TAR umbria Sez. I n. 303 del 11 maggio 2018
Beni ambientali.Volumi interrati
Il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, sia esso interrato o meno
Pubblicato il 11/05/2018
N. 00303/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00303/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 303 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da Stefania Falconi, rappresentata e difesa dall’avvocato Mario Rampini, con domicilio eletto presso il suo studio in Perugia, piazza Piccinino n.9;
contro
Ministero per i beni e le attività culturali, direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Umbria, Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici dell’Umbria, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Perugia, via degli Offici, 14; Comune di Perugia in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio.
per l’annullamento
- quanto al ricorso principale notificato in data 9 luglio 2010: del parere vincolante sulla compatibilità paesaggistica prot. n. 13436 del 21.12.2009, rilasciato dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici dell’Umbria-Perugia, limitatamente alla parte in cui esprime parere negativo in ordine alle modalità di ripristino dello status quo ante, mediante completo rinterro (con successiva piantumazione di alberature), di un locale destinato a garage, ricadente su terreno distinto al foglio 192, particella n. 1092; di ogni altro atto presupposto, connesso, conseguente e/o comunque collegato ivi compresa, in via derivata, la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza del Comune di Perugia prot. 2010/0090997 del 12 maggio 2010, in conformità al parere sopra richiamato;
- quanto ai motivi aggiunti notificati in data 8 settembre 2010: della nota prot. n. 18 del 15 luglio 2010 con cui il Comune di Perugia esprime diniego al rilascio dell’autorizzazione ambientale ai sensi dell’art. 146 del d.lgs. 42/2004 e dell’accertamento della compatibilità paesistica ai sensi dell’art. 167 del d.lgs. 42/2004 per alcune opere di ristrutturazione ed ampliamento dell’edificio di civile abitazione di proprietà della ricorrente; nonché, ed in quanto occorra, di ogni altro atto connesso, conseguente, presupposto e/o collegato.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali, direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Umbria, e della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici dell’Umbria;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 10 aprile 2018 il dott. Enrico Mattei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con atto di ricorso (n.r.g. 303/2010) notificato il 9 luglio, la signora Stefania Falconi ha adito l’intestato Tribunale per chiedere l’annullamento del parere vincolante sulla compatibilità paesaggistica prot. n. 13436 del 21.12.2009, rilasciato dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici dell’Umbria, limitatamente alla parte in cui esprime parere negativo in ordine alle modalità di ripristino dello status quo ante, mediante completo rinterro (con successiva piantumazione di alberature), di un locale destinato a garage, ricadente su terreno distinto al foglio 192, particella n. 1092, di proprietà della ricorrente suddetta.
2. Nel merito l’impugnativa è stata affidata ai seguenti motivi.
I. Eccesso di potere per illogicità ed ingiustizia manifesta, atteso che la modalità di ripristino dello stato dei luoghi proposta dalla ricorrente (chiusura di tutti gli accessi al locale e rinterro a mezzo di elementi prefabbricati) sarebbe meno onerosa e conseguirebbe, sotto il profilo paesaggistico, gli stessi effetti pratici di cui alla modalità di rispristino scelta dalla Soprintendenza (demolizione del manufatto e successivo riporto di terreno).
II. Violazione dell’art. 167 del d.lgs. 42/2004, infondatezza dei motivi e contraddittorietà, atteso che il totale interramento interno ed esterno del manufatto in contestazione determinerebbe l’insussistenza di nuovi volumi ai sensi della citata normativa.
III. Violazione dell’art. 3 della legge 241/1990, atteso che la Soprintendenza nulla dice in ordine alle ragioni in base alle quali le modalità di ripristino proposte dalla ricorrente si risolverebbero in un rinterro soltanto “presunto”.
3. Con successivo atto per motivi aggiunti notificato in data 8 settembre 2010, la ricorrente ha impugnato la nota prot. n. 18 del 15 luglio 2010 con cui il Comune di Perugia ha espresso diniego al rilascio dell’autorizzazione ambientale ai sensi dell’art. 146 del d.lgs. 42/2004 e dell’accertamento della compatibilità paesistica ai sensi dell’art. 167 del d.lgs. 42/2004 in ordine alle opere in contestazione, riproponendo nella sostanza le medesime doglianze di cui al ricorso principale.
4. Il Ministero e la Soprintendenza si sono costituiti in giudizio contestando le censure ex adverso svolte e concludendo per il loro rigetto.
5. Alla pubblica udienza del giorno 10 aprile 2018, uditi i difensori, la causa è passata in decisione.
6. Nel merito il gravame è infondato e va respinto.
7. Osserva infatti il Collegio che “l’art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), recante la disciplina delle sanzioni amministrative previste per la violazione delle prescrizioni poste a tutela dei beni paesaggistici, contiene (nella sua attuale formulazione) la regola della non sanabilità ex post degli abusi, sia sostanziali che formali. Il trasgressore, infatti, è «sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese», «fatto salvo quanto previsto al comma 4». L’intenzione legislativa è chiara nel senso di precludere qualsiasi forma di legittimazione del “fatto compiuto”, in quanto l’esame di compatibilità paesaggistica deve sempre precedere la realizzazione dell’intervento. Il rigore del precetto è ridimensionato soltanto da poche eccezioni tassative, tutte relative ad interventi privi di impatto sull’assetto del bene vincolato. Segnatamente, sono suscettibili di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica: gli interventi realizzati in assenza o difformità dell’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; l’impiego di materiali diversi da quelli prescritti dall’autorizzazione paesaggistica; i lavori configurabili come interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi della disciplina edilizia (art. 167, comma 4). L’accertamento di compatibilità, peraltro, è subordinato al positivo riscontro della Soprintendenza e al pagamento di una somma equivalente al minore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione” (cfr., in termini Cons. St., sez. VI, n. 1907/2017).
8. Discende da quanto sopra l’infondatezza della tesi di parte ricorrente secondo cui il totale interramento interno ed esterno del manufatto in contestazione e la sua completa inutilizzabilità determinerebbero gli stessi effetti pratici della modalità di rispristino scelta dalla Soprintendenza (demolizione del manufatto e successivo riporto di terreno) e l’insussistenza di nuovi volumi ai sensi dell’art. 167 del d.lgs. 42/2004, atteso che il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, sia esso interrato o meno (cfr., ex multis, Cons. St., sez. VI, n. 3579 e n. 5066 del 2012; n. 4079 del 2013; n. 3289 del 2015).
9. Sempre per l’infondatezza deve infine concludersi in ordine all’asserito difetto di motivazione, atteso che per giurisprudenza costante “l’ordine di demolizione di opera edilizia abusiva” deve ritenersi “sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività del manufatto” (così Cons. St., sez. IV, 28 febbraio 2017, n. 908); ciò in quanto “l’attività di repressione degli abusi edilizi costituisce manifestazione di potere non discrezionale, bensì del tutto vincolato, ancorato semmai ad un mero accertamento tecnico dello stato dei luoghi” (T.A.R. Campania , Napoli, sez. III, 20 febbraio 2018, n. 1096).
10. Le ragioni che precedono impongono l’integrale rigetto del ricorso principale e dell’atto per motivi aggiunti.
11. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso principale e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore delle amministrazioni costituite in giudizio che liquida in complessivi € 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre oneri ed accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 10 aprile 2018 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Potenza, Presidente
Paolo Amovilli, Consigliere
Enrico Mattei, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Enrico Mattei Raffaele Potenza