Cass. Sez. III n. 15670 del 27 aprile 2021 (UP 15 dic 2020)
Pres. Ramacci Est. Macrì Ric. Briso
Beni ambientali.Reato di distruzione o deturpamento delle bellezze naturali

Per il reato di distruzione o deturpamento delle bellezze naturali la contravvenzione di cui all'art. 734 cod. pen., stante la sua natura di reato di danno, è configurabile in presenza di un'effettiva compromissione delle bellezze protette, il cui accertamento è rimesso alla concreta valutazione del giudice penale. Tale reato tutela l'interesse della comunità alla conservazione e al godimento del patrimonio estetico costituito dall'armonica fusione di forme e colori assunta dalla natura in particolari località, con la conseguenza che per integrare l'alterazione delle bellezze naturali dei luoghi è sufficiente la modifica totale o parziale delle visioni panoramiche ed estetiche offerte dalla natura tanto da turbare sensibilmente il godimento estetico.


RITENUTO IN FATTO
    
1. Con sentenza in data 18 ottobre 2019 la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza in data 6 novembre 2018 del Tribunale di Trapani che aveva condannato Giancarlo Riso alle pene di legge per i reati di cui agli art. 81 cpv cod. pen. e 44 lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 (capo A), 81 cpv cod. pen. e 181 d.lgs. n. 42 del 2004 (capo B), 81 cpv e 734 cod. pen. (capo C), 81 cpv e 733-bis cod. pen. (capo D).

2. L’imputato presenta quattro motivi di ricorso.
Con il primo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine all’accertamento di responsabilità di tutti i reati contestati, poiché le attività di movimento terra compiute a Favignana per la costruzione della recinzione di protezione del costruendo eliporto erano state oggetto di un precedente processo che si era concluso con l’assoluzione del Sindaco, del capo dell’Ufficio tecnico e di altri soggetti. Precisa che, rispetto allo stato dei luoghi, si era limitato a spianare il cumulo di terra senza uso di mezzi meccanici e senza asportazione del materiale roccioso che giaceva ancora sotto la superficie livellata.  
Con il secondo eccepisce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine ai reati di cui agli art. 733-bis e 734 cod. pen. Ricorda che ai fini dell’integrazione dei suddetti reati non è sufficiente l’esecuzione di un’opera né la semplice alterazione dello stato naturale delle cose sottoposte a vincolo, ma occorre che tale alterazione abbia effettivamente determinato la distruzione o il deturpamento della bellezza naturale. La sentenza non aveva indicato il danno e in che modo si era realizzata la condotta contestata. Precisa che si era trattato di un modestissimo lavoro di spianamento del cumulo di detriti realizzato nelle vicinanze del centro urbano di Favignana in un luogo destinato d’estate al parcheggio dei turisti e su cui insisteva un chiosco per le bevande.
Con il terzo lamenta il vizio di motivazione per omessa applicazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Ribadisce che la condotta e il danno arrecato non erano gravi e che il geometra del Comune aveva dichiarato che l’area, in prossimità dell’eliporto, era adibita al parcheggio delle auto.
Con il quarto denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione perché dall’istruttoria era emerso che i lavori erano stati ultimati al più tardi il 2 aprile 2014 ed era decorso il termine di prescrizione alla data della decisione in appello.
    
CONSIDERATO IN DIRITTO

    3. I Giudici di merito hanno accertato che l’intervento di livellamento del terreno mediante mezzi meccanici, con asportazione di elementi rocciosi ed estirpazione delle specie vegetali, nonché con trasformazione permanente dei luoghi in assenza dei necessari permessi, non ha avuto ad oggetto la zona interessata dall’eliporto, già considerata in altro processo, bensì la particella 331 del foglio di mappa n. 38 attorno al chiosco delle bibite, utilizzata come parcheggio. In occasione del sopralluogo effettuato dalla Polizia municipale in data 8 maggio 2014 era emerso che il terreno esterno al muretto di recinzione del manufatto appariva livellato, a seguito dell’asportazione delle rocce e delle specie vegetali preesistenti, con successiva apposizione di materiale della cava per renderlo pianeggiante. Lo stato dei luoghi descritto dagli operanti era diverso da quello delle fotografie degli anni precedenti, in particolare di quelle allegate alla relazione con cui era stata chiesto il cambio di destinazione d’uso negli anni 2013-2014. Anche nell’ortofoto del 2008 risultava la presenza di vegetazione spontanea attorno alla recinzione del manufatto e non già cumuli di terra. In considerazione del fatto che i lavori eseguiti avevano realizzato una trasformazione permanente del suolo in area agricola per usi diversi da quelli agricoli in violazione delle norme urbanistiche, per l’assenza del permesso a costruire, e delle norme paesaggistiche, per l’assenza dell’autorizzazione della Soprintendenza in area vincolata, i Giudici hanno ritenuto provati i reati di cui ai capi A) e B).
    Il primo motivo di ricorso consiste in una generica doglianza di fatto che mira a proporre una lettura alternativa del compendio probatorio che non vale a disarticolare il ragionamento dei Giudici di merito ed è pertanto preclusa in sede di legittimità.
L’inammissibilità del motivo copre anche il quarto motivo di ricorso, perché la consumazione del reato urbanistico e di quello paesaggistico risalgono alla data del sopralluogo degli operanti, l’8 maggio 2014, con la conseguenza che al momento della deliberazione della Corte di appello, il 18 ottobre 2019, i termini di prescrizione non erano decorsi a causa della sospensione di 195 giorni registrata in primo grado, come indicato nella sentenza impugnata. Con ragionamento immune da censure la Corte territoriale ha valorizzato la circostanza secondo cui lo stesso imputato aveva dichiarato che, all’atto del sopralluogo, si trovava sul posto con la carriola e altri arnesi, sia pure per eliminare vecchi accumuli di detriti (in realtà per completare le opere di livellamento). Ha quindi fissato con certezza la data di consumazione del reato nel giorno del sopralluogo.
     Manifestamente infondato è il terzo motivo di ricorso sull’esclusione della causa di non punibilità perché la Corte territoriale ha ben spiegato che i fatti non erano di marginale disvalore penale. La decisione è in linea con la giurisprudenza di legittimità secondo cui l'irrilevanza del carattere di lieve entità di ciascun fatto, isolatamente considerato, si riferisce esclusivamente all'ipotesi di commissione di più reati autonomi e della stessa indole e non a quella di commissione di singoli reati avente ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate (Cass., Sez. 3, n. 38849 del 05/04/2017, Alonzo, Rv. 271397). Nel caso in esame l’imputato ha commesso sia il reato urbanistico che quello paesaggistico. L’apprezzamento di fatto compiuto dalla Corte territoriale in merito alla non lieve tenuità delle condotte non è sindacabile in questa sede.
    Non manifestamente infondato invece è il secondo motivo sull’accertamento dei reati di cui agli art. 734 (distruzione o deturpamento di bellezze naturali) e 733-bis (distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto) cod. pen. Il Giudice di primo grado aveva reso una motivazione laconica affermando che, a seguito dei lavori di livellamento e di pulizia del terreno, vi era stata l’alterazione del paesaggio e la distruzione dell’habitat naturale. La Corte territoriale, nonostante lo specifico motivo di appello, si è limitata a citare la sentenza di questa Sezione n. 1803 del 1981 relativa allo sbancamento e al livellamento di terreno collinare in zona sottoposta a vincolo, per la sola contravvenzione dell’art. 734 cod. pen. E’ mancata un’analisi specifica degli elementi costitutivi di tale fattispecie criminosa come di quella dell’art. 733-bis cod. pen. Per il reato di distruzione o deturpamento delle bellezze naturali, va ricordato che la contravvenzione di cui all'art. 734 cod. pen., stante la sua natura di reato di danno, è configurabile in presenza di un'effettiva compromissione delle bellezze protette, il cui accertamento è rimesso alla concreta valutazione del giudice penale (Cass., Sez. 3, n. 44012 del 24/09/2015, Buccarello, Rv. 265060). Più di recente è stato precisato che tale reato tutela l'interesse della comunità alla conservazione e al godimento del patrimonio estetico costituito dall'armonica fusione di forme e colori assunta dalla natura in particolari località, con la conseguenza che per integrare l'alterazione delle bellezze naturali dei luoghi è sufficiente la modifica totale o parziale delle visioni panoramiche ed estetiche offerte dalla natura tanto da turbare sensibilmente il godimento estetico (Cass., Sez. 3, n. 29508 del 04/04/2019, Schettino, Rv. 276359 – 02).
Per il reato dell’art. 733-bis cod. pen. è necessario argomentare addirittura la distruzione di un habitat all’interno di un sito protetto o comunque il deterioramento con compromissione dello stato di conservazione, circostanze su cui i Giudici non hanno svolto considerazioni.
La sentenza andrebbe dunque annullata con rinvio per insufficiente motivazione sulla configurabilità delle due contravvenzioni dei capi C) e D), ma tale epilogo decisorio è precluso dall'assorbente circostanza dell'intervenuta estinzione dei reati per prescrizione maturata alla data del 20 novembre 2019.
Le Sezioni unite hanno infatti affermato e ribadito che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244275).
L'impugnata sentenza va, pertanto, annullata senza rinvio, per intervenuta estinzione dei soli reati di cui agli art. 734 e 733-bis cod. pen. per prescrizione, mentre per il resto il ricorso è inammissibile. La pena è rideterminata ai sensi dell’art. 620, lett. l, cod. proc. pen., come da dispositivo.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui agli art. 734 e 733-bis cod. pen. perché estinti per prescrizione ed elimina la relativa pena, rideterminando quella per i residui reati, in giorni 18 di arresto ed euro 20.710 di ammenda. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso, il 15 dicembre 2020