TAR Toscana, Sez. III, n. 1216, del 9 luglio 2014
Beni Ambientali.Accertamento compatibilità paesaggistica

Secondo l’orientamento più rigoroso presente nel panorama giurisprudenziale italiano, l’art. 167, comma quarto, lett. a) del decreto legislativo numero 42 del 2004, non può essere letto in una prospettiva riduttiva, essendo la disposizione chiara nel prevedere che l’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 01216/2014 REG.PROV.COLL.

N. 01992/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1992 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
Società Cooperativa Edilizia Manta, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Duccio Maria Traina, domiciliatario in Firenze, via Lamarmora 14;

contro

Comune di Monticiano, in persona del Sindaco in carica, n.c.; 
Ministero per i Beni e le Attività culturali in persona del Ministro in carica, Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici delle Province di Siena e Groseto, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze, ivi domiciliataria in via degli Arazzieri 4;

per l'annullamento

con il ricorso introduttivo del giudizio:

del provvedimento prot. n. 5291/2012 del 27.09.2012 del Responsabile del Servizio Urbanistica, Arch. Pietro Bucciarelli, avente ad oggetto "Pratica Edilizia n. 18/2010 - Accertamento di conformità in sanatoria per opere eseguite in difformità del permesso di costruire n. 6 del 02.07.2005 - DINIEGO" trasmesso alla ricorrente con raccomandata a/r dell'11.10.12;

- del provvedimento prot. n. 5292/2012 del 27.09.2012 del Responsabile del Servizio Urbanistica, Arch. Pietro Bucciarelli, avente ad oggetto "Pratica Edilizia n. 28/2010 - Accertamento di conformità in sanatoria per opere eseguite in difformità del Permesso di Costruire n. 1 del 18.01.2006 DINIEGO" (per le opere eseguite sul fabbricato "3" del lotto 3) trasmesso alla ricorrente con raccomandata ar dell'11.10.2012;

- del provvedimento prot. n. 5293/2012 del 27.09.2012 del Responsabile del Servizio Urbanistica, Arch. Pietro Bucciarelli, avente ad oggetto "Pratica Edilizia n. 28/2010 - Accertamento di conformità in sanatoria per opere eseguite in difformità del Permesso di Costruire n. 1 del 18.01.2006 - DINIEGO" per le opere eseguite sul fabbricato "3°" del lotto 3) trasmesso alla ricorrente con raccomandata a/r dell'11.10.2012;

- della nota prot. n. 5202 del 25.09.2012 (unica per le tre pratiche) avente ad oggetto il parere negativo della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Siena e Grosseto, comunicato alla ricorrente unitamente ai predetti provvedimenti;

- di ogni altro atto preliminare, presupposto, connesso e/o conseguente a tali provvedimenti;

con i motivi aggiunti depositati il 3 giugno 2013:

- dell'ordinanza n. 6 del 18.03.2013, a firma del Responsabile del Servizio Urbanistica, Arch. Pietro Bucciarelli, avente ad oggetto "Edificio residenziale di cui al p.c. n. 6 dello 02.07.2005 (Lotto 1) - Opere in difformità del Permesso di costruire - Ordinanza di demolizione - Annullamento Ordinanza n. 1/2013", notificato alla ricorrente il 27.03.2013;

- dell'ordinanza n. 7/2013 del 18.03.2013, a firma del Responsabile del Servizio Urbanistica, Arch. Pietro Bucciarelli, avente ad oggetto "Edificio residenziale di cui al p.c. n. 1 del 18.01.2006 Lotto 3) - Opere in difformità del Permesso di costruire - Ordinanza di demolizione - Annullamento Ordinanza n. 3/2013", notificato alla ricorrente il 27.03.2013;

- di ogni atto presupposto, connesso e/o conseguente, ancorché incognito ai ricorrenti.



Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero Beni culturali e della Soprintendenza Beni architettonici delle Province di Siena e Grosseto;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 giugno 2014 la dott.ssa Rosalia Messina e uditi per le parti i difensori A. Giglio delegata da D. M. Traina e dall’avvocato dello Stato M. Gambini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

La società ricorrente impugna i provvedimenti, di estremi specificati in epigrafe, con i quali il Comune di Monticiano, sulla base di un parere negativo della Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici delle Province di Siena e Grosseto, ha respinto le istanze di accertamento di conformità in sanatoria per opere eseguite in difformità dal permesso di costruire. Si tratta di opere eseguite su tre fabbricati, ubicati in area sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi dell’articolo 142, comma primo, lettera g), del decreto legislativo numero 42 del 2004 (aree boscate), nonché a vincolo idrogeologico.

Vengono impugnate altresì, con i motivi successivamente aggiunti al ricorso introduttivo, le ordinanze, di estremi pure in epigrafe precisati, che ingiungono la demolizione delle opere di cui trattasi.

I relativi permessi di costruire erano stati preceduti dalle autorizzazioni paesaggistiche.

Non è contestato che le opere sono state eseguite in difformità rispetto ai progetti autorizzati, tanto che la ricorrente presentava tre distinte domanda di accertamento di conformità ai sensi dell’articolo 140 della legge regionale Toscana numero 1 del 2005.

Sono stati in particolare realizzati: l’ampliamento di circa 50 cm delle due logge realizzate sul prospetto fronte dei fabbricati; la copertura delle terrazze poste ai fianchi destro e sinistro dei fabbricati, che sono state pertanto trasformate in logge; gli incrementi di altezza variabili tra 20 e 30 centimetri delle quote di alcuni tetti.

Secondo parte ricorrente, che richiama la relazione paesaggistica allegata alle domande di sanatoria, tali difformità sarebbero del tutto marginali, prive di impatto sul contesto naturale in cui i fabbricati sono ubicati e non modificherebbero la percezione paesaggistica degli edifici, essendo stata realizzata una schermatura verde a valle degli stessi, come prescritto dalle originarie autorizzazioni ambientali.

Secondo il punto di vista dell’amministrazione, alla sanatoria osterebbe l’articolo 167, comma quarto, del decreto legislativo numero 42 del 2004, che vieterebbe il rilascio dell’accertamento di compatibilità paesaggistica nel caso in cui le opere abbiano determinato creazione di superfici utili o di volumi, in relazione all’aumento delle superfici delle quote in gronda sulle terrazze, alla copertura delle terrazze esterne nonché all’aumento di volume conseguente al riadattamento delle quote dei tetti.

Detti motivi ostativi sono stati comunicati alla società, la quale, attraverso il proprio tecnico di fiducia, li ha radicalmente contestati, sostenendo che in nessun caso si era determinato aumento di volume e di superficie.

Dopo integrazione istruttoria e acquisizione del parere della Commissione comunale per il Paesaggio del 26 luglio 2012, che si era pronunciata favorevolmente, il procedimento si concludeva con tre distinti provvedimenti di diniego delle sanatorie richieste; tali dinieghi erano motivati sul rilievo del mancato accertamento, ai sensi degli articoli 167 e 181 del decreto legislativo numero 42 del 2004, della compatibilità paesaggistica delle opere, ostativo al rilascio della sanatoria edilizia.

Il Comune rilevava infatti un incremento di volume.

La società ricorrente insorge, deducendo la violazione di diverse disposizioni di legge e regolamentari: articolo 7 del regolamento urbanistico comunale approvato con deliberazione consiliare numero 8 del 2009, articolo 14 del regolamento edilizio approvato con deliberazione della Giunta regionale Toscana numero 6888 del 21 ottobre 1973, articolo 167, commi quarto e quinto, del decreto legislativo numero 42 del 2004, circolare dell’Ufficio Legislativo del Ministero per i Beni e le Attività culturali numero 16721 del 13 settembre 2010, articoli 3 e 10-bis della legge numero 241 del 1990; deduce altresì eccesso di potere sotto i profili del travisamento dei fatti, del difetto dei presupposti, della manifesta irragionevolezza, della violazione del principio del giusto procedimento.

Con i motivi aggiunti si deduce, avverso le ordinanze che ingiungono la demolizione delle opere abusive, sotto il profilo di illegittimità derivata motivi sostanzialmente identici.

Il Ministero dei Beni e delle Attività culturali e la Soprintendenza per i Beni Architettonici paesaggistici per le province di Siena e Grosseto si sono costituiti in resistenza tramite la difesa erariale, difendendo la legittimità dei provvedimenti impugnati.

Alla pubblica udienza del 25 giugno 2014 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Il nucleo essenziale della controversia attiene alla qualificazione delle opere effettuate, sotto il profilo degli effetti alle stesse ricollegabili quanto a superficie e volume; come si è già accennato, secondo parte ricorrente non vi sarebbe alcun incremento di superficie utile e di volume degli edifici, ove i calcoli tengano conto di un concetto autonomo di superficie e di volume ai sensi di alcune disposizioni del regolamento edilizio e del regolamento urbanistico vigenti nel Comune di Viareggio. Secondo parte resistente, invece, l’articolo 167 del decreto legislativo numero 42 del 2004 non farebbe riferimento ai parametri della superficie e del volume in senso urbanistico (variabili quindi da Comune a Comune), bensì al volume geometrico, dovendosi pertanto computare interamente le superfici e i volumi.

Parte ricorrente insiste poi molto sulla non percepibilità delle modifiche apportate ai fabbricati in questione, posto che la funzione essenziale della tutela paesaggistica sarebbe da riferire sempre all’aspetto visibile del territorio. A sostegno di tale tesi, parte ricorrente richiama il parere rilasciato dall’Ufficio legislativo del Ministero per i Beni e le Attività culturali, su richiesta dell’ANCI (parere numero 16721 del 13 settembre 2010), che intendeva conoscere appunto l’esatto significato di “superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati” di cui al più volte citato articolo 167, comma quarto, lettera a), del decreto legislativo numero 42 del 2004.

Di segno opposto, sul punto, le tesi difensive dell’amministrazione resistente: nel rapporto ministeriale depositato dalla difesa erariale si nega la rilevanza della percepibilità della modifica esteriore del bene paesaggisticamente tutelato, criterio che si applicherebbe soltanto per l’articolo 146 della predetta medesima fonte normativa.

Infine, la società ricorrente contesta l’operato dell’amministrazione resistente anche sotto il profilo procedimentale, rilevando che i provvedimenti comunali impugnati, recanti definitivo diniego delle istanze di sanatoria presentate, non hanno indicato le ragioni per le quali sono state disattese le osservazioni presentate dall’interessata; ciò in asserita violazione dell’articolo 10-bis della legge numero 241 del 1990.

Il Collegio ritiene opportuno prendere le mosse dal parere ministeriale invocato da parte ricorrente, atteso che il punto nodale della controversia consiste nello stabilire se l’art. 167 del codice dei beni culturali del 2004 debba essere interpretato e applicato nel senso rigoroso voluto dall’amministrazione resistente ovvero in quello propugnato da parte ricorrente, che fa leva (in base appunto al parere ministeriale già menzionato) sul criterio della percepibilità immediata dell’abuso, che dovrebbe cioè essere rilevabile senza necessità di fare ricorso a minuziose misurazioni.

Il contenuto del parere in questione (reso in data 13 settembre 2010 dall’Ufficio legislativo del Ministero per i Beni e le Attività culturali), per quel che in questa sede rileva, può essere così riassunto: viene in esso richiamato un precedente parere e una precedente circolare aventi il medesimo oggetto; vi si afferma la necessità di privilegiare un’interpretazione finalistica dell’articolo 167, comma quarto, del più volte richiamato codice dei beni culturali, osservandosi che l’interpretazione della disposizione di cui trattasi deve essere coerente con la funzione essenziale della tutela paesaggistica, con le esigenze di semplificazione, con il principio di proporzionalità che deve sempre ispirare la risposta dell’ordinamento all’effettiva portata lesiva dell’abuso. La concezione del paesaggio alla quale si ispira il parere di cui trattasi è centrata sulla visibilità del dato materiale, quindi sull’idea del paesaggio “come elemento del patrimonio culturale, come fenomeno riferibile alla semiosfera piuttosto che alla ecosfera, in quanto oggetto sociale e culturale, piuttosto che oggetto puramente fisico”.

Nel parere si fa anche riferimento alla Convenzione europea sul paesaggio (Firenze, 20 ottobre 2000, ratificata con legge 9 gennaio 2006, numero 14) e dal codice del 2004, che definisce il paesaggio in termini di percezione e di significato identitario della porzione di territorio considerata, ovvero come parte di territorio come percepita dalla popolazione.

In giurisprudenza non si registra univocità di orientamenti.

Alcune pronunce hanno sposato le considerazioni del ripetuto parere, affermando (Tar Piemonte, II, n. 1310/2011) che “la funzione essenziale della tutela paesaggistica è da sempre (ed ora ritraibile dall’art. 1 della Convenzione europea sul paesaggio, ratificata con legge 9 gennaio 2006, n. 14, e dagli artt. 131, 146, comma 1, e 149 del D.Lgs 22 gennaio 2004, n. 42) da ricondursi all’aspetto visibile del territorio, conseguendone che, costituendo la percepibilità della modificazione dell’aspetto esteriore del bene protetto un prerequisito di rilevanza paesaggistica del fatto, la sua insussistenza è da ritenersi idonea ad elidere, alla radice, non solo la sussistenza dei presupposti di sanzionabilità dell’illecito commesso, ma finanche la necessità stessa del previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, senza che possa darsi, dunque, corso a valutazioni o apprezzamenti di sorta sull’esistenza di superfici utili o di volumi”.

Altra decisione (Tar Campania − Napoli, VIII, n. 4072/2012), ha ritenuto costituzionalmente legittimo il combinato disposto degli artt. 146, comma quarto, e 167, commi quarto e quinto d. lgs. n. 42/2004, sospettati di violazione dell’art. 42 e dell’art. 3 della Carta costituzionale, proprio in quanto ha escluso “l’irragionevolezza della citato disposto normativo ove lo stesso sia interpretato in conformità della circolare dell’Ufficio Legislativo del Ministero BB.AA.CC. 16721 del 13/09/2010, già condivisa dalla Sezione, (ex multis sentenza n. 2463 del 5 maggio 2011; sentenza n. 5829 del 13 ottobre 2011) secondo la quale deve ritenersi ammissibile la sanatoria postuma in relazione ad opere comportanti aumenti minimali di superficie, da non essere neppure percepibili all’esterno, rientrando detti interventi fra quelli liberi, di cui all’art. 149 d.lgs. 42/2004”.

Il Tar di Palermo ha ritenuto invece di sollevare dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione della compatibilità della disciplina in esame con i principi comunitari (ordinanza della I Sezione n. 802 del 10 aprile 2013). In particolare, l’art. 167, comma quarto, violerebbe, secondo il Tar siciliano, l’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE sul diritto di proprietà e il principio di proporzionalità come principio generale del diritto europeo, poiché esclude la possibilità di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria per tutti gli interventi comportanti incremento di volume o di superficie in via presuntiva, ossia indipendentemente dall’accertamento concreto della compatibilità di tali interventi con i valori di tutela paesaggistica indicati dal vincolo specifico che grava sull’area. L’impossibilità di ottenere la sanatoria senza accertamenti di compatibilità paesaggistica per interventi che determinano nuovi volumi o superfici comporterebbe una rilevante lesione del diritto di proprietà in tutti i casi in cui i privati, avendo realizzato abusi meramente formali − ossia opere conformi agli strumenti urbanistici ma prive di titolo abilitativo − possono sanarli sotto il profilo urbanistico - edilizio attraverso l’accertamento di conformità in sanatoria (artt. 36 e 37 del DPR n. 380/2001), ma sotto il profilo paesaggistico sono soggetti a demolizione.

Secondo il giudice del rinvio, la materia del paesaggio rientrerebbe nella materia della tutela dell’ambiente, di sicura competenza comunitaria.

La Corte di Giustizia ha invece ritenuto (sentenza del 6 marzo 2014) la propria incompetenza, affermando la netta distinzione tra tutela del paesaggio e tutela dell’ambiente.

In pratica, né le disposizioni dei trattati UE e FUE richiamati dal giudice del rinvio, né la normativa relativa alla Convenzione di Aarhus, né le direttive 2003/4 e 2011/92 impongono agli Stati membri obblighi specifici di tutela del paesaggio, come fa invece il diritto italiano.

Da ciò la Corte ha tratto la conseguenza che non vi sono elementi che consentano di ritenere che le disposizioni del decreto legislativo n. 42/2004 rilevanti nella controversia principale rientrino nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione, poiché esse non costituiscono attuazione di norme del diritto dell'Unione.

Dall'ordinanza di rinvio − afferma la Corte − non emerge l'esistenza di un rischio di violazione dei diritti ritenuti fondamentali dal diritto dell’Unione.

Non sarebbe stata dimostrato dall’ordinanza di rinvio che l'articolo 167, comma quarto, lettera a), del decreto legislativo n. 42/2004 rientra nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione o costituisce attuazione del medesimo, come non sarebbe stata dimostrata la competenza della Corte a interpretare il principio di proporzionalità attraverso la prova di un collegamento sufficiente.

Secondo l’orientamento più rigoroso, pure presente nel panorama giurisprudenziale italiano, l’art. 167, comma quarto, lett. a) non può essere letto in una prospettiva riduttiva, essendo la disposizione chiara nel prevedere che “l’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, …, nei seguenti casi:a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; …” (Tar Lombardia – Brescia, I, n. 1481/2012).

Il Collegio ritiene preferibile l’orientamento da ultimo richiamato, che fornisce un criterio certo che l’amministrazione preposta alla tutela del paesaggio deve seguire, mentre l’interpretazione suggerita dal parere dell’Ufficio legislativo del Ministero per i Beni culturali del 2010, più volte citato, aprirebbe il varco alle percezioni soggettive e quindi alla possibilità che casi identici siano soggetti a trattamenti differenti.

Alla luce delle su esposte premesse, le doglianze incentrate sull’interpretazione elastica della normativa in questione non possono trovare adesione.

Quanto alle nozioni di superficie e di volume che devono essere tenute presenti nei calcoli e nelle misurazioni necessari ai fini dell’accertamento di conformità di cui trattasi, non vi sono ragioni per aderire alla tesi, sostenuta da parte ricorrente, secondo cui dovrebbe farsi riferimento a concetti autonomi di superficie e di volume ai sensi di alcune disposizioni del regolamento edilizio e del regolamento urbanistico vigenti nel Comune di Viareggio; la normativa statale che dev’essere applicata e che l’amministrazione ha applicato non consente interpretazioni che comportino applicazioni non omogenee nei diversi Comuni.

Tanto basta a respingere il ricorso, essendo appena il caso di precisare che le censure attinenti al procedimento non potrebbero in ogni caso condurre all’annullamento del provvedimento impugnato nel caso in cui si tratti, come nella controversia in esame − in cui è coinvolto il potere di accertamento e repressione degli abusi edilizi − di provvedimenti vincolati (Tar Campania − Napoli, IV, n. 2627/2009

Le spese seguono il principio di soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.

Pone le spese processuali a carico della società ricorrente, liquidandole, in favore dell’amministrazione resistente, nella somma complessiva di € 3.000,00 (euro tremila/00), oltre accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2014 con l'intervento dei magistrati:

Maurizio Nicolosi, Presidente

Rosalia Messina, Consigliere, Estensore

Raffaello Gisondi, Primo Referendario

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 09/07/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)