorso principale) della nota prot. n. 0025966 del 21/11/2011 della Soprintendenza recante parere negativo alla richiesta n. 0020977 del 16/9/2011 e del consequenziale provvedimento del 21. 11. 2011 della Comunità montana Alto Garda;

(con ricorso per motivi aggiunti) del provvedimento ulteriormente consequenziale del 23. 1. 2012 del Comune di Toscolano Maderno

 

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 giugno 2012 il dott. Carmine Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con ricorso principale la ricorrente impugna il provvedimento del 21. 11. 2011 con cui la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Brescia ha espresso parere negativo all’intervento edilizio di realizzazione di un nuovo residence, ed il consequenziale provvedimento del 21. 11. 2011 della Comunità montana Alto Garda.

Con ricorso per motivi aggiunti la ricorrente impugna anche il provvedimento ulteriormente consequenziale del 23. 1. 2012 del Comune di Toscolano Maderno.

 

I motivi che sostengono il ricorso sono i seguenti:

1. il provvedimento sarebbe illegittimo per eccesso di potere per contraddittorietà, in quanto si porrebbe in contraddizione con la nota del 24. 6. 2009 con cui la stessa Soprintendenza aveva valutato favorevolmente la collocazione degli edifici e la volumetria;

2. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 146 d.lgs. 42/04, perché la Soprintendenza avrebbe travalicato le proprie competenze istituzionali sulla tutela paesaggistica negando del tutto la possibilità edificatoria all’area in esame, potere che esulerebbe dall’impianto del codice dei beni culturali ed ambientali;

3. il provvedimento sarebbe illegittimo per eccesso di potere per travisamento dei presupposti, in quanto in concreto non sarebbe corretto il giudizio sull’impatto paesaggistico che avrebbero le opere da realizzare;

4. il provvedimento della Comunità montana sarebbe affetto quindi da illegittimità derivata.

Nel ricorso per motivi aggiunti sono riproposti identici i medesimi motivi.

 

Si costituiva in giudizio l’Avvocatura dello Stato, che deduceva l’infondatezza dei motivi di ricorso.

Nessuno si costituiva per le altre parti convenute in giudizio.

 

Nel ricorso era formulata altresì istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.

Con ordinanza del 8. 3. 2012 n. 381 il Tribunale fissava il merito ex art. 55, co. 10, c.p.a..

 

Il ricorso veniva discusso nella pubblica udienza del 27. 6. 2012, all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.

DIRITTO

I. Il ricorso è infondato.

 

II. Il primo motivo del ricorso è incentrato sulla asserita contraddittorietà tra il provvedimento del 21. 11. 2011 con cui la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Brescia ha negato la possibilità di realizzare l’intervento ed il parere del 24. 6. 2009 con cui invece la stessa si sarebbe espressa in senso favorevole all’intervento.

In realtà, questa contraddittorietà non c’è.

Se si legge la nota del 24. 6. 2009 che, a giudizio della ricorrente, avrebbe ormai vincolato la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Brescia ad accettare il progetto della stessa, si potrà constare che in essa vi è scritto quanto segue: “questo ufficio prende atto dell’avvenuta variante dell’ipotesi progettuale di nuovo insediamento turistico in località Belvedere, evidentemente migliorativa rispetto alla prima ipotesi di costruzione del complesso sul culmine del rilievo. Si dà quindi parere favorevole alla localizzazione degli edifici e alle volumetrie proposte. Nel progetto definitivo che dovrà essere sottoposto al Comune per il rilascio di autorizzazione paesaggistica, maggiore attenzione dovrà essere posta alla giacitura degli immobili, possibilmente adattandosi alle curve di livello, onde evitare estesi riporti di terra e vistosi muri di contenimento, di forte impatto visivo”.

Si trattava, quindi, un parere emesso quando non esisteva ancora il progetto definitivo, non si conosceva ancora l’esatta localizzazione (perché altrimenti non si parlerebbe di prestare attenzione alla giacitura degli immobili), e l’esatta altezza degli stessi (altrimenti non si chiederebbe di prestare attenzione alle curve di livello), ed in cui era tutto comunque ancora da verificare l’impatto sul paesaggio dell’opera (perché altrimenti non si prescriverebbe di evitare il forte impatto visivo).

Il provvedimento di rigetto qui impugnato, che - a differenza del parere del 2009 con cui viene raffrontato - è impossibile da trascrivere in questa sentenza constando invece di ben 133 righe, lamenta la mancanza di esatta quantificazione dell’ampiezza dell’intervento, la mancata consegna delle tavole dei garage, la mancanza di indicazioni circa le quote delle ampie aree esterne pavimentate, la mancanza di elaborato descrittivo della strada di accesso interna all’area, la mancata indicazione delle sezioni con le indicazioni degli interventi di sterro e riporto, e aggiunge che la realizzazione di un intervento edificatorio così esteso, che copre quasi interamente il promontorio del lotto, riduce ulteriormente i caratteri di naturalità del sito con semplificazione dell’andamento morfologico del terreno, che si verificherebbe la totale cancellazione dello skyline naturale, che l’edificazione di una così ampia parte del versante determina una irrecuperabile modificazione dell’assetto percettivo, scenico e panoramico di tutto il fronte collinare di cui fa parte.

Il provvedimento aggiunge, inoltre, numerose considerazioni ulteriori sulla visibilità delle opere edilizie sia dal versante del lago che da quello collinare di Gaino, e di come verrebbe sfigurato in modo definitivo ed irrevocabile il versante da un intervento edilizio così impattante.

In questo contesto non può essere apprezzata la pretesa della ricorrente di aver maturato ormai un diritto acquisito all’edificazione per effetto della nota del 24. 6. 2009.

Quella breve nota, infatti, può essere distinta in due parti. Nella prima (prende atto, esprime parere favorevole) la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Brescia, in realtà, si limita a prendere atto con soddisfazione dell’abbandono del primo progetto originario ancora più impattante, e non autorizza proprio niente.

Nella seconda la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Brescia comincia già in anticipo a prescrivere come dovrà essere strutturato il progetto definitivo da presentare per l’approvazione, non rilasciando nessuna delega in bianco sulla realizzazione dello stesso.

Non vi è quindi nessuna approvazione anticipata del progetto definitivo, perché la breve nota del 24. 6. 2009 da un lato archivia con soddisfazione il progetto originario, e dall’altro comincia a dettare prescrizioni per il progetto definitivo.

Inoltre, come acutamente evidenziato dall’Avvocatura dello Stato, c’è da considerare un altro aspetto che è pretermesso nella impostazione del motivo di ricorso, e cioè che tra la nota del 24. 6. 2009 ed il provvedimento impugnato del 24. 11. 2011 è intervenuta l’entrata in vigore dell’art. 146 del Codice dei beni culturali, terminata la fase transitoria dell’art. 159, e quindi si sono modificati consistentemente i poteri della Soprintendenza, che prima si poteva a limitare ad un esame di legittimità, ed adesso invece è titolare di un pieno potere di merito.

Se anche, quindi, vi fosse contraddittorietà tra la nota del 24. 6. 2009 ed il provvedimento impugnato, essa sarebbe comunque giustificabile per effetto del diverso contesto normativo, in quanto il 24. 6. 2009 la Soprintendenza poteva limitarsi soltanto a salvare il salvabile, mentre con il provvedimento del 21. 11. 2011 ha espresso un potere di cui non poteva essere titolare circa 30 mesi prima.

 

III. Nel secondo motivo si sostiene che il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 146 d.lgs. 42/04, perché la Soprintendenza avrebbe travalicato le proprie competenze istituzionali sulla tutela paesaggistica negando del tutto la possibilità edificatoria all’area in esame, potere che esulerebbe dall’impianto del codice dei beni culturali ed ambientali.

Anche questo motivo è infondato.

A prescindere dal contenuto in concreto del provvedimento (che non nega affatto del tutto le potenzialità edificatorie, limitandosi a conformarle), non può essere proprio accettata l’impostazione su cui è basato questo motivo di ricorso.

In esso il ricorrente scrive che il corretto esercizio del potere di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica deve partire dal presupposto della edificabilità dei suoli, dato di fatto immutabile dal Ministero, e che i parametri di costruzione dovrebbero essere ricavati soltanto dagli strumenti urbanistici decisi dagli enti locali, mentre il compito della Soprintendenza sarebbe solo la verifica delle modalità costruttive scelte.

Questa costruzione non è giuridicamente accettabile. Essa, infatti, svilisce il ruolo della tutela paesaggistica, trasformandola in un mero potere di dettaglio rispetto alla disciplina urbanistica, che rimarrebbe unica e sola a dettare la disciplina di principio.

Mutatis mutandis, si trasformerebbe, infatti, il rapporto tra tutela urbanistica e tutela paesaggistica in qualcosa di simile al rapporto che esiste negli ambiti di legislazione concorrente tra disciplina di principio dettata dallo Stato e disciplina di dettaglio dettata dalle Regioni. Secondo l’impostazione del ricorrente, infatti, alla tutela urbanistica dovrebbe essere riservato il potere di dettare la disciplina di principio degli interventi edilizi (volumetrie, altezze, distanze tra i fabbricati), mentre alla tutela paesaggistica resterebbe soltanto il potere di muoversi in questa cornice (dettando forma degli edifici, colori, tipologie di mitigazione degli interventi), talchè se l’ente locale ha deciso una certa volumetria la Soprintendenza non potrebbe impedire di realizzarla perché ormai questa volumetria è data.

In realtà, non è questo il rapporto tra tutela urbanistica e tutela paesaggistica nel nostro ordinamento. La tutela urbanistica e quella paesaggistica, infatti, sono autonome ed hanno pari dignità, il che sta a significare che in un’area paesaggisticamente vincolata l’assegnazione di una certa volumetria nello strumento di piano da parte dell’ente locale è solo condizione necessaria, ma non sufficiente, perché possano poi essere rilasciati i titoli abilitativi per costruirla.

In un’area paesaggisticamente vincolata l’assegnazione di una certa volumetria nello strumento di piano da parte dell’ente locale non dà alcuna garanzia in ordine alla futura edificazione, perché l’esercizio della funzione di tutela paesaggistica può rivedere completamente le volumetrie assegnate in sede urbanistica ed arrivare anche a negare del tutto di edificare anche un solo metro cubo, perché nelle valutazioni di pertinenza dell’autorità preposta alla tutela del paesaggio deve essere obbligatoriamente presa in considerazione anche la stessa possibilità di cui dispone l’autorità preposta alla tutela urbanistica, e cioè la opzione zero, cioè la possibilità di non realizzare nulla (sull’opzione zero, v. Consiglio Stato, sez. IV, 5 luglio 2010, n. 4246).

Se così non fosse, non vi sarebbe quell’autonomia tra tutela urbanistica e tutela paesaggistica su cui è fondato il nostro sistema giuridico, e la tutela paesaggistica verrebbe ad essere meramente sussidiaria a quella urbanistica.

E ciò sarebbe addirittura contraddittorio, considerato che in realtà è solo la tutela paesaggistica a godere di copertura costituzionale, attraverso il richiamo dell’art. 9 Cost., ed essa finirebbe invece con l’essere subordinata alle valutazioni urbanistiche che non godono della stessa copertura.

D’altronde, la tutela paesaggistica è stata introdotta proprio perché la tutela urbanistica si rivela da sola inadeguata ad assicurare nelle aree protette quel principio di protezione sostenibile di cui ha parlato Cons. Stato, sez. VI, 16 novembre 2004, n. 7472, secondo cui “il problema del punto di equilibrio tra realizzazione di infrastrutture e tutela dell'ambiente e del paesaggio e, dunque, del concreto atteggiarsi del principio dello sviluppo sostenibile (ora codificato dall'art. 3 quater, d.leg. 152/06), meglio si chiarisce anche in relazione alla valutazione dell'utilizzazione economica delle aree protette; per cui non dovrebbe parlarsi di sviluppo sostenibile ossia di sfruttamento economico dell'ecosistema compatibile con esigenza di protezione, ma, con prospettiva rovesciata, di protezione sostenibile, intendendosi con tale terminologia evocare i vantaggi economici che la protezione in sé assicura senza compromissione di equilibri economici essenziali per la collettività. Si deve ammettere l'alterazione dei valori ambientali solo in quanto non vi siano alternative possibili”.

 

IV. Nel terzo motivo il provvedimento sarebbe illegittimo per eccesso di potere per travisamento dei presupposti, in quanto in concreto non sarebbe corretto il giudizio sull’impatto paesaggistico che avrebbero le opere da realizzare.

In particolare, non sarebbe corretto:

- sostenere che le opere edilizie si collocano sul crinale, perché il precedente progetto è stato arretrato proprio per evitare che le opere si collocassero esattamente sul crinale;

- sostenere che vi sia una alterazione del sistema orografico;

- sostenere che l’area sia di particolare pregio, quando in realtà è già occupata da notevoli edifici;

- sostenere che non si condivide l’approccio della mitigazione delle opere come soluzione progettuale all’incidenza che il progetto ha sul territorio;

- sostenere che non sono stati depositati tutti gli elementi di progetto per effettuare una valutazione (volumetria, zona garage, quote aree esterne).

Andando con ordine, sulla questione della collocazione sul crinale, è il caso anzitutto di rilevare che il parere negativo della Soprintendenza non parla esplicitamente di collocazione sul crinale, nel parere si contesta più genericamente il posizionamento, si parla di ampia visibilità del fronte collinare, di opera che copre il promontorio del lotto, e si richiamano altre espressioni che fanno pensare ad una posizione non arretrata e nascosta, ma non si parla di crinale quanto di versante. Da questo punto di vista, il motivo di ricorso non è esattamente conferente rispetto al provvedimento impugnato.

In ogni caso, crinale o versante che sia, leggendo le curve di livello del disegno tecnico di individuazione della sagoma di intervento contenuto in pagina non numerata allegata alla relazione paesaggistica, e guardando le stesse fotografie dell’intervento su cui ha posto l’attenzione l’Avvocatura nella sua memoria conclusiva, si nota che in realtà l’intervento edilizio si sviluppa proprio in prossimità del fronte.

Inoltre, dai render n. 2 e n. 4, sempre allegati alla relazione paesaggistica, emergerebbe anzi che le palazzine debbano sorgere proprio in prossimità della sommità del versante. Non è d’altronde contestato che il progetto abbia cercato di discostarsi il meno possibile dal crinale, perchè la stessa ricorrente non ha mai nascosto il proprio proposito di posizionare le palazzine in posizione quanto più esposta possibile per sfruttare la maggiore ampiezza della vista lago e rendere commercialmente più appetibili gli immobili da proporre in vendita.

La soluzione progettuale proposta dalla ricorrente non consente, pertanto, di giudicare impropri i riferimenti contenuti nel provvedimento impugnato alla posizione sommitale dell’intervento edilizio (fermo restando che, come si è detto prima, la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Brescia non dice esplicitamente che l’intervento sia posizionato proprio sul crinale).

Sulla questione dell’alterazione del sistema orografico, il motivo è inconferente, in quanto la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Brescia cita questa criticità nella parte introduttiva del provvedimento quando indica gli indirizzi di tutela e poi non la riprende ulteriormente, essa pertanto non ha inciso esplicitamente sulla valutazione di discrezionalità tecnica compiuta.

Fermo restando che un intervento che opera in prossimità di un crinale con visibilità da ambo i lati dello stesso interviene sul sistema orografico, ed in modo anche particolarmente impattante.

Sulla questione della esistenza nella zona di numerosi edifici, la circostanza che vi sia già una qualche edificazione non esclude il vincolo, né esclude che debba essere valutato in modo meno rigoroso l’impatto dell’opera sul paesaggio, ma è solo un coelemento della valutazione.

Nel caso in esame, peraltro, guardano le foto allegate alla relazione paesaggistica si nota che, al contrario di quanto si tende a sostenere in ricorso, l’area in cui sorge l’intervento è prevalentemente boscata, che sotto l’area (e quindi in posizione meno evidenziata) esistono delle edificazioni in un contesto però di verde diffuso, e che le edificazioni già esistenti sono molto contenute rispetto all’intervento edilizio che vorrebbe realizzare la ricorrente che, per la sua maestosità, verrebbe sostanzialmente a raddoppiare l’impatto del territorio antropizzato rispetto a quello naturale nella zona.

Il coelemento di valutazione della esistenza di edificazioni, pur dovendo essere considerato, non può quindi giovare alla ricorrente per sostenere il travisamento o lo sviamento del parere della Soprintendenza.

Sulla questione delle opere di mitigazione, la censura mossa all’operato della Soprintendenza, pur molto abile, si esercita in una delle attività preferite nei ricorsi giurisdizionali, e cioè estrapolare una frase da un provvedimento, criticarla, e trasformarla automaticamente in un vizio di eccesso di potere del provvedimento impugnato.

Nel caso in esame, la Soprintendenza si era limitata ad evidenziare che il parere favorevole della Comunità montana era contraddittorio, perché da un lato evidenziava l’alta percezione del sito, la diretta esposizione verso il lago, le altezze dei piani, e dall’altro si accontentava delle opere di mitigazione.

La Soprintendenza ha scritto che non condivide l’idea che le opere di mitigazione servano a mascherare l’intervento, perchè invece devono servire ad armonizzarlo con il contesto. L’affermazione è esente da vizi logici, e si ritiene possa essere condivisa da chiunque.

Va anche aggiunto che, comunque, correttamente la Soprintendenza ha censurato il parere favorevole della Comunità montana che, dopo aver rilevato il fortissimo impatto visivo del consistente intervento edilizio che vorrebbe realizzare la ricorrente, si accontenta delle opere di mitigazione. La Comunità montana avrebbe dovuto valutare, invece, anche l’opzione zero (Consiglio Stato sez. IV, 5 luglio 2010, n. 4246), ed ammettere l’intervento con le opere di mitigazione solo qualora non fosse proprio possibile ricorrere all’opzione principale di non far realizzare proprio nulla.

Sulla questione che non sarebbero stati depositati tutti gli elementi di progetto per effettuare una valutazione (volumetria, zona garage, quote aree esterne), il motivo di ricorso è inconferente, posto che la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Brescia non ha respinto la richiesta per questo motivo, ma ha solo effettuato un inciso in apertura di questo tipo, e poi ha comunque valutato il progetto. Essa non ha, pertanto, inciso sulla determinazione finale.

Non si riesce a comprendere, invece, la censura relativa al vizio di partecipazione procedimentale, posto che la ricorrente, prima del parere contrario della Soprintendenza, ha ricevuto finanche comunicazione ex art. 10bis l. 241/90, che pure non è prevista né dalla norma dell’art. 146, co. 8, codice dei beni culturali (che disegna una procedura diversa dove il preavviso di diniego è dato prima del provvedimento finale del Comune), né dallo stesso art. 10bis l. 241/90 che prevede un solo preavviso di diniego prima del provvedimento finale (che non è quello della Soprintendenza, che è soltanto un parere).

La ricorrente ha quindi ottenuto più di quanto prescrive la legge, non può lamentarsi pertanto, come invece fa in ricorso, che il contraddittorio sia stato rispettato soltanto in modo formale ed apparente.

 

V. I motivi di illegittimità derivata del ricorso principale e dei motivi aggiunti non possono a questo punto essere apprezzati

 

VI. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

RESPINGE il ricorso.

CONDANNA la ricorrente al pagamento in favore delle controparti costituite delle spese di lite, che determina in euro 6.000 (oltre accessori, se dovuti).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 27 giugno 2012 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Petruzzelli, Presidente

Francesco Gambato Spisani, Primo Referendario

Carmine Russo, Primo Referendario, Estensore





L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE










DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 13/07/2012