TAR Campania (NA) Sez. VII n.2719 del 7 giugno 2012
Beni ambientali. Principio di precauzione

In caso di vincoli paesaggistici, non è illegittima una motivazione anche succinta di un diniego di sanatoria di opere in quanto nel sistema non è ravvisabile a carico della p.a. l'obbligo di indicare, in una logica comparativa degli interessi in gioco, prescrizioni tese a rendere l'intervento compatibile con la bellezza di insieme tutelata, la cui protezione risponde ad un interesse pubblico normalmente prevalente su quello privato, anche per la rilevanza costituzionale che il primo presenta ex art. 9 Cost.

N. 02719/2012 REG.PROV.COLL.

N. 08275/1999 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8275 del 1999, proposto da: Esposito Maria Pasqua, rappresentata e difesa dall'avv. Immacolata Garofano, con domicilio eletto in Napoli, presso la Segreteria del Tar Campania/Napoli, p.zza Muncipio;

contro

Il Comune di Castellammare di Stabia, in persona del legale rapp.te p.t.,
rappresentato e difeso dagli avv. Giancarlo Violante, Silio Aedo Violante, con domicilio eletto presso Giancarlo Violante in Napoli, via Tino di Camaino 6;

per l'annullamento del diniego concessione in sanatoria n. 404 del 30.06.1999.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Castellammare di Stabia;

Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 aprile 2012 il dott. Massimo Santini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

La ricorrente è proprietaria di una abitazione sita in Castellammare di Stabia alla via Acton n. 49.

Essendo stata realizzata tale costruzione in assenza di qualsivoglia titolo edilizio, in data 1° aprile 1986 veniva presentata istanza di condono ai sensi della legge n. 47 del 1985.

L’istanza veniva rigettata “in quanto l’immobile è ubicato in un sito interessato da dissesto idrogeologico ed inoltre si configura un notevole impatto ambientale in quanto si inserisce in un ambiente ad alto valore paesaggistico”.

Tale determinazione veniva impugnata con il ricorso in esame per nullità dell’atto (in quanto recante un numero di protocollo dell’istanza di sanatoria diverso da quello effettivo), difetto di motivazione e di istruttoria, nonché per disparità di trattamento, dato che nelle vicinanze sarebbe stata invece assentita la trasformazione di un fabbricato da cementificio a struttura alberghiera.

Si costituiva in giudizio l’amministrazione comunale per resistere al gravame.

In occasione della udienza pubblica del 19 aprile 2012 parte ricorrente depositava diversi documenti tra cui una relazione tecnica attestante lo stato dei luoghi. Le parti rassegnavano poi le proprie rispettive conclusioni e la causa veniva infine trattenuta in decisione.

Tutto ciò premesso, va innanzitutto dichiarata inammissibile per tardività la produzione documentale avvenuta in data 19 aprile 2012, e ciò per la violazione dell’art. 73, comma 1, il quale contiene termini a tal fine ritenuti perentori.

Nel merito osserva il collegio, quanto alla dedotta nullità per diversità tra protocollo richiamato nel provvedimento di rigetto (3955) e numero di protocollo effettivamente assegnato all’istanza di condono (3855), che trattasi chiaramente di errore materiale: il provvedimento risulta infatti agevolmente riferibile all’istanza di condono presentata dalla ricorrente ove soltanto si consideri che entrambi riportano stessa data di presentazione (1° aprile 1986) nonché identica ubicazione dell’immobile sia in termini toponomastici (via Acton n. 49) sia in termini catastali (fg. 16, p.lla 93). Il motivo è dunque da rigettare.

Quanto invece al difetto di motivazione si ritiene di aderire a quell’orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, sez. V, 7 settembre 2009, n. 5232) secondo cui, in caso di vincoli paesaggistici, “non è illegittima una motivazione anche succinta di un diniego di sanatoria di opere in quanto nel sistema non è ravvisabile a carico della p.a. l'obbligo di indicare, in una logica comparativa degli interessi in gioco, prescrizioni tese a rendere l'intervento compatibile con la bellezza di insieme tutelata, la cui protezione risponde ad un interesse pubblico normalmente prevalente su quello privato, anche per la rilevanza costituzionale che il primo presenta ex art. 9 Cost. (Cons. Stato, V, 19.10.1999 n. 1587)”.

Sotto diversa angolazione, ossia sulla situazione di dissesto idrogeologico, si rammenta inoltre che, secondo la giurisprudenza comunitaria, “dal principio di precauzione discende che, quando sussistono incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, possono essere adottate misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi” (Corte giustizia C.E., Sez. II, 22 dicembre 2010, n. 77).

In sintesi, allorché si sia in presenza di area sottoposta a duplice vincolo paesaggistico e idrogeologico, è ammissibile anche una motivazione succinta del diniego di condono e della connessa incompatibilità dell’opera come quella qui oggetto di gravame. E ciò soprattutto ove si consideri che ci si trova pur sempre dinanzi ad un comportamento illecito del privato che ha perpetrato, per l’appunto, un abuso edilizio.

Nel caso di specie la motivazione resa dalla amministrazione comunale intimata è dunque pertinente e idonea a giustificare il diniego, tenuto anche conto del fatto che le censure sono state formulate in maniera del tutto generica, senza ossia specificare le ragioni e gli elementi, sulla base del principio dell’onere della prova, per cui l’intervento realizzato risulterebbe al contrario compatibile sia con le prescrizioni in tema di paesaggio sia con quelle in tema di dissesto idrogeologico.

Anche tale specifica censura non può dunque trovare ingresso.

Parimenti generica è la censura con cui si lamenta disparità di trattamento rispetto ad un altro edificio (cementificio trasformato in albergo) di cui sarebbe stata invece assentita la realizzazione: ed infatti non viene in alcun modo posto in rilievo, a tal fine, l’eventuale carattere abusivo dell’opera sia in relazione alla struttura preesistente sia in relazione alla sua trasformazione (e conseguente cambio della destinazione d’uso).

Per tutte le ragioni sopra evidenziate il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, da quantificare nella somma complessiva di euro 1.000 (mille), oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2012 con l'intervento dei magistrati:

Alessandro Pagano, Presidente

Michelangelo Maria Liguori, Consigliere

Massimo Santini, Primo Referendario, Estensore





L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE










DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 07/06/2012