Cass. Sez. III n. 44012 del 2 novembre 2015 (Cc 24 set 2015)
Pres. Mannino Est. Aceto Ric. Buccarello
Beni Ambientali. Articolo 734 cod. pen. e stato degli interventi realizzati

Ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 734, cod. pen., non conta che i lavori siano allo stato iniziale, contano gli effetti della condotta quale concretamente e storicamente realizzati. Se, in base alla documentazione fotografica, il Tribunale ha ritenuto che anche la sola infissione nella roccia di barre di acciaio volte a sorreggere sia gli scalatori che i successivi interventi di disgaggio di massi instabili e posa in opera di una rete paramassi alterasse «il costone roccioso a strapiombo sul mare nell'ambito di una falesia (località "Ciolo") costituente vero e proprio monumento naturale marittimo», non rileva, per escludere il reato ipotizzato, che tale attività - come eccepito dal ricorrente - fosse allo stato iniziale perché prodromica alle successive fasi lavorative, né che fosse stata posta in essere in ossequio alle indicazioni della Soprintendenza; conta, come già detto, che tale condotta sia stata ritenuta di per sé fonte di alterazione della bellezza naturale protetta, secondo un giudizio riservato al motivato apprezzamento del giudice di merito che, nel caso di specie, sconta la natura cautelare del provvedimento impugnato e, dunque, la astratta sussumibilità del fatto accertato nel reato ipotizzato tale da giustificare gli ulteriori approfondimenti investigativi decisi dall'organo inquirente.

 RITENUTO IN FATTO

1..11 sig. Antonio Buccarello ricorre per l'annullamento dell'ordinanza del 11/02/2015 del Tribunale di Lecce che ha respinto l'istanza di riesame del decreto del 30/01/2015 del Pubblico Ministero che, sulla ipotizzata sussistenza del reato di cui all'art. 734, cod. pen., aveva sottoposto a sequestro probatorio una porzione di costiera interessata dai lavori di protezione delle coste alte in territorio di Gagliano del Capo - località Ciolo.

1.1.Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), l'inosservanza dell'art. 734 c.p. e art. 253 c.p.p., nonchè mancanza e manifesta illogicità della motivazione in punto di affermata sussistenza del "fumus" della contravvenzione ipotizzata.

Deduce, al riguardo, che il sequestro è stato adottato quando i lavori relativi all'intervento non erano ancora iniziati. L'impresa stava infatti eseguendo gli interventi preliminari previsti nel progetto esecutivo che consistevano, nello specifico, nel "rilievo dello stato dei luoghi "ante operam" e contestuali operazioni di pulizia e scebratura del versante roccioso" onde definire, nel dettaglio, gli interventi previsti dalla direzione dei lavori. Le c.d. "barre di acciaio" sono chiodi necessari all'ancoraggio delle funi dei rocciatori, sono di dimensioni ridottissime ed erano sono state autorizzate dalla Soprintendenza.

Poichè si tratta di lavori autorizzati anche dalla Soprintendenza, non può sussistere il reato di cui all'art. 734 c.p..

Manca pertanto il presupposto probatorio, individuato dal Pubblico Ministero nell'esigenza di accertare che i lavori intrapresi "siano compatibili e coerenti con gli obiettivi di qualità paesaggistica dell'area e se siano state predisposte tutte le misure necessarie a contenere l'impatto ambientale della stessa"; poichè si tratta di operazioni preliminari all'esecuzione dei lavori, manca, nella realtà fenomenica, il fatto (il danneggiamento) che giustifica il provvedimento adottato. Considerato che la contravvenzione di cui all'art. 734 c.p. è reato di danno, la sua sussistenza nel caso in esame non è neppure astrattamente ipotizzabile.

1.2.Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), l'inosservanza dell'art. 253 c.p.p., art. 479 c.p. (o art. 480 c.p.), dell'allegato 4^ alla parte 2^ del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e della L.R. Puglia n. 11 del 2001, nonchè mancanza e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui afferma che l'opera doveva essere soggetta a valutazione di impatto ambientale.

Lamenta che il Tribunale del riesame, essendo consapevole della insostenibilità dell'ipotesi accusatoria, ha individuato fattispecie di reato nemmeno contestate dal PM, quali il falso ideologico nella attestazione del 11/10/2013 dell'Ufficio Programmazione Politiche Energetiche VIA/VAS della Regione Puglia che aveva certificato che i lavori non interessavano la costa, con la conseguente sussumibilità della condotta anche nel reato di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, lett. c), per inesistenza dell'atto che rappresentava fatti diversi dal vero. In realtà, afferma, tale falsità non sussiste perchè i lavori non hanno ad oggetto il fenomeno dell'erosione della costa e certamente non la costruzione di dighe, moli o altre opere marittime, le uniche che, ai sensi del citato allegato 4^ alla parte 2^ del D.Lgs. n. 152 del 2006 (n. 7, lett. n) e della L.R. Puglia n. 11 del 2001, art. 4, impongono la valutazione di impatto ambientale.

Nel caso di specie si tratta più semplicemente di lavori che devono essere eseguiti nella costa alta (ancorchè a strapiombo sul mare), nella parte posta aldilà della sede stradale ed hanno ad oggetto il disaggio di massi pericolanti con l'apposizione di reti paramassi.

L'opera dunque non è "costiera".

1.3.Con il terzo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), l'inosservanza del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. e) e D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181 bis, nonchè mancanza e manifesta illogicità della motivazione in punto di affermata sussistenza della ipotizzata falsità della certificazione del 11/10/2013.

Riprendendo il tema già affrontato con il secondo motivo, il ricorrente ribadisce che l'intervento non interferisce in alcun modo con la costa e che il rischio di crollo e di caduta dei massi è provocato esclusivamente dall'azione disgregante dei fenomeni atmosferici, non del mare, come peraltro attestato anche dall'Autorità di Bacino che ha approvato il progetto. In questo senso il Tribunale ha sovrapposto il proprio giudizio a quello dei vari organi amministrativi intervenuti nella procedura di autorizzazione dei lavori, compreso l'Ufficio regionale VIA/VAS che aveva chiaramente escluso che le opere in questione interessassero la costa perchè essi riguardavano l'interno del territorio ed erano collocati ad un'altezza tale da rendere nulla qualsiasi interferenza con la zona a contatto con il mare.

1.4.Con il quarto motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), la nullità dell'ordinanza per manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione circa l'erronea interpretazione della sentenza del TAR Puglia - Sezione Lecce - n. 3119 del 18/12/2014 che, diversamente da quanto sostiene il Tribunale del riesame, non è stato affatto tratto in inganno dalla già citata nota della Regione Puglia ma ha effettuato una autonoma e approfondita valutazione dei fatti giungendo ad escludere che l'opera dovesse essere sottoposta a verifica di compatibilità ambientale.

1.5. L'8 settembre 2015, il ricorrente ha depositato l'ordinanza del Consiglio di Stato (Sez. 6^ del 05/06/2015) che ha respinto l'istanza di sospensiva proposta dal Ministero dei Beni Culturali della sentenza n. 93/2015 del TAR Puglia, deducendo, altresì, che il PM aveva chiesto la proroga del termine delle indagini preliminari.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso è inammissibile perchè proposto per motivi non consentiti nel giudizio di legittimità e perchè manifestamente infondato.

3. Occorre preliminarmente ricordare che avverso le ordinanze emesse a norma degli artt. 322 bis e 324 c.p.p., il ricorso per Cassazione è ammesso solo per violazione di legge.

3.1. Come già spiegato da questa Corte "in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di "violazione di legge" per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell'art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, ma non l'illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui dell'art. 606 c.p.p., lett. e)" (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua; si vedano anche, nello stesso senso, Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, e Sez. U, n. 5 del 26/02/1991, Bruno, nonchè, tra le più recenti, Sez. 5^, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini; Sez. 1^, n. 6821 del 31/01/2012, Chiesi; Sez. 6^, n. 20816 del 28/02/2013, Buonocore).

3.2. Motivazione assente (o materiale) è quella che manca fisicamente (Sez. 5^, n. 4942 del 04/08/1998, Seana; Sez. 5^, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini) o che è graficamente indecifrabile (Sez. 3^, n. 19636 del 19/01/2012, Buzi); motivazione apparente, invece è solo quella che "non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui si è fondata la decisione, mancando di specifici momenti esplicativi anche in relazione alle critiche pertinenti dedotte dalle parti" (Sez. 1^, n. 4787 del 10/11/1993, Di Giorgio), come, per esempio, nel caso di utilizzo di timbri o moduli a stampa (Sez. 1^, n. 1831 del 22/04/1994, Caldaras; Sez. 4^, n. 520 del 18/02/1999, Reitano; Sez. 1^, n. 43433 dell'8/11/2005, Costa; Sez. 3^, n. 20843, del 28/04/2011, Saitta) o di ricorso a clausole di stile (Sez. 6^, n. 7441 del 13/03/1992, Bonati; Sez. 6^, n. 25361 del 24/05/2012, Piscopo) e, più in generale, quando la motivazione dissimuli la totale mancanza di un vero e proprio esame critico degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione, o sia privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov).

3.3. Nel caso in esame non sussiste alcun vizio di motivazione deducibile in questa sede poichè il Tribunale ha dato conto dei concreti elementi di fatto e di diritto in base ai quali ha ritenuto (ancorchè erroneamente secondo il ricorrente) di confermare il decreto di sequestro impugnato, dando altresì mostra di ben conoscere le specifiche peculiarità del caso concreto, conformando ad esso le ragioni della propria decisione. Sicchè non si verte in nessuna delle ipotesi che, secondo gli indirizzi giurisprudenziali appena citati, consente di eccepire il vizio di totale assenza di motivazione quale specifica violazione dell'art. 125 c.p.p., comma 3.

3.4. Il vizio di carenza di motivazione deducibile in sede di legittimità (sotto il duplice profilo della sua materiale assenza o della sua assenza o della sua assoluta illogicità) prescinde del tutto, in caso di ricorso avverso ordinanze cautelari reali, dalla verifica della correttezza, nel merito, della soluzione data al caso concreto. Sicchè non è proceduralmente corretto eccepire, attraverso il vizio di motivazione, la correttezza dell'approdo ermeneutico del caso concreto.

4.Fatta questa doverosa premessa (che comunque travolge il quarto motivo di ricorso e gli altri vizi di motivazione eccepiti insieme con quelli di violazione di legge), osserva il Collegio che le censure sollevate dal ricorrente hanno ad oggetto solo ed esclusivamente l'astratta configurabilità (al momento solo ipotizzabile) del reato di cui all'art. 734 c.p., non anche - è bene precisarlo - della effettiva sussistenza delle esigenze probatorie.

4.1. Delimitato il campo di indagine a questo aspetto (che attraversa trasversalmente ed è comune a tutti i motivi di ricorso), rileva questa Suprema Corte come il ricorso proponga sostanzialmente due argomenti di fondo:

a) la natura di reato di danno della contravvenzione ipotizzata (che va dunque esclusa in considerazione del fatto che i lavori erano iniziati);

b) l'esistenza di valide autorizzazioni al loro compimento.

4.2. Nessuno dei due argomenti è pertinente, nè decisivo.

4.3.Secondo l'autorevole insegnamento di Sez. U, n. 248 del 21/10/1992, Molinari, che va qui ribadito, la contravvenzione di cui all'art. 734 c.p., si configura come un reato di danno e non di pericolo (o di danno presunto), richiedendo per la sua punibilità che si verifichi in concreto la distruzione o l'alterazione delle bellezze protette.

Pertanto non è sufficiente per integrare gli estremi del reato nè l'esecuzione di un'opera nè la semplice alterazione dello stato naturale delle cose sottoposte a vincolo, ma occorre che tale alterazione abbia effettivamente determinato la distruzione o il deturpamento delle bellezze naturali. In questa opera di ricostruzione del fatto il giudice penale deve prescindere da ogni valutazione della pubblica amministrazione, della quale - se intervenuta - dovrà - con adeguata motivazione - tenere conto.

Sicchè l'eventuale autorizzazione amministrativa non esclude la sussistenza della violazione delle bellezze naturali, ma può assumere semmai rilevanza in materia di valutazione dell'elemento psicologico o della gravità del reato, spettando unicamente al giudice penale l'accertamento del verificarsi dell'evento concretante la contravvenzione.

4.4. La dedotta presenza di autorizzazioni non incide pertanto sulla oggettiva sussistenza del reato, sicchè, da questo punto di vista, discettare sulla assoggettabilità o meno dei lavori a valutazione di compatibilità ambientale non conduce a risultati utili ai fini della decisione.

4.5. Trattandosi peraltro di sequestro probatorio finalizzato ad accertare, sul piano oggettivo, "se i lavori previsti in progetto (...) siano compatibili e coerenti con gli obiettivi di qualità paesaggistica dell'area" e dunque la materialità della condotta, gli stati soggettivi hanno scarsa (se non nulla) rilevanza, nè del resto è stata eccepita o dedotta la loro insussistenza "ictu oculi".

4.6. Il ricorrente desume dalla natura dannosa del reato la conseguenza della sua insussistenza in caso di lavori appena iniziati.

4.7. Il rilievo è del tutto infondato.

4.8. Ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 734 c.p., non conta che i lavori siano allo stato iniziale, contano gli effetti della condotta quale concretamente e storicamente realizzati. Se, in base alla documentazione fotografica, il Tribunale ha ritenuto che anche la sola infissione nella roccia di barre di acciaio volte a sorreggere sia gli scalatori che i successivi interventi di disaggio di massi instabili e posa in opera di una rete paramassi alterasse "il costone roccioso a strapiombo sul mare nell'ambito di una falesia (località "Ciolo") costituente vero e proprio monumento naturale marittimo", non rileva, per escludere il reato ipotizzato, che tale attività - come eccepito dal ricorrente - fosse allo stato iniziale perchè prodromica alle successive fasi lavorative, nè che fosse stata posta in essere in ossequio alle indicazioni della Soprintendenza; conta, come già detto, che tale condotta sia stata ritenuta di per sè fonte di alterazione della bellezza naturale protetta, secondo un giudizio riservato al motivato apprezzamento del giudice di merito che, nel caso di specie, sconta la natura cautelare del provvedimento impugnato e, dunque, la astratta sussumibilità del fatto accertato nel reato ipotizzato tale da giustificare gli ulteriori approfondimenti investigativi decisi dall'organo inquirente.

4.9. Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

4.10. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2015.