Procura dela Repubblica di Rovigo 21 aprile 2008
Est. Fasolato
Aria. Inquinamento da nanoparticelle (disastro ed omicidio colposo)

Richiesta di archiviazione in tema di inquinamento da nanoparticelle e collegamenti con la salute pubblica. Analisi della questione tecnica relativa al possibile collegamento di malattie tumorali (oltrechè cardiovascolari e respiratorie) con le emissioni di polveri fini.

PROCURA DELLA REPUBBLICA
PRESSO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROVIGO

N.1338/2005 R.G.N.R.

RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE

AL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
presso il Tribunale di R O V I G O

I Pubblici Ministeri Dott. Lorenzo Zen e Dott.ssa Manuela Fasolato,
visti gli atti del procedimento n.1338/05 NR RG iscritto nei confronti di Z. C., B. R., T. F. L. e S. P. per i reati p. e p dagli artt. 110 cp, 81 cpv cp, 589 e 449 cp, 437 cp, avanzano richiesta di archiviazione basata sulle seguenti considerazioni.
Si premette che le ipotesi di reato oggetto della presente richiesta di archiviazione sono le seguenti:
T. F. L., S. P., Z. C. e B. R.
Indagati
A)del reato p. e p. dagli artt. 81cpv cp, 589, 1° e 3° comma cp, 449 cp, 40 cp perché con più azioni ed omissioni esecutive di un medesimo disegno, T. F. e S. P. quali amministratori delegati e direttori generali dell’E.N.E.L. spa con sede in Roma viale Regina Margherita 137 rispettivamente dal 23/9/96 al 23/5/2002 e dal 24/5/2002 in poi, Z. C. quale direttore e responsabile della Centrale Enel di Polesine Camerini sino al 30/6/2004, B. R. quale direttore e responsabile della Centrale Enel di Polesine Camerini dal 1/7/2004 in poi, ciascuno per i fatti ricadenti nei periodi di rispettiva competenza,
facendo funzionare -e consentendo che così funzionasse- la Centrale Enel di Polesine Camerini per mezzo delle quattro sezioni con potenza pari a 660 MWe - le prime tre alimentate ad olio combustibile ad elevato tenore di zolfo sino al 31/12/2002 e dal 1/1/2003 ad olio combustibile denso BTZ a basso tenore di zolfo, la quarta alimentata ad olio combustibile ad elevato tenore di zolfo e dal 7/11/2000 dopo interventi impiantistici di ammodernamento messa in esercizio con i limiti fissati dall’allegato 3 del decreto 12/7/90 ed alimentata ad olio combustibile STZ - con sistema di depurazione degli inquinanti contenuti nei fumi prodotti dalla combustione limitato alla sola diminuzione delle polveri per mezzo di sistemi detti elettrofiltri e senza inserimento nell’impianto di alcun dispositivo di abbattimento delle emissioni di SO2(ossido di zolfo) prodotto dalla combustione corrispondente esattamente alla quantità di zolfo nel combustibile, provocando così emissioni in atmosfera di gas, vapori, fumi contenenti macro-inquinanti e micro-inquinanti prodotti dal processo di combustione, in particolare emissioni di biossidi di zolfo, ossidi di azoto e polveri, nonché di sostanze inorganiche sottoforma di gas o vapore quali cloro, idrogeno solforato, bromo, fluoro, ammoniaca, di sostanze organiche volatili, di sostanze cancerogene, teratogene, mutagene quali arsenico, cromo, cobalto, benzene, idrocarburi policiclici aromatici, di sostanze inorganiche sotto forma di polveri quali cadmio, mercurio, nichel, manganese, vanadio, piombo, ferro, alluminio, stagno, zinco, bario, antimonio e altri metalli, altresì di particelle oleose con elevato grado di acidità dovuto alla presenza di zolfo nei fumi, provenienti dalla Centrale Enel di Polesine Camerini nei luoghi pubblici e privati sia circostanti che non immediatamente circostanti la stessa centrale siti nelle Province di Rovigo e Ferrara, con ricaduta massima degli ossidi di zolfo, degli ossidi di azoto e del particolato entro un raggio di 10 Km dalla centrale nelle direzioni Sud e Nord-Ovest,
concorrevano a cagionare per colpa un disastro consistente nella morte e nelle lesioni personali delle seguenti persone in conseguenza dell’insorgenza di malattie tra le cui cause concorreva l’accumulo nei tessuti umani di materiali non biodegradabili né biocompatibili, patogenici fisicamente e in parte chimicamente tossici (tra cui piombo, zolfo, cromo, stagno, zinco, ferro, bario, antimonio, vanadio, nichel, tungsteno, silicio, alluminio, manganese e altri metalli) contenuti nelle polveri provenienti dalla Centrale Enel di Polesine Camerini, che venivano inalate ovvero ingerite finendo nelle vie respiratorie e nel circolo ematico:
la morte di S.F. ( carcinoma polmonare) deceduto a Taglio di Po il 6/7/99, Z. O. (tumore allo stomaco) deceduto il 24/11/97, F. R. (adenocarcinoma - neoformazione epatica) deceduto il 4/8/2004, B. L. (adenocarcinoma) deceduto il 14/3/2005, C. G. (carcinoma epatocellulare) deceduto il 28/7/2004, G. D. ( tumore polmonare) deceduto il 20/7/2004, P. M. (carcinoma dello stomaco) deceduto ad Adria il 17/11/2001, T. E.( tumore osseo, metastasi carcinoma sede primitiva mammaria o gastrointestinale) deceduta il 26/9/98, M.L. (neoplasia) deceduto il 7/3/2004,
le lesioni personali di A. A. (iperplasia adenoleiomiomatosa con estesa prostatite perighiandolare ed interstiziale, neoplasia polmonare, adenocarcinoma), A. A. (carcinoma papillare della tiroide operato nel febbraio 2004), B. A. (carcinoma renale), C. M. (neuroblastoma), D.L. (tiroidite), , F. A. (carcinoma ovaio), F. F. (adenocarcinoma dell’intestino - neoplasia tratto digerente), F. E. (adenocarcinoma dell’intestino sigma), , L. M. (tiroidite), M. C.(linfoma di Hodgkins), M. L. (neoplasia alla mammella destra), M. C. (adenocarcinoma), P. D. ( ectropion polipoide utero), P. L.( adenomi tubulari villosi- adenocarcinoma intestino sigma), R. B.( adenoma microfollicolare alla tiroide operata nel 1997), R. N. (schwannoma insorto su ganglio nervoso operato l’8/4/2003), S. C. (carcinoma della tiroide), Z. F. ( rettocolite ulcerosa),
dalle quali derivavano le malattie sopra descritte che mettevano in pericolo la vita della persona offesa e/o dalle quali derivava un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni,
il tutto ponendo in essere le condotte sopra descritte da cui derivavano gli eventi sopra descritti facendo funzionare la centrale utilizzando combustibili di grande impatto sull’ambiente, in particolare ad elevato tenore di zolfo, e non invece combustibili con minor impatto che avrebbero ridotto le emissioni, altresì non provvedendo ad ambientalizzare sollecitamente tutte e 4 le sezioni al fine di utilizzare combustibili STZ con conseguente riduzione delle emissioni entro i valori minimi di concentrazione di inquinanti in base alle direttive emesse dalla Comunità Europea, al DPR 203/88 e al successivo decreto del Ministero dell’Ambiente del 12/7/90, altresì agendo in violazione della Legge della Regione Veneto 8/9/1997 n.36 art.30 e della successiva Legge della Regione Veneto 22/9/1999 n.7 art.25 in quanto erano prodotte in atmosfera emissioni stechiometriche di ossidi di zolfo corrispondenti al combustibile (OCD) con tenore di zolfo utilizzato (percentuali di zolfo nell’OCD usato che variava dal 3% al 1% e comunque superiori allo 0,25%) non consentite né dalla normativa regionale 97/n.36 (pubblicata nel BUR 74/97) che stabiliva per tali tipi di impianti di produzione di energia elettrica presenti nei territori del comuni interessati al parco del Delta del Po l’alimentazione a gas metano o con altre fonti alternative non inquinanti – quindi senza emissioni significative di SO2 - con obbligo di presentazione di piani di riconversione degli impianti all’Ente parco entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge, né dalla successiva normativa regionale 99/n. 36 (pubblicata nel BUR 18/99 del 26/2/99) che stabiliva per gli impianti suddetti l’alimentazione a gas metano o con altre fonti alternative di pari o minore impatto ambientale – quindi senza emissioni significative di SO2 - con obbligo di presentazione di piani di riconversione degli impianti all’Ente parco entro diciotto mesi dall’entrata in vigore della legge;
così agendo senza minimizzare gli effetti indesiderati conseguenti alle emissioni suddette con i migliori accorgimenti tecnici disponibili, nonché, dopo l’ambientalizzazione della sezione 4 completata nel novembre del 2000 che avrebbe operato con limiti di emissione molto più bassi delle altre tre sezioni e con combustibile STZ, utilizzando detto gruppo n. 4 molto meno degli altri come si evince dalla seguente tabella relativa alle ore di funzionamento nel periodo 1/1/2001 – 28/1/2003:
Pot.El>100 MW Pot.El.=0
Gruppo 1 11740 6300
Gruppo 2 12500 5500
Gruppo 3 12880 5100
Gruppo 4 7700 10300
sia non impedendo, nei periodi in cui rivestivano i ruoli di responsabilità indicati, i suddetti eventi pur avendo l’obbligo giuridico di impedirli stante la loro posizione di comando, responsabilità, controllo, garanzia e tutela all’interno dell’azienda Enel spa (T. e S.) e della Centrale di Polesine Camerini (Z. e B.) in relazione allo specifico ruolo rivestito, né attivandosi per porre in essere gli accorgimenti necessari alla eliminazione o comunque alla significativa riduzione delle emissioni entro i valori minimi di concentrazione di inquinanti in base alle direttive emesse dalla Comunità Europea, al DPR 203/88 e al successivo decreto del Ministero dell’Ambiente del 12/7/90, né attivandosi per le comunicazioni ed ordini a soggetti posti in posizione subordinata affinchè costoro attivassero procedure per impedire o comunque significativamente ridurre le emissioni suddette entro i valori minimi suddetti, omettendo altresì di osservare il dovere positivo di adozione di tutte le migliori misure tecniche ed organizzative - disponibili ed adeguate al progresso tecnologico - di prevenzione e contenimento delle emissioni suddette e del conseguente danno ambientale (c.d principio di “migliore tecnica disponibile” ex d.lgs n.372/99 di attuazione della direttiva comunitaria 96/61/CE sulla prevenzione e limitazione integrate dell’inquinamento), nonché omettendo l’osservanza degli obblighi derivanti dal DPR 203 del 1988 e dal Decreto del Ministero dell’Ambiente del 12/7/1990 relativi alla messa in atto di interventi preventivi in caso di condizioni meteoclimatiche critiche (innalzamento della temperatura dei fumi al camino, uso di combustibili a basso tenore di zolfo, riduzione del carico); altresì non adottando adeguati monitoraggi esterni relativi al controllo della qualità dell’aria essendo le centraline di controllo posizionate a distanze eccessive dalla centrale elettrica per poter valutare l’effetto massimo di ricaduta degli inquinanti;
S., Z. e B. inoltre agendo dal 1/1/2003 al 31/12/2004 in violazione del provvedimento interministeriale 13/6/2003 che prescriveva limiti di producibilità di energia elettrica per le sezioni 1,2,3 (anno 2003 sino a 4500 GWh e anno 2004 sino a 3.700 GWh) giacchè l’esercizio delle sezioni 1,2 e 3 veniva effettuato per un totale di 4.714.643 MWh nel 2003 e per un totale di 3.766.073 MWh nel 2004;
In Porto Tolle, Polesine Camerini, Pila e località limitrofe alla centrale Enel, in Comune di Porto Viro, di Taglio di Po, di Rosolina, di Ariano Polesine, di Adria, di Loreo, di Goro, di Mesola nelle epoche sopra indicate

B) del reato p. e p. dagli artt. 110 cp, 81 cpv cp, 437 cp perché nella qualità indicata al capo A) omettevano di collocare nella CTE di Polesine Camerini impianti e apparecchi idonei a trattenere le sostanze inquinanti emesse in atmosfera in conseguenza del funzionamento della CTE con combustibile fossile, destinati a prevenire un disastro consistente nel pericolo dell’insorgenza di malattie tumorali nella popolazione abitante nelle zone circostanti la Centrale Enel causate dall’inalazione e ingestione di nano e microparticelle inorganiche nei modi, con le condotte ed omissioni descritte al capo A).
In Porto Tolle, Polesine Camerini, Pila e località limitrofe alla centrale Enel, in Comune di Porto Viro, di Taglio di Po, di Rosolina, di Ariano Polesine, di Adria, di Loreo, di Goro, di Mesola nelle epoche sopra indicate

Il presente procedimento n.1338/05 NR RG era iscritto a seguito della presentazione alla Procura della Repubblica di Rovigo in data 18/4/2005 di un esposto da parte di numerose persone abitanti nel Delta del Po e zone limitrofe, le quali presentavano malattie tumorali o i cui familiari erano morti a seguito di malattie tumorali;
tali persone, per mezzo dei loro difensori, si rivolgevano alla Procura, che aveva in corso il procedimento n.3577/01 NR RG per reati di cui agli artt. 81 cpv cp, 674 cp, 635, 1° e 2° comma, cp, 13, 5° comma, e 25,7° comma, DPR 24/5/88 n.203 conseguenti alle emissioni insalubri della Centrale Enel di Polesine Camerini, chiedendo di verificare se le malattie tumorali di cui erano affetti fossero dipese dalle emissioni della Centrale; chiedevano in particolare di accertare, avendo sentito parlare della tecnica di ricerca di micro e nanoparticelle inorganiche per mezzo della microscopia elettronica a scansione e ipotizzando la presenza di micro e nanoparticelle nei loro tessuti ammalati, se tali particelle fossero di provenienza della Centrale Enel e se detta presenza avesse indotto o agevolato la malattia tumorale. Allegavano agli esposti documentazione medica.
Il Pubblico Ministero, pur avendo il procedimento così iscritto aspetti di novità rispetto alle questioni già trattate nel procedimento n.3577/01 NR RG, riteneva comunque necessario richiedere anche la riapertura delle indagini relative a quella parte del procedimento n.3577/01 NR RG già conclusosi con richiesta di archiviazione parziale del 6/12/2004 per Z. C. in ordine al reato di cui all’art. 452 cp in relazione agli artt.439 cp,440 cp,441 cp, 81 cpv cp, nonchè per Z. C., B. R., T.F. e S. P. in ordine al reato di cui all’art.734 cp, essendo possibile che le nuove indagini necessarie per approfondire l’esposto suddetto dovessero in parte ripercorrere questioni già analizzate e coperte dall’intervenuto decreto di archiviazione parziale conforme alla richiesta 6/12/04 della Procura.
Il Gip-sede autorizzava quindi in data 5/5/2005 la riapertura delle indagini per la parte relativa a questioni già trattate nella richiesta di archiviazione parziale sopra citata riguardante il procedimento n. 3577/01 NR RG.
Alla luce di quanto sopra nonchè degli atti di indagine svolti nel procedimento n.3577/01 NR RG che si trovava già fase dibattimentale - che erano acquisiti per la parte di interesse – il Pubblico Ministero formulava nel presente procedimento n.1338/05 NR RG le imputazioni di cui agli artt. 110 cp, 81 cpv cp, 589 cp, 449 cp e 110 cp, 81 cpv cp, 437 cp.
Occorre a questo proposito ricordare che dalla relazione tecnica dei CTU Dott. Edoardo Bai e Ing. Paolo Rabitti, depositata il 24/1/2004 prima della riapertura delle indagini nel procedimento n.3577/01NR RG, era emersa la non sostenibilità dell’accusa di cui all’art.452 cp in relazione agli artt.439 cp,440 cp,441 cp con riferimento ad una possibile correlazione tra immissioni della Centrale Enel nelle colture del Delta e patologie tiroidee delle persone residenti nel Delta, che si erano rivolte alla Procura di Rovigo per mezzo dei loro legali sostenendo una collegamento tra le loro malattie e l’inquinamento da Centrale, in quanto i dati di letteratura e quelli sanitari reperiti localmente non deponevano per la certa correlazione tra tali patologie e l’inquinamento ambientale collegato alla Centrale elettrica di Polesine Camerini.
Con riferimento invece alle patologie polmonari e cardiocircolatorie i consulenti suddetti avevano concluso sostenendo che i dati di letteratura erano assolutamente confermativi circa la sussistenza di un effetto sulla salute della popolazione di alcuni inquinanti gassosi, con particolare riferimento a SO2 e polveri sottili: ciò sia per gli effetti acuti con aumento della mortalità e dei ricoveri per malattie cardiocircolatorie e respiratorie pochi giorni dopo gli episodi di inquinamento, che per gli effetti cronici con aumento di alcune patologie tumorali con una latenza media di 20 anni.
I CTU concludevano quindi che in campo medico e scientifico era pacifica la correlazione tra inquinamento atmosferico e malattie cardiocircolatorie e respiratorie, pur non potendo giungere a maggiori precisazioni utilizzabili come prova certa con riferimento al problema specifico delle emissioni della Centrale Enel di Polesine Camerini.
I CTU dott. Bai e ing. Rabitti avevano pertanto comunque concluso sostenendo che i dati sino ad allora disponibili sull’inquinamento della zona del Delta del Po e sul relativo contributo della centrale Enel non erano dimostrativi con certezza di un effetto evidente sulla salute umana, in particolare ritenendo che l’aumento anomalo della frequenza di mortalità per tumore al polmone evidenziato da più indagini statistiche nelle zone del Delta del Po non poteva con certezza correlarsi alle emissioni della centrale Enel.
I dati che avevano esaminato i CTU erano quelli acquisiti dalla Procura di Rovigo presso le strutture sanitarie di riferimento per il territorio, ossia le ASL di Rovigo, di Padova e di Ferrara, ed erano relativi ad un ampio periodo compreso tra il 1970 e il 2000. I CTU avevano osservato che tali dati in primo luogo non erano sempre stati raccolti dalle autorità sanitarie in maniera statisticamente corretta; in secondo luogo non erano di univoca interpretazione, essendovi ad esempio per certi periodi inspiegabili andamenti di segno opposto tra la popolazione maschile e quella femminile; in terzo luogo il numero degli abitanti delle zone circostanti la Centrale era troppo esiguo per potere avere una significatività statistica e per consentire quindi l’avvio di una effettiva indagine epidemiologica; infine in quarto luogo l’esame di tali dati da un punto di vista geografico induceva ad ipotizzare tale aumento di tumori come facente parte di un fenomeno in realtà più generale, interessante un’area vasta comprendente non solo la provincia di Rovigo, su cui insisteva la Centrale Enel, ma anche la provincia di Ferrara, e la cui spiegazione era ancora ignota.
Per quanto concerne poi l’aspetto relativo all’analisi delle colture situate a ridosso della Centrale, il CTU Dott. Scarselli con riferimento alla determinazione dei metalli pesanti in ortaggi analizzati nei dintorni della Centrale Elettrica aveva concluso sostenendo che i risultati sino ad allora conseguiti non avevano consentito di evidenziare apprezzabili fenomeni di interferenza attribuibili alle immissioni della Centrale Enel, pur non potendosi escludere che per il passato situazioni di hot spot correlabili alla centrale avessero potuto essere state causa di arricchimenti abnormi.
Gli esiti della consulenza del Dott. Scarselli erano stati influenzati sia dalla ridotta finestra spazio-temporale cui i dati si riferivano sia dallo stato di funzionamento ridotto della centrale al momento dei campionamenti.
Il suddetto CTU aveva altresì precisato che, per quanto riguardava i metalli pesanti, la principale fonte diretta di contaminazione negli ortaggi era da considerarsi il suolo e che, in assenza di importanti sorgenti industriali specifiche o di particolari attività estrattive minerarie, raramente le deposizioni legate all’inquinamento atmosferico su larga scala erano in grado di incrementare in modo significativo la presenza di metalli pesanti nel terreno.
Merita ricordare, a questi fini, anche gli esiti delle analisi chimiche condotte dai CTU Dott. Raccanelli e Dott. Bonamin sulle ceneri e oli (CTU 29/8/2003), che confermavano la forte presenza dei traccianti vanadio e nichel.
Il procedimento n.3577/2001 NR si concludeva con la sentenza di condanna n.192/2006 del 31/3/2006, dep. il 22/9/2006, a carico di Z., B., T. e S. per i reati di cui agli artt. 81 cpv cp, 674 cp, 635, 1° e 2° comma, cp, nonché artt. 13, 5° comma, e 25,7° comma, DPR 24/5/88 n.203.
Dalle risultanze processuali di tale dibattimento emergeva con certezza che SO2, NOx e polveri sottili erano stati emessi in grande quantità dalla centrale elettrica di Polesine Camerini e che tali emissioni avevano comportato il danneggiamento dell’ambiente circostante, in particolare delle colture, di parti di abitazioni e di altre cose esposte agli agenti atmosferici, nonché soprattutto della flora lichenica, che nei luoghi circostanti la Centrale Enel di Polesine Camerini aveva subito, in conseguenza delle emissioni della Centrale medesima, un processo di alterazione con diminuzione della biodiversità.
In particolare, per quanto concerne la prova del danno all’ambiente, fondamentale era stata la consulenza tecnica affidata ai Dott. Scarselli e Dott.ssa Magnani in ordine alla valutazione dell’impatto ambientale della Centrale ENEL di Porto Tolle, in particolare per ciò che riguarda gli effetti indotti dalle emissioni inquinanti sul patrimonio vegetale e sulle colture. A tale scopo, a partire dal mese di giugno 2003 era stata allestita una rete di monitoraggio integrata basata essenzialmente su una strategia di tipo biologico (biomonitoraggio). Come biosensori erano stati utilizzati organismi vegetali, i licheni, secondo metodiche standardizzate riconosciute dall’ANPA e ampliamente applicate a livello internazionale (i biosensori conservano tracce delle alterazioni ambientali per molto tempo, anche dopo che l’inquinamento è cessato, c.d. effetto memoria; utilizzando biosensori è dunque possibile ottenere dati integrati nello spazio e nel tempo che, opportunamente elaborati ed analizzati, restituiscono fotografie ad alta risoluzione sullo stato di salute di un territorio in relazione all’azione di diversi contaminanti, correlabili con differenti sorgenti di contaminazione). Era stata realizzata una rete di rilevamento su aree vaste circostanti la Centrale e ad alta intensità di punti di campionamento. Nel raggio di 20 Km dalla centrale Enel erano stati individuati, in base ad una rete a maglie regolari, una quarantina di siti, nei quali erano state effettuate misure di biodiversità lichenica, campionamenti di licheni da sottoporre ad analisi di laboratorio per la valutazione del bioaccumulo di metalli pesanti, prelevamenti di campioni di suolo nei quali erano stati ricercati diversi contaminanti. Tali misure erano state integrate con analisi in laboratorio di ortaggi prelevati negli orti famigliari circostanti la centrale e con i dati ottenuti esponendo per alcuni mesi piantine test di lattuga in siti sensibili. Erano inoltre stati analizzati i dati chimico-fisici delle centraline automatiche di rilevamento presenti sul territorio in esame ed era stata effettuata una campagna mirata di monitoraggio dei flussi di diversi inquinanti al suolo mediante deposimetri passivi posizionati appositamente in alcuni siti target. I dati erano stati sottoposti ad analisi statistica e spaziale, ed erano state redatte carte di alterazione/naturalità per i diversi parametri analizzati.
I risultati avevano consentito di evidenziare situazioni di alterazione a carico della flora lichenica in diverse aree del Delta Po, in termini sia di riduzione di biodiversità (rarefazione del numero di specie e individui rispetto al background), sia di accumulo abnorme di alcuni microinquinanti inorganici (Nichel e Vanadio), tipici traccianti delle emissioni di impianti termoelettrici.
Il confronto con i modelli diffusionali della centrale Enel, lo studio delle diverse sorgenti presenti sul territorio del delta, l’analisi della composizione chimica dei fumi e dei relativi flussi, l’interpretazione infine dell’insieme dei dati raccolti avevano portato ad individuare nella Centrale di Porto Tolle la principale causa determinante di tali alterazioni ambientali, consentendone altresì un corretto inquadramento in termini di magnitudo ed estensione spazio-temporale.
Merita anche considerare che una delle difficoltà dell’indagine è stata quella di ricercare con l’ausilio dei CTU dati certi e incontrovertibili sull’inquinamento da emissioni della Centrale, in quanto nel corso del processo era emerso in maniera inequivocabile l’assenza di effettivi controlli da parte delle istituzioni nei confronti di Enel, così sintetizzato dal Giudice nella sentenza n.192/06:
“22.4 La condotta degli enti pubblici interessati
La condotta del danneggiato è un aspetto importante per la quantificazione del danno.
Si dirà più avanti (par. 23.1.5) del senso di solitudine che provavano i cittadini del Delta, a causa principalmente dell’atteggiamento di chiusura di ENEL che negava ogni responsabilità e rifiutava di informare esaurientemente gli interessati. Ma – per quello che è emerso nel processo - neppure il comportamento degli enti e organismi pubblici ha corrisposto ai bisogni dei cittadini, che non hanno trovato - nei comuni e negli altri enti - istituzioni in grado di confrontarsi alla pari con ENEL, troppa essendo la sproporzione per disponibilità finanziaria, peso economico, influenza politica.
In sostanza è risultato chiaramente che le dimensioni della società ENEL rispetto ai piccoli paesi della zona erano (e sono ancora come è emerso al processo) tali da influire anche sul normale funzionamento delle istituzioni, dimostratesi non in grado di esercitare le funzioni di controllo, prevenzione, vigilanza, indirizzo rispetto ad una realtà troppo più grande di loro.
E’ emblematico il caso di Porto Tolle. Anche quando il Comune ha ipotizzato azioni di controllo sulle emissioni della Centrale, le difficoltà finanziarie sono state così rilevanti che si è chiesto a ENEL di intervenire a finanziare i progetti di controllo su se stesso, con il risultato che nulla venne fatto: è successo così con la dislocazione della centraline e l’indagine epidemiologica, dai costi troppo rilevanti per potere essere affrontati dal Comune.
Inoltre ENEL finanziava direttamente o indirettamente a seguito di accordi con le istituzioni la creazione di infrastrutture, eventi culturali e altro. Dunque diventa molto difficile per le amministrazioni di piccoli paesi rinunciare a questi proventi, altrimenti non conseguibili, e di importo rilevante per realtà così modeste.
Quello che vale per Porto Tolle vale anche per i comuni limitrofi e per la Provincia. E’ innegabile che la necessità di tutelare una fonte di lavoro così importante, che ne fa uno dei siti produttivi più importanti della provincia, non può lasciare indifferenti gli amministratori. Certamente e in un certo senso comprensibilmente vi era nei confronti degli interessi di un colosso come ENEL maggiore attenzione, per favorire la permanenza delle possibilità occupazionali.
Succede dunque che coloro che a livello politico-istituzionale avrebbero la responsabilità di attivare o sollecitare i controlli e di porsi come controparti dell’azienda, in realtà cercano di mediare senza contrapporsi. Così il comune di Porto Tolle, ma anche la Provincia, intervengono per fare pressioni su ENEL perché risarcisca i danni subiti dagli agricoltori, come hanno riferito i tecnici della Coltivatori Diretti e lo stesso presidente Saccardin. Così quando emergono problemi di manutenzione nella Centrale, il sindaco di Porto Tolle riceve i sindacati preoccupati per la possibile chiusura della Centrale…
Nel caso di Porto Tolle vi sono anche alcune particolarità, perché nel comune che è sede della Centrale molti dei rappresentanti comunali erano e sono dipendenti della Centrale stessa. E’ emerso ad esempio che il marito del sindaco Broggio, che aveva la delega ai rapporti con ENEL, era dipendente di quella società mentre la moglie era in carica. Ma il sindaco era anche presidente della commissione di controllo su ENEL fra il 2000 e il 2002: ebbene, nonostante tutto quello che avvenne e che è stato descritto nel processo, in questa Commissione non si parlò in quei due anni delle ricadute oleose.
Dei testi dipendenti di ENEL sentiti nel processo più di uno era consigliere o assessore, e innegabilmente nell’esercizio della funzione pubblica questa qualità non poteva essere indifferente. Ad esempio Padoan, caposezione nell’impianto di Polesine Camerini, era assessore ai lavori pubblici e pur ricevendo segnalazioni di ricadute oleose “preferiva” non recarsi sul posto (forse avvertendo un qualche conflitto di interessi?). Beniamino Pavanati era assessore ma dipendente ENEL, e come sindacalista guardava alla salute dei lavoratori ma anche al mantenimento dell’occupazione…
Non fa parte dell’oggetto del processo accertare le inefficienze amministrative o gli effetti di certe scelte politiche, ma nel corso dell’istruzione dibattimentale sono emersi fatti (mancati controlli, verifiche poco attendibili etc) non attribuibili a ENEL ma addebitabili a scelte politico-amministrative ed inefficienze operative di strutture pubbliche e istituzioni: e questo è rilevante perché tali inefficienze e scelte provengono in alcuni casi dagli stessi soggetti che si sono costituiti parte civile. Per questo motivo non si potrà ignorare tali comportamenti in sede di risarcimento del danno, non essendo del tutto estranea la condotta del danneggiato alla causazione del danno stesso. Questo porta in particolare a limitare il risarcimento in favore del comune di Porto Tolle ma anche della provincia di Rovigo e della Regione Veneto, la cui prossimità alla Centrale (rispetto agli altri enti corrispondenti che richiedono i danni ) sarebbe tale da giustificare una ben più ampia differenza in loro favore nella quantificazione del risarcimento.
Neppure gli organismi tecnici, per quello che è emerso nel processo, hanno garantito pienamente i cittadini: e non solo e non sempre per le carenze di personale, attrezzature, fondi etc. Basti pensare all’episodio in cui in un rapporto di prova del 10.5.2000 la “Stazione sperimentale per i combustibili” trova che l’olio utilizzato in quel momento dalla Centrale non corrisponde come dichiarato alla tipologia BTZ, ma vi si trovano notevoli impurità e una anomala presenza di zinco che “potrebbe essere indice di aggiunta di olio lubrificante esausto”. ARPAV riceve la segnalazione e, avendo premura di chiarire di non essere competente, si limita a informarne non altri enti “competenti”, ma lo stesso ENEL: e la cosa finisce lì.
Una parte civile ha parlato di “sudditanza degli organismi di controllo, ma non solo, anche del mondo politico, di quello scientifico, del mondo accademico e del mondo professionale”. Si tratta di una valutazione che non ha riscontri se non parziali nel processo: ma certo alcuni fatti, già più compiutamente esposti, possono venire qui richiamati.
• ARPAV delegava di fatto alcuni controlli delle emissioni al sistema di controllo interno gestito da ENEL, neppure provvedendo a tarare annualmente gli strumenti della Centrale, perché gli strumenti venivano tarati da tecnici dell’ENEL con la strumentazione dell’ENEL alla presenza di personale Arpav.
• da tempo si era ipotizzata l’inidoneità della dislocazione delle centraline, ma nessuno ha formalmente richiesto una verifica del posizionamento risalente addirittura a prima che la Centrale entrasse in funzione.
• il comune di Porto Tolle non ha mai richiesto formalmente a ENEL di rispettare la normativa regionale.
• l’indagine epidemiologica sulla popolazione del Delta avviata in occasione della costruzione della Centrale venne interrotta, subito dopo l’avvio dell’impianto, senza una spiegazione chiara e plausibile.
• per anni l’U.L.S. di Adria non è stata iscritta al registro regionale dei tumori, impedendo qualsiasi possibilità di un serio studio statistico ed epidemiologico sullo stato di salute della popolazione.
E’ risultato dunque nel processo che i cittadini non trovavano istituzioni pubbliche in grado di rappresentare pienamente i loro interessi e di fare presente con forza le loro preoccupazioni, come controparte nel dialogo con ENEL. Questo spinse i cittadini a sentirsi meno rappresentati dalle istituzioni e ad organizzarsi in comitati spontanei, come quello rappresentato da Crepaldi, o come quelli di Mesola e Goro di cui si è parlato nel processo”.
E tutto ciò nonostante la gente del luogo percepisse quotidianamente l’influenza nelle loro vita quotidiana delle emissioni delle Centrale Enel e le istituzioni territoriali, tenute ai controlli, ne fossero perfettamente consapevoli:
12.3 Molestie ed emissioni ordinarie
Dunque le fonti delle preoccupazioni delle persone erano le ricadute oleose ma anche gli episodi di emissioni anomale, che evidentemente provocavano quel turbamento richiesto dalla giurisprudenza.
Ma anche le emissioni ordinarie provocavano allarme? La risposta è positiva. Così frequenti e gravi erano gli episodi di emissione anomala che la popolazione viveva nella continua apprensione nel vedere la Centrale in attività. Si intende dire che la sola presenza attiva della Centrale che emetteva fumi visibili e di notevoli dimensioni, dato il progressivo peggioramento delle quantità e qualità dei fumi stessi, era sufficiente a creare allarme. In sostanza, è risultato nel processo che a causa del cattivo modo di esercire l’impianto sempre peggiorandone le emissioni, ENEL aveva creato per sua colpa uno stato d’animo di preoccupazione e incertezza, un senso di fastidio, disagio, disturbo e comunque di "turbamento della tranquillità e della quiete delle persone", che producono "un impatto negativo, anche psichico, sull\'esercizio delle normali attività quotidiane di lavoro e di relazione" (Cass. sez III, 14.3.2003 n. 20755).
…..
“Ora, nel processo si sono avute molteplici testimonianze in tal senso: è nel tono usato, nelle preoccupazioni manifestate, nelle attività compiute dai testimoni la prova che i fumi e le polveri fuoriuscite dal camino della centrale di Polesine Camerini, tenuto conto degli effetti provocati, superavano la soglia della normale tollerabilità e quindi provocavano molestia.
In primo luogo delle persone che abitavano nei pressi della cte: si vedano le deposizioni di Balasso Francesco, di Negri Vittorio, di Casellato Bruno, di Freguglia Maurizia, di Balasso Davide, di Trombin Sandra, di Donà Enrico, i quali non si sono limitati a riferire in questo processo dei danneggiamenti alle cose e alle colture, ma hanno riferito anche di altre situazioni direttamente percepite riconducibili alla Centrale, condizionanti la loro attività quotidiana: l’insopportabile ripetizione di ricadute e la paura ogni volta che si vedevano emissioni anomale, il disagio continuo per non sapere se da un momento all’altro sarebbe successo qualcosa; la preoccupazione per le scarse informazioni sulle emissioni, il disturbo provocato da odori acri, sgradevoli, pungenti; dai forti rumori provenienti dalla centrale che impedivano di dormire.
A riprova dell’esistenza di grandi preoccupazioni nella popolazione vi sono state nel processo anche testimonianze indirette ma qualificate: della dottoressa Tesconi, che parla di preoccupazione dei suoi assistiti per le allergie in aumento, per la diffusione di certi tumori etc. Fioravanti, l’altro medico di base a Porto Tolle, ha testimoniato dell\'esistenza di timore, ansia, stress, pericolo per i figli dovuto alle piogge acide. La teste Bertoli ha portato dati sulle malattie respiratorie e leucemie.
……
23.1.3 lo stato di preoccupazione e allarme
E’ emerso con continuità nel processo che tutti i cittadini coinvolti vivevano in uno stato di preoccupazione e allarme, per le continue emissioni di nubi scure, per le ricadute, gli odori acri, che anche e anzi soprattutto durante la notte potevano colpire o invadere le abitazioni.
Facile immaginare quindi lo stato psicologico che questa situazione può comportare all’interno di una famiglia, e l’esistenza di questa situazione psicologica è stata confermata anche dai medici di base sentiti nel processo, il dottor Fioravanti e la dottoressa Flora Tesconi.
Fioravanti ha riferito che c\'era un timore generale per l\'aumento dei tumori che la gente vedeva colpire gli abitanti; una sensazione che secondo il medico trovava riscontri, dato che nel 2000 in effetti l\'Organizzazione Mondiale della Sanità ha riscontrato un aumento dei tumori nella zona del Delta.
Tesconi, medico generale di Porto Tolle, ha detto che c’era molta preoccupazione per l\'attività della Centrale. Ella ha riferito che andavano da lei molte persone che lamentavano (in particolare a Pila, che è posta fronte alla Centrale) sintomi che collegavano alla Centrale: allergie, molti eritemi.
Il teste Cavallini, direttore del Dipartimento di Prevenzione dell’Ulss, ha riferito sull’importanza che per il suo ufficio avevano le problematiche connesse alle emissioni della Centrale. Egli ha inoltre prodotto una rilevante documentazione da cui risulta il livello di attenzione e di preoccupazione dela popolazione, che spingeva il suo ufficio ad attivarsi.
Vi sono poi alcuni specifici episodi, i quali sono significativi di come si creava – giustificatamene – uno stato di allarme.
Si ricordano, per evitare ulteriore appesantimento, solo tre testimonianze.
Lazzari, il quale ha riferito, in un episodio già ricordato, di aver ricevuto dal Comando Aeronautico Militare di Venezia una segnalazione in quanto degli aerei militari sorvolando la zona avrebbero notato la presenza di un fumo che faceva pensare ad un incendio. Il militare accertò non si trattava di un incendio bensì dei fumi che uscivano dalla Centrale di Polesine Camerini. Ma a parte questo episodio, spesso vi erano “nubi che nascondevano il sole”, nonché forti odori e rumori specialmente notturni.
Greguoldo, coltivatore diretto di Polesine Camerini, abitante nella frazione di Occaro, abita a due chilometri dalla Centrale, ha riferito di un episodio del 11 o 12 settembre 2002 di fuoriuscita di odori acri. Egli si trovava nella sua abitazione, sentì un intenso odore acre di carburante, si rivolse a Giorgio Crepaldi e fece una segnalazione. Egli ha confermato di essere molto preoccupato “per tutto” quello che usciva dalla Centrale.
Donà Enrico ha detto che aveva paura di quello che respirava, paura soprattutto per i bambini. Per questo partecipò ad assemblee sulle emissioni della Centrale.
Ma episodi e stati d’animo simili sono stati raccontati da tutti i cittadini chiamati come testimoni.
23.1.4 il turbamento della serenità quotidiana della vita.
“Nel processo sono emersi numerosi e significativi episodi che dimostrano come per la continuità e intensità delle emissioni gli abitanti della zona fossero stati costretti a cambiare il loro stile di vita.
Donà Enrico ha riferito che d’estate, avendo le finestre aperte nella camera da letto della figlioletta di dieci anni, tutte le notti scendeva per andare a vedere se c’erano delle emissioni di fumi e spesso queste emissioni c’erano, con odori acri e addirittura bruciore agli occhi; cosicché egli doveva chiudere la finestra della stanza da letto della figlia perché temeva che la stessa potesse essere invasa da questi fumi nocivi.
Il teste Lazzari ha riferito ancora che praticava l’orticoltura nel giardino dietro l’edificio in cui abitava; ma le colture presentavano macchie, si perforavano le foglie e si seccavano: perciò l’insalata o altri ortaggi per l’uso quotidiano non potevano essere mangiati. Non si potevano stendere i panni all’aperto perché si macchiavano irrimediabilmente. Occorreva pulire continuamente l’auto per evitare che le macchioline corrodessero la carrozzeria.
Freguglia, moglie di Balasso, ha riferito che si accorgeva la mattina delle ricadute, vedendo macchie sul bucato e sui davanzali. La biancheria doveva essere rilavata o buttata via. La frequenza era di circa due volte al mese, tutti gli anni \'90 e finora adesso.
Tugnolo ha riferito sulla necessità di utilizzare auto vecchie da lasciare parcheggiate nei pressi della Centrale per evitare di vedersi rovinate quelle nuove. Molti cittadini hanno raccontato di avere dovuto ridipingere l’abitazione con frequenze del tutto straordinarie…”
Al fine di verificare l’eventuale presenza di microparticelle e nanoparticelle inorganiche nei reperti biologici messi a disposizione da una parte delle persone offese, era incaricata ex art. 359 cpp in data 17/5/2005 quale CTU la Dott.ssa Gatti affinché procedesse allo studio ultrastrutturale dei campioni tramite il metodo di microscopia elettronica a scansione ambientale oggetto del progetto europeo QLRT-2002-147. Nel quesito era altresì specificato che nel caso in cui la ricerca avesse dimostrato la presenza nei reperti di particolato inorganico delle dimensioni citate sopra, si sarebbe proceduto ad un confronto dimensionale e chimico elementare tra il materiale rinvenuto e quello generato dalla centrale termoelettrica ENEL di Porto Tolle sulla base dei campioni disponibili presso la Procura della Repubblica relativi al procedimento n.3577/2001 NR allo scopo di verificare se le micro-particelle e nano-particelle rinvenute nei campioni fossero derivate dalle emissioni dell’impianto termoelettrico.
La Dott.ssa Gatti depositava il 15/12/2005 la relazione tecnica precisando che per l’indagine si era avvalsa di un ESEM, microscopio elettronico a scansione ambientale che consentiva di osservare i campioni biologici in condizione di normale idratazione, a differenza del microscopio SEM che richiede che il campione sia disidratato e reso elettroconduttivo tramite ricopertura di carbone oppure di metalli quali oro e palladio; ancora precisava che “Il principale obiettivo dell’indagine, vale a dire l’individuazione di micro e nano-particolato inorganico eventualmente contenuto nell’esemplare in studio, viene raggiunto senza alcun processamento del campione e dunque, senza l’introduzione di possibili inquinanti. L’ossservazione di articolato submicronico, cioè nanodimensionato, è quindi significativa.” .
Al paragrafo 3 della relazione la CTU descriveva la preparazione dei campioni consistente nel taglio con microtomo Leitz di sezioni di 10 micron di spessore dai reperti biologici umani inclusi in parafina, nel deposito di tali sezioni su supporti di acetato, successivamente deparaffinate con xilolo, lasciate asciugare e montate su supporti d’alluminio mediante disco biadesivo di carbonio, poi introdotte nella camera del microscopio elettronico a scansione ambientale.
Erano esaminati 35 casi di pazienti riepilogati nella tabella A alle pagine 279 e 280 della CTU.
Nella relazione si precisava che per tutte le patologie descritte gli agenti eziopatogenici erano di origine incerta; che il prelievo bioptico era stato eseguito dal medico per evidenziare il tessuto patologico e non era stato condotto in vista di indagini nanopatologiche; che in alcuni casi il campione era troppo modesto ovvero era inquinato da coloranti per istologia.
Era quindi precisato che 3 campioni (n.10, n.30 e n.31) non erano stati analizzati, che in 2 campioni (n.15 e n.21) non erano state rilevate polveri, che in 9 campioni (n.4, n.7, n.8, n.16, n.18, n.25, n.26,n.32 e n.33) sono state trovate zone non solo calcifiche, ma con presenza di fosfati di calcio; che negli altri campioni erano presenti polvere metalliche, ed alcune di forma tondeggiante (considerate dalla CTU indice di una formazione in ambiente di combustione ad alta temperatura).
Erano quindi valutati utili ai fini dell’indagine quei reperti nei quali erano trovate particelle di piombo-stagno, zolfo-bario, zolfo-ferro, ferro-piombo, piombo-bario, nichel-pombo-ferro, ferro-zolfo-fosforo, silicio-piombo, calcio-bario-zolfo e simili.
La CTU concludeva nel seguente modo: “Le analisi dei reperti patologici hanno mostrato la presenza costante degli stessi elementi chimici. Si deduce che l’ambiente in cui i soggetti analizzati hanno vissuto presentava lo stesso tipo di inquinamento” e che “E’ già stato dimostrato che nei casi di cancro, specialmente quelli primari, le polveri non vengono ritrovate nel tessuto malato, ma sono localizzate all’interfacie tra questi ed il tessuto ritenuto sano. Se ne deduce che alcuni detriti, penetrando all’interno della cellula e nel nucleo stesso, possono aver indotto una mutazione nel DNA che ha dato origine a sua volta a cellule mutate e ad un nuovo tessuto che si è accresciuto dimenticandosi dell’innesco.
Prelievi finalizzati al rilevamento di micro e nano-polveri inorganiche avrebbero quasi certamente permesso di individuare una presenza più consistente di particolato.
Composti metallici come quelli trovati possono essere stati captati selettivamente da certi organi oppure essere dispersi in tutto il corpo senza aver raggiunto la concentrazione critica che dà origine allo stato patologico. A riprova di ciò si può dire che nei casi in cui si sono avuti a disposizione più reperti relativi allo stesso paziente, si è notata una differenza di accumulo delle polveri.
E da sottolineare, poi, come sia del tutto possibile che tra i casi di tumore di cui si sono esaminati i prelievi bioptici ve ne siano alcuni la cui eziologia non sia riconducibile all’esposizione ad agenti inquinanti panicolati ma ad altre cause, magari non di natura ambientale, ampiamente riconosciute in oncologia. E proprio in quei casi le polveri non sono presenti nei reperti. Il fatto costituisce una prova ulteriore, se mai ce ne fosse stato bisogno, dell’oncogenecità del articolato rinvenuto.
I reperti biologici analizzati appaiono abbastanza omogenei per composizioni chimiche, dimensioni e morfologie. Molte delle chimiche trovate(a parte il fosfato di Calcio) sono state riscontrate sia sui licheni esaminati nell’ambito della ricerca citata condotta dal dott. Montanari, sia nei combustibili della Centrale di Polesine Camerini.
Si nota che esiste una certa logica di tracciabilità tra ciò che è stato disperso nell’ambiente e ciò che è stato inalato o ingerito dai soggetti controllati.
Le polveri rinvenute nei reperti biologici sono tutte classificabili come non biocompatibili, alcune sono chimicamente tossiche (tra gli altri, i composti di Piombo, quelli a base di Zolfo, a base di Cromo, Stagno, Zinco)(40-60), tutte sono patogeniche fisicamente, costituendo per l’organismo umano corpi estranei con le ovvie conseguenze del caso.
Dai reperti si evince pure la presenza di un ulteriore meccanismo patologico. Infatti alcune polveri di Ferro-Cromo e Ferro-Cromo-Nichel, una volta intrappolate nei tessuti hanno la possibilità di andare incontro a corrosione liberando ioni Ferro, Cromo e Nichel. Questi, a loro volta, sono chimicamente tossici….”.
“In conclusione, pur non essendo stato possibile lavorare nel migliore dei modi(1-campionamento non sempre ideale come posizione nell’ambito del tessuto malato e come quantità, 2- fissazione del reperto non sempre eseguito secondo criteri adatti all’indagine nanopatologica, 3- tempo d’archiviazione) in diversi casi si è ritrovato il articolato già rilevato nell’inquinamento ambientale all’interno dei tessuti patologici di soggetti che lo hanno indubbiamente respirato ed ingerito. Si sottolinea ancora una volta che le polveri rinvenute non sono biodegradabili né biocompatibili. Con molte probabilità, un campionamento ad hoc avrebbe consentito d’individuare una quantità maggiore di articolato rispetto a quello, pur rilevante, effettivamente trovato. Appare del tutto ragionevole pensare che le patologie sofferte, ad esclusione di quelle menzionate nei cui reperti non sono state rinvenute polveri, non si sarebbero scatenate se l’ambiente non fosse stato contaminato dai detriti rilevati, aggiungendo a questo la notissima tossicità chimica di diversi degli elementi rinvenuti”.
Il Pubblico Ministero, tenuto conto di quanto in atti e degli esiti di tale CTU, incaricava il 3 gennaio del 2006 la sezione di PG-Polizia di Stato di effettuare indagini al fine di acquisire informazioni significative con riferimento ai casi da n.1 a n.9, da n.11 a n. 14, da n.16 a n.20, da n.22 a n.29, da n. 32 a n.35 in cui la CTU Dott.ssa Gatti affermava aver rinvenuto microparticelle nei reperti biologici.
Il PM delegava, in particolare, l’assunzione dei pazienti, se ancora in vita, e dei familiari degli stessi, se deceduti o non più in grado di rispondere, al fine di acquisire i seguenti dati: luoghi di residenza dalla nascita al periodo attuale, periodo in cui gli stessi hanno abitato vicino alla Centrale Enel di Polesine Camerini, lavori svolti e luoghi di lavoro, abitudini di vita, se fumatori il periodo in cui hanno fumato e numero medio di sigarette al giorno, periodo di inizio della malattia e stadio attuale della malattia, accertamento e/o perfezionamento della volontà di proporre querela per eventuali reati non procedibili d’ufficio qualora vengano individuati responsabili se non già sporta e presente agli atti.
Era delegata inoltre l’acquisizione in copia per ciascun paziente di eventuale documentazione medica utile, anche successiva agli esposti, chiedendo inoltre ai legali delle persone offese ogni ulteriore dato utile ad inquadrare i casi; nonché era delegata l’assunzione dei medici di base dei pazienti per conferma e completamento dei dati utili ad inquadrare i casi; era disposto altresì che, qualora rimanevano persone di cui agli esposti i cui dati non erano stati analizzati perché non reperiti i reperti o perché quelli inviati non erano idonei all’esame da parte della CTU col mezzo della scansione elettronica, fosse verificata l’esistenza eventuale di ulteriori reperti ovvero fosse richiesto se i denuncianti intendessero fornire volontariamente ove possibile nuovi reperti, con finalità diretta all’esame da parte del CTU.
Tale indagine era poi nel giugno del 2006 estesa alle restanti persone offese malate e familiari delle persone offese decedute, non assunte nella precedente delega data alla PG.
In considerazione delle risultanze in atti, il pubblico ministero richiedeva inoltre al contempo al Gip-sede in data 17/1/2006 ai sensi dell’art.392, 1° comma lett.a) e 2° comma, cpp incidente probatorio perché fosse disposta perizia medica tenuto conto che riguardava persone e cose soggette a modificazione non evitabile, nonché considerata la gravità dell’indagine e il numero delle persone offese, altresì il fatto che qualora disposta a dibattimento la perizia avrebbe comportato una sospensione superiore a 60 giorni.
La perizia medica sarebbe servita appunto a verificare se le malattie delle persone offese in vita e delle persone decedute indicate al capo A dell’imputazione potessero essere state causate dalle emissioni della Centrale Enel ovvero comunque agevolate.
Nella richiesta di incidente probatorio il pubblico ministero in particolar modo richiamava quanto esposto nella CTU della Dott.ssa Gatti dep. il 15/12/2005 nella quale era detto che “le analisi dei reperti patologici hanno mostrato la presenza costante degli stessi elementi chimici. Si deduce che l’ambiente in cui i soggetti analizzati hanno vissuto presentava lo stesso tipo di inquinamento” e che “Molte delle chimiche trovate(a parte il fosfato di Calcio) sono state riscontrate sia sui licheni esaminati nell’ambito della ricerca citata condotta dal dott. Montanari, sia nei combustibili della Centrale di Polesine Camerini”; richiedeva quindi il pubblico ministero che fossero inquadrate compiutamente le patologie riportate dalle persone offese per capire se fosse possibile che la presenza delle nanoparticelle nei tessuti delle persone suddette, così come descritte dalla CTU Dott.ssa Gatti che le aveva individuate visivamente con un microscopio a scansione, avesse potuto ingenerare o anche solo agevolare o semplicemente concorrere ad un processo patologico, così come ipotizzato dalla stessa CTU, stante la natura non biocompatibile delle particelle medesime.
Il pubblico ministero osservava inoltre che per una parte delle persone offese, ammalate o decedute, non vi erano reperti biologici analizzati dalla Dott.ssa Gatti, e che l’incidente probatorio veniva, per economia processuale, intanto richiesto solo per quei casi in cui la CTU Dott.ssa Gatti aveva individuato nanoparticelle nei tessuti esaminati.
La richiesta di incidente probatorio era anche motivata nell’ottica di un maggior contraddittorio facendo rilevare l’estrema delicatezza della materia trattata.
Nel frattempo il Pubblico Ministero, anche ai fini dell’interruzione della prescrizione, fissava per il 27/1/2006 interrogatorio degli indagati S., T., Z. e B. avanti a sé e gli stessi sceglievano di non comparire.
In data 17/3/2006 il Gip sede respingeva la richiesta di incidente probatorio ritenendo che fosse “sostanzialmente finalizzato a riprodurre gli accertamenti già effettuati dal c.t. del PM ottimizzandone e migliorandone le condizioni operative(in primis mediante l’acquisizione di campioni più idonei) e aumentando lo spettro delle analisi(anche mediante riesumazione di numerose salme)” e che appariva “del tutto aleatoria qualsivoglia prognosi circa l’an il quando e la reale consistenza(con le inevitabili ricadute in termini di valutazione delle esigenze di complessiva speditezza dell’azione giudiziaria ancor prima del dibattimento) della celebrazione di un eventuale dibattimento”; richiamava inoltre il Gip la facoltà del pubblico ministero di procedere agli accertamenti necessari con i mezzi processuali che il codice di procedura prevedeva.
Era quindi disposta consulenza tecnica ex art.359 cpp per verificare se le microparticelle o nanoparticelle presenti nelle polveri sottili potessero causare lesioni cronico-degenerative o anche solo agevolarle; tale quesito era necessariamente legato ad altro quesito relativo alla osservazione ed analisi delle patologie da cui erano affette le persone offese abitanti nel Delta del Po che avevano presentato gli esposti adducendo che la loro malattia poteva essere collegata alle emissioni della Centrale Enel, presentando alcune di esse, i cui reperti biologici erano stati analizzati dalla Dott.ssa Gatti, microparticelle nei tessuti.
La procura chiedeva di verificare anche se fosse possibile prescindere dal tipo di patologia specifica, ossia verificare se il comportamento delle micro e nano particelle fosse uguale qualunque fosse il tessuto od organo attaccato e qualunque fosse la situazione del soggetto passivo.
La consulenza tecnica era affidata al Prof. Lorenzo Tomatis e i quesiti rivolti all’esperto miravano a verificare gli effetti sulla salute dell’inquinamento prodotto da processi di combustione originati da combustibili fossili per accertare:
1. in quale misura particelle ultrafini (di dimensioni submicroniche) e nanoparticelle: a) siano capaci di penetrare nell’organismo umano e attraverso la corrente sanguigna distribuirsi in organi diversi; b) possano causare, o contribuire all’induzione di effetti tossici acuti o subacuti, e/o avere un ruolo diretto o indiretto sull’insorgenza, e nell’aumentare il rischio, di lesioni cronico-degenerative.
2. tenuto conto della risposta data al quesito sub 1, specifichi ogni ulteriore considerazione sulla tematica in relazione al tipo di particelle individuato dalla CTU della Dott.ssa Gatti dep. Il 15/12/2005 nella quale si evidenzia che “le analisi dei reperti patologici hanno mostrato la presenza costante degli stessi elementi chimici. Si deduce che l’ambiente in cui i soggetti analizzati hanno vissuto presentava lo stesso tipo di inquinamento e che “ Molte delle chimiche trovate (a parte il fosfato di calcio) sono state riscontrate sia sui licheni esaminati nell’ambito della ricerca citata condotta dal dott. Montanari, sia nei combustibili della Centrale di Polesine Camerini”, altresi’ al tipo di particelle che sara’ eventualmente individuato sempre dalla Dott.ssa Gatti nei reperti biologici ulteriori che le saranno sottoposti per analisi..
Il consulente, grande esperto in materia anche in relazione al ruolo ricoperto per anni in IARC (dal 1967-1979 Chief, Unit of Chemical Carcinogenesis, International Agency for Research on Cancer Lyon,France, dal 1979-1981 Director, Division of Environmental Carcinogenesis, International Agency for Research on Cancer, Lyon, France, dal 1982-1993 Director, International Agency for Research on Cancer, Lyon, France, dal 1996-1999 Scientific Director, Institute for Mother and Child Health Burlo Garofolo-IRCCS,Trieste, Italy, dal 1995-2003 International Scholar on Environmental Health, National Institute for Environmental Health Sciences/ NIH, Research Triangle Park, NC,USA), depositava la sua relazione in data 24/6/2007.
Nella relazione il Prof. Tomatis faceva il punto della situazione in ordine alla problematica relativa all’influenza dell’inquinamento sulla salute umana, ricordando in sintesi quanto segue:
“Gli effetti avversi legati a livelli meno vistosi di esposizione all’inquinamento hanno ricevuto per lungo tempo minore attenzione, anche per la difficolta’ obiettiva di valutare e quantificare accuratamente in particolare gli effetti cronici a lungo termine, fra i quali il cancro. Oltre alle difficolta’ collegate a una metodologia epidemiologica e statistica che non aveva ancora raggiunto l’efficacia maturata negli ultimi decenni, non va sottostimata l’opposizione esercitata da influenti interessi industriali nei confronti di risultati che anche solo lontanamente preludessero a misure che potevano limitare o vincolare la produzione industriale e di energia.
Il perfezionarsi dei metodi di indagine e la loro maggiore sistematicita’ ha messo in evidenza in modo incontrovertibile, a partire dagli anni ’90, l’esistenza di un ruolo causale dell’inquinamento dell’aria nell’aumento di frequenza di danni sia acuti che cronici e quindi di una associazione fra inquinamento atmosferico, in un primo tempo analizzato in prevalenza nell’ambiente urbano, e un aumento della frequenza di patologie cardio circolatorie e respiratorie.

Il particolato atmosferico è costituito da due componenti principali. La prima, di dimensioni maggiori, deriva dalla erosione del suolo e degli edifici. È costituita da materiale inerte e probabilmente non esercita effetti importanti sulla salute.
La seconda, di dimensioni notevolmente inferiori, è invece costituita dalla condensazione nell’atmosfera, specie a basse temperature, di numerose sostanze che derivano nelle aree urbane principalmente dai processi di combustione. Dal punto di vista dei meccanismi potenziali di azione, questa componente del particolato è un buon candidato ad essere un determinante di effetti negativi sulla salute. Infatti è di dimensioni talmente piccole da poter penetrare sino alle parti più profonde dell’albero respiratorio. La sua composizione è ricca di sostanze biologicamente attive. Contiene infatti sostanze che possono avere una azione irritante e/o pro-flogistica (solfati, nitrati) e di cancerogeni (metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici).
La combustione di combustibili fossili, quale si realizza nelle centrali elettriche rappresenta una delle maggiori fonti antropogeniche di inquinanti atmosferici. Fra questi gli idrocarburi aromatici e numerosi elementi metallici (fino a 50 presenti nel carbone e fino a 30 negli olii combustibili). Quest’ultimi, dopo essere stati mobilizzati dalla combustione del carbone e o dell’olio tendono a condensarsi nelle ceneri volatili (fly ash) e nel particolato le cui dimensioni variano da pochi micron a quelle ultrafini (UFP), di dimensioni inferiori a 100nm (nm=nanometro, un nanometro=10-9 metri, ossia 0,001 micron) e alle nanoparticelle (NP) di dimensioni a inferiori a 100 nm. Considerato che l’area di superfice per unita’ di massa aumenta con il decrescere della dimensione delle particelle, la concentrazione di elementi metallici e’ maggiore nella loro frazione piu’ fine, submicronica , totalmente respirabile. Analogamente il rapporto fra superfice e il numero totale di atomi e molecole cresce in maniera esponenziale con il decrescere delle dimensioni delle particelle, il che spiega perche’le NP abbiano un’attivita biologica piu’ intense, a parita’ di massa, di particelle di dimensioni superiori .
Circa il 90% delle particelle inalate con dimensioni di 1nm si depositano nel tratto nasofaringeo, il 10% nel tratto tracheobronchiale e praticamente nessuna negli alveoli, mentre quelle attorno ai 5nm si depositano in egual misura in ciascuno dei tre tratti, e quelle attorno a 50nm si depositano fino al 50% negli alveoli.
Alla stessa stregua di quanto era noto da tempo sulla capacita’ di particelle virali di 30-50nm di migrare lungo gli assoni e i dendriti dei neuroni e di attraversare gli epiteli, le particelle ultrafini (UFP) e le nanoparticelle (NP) possono attraversare la barriera epiteliale e raggiungere aree extrapolmonari e organi distanti, sia a mezzo della corrente sanguigna che dei vasi linfatici. In un test su volontari e’ stato dimostrato che il passaggio alla corrente sanguigna puo’ avvenire entro 10’-20’. Altra possibile via di diffusione delle NP e’ attraverso la loro captazione da parte delle terminazioni nervose e la loro migrazione verso i gangli nervosi e il SNC.
Quello che per altri versi puo’costituire un vantaggio, ad es. la capacita’di trasportare medicinali oltrepassando le barriere cellulari, si rivela quindi come uno svantaggio nel caso dell’esposizione a particolato ultrafine inquinante la cui maggiore reattivita’ chimica induce una serie di reazioni avverse a livello cellulare e subcelluare come un aumento nella produzione di ROS (reactive oxygen species) e di radicali liberi.
Per molti degli agenti che compongono l’inquinamento atmosferico, incluso il particolato, non esiste un valore di soglia al di sotto del quale vi sia l’evidenza di un’assenza di rischio. Per il particolato in particolare effetti dannosi sono stati riportati per livelli vicini al background naturale che e’ attorno ai 6 microgr/m3.
…….
La capacita’ delle particelle ultrafini (UFP, ultrafine particles) e delle NP (nanoparticelle) di indurre una reazione infiammatoria a livello dei polmoni di oltrepassare la barriera epiteliale e diffondersi ad organi distanti e di interferire con il processo di coagulazione , e’ stata dimostrata sperimentalmente sia su animali in vivo (dopo istillazione, fra l’altro di oro colloidale, TiO2 e carbon black), che su cellule in cultura e infine in test condotti su soggetti umani sani.
Le piccole dimensioni, la piu’ ampia area di superfice che permette a un maggior numero di atomi e di molecole di essere esposte, e la maggiore reattivita’ chimica fanno si’ che le NP possano indurre un aumento della produzione di ROS e di radicali liberi. Con l’istillazione intratracheale sia di carbon black che di TiO2 in ratti e’ stato infatti confermato sperimentalmente che a parita’ di massa le NP inducono una risposta infiammatoria piu’ intensa delle particelle di dimensioni maggiori .
Di norma le ROS sono generate con scarsa frequenza e sono neutralizzate dalle normali difese antiossidative. Nelle condizioni create dall’esposizione a NP le difese antiossidative possono essere sopraffatte con il risultato di avere uno stress ossidativo al quale puo’ seguire, a livello delle vie aeree, infiammazione e fibrosi interstiziale.
L’infiammazione viene iniziata con l’attivazione di segnali pro-infiammatori, come pure con una disfunzione mitocondriale che puo’ risultare nel rilascio di fattori pro-apoptosi. Diversi tipi di NP sembrano per di piu’ avere i mitocondri come bersaglio dirett . La sequenza di eventi che caratterizza lo stress ossidativo in sintesi consiste in un’iniziale messa in atto delle difese antiossidanti e induzione di enzimi antiossidanti, una reazione infiammatoria con produzione di citochine e chemochine, e infine citotossicita’. Quando lo stress ossidativo va oltre un certo limite, la capacita’ protettiva della risposta antiossidante viene sopraffatta e oltre a una risposta infiammatoria si puo’ verificare una effettiva citotossicita’ con danno mitocondriale, apoptosi e/o necrosi (24) che puo’ sfociare in una patologia cronica flogistica- degenerative o anche neoplastica.
Oltre a stress ossidativo e conseguente infiammazione, a livello cellulare le NP possono causare la denaturazione di alcune proteine, danneggiare la membrana cellulare, alterare la reattivita’immunologica e indurre la formazione di granulomi da corpo estraneo. Le NP possono inoltre penetrare nel nucleo cellulare, danneggiare il DNA e causare anche mutazioni .
Una volta depositate nel polmone le NP penetrano sia nei macrofagi che nelle cellule dendritiche passivamente, cioe’ per un meccanismo che e’ diverso dalla fagocitosi e che e’ stata anche definita “interazione adesiva (adhesive interaction) . Anche gli eritrociti che pure non sono atti a incamerare attivamente particelle, le acquisicono passivamente e in tal modo contribuiscono poi alla diffusione delle NP in organi distanti dal polmone.
I neuroni olfattori possono incamerare e traslocare particelle ultrafini al cervello e diverse osservazioni, sia su cani che su individui esposti a un severo inquinamento atmosferico, hanno confermato la presenza di infiammazione cerebrale e deposito di amiloide, eventi che precedono la comparsa delle lesioni tipiche della malattia di Alzheimer.
…..
L’associazione causale fra un aumento della mortalita’ per tutte le cause, per eventi cardiovascolari e per cancro polmonare, e l’inquinamento atmosferico, e’ stata riportata e confermata autorevolmente da numerosi studi, i piu’ noti dei quali sono il Harvard six Cities Study, e lo Studio dell’ American Cancer Society (IACS) . I risultati di questi e di numerosi altri studi, pure validi ma di minor respiro, pur differendo in alcuni casi aull’entita’ dell’aumento, concordano tutti nel riportare un aumento della mortalita’ collegato soprattutto alla concentrazione del particolato piu’ fine, sommariamente indicato come PM2,5, e di solfati .
L’analisi approfondita dei due studi fondamentali gia’ menzionati, il Six City Study e quello dell’American Cancer`Society (ACS), ha messo in evidenza che un aumento di 10microgr/m3 di PM2,5 e’ associato a un aumento considerevole della mortalita’ per infarto nei non fumatori , come pure a un aumento della mortalita’ per ictus cerebrale,aumento confermato da studi piu’ recenti. Uno studio condotto su otto grandi citta’ italiane sugli effetti a breve termine dell’inquinamento atmosferico, ha dimostrato che per ogni aumento di 10microgr/m3 di PM10, ma che si riferisce in modo particolare alla concentrazione nell’aria di particolato fine , si e’ verificato, nel giorno stesso o in quello successivo, un incremento dell’1,3% della mortalita’ totale, 1,4% della mortalita’ cardiovascolare, e 2,1% della mortalita’ respiratoria insieme a un aumento dell’1,4% dei ricoveri per cause respiratorie . Un aumento di patologie renali e’ stato osservato in aree inquinate, osservazione che necessita di ulteriore approfondimenti, ma che puo’ essere messo in relazione alla presenza di sostanze nefrotossiche come alcuni metalli (Cr e Hg) che si liberano nella combustione del carbone e degli olii combustibili. L’esposizione a particolato ultrafine e’ inoltre all’origine di una disfunzione vascolare su base costrittiva, a sua volta associata a un aumento di rischio di ischemia del miocardio .
L’inquinamento dell’aria e’stato inoltre associato all’aggravamento dell’asma bronchiale, soprattutto nei bambini. In una valutazione degli effetti dannosi dell’aria inquinata sullo sviluppo delle funzioni polmonari nell’eta’ critica fra i 10 e i 18 anni, il piu’alto indice di correlazione era quello collegato alla presenza di prodotti carboniosi elementari. Il contributo dei nanotubi (MWNCT) all’aumento dell’inquinamento atmosferico e’ destinato, in assenza di immediate misure di controllo, ad aumentare notevolmente nei prossimi anni . L’esposizione di bambini a PM10 e PM2,5 e’ stata associata a un decremento della funzione polmonare e messa in relazione alla presenza di metalli quali Pb,Mn,Fe e Al .
Particolarmente preoccupanti sono gli effetti dannosi che l’esposizione in epoca prenatale a inquinanti atmosferici puo’ causare sull’organismo in via di sviluppo. Gli studi su questo argomento sono stati fatti su popolazioni diverse e diverse caratteristiche di esposizione. I risultati pero’ concordano nell’individuare una associazione fra esposizione a inquinanti e una riduzione del peso corporeo alla nascita, sia per un’esposizione durante l’ultimo trimestre che per l’intero periodi della gravidanza . L’ipotesi suffragata da dati sperimentali e’ che cio’ avvenga per l’effetto negativo sullo scambio feto-placentare di ossigeno e elementi nutritivi causato dalla reazione fra particolato ultrafine e gli IAP che gli sono adesi, e i ricettori per fattori di crescita placentari . E’ stato inoltre osservato un incremento di parti prematuri, quantificato come un aumento di rischio del 19% per esposizioni a una concentrazione intorno ai 24 microgr/m3. Va anche notato che l’esposizione a inquinanti di origine diversa, come quelli di origine industriale, le varie emissioni da combustione, il fumo di tabacco ambientale e inquinamento urbano puo’ risultare in un effetto moltiplicativo degli effetti dannosi attribuibili a ciascuno di essi presi singolarmente, come ad es. e’ stato osservato per il decremento del peso alla nascita .
Disturbi della crescita nel primo periodo della vita possono influenzare lo stato di salute durante l’infanzia con un conseguente aumento della morbilita’ e mortalita’ infantile, ma inducono anche un amneto del rischio di diabete, ipertensione e affezioni cardiache in eta;’ adulta, dimostrando cosi’ che l’esposizione a fattori di rischio in un’eta’ particolarmente vulnerabile abbia sia un effetto immediato, che un effetto dannoso persistente per il resto della vita o che si manifesta solo molto tardi, durante la vita adulta .
L’evidenza fornita con piena coerenza da numerosi studi nel dimostrare un aumento di mortalita’infantile legata all’inquinamento dell’aria e in particolare al PM 2,5 risulta sufficiente per concludere dell’esistenza di una relazione causale fra esposizione a particolato sospeso e aumento della mortalita’ post natale, aumento che appare gia’ dimostrabile a partire da livelli di PM piuttosto bassi, quali si possono incontrare non infrequentemente nei paesi industrializzati Una autorevole conferma di tale conclusione viene dai risultati di uno studio recente condotto in California sull’associazione fra un aumento di mortalita’ postneonatale e l’esposizione a PM 2,5 .
Un elemento di considerevole preoccupazione e’ l’osservazione che l’esposizione a particolato ultrafine puo’essere messa in relazione ad alterazioni cellulari dell’encefalo simili a quelle riscontrato nella malattia di Alzheimer. I dati ricavati da studi sperimentali e da reperti autoptici umani, oltre a confermare infatti che le PUF possono raggiungere l’encefalo,oltre che superando la barriera ematoencefalica, anche per via nasale risalendo i bulbi olfattivi, indicano che il particolato fine puo’ causare un’infiammazione cronica cerebrale che rende piu’ vulnerabili i gruppi di neuroni generalmente compiti nel morbo di Parkinson e un accumulo di un precursore neurotossico dell’amiloide caratteristica della malattia di Alzheimer . Sull’insieme di queste osservazioni e’ stata avanzata l’ipotesi che l’esposizione a inquinanti atmosferici possa accelerare la comparsa o aumentare la frequenza di lesioni neurodegenerative simili a, o che possono preludere alla malattia di Alzheimer.
Gli studi in corso sulle conseguenze a breve, medio e lungo termine dell’esposizione alla polvere originata dal crollo delle due torri del World Trade Center e dagli incendi che ne sono derivati, portano una ulteriore conferma del suo effetto dannoso sulla salute . Oltre a una riduzione della funzione respiratoria e a persistenti anormalita’ respiratorie,, e’ stato osservato u aumento della frequenza di sarcoidosi e di malattia polmonare granulomatosa (sarcoid-like granulomatous pulmonary disease) nel personale del dipartimento dei pompieri. La sarcoidosi e’ una malattia granulomatosa che colpisce prevalentemente i polmoni, I linfonodi e la pelle, ed e’ di eziologia non determinata anche se viene generalmente messa in relazione all’esposizione a diversi agenti occupazionali e ambientali. Nel contesto di questa relazione e’ di particolare interesse che lesioni granulomatose sarcoidosi-simili sono state osservate sperimentalmente dopo instillazione intracheale di particolato ultrafine..

E il CTU formulava le seguenti conclusioni:
“L’evidenza di un ruolo causale dell’inquinamento dell’aria nell’aumentare la mortalita’ generale e la frequenza di danni acuti, subacuti e cronici della salute e’ incontrovertibile, ed e’ tale da giustificare la messa in atto di misure che ne impediscano l’aumento e ne riducano drasticamente la concentrazione nell’aria.
I processi di combustione, fra i quali sono di particolare importanza quelli che coinvolgono combustibili fossili, costituiscono una delle maggiori fonti di inquinamento atmosferico.
Il particolato sospeso, in specie il particolato piu’ fine complessivamente indicato come PM 2,5 ne e’ una componente essenziale e ha un ruolo determinante nella induzione di effetti avversi sulla salute umana,
Le frazioni ultrafini hanno la capacita’ di penetrare e diffondersi all’interno dell’organismo, e possono esercitare un effetto nocivo di per se’ o veicolando sostanze ad alta tossicita’, come gli IAP e vari metalli.
Lo spettro di malattie, la cui frequenza risulta aumentata in relazione al grado di inquinamento atmosferico, va dalle malattie cardiocircolatorie alle affezioni respiratorie, ai tumori polmonari, e agli effetti dannosi a breve e lungo termine sugli organismi in via di sviluppo.
Un’analisi d’insieme degli studi suggerisce che la relazione fra la concentrazione di PM e effetti avversi sulla salute sia lineare e che non vi sia quindi un livello di soglia al disotto del quale si possa prevedere l’assenza di effetti nocivi.
Per quanto riguarda la relazione fra effetti nocivi e dimensioni del particolato, vari studi concordano sull’evidenza che il PM 2,5 sia piu’ nocivo del PM 10, e che la frazione ultrafine, che include le nanoparticelle, quelle cioe’ di dimensioni inferiori a 100nm, possa indurre una serie di eventi avversi a livello polmonare e cardiocircolatorio e, verosimilmente, anche a livello di sistemi e organi diversi, incluso il sistema nervoso centrale. Questi studi pero’ non forniscono elementi risolutivi per valutare quali e in quale misura gli effetti dannosi siano attribuibili specificatamente alle particelle ultrafini e alle nanoparticelle.
Va notato che la pericolosita’ e non compatibilita’ di gran parte delle nanoparticelle sono legate ancor prima che alla loro composizione alle loro dimensioni. In genere le particelle ultrafini sono infatti piu’ tossiche delle particelle equivalenti di dimensioni maggiori e hanno la capacita’ di attraversare qualsiasi barriera biologica.
Sulla base dei dati disponibili fino ad oggi risulta essere biologicamente plausibile che gli effetti dannosi indotti a livello cellulare dalle NP possano avere un effetto aggravante su patologie preesistenti e sulla tossicita’ indotta da altri agenti nocivi ambientali e quindi agire da concause di una serie di patologie, o che possano contribuire di per se’ a creare una situazione favorevole alla comparsa di patologie cronico-degenerative, o possano esserne di per se’ all’origine.
In questo contesto il fatto che nanoparticelle simili a quelle trovate sia nei combustibili usati dalla centrale di Polesine-Camerini, sia nei licheni presenti nella zona di residenza, siano state individuate a livello intracellulare e anche intranucleare in vari organi di pazienti affetti da patologie varie, riveste un notevole interesse e si propone come base per ulteriori ricerche sui meccanismi d’azione onde chiarire la possibile relazione causa-effetto circa la loro presenza e la malattia”.
Il pubblico ministero affidava anche al Prof. Tomatis e al Prof. Rodriguez consulenza tecnica ex art.360 cpp in merito alle specifiche patologie presentate dalle persone offese; in particolare ai CTU erano dati i seguenti quesiti:
-esaminati gli atti del procedimento, considerate le indagini sinora compiute,assunte, se necessario, informazioni da terzi,
-acquisita, se necessario, ulteriore documentazione medica presso Uffici Pubblici e siti privati relativa alle persone di cui all’elenco allegato che hanno subito patologie,
-acquisiti, se necessario, ulteriori reperti biologici esistenti presso strutture pubbliche o private relativi alle persone di cui all’elenco allegato che hanno avuto patologie( persone malate ancora in vita nonché persone decedute i cui familiari e/o eredi sono persone offese),
-visitate le persone offese malate ancora in vita e valutata la relativa documentazione medica in atti e/o da acquisire ulteriormente,
-valutata la documentazione medica in atti e/o da acquisire ulteriormente relativa alle persone decedute,
-valutati gli esiti delle analisi sui reperti biologici già in atti effettuate dalla Dott.ssa Gatti con la CTU dep. il 15/12/2005, nonché valutati gli esiti delle analisi ripetibili che saranno effettuate dalla Dott.ssa Gatti col metodo del microscopio a scansione elettronica non appena ulteriori reperti biologici saranno disponibili,
-prelevati, se necessario, ulteriori campioni di materiale biologico delle persone offese ancora in vita disponibili a rilasciare reperti biologici utili alla risposta ai quesiti, nonché qualora necessario ed utile ai fini della ricerca, oltrechè tecnicamente possibile, prelevati ulteriori campioni di materiale biologico degli organi/tessuti malati delle persone decedute, i cui familiari persone offese che hanno presentato denuncia o querela nel presente procedimento siano disponibili a far effettuare tale tale operazione sulla salma da riesumare, ovvero così sia disposto dalla Procura a seguito delle necessità rappresentate dai CTU,
-considerata la problematica oggetto dell’incarico dato ex art.359 cpp al CTU Prof. Tomatis riguardante il quesito relativo al ruolo delle particelle ultrafini (di dimensioni submicroniche) e nanoparticelle e in che misura le stesse: a) siano capaci di penetrare nell\'organismo umano e attraverso la corrente sanguigna distribuirsi in organi diversi; b) possano causare, o contribuire all\'induzione di, effetti tossici acuti o subacuti, e/o avere un ruolo diretto o indiretto sull\'insorgenza, o nell\'aumentare il rischio, di lesioni cronico-degenerative, nonché relativo al tipo di particelle trovato dalla Dott.ssa Gatti nelle relative CTU:
1. di che patologia soffrano le persone offese malate ancora in vita di cui all’elenco allegato e di che patologia hanno sofferto e sono morte le persone decedute di cui all’elenco allegato i cui familiari e/o eredi sono persone offese nell’odierno procedimento,
2. per ogni patologia individuata specifichino le cause scientificamente note individuando quella che nel caso sia stata prevalente nel determinare la patologia ovvero comunque nel sia stata concausa
3. specifichino eventuali correlazioni tra il tipo di malattia, lo stato psicofisico del soggetto, l’organo o tessuto colpito, e la presenza di particelle ultrafini (di dimensioni submicroniche) e nanoparticelle eventualmente rinvenute nei tessuti biologici,
4. dicano altresì i CTU ogni altra cosa utile alle indagine.
In data 20/9/2007 veniva depositata la consulenza dei Prof. Tomatis e Rodriguez, firmata dal solo Prof. Rodriguez in quanto il Prof. Tomatis decedeva poco prima del deposito della relazione tecnica, pur avendo partecipato e condiviso le conclusioni così come affermato dal Porf. Rodriguez.
Detta consulenza definiva le patologie delle persone offese esaminate, ne individuava - sulla base della letteratura scientifica - le cause eziologiche possibili e concludeva sostanzialmente per l’assenza di certezza di correlazione tra tali patologie e l’eventuale presenza nei tessuti di nanoparticelle, ivi compresi i casi i cui reperti biologici erano stati esaminati dalla CTU Prof. Gatti con il rinvenimento, secondo detta CTU, di nanoparticelle.
Nella CTU si precisava inoltre nelle conclusioni che l’affermazione secondo cui <è biologicamente plausibile che gli effetti dannosi indotti a livello cellulare dalle nanoparticelle possano avere un effetto aggravante su patologie preesistenti e sulla tossicità indotta da altri agenti nocivi ambientali e quindi agire da concause di una serie di patologie o che possano contribuire di per sé a creare una situazione favorevole alla comparsa di patologie cronico-degenerative o possano esserne di per sé all’origine> aveva natura meramente ipotetica, basata su una generica plausibilità biologica(da intendere come generica possibilità): “non corrispondono quindi a fatti certi o anche solo probabili e non hanno quindi in concreto rilievo per quanto attiene la presente indagine, pur rappresentando possibile punto di partenza per impostare eventuali ulteriori indagini in ambito di ricerca scientifica”.
In data 26/9/07 il pubblico ministero sentiva a chiarimenti il Prof. Daniele Rodriguez sulla CTU depositata il 20/9/2007, in particolare in relazione alla scheda riepilogativa contenente l’elenco delle patologie riportate dalle persone offese, divise per apparato, con indicazione per ogni patologia delle cause eziologiche riportate in letteratura; particolare attenzione era riservata alle patologie che ricomprendevano tra le cause eziologiche l’inquinamento atmosferico, l’anidride solforosa o l’esposizione a polveri sottili.
Tra tali patologie appariva di maggior interesse, con riguardo alle possibili cause eziologiche, la broncopneumopatia cronico-ostruttiva, da cui erano risultati affetti le persone offese G. D. e S. F., nonché la sarcoidosi, da cui è risultata affetta la persona offesa M. E..
La questione del nesso causale era trattata anche in relazione alle possibili concause, valutando quindi se l’inquinamento atmosferico, l’esposizione a polveri sottili e all’anidride solforosa potessero, quali concause, agevolare l’insorgere di determinate patologie la cui causa eziologia era un’altra ovvero agevolarne l’eventuale esito infausto.
Il Prof.Rodriguez chiariva che, in caso di più cause eziologiche conosciute, è possibile che lo scatenarsi della malattia dipenda da un concorso di dette cause; precisava altresì che la possibilità di resistenza all’insorgenza di altre malattie diminuisce in caso di persona già ammalata; così nel caso di persona affetta da broncopneumopatia cronico-ostruttiva il Prof. Rodriguez ammetteva che fosse più facile l’insorgenza di patologie tumorali in quanto la malattia diminuiva le capacità di reazione, peraltro, il CTU dava ulteriori utili specificazioni, che si ritiene necessario riportare per esteso:
RISPOSTA CTU– Sì. Però se lei mi chiede di dimostrarglielo... questa sua affermazione in linea teorica è ineccepibile. Se lei mi chiede di provarlo, con una prova controfattuale, con una patologia importante come il carcinoma, mi è oggettivamente molto difficile.
DOMANDA PM– E con la famosa prova controfattuale tenendo conto del ragionamento che occorre fare con la giurisprudenza, mi faccia un caso che lei magari nella sua esperienza di medico legale ritiene di poter facilmente dimostrarlo o che ha già dimostrato nel suo escursus professionale, anche al di fuori delle neoplasie, per capire il tipo di ragionamento. Perché altrimenti con questi ragionamenti, come si fa a stabilire che il decesso di un soggetto è collegato a un determinato evento?
RISPOSTA CTU– Con il ragionamento controfattuale che è in auge ultimamente le possibilità di dimostrazione sono ridotte nall’osso, non so come spiegarmi.
.......
DOMANDA PM- Proprio perché ho questa necessità di tradurre in una valutazione mia giuridica tutte queste informazioni, ho ben presente questo ragionamento e è vero che si riesce più facilmente a farlo in caso di omissione ad esempio di un comportamento di una colpa ovviamente in relazione a un’omissione di qualcosa, qui siamo in un altro ambito, siamo in un ambito di valutare eventuali cause o eventuali concause, che possono avere o originato o agevolato un evento, anche se sopravvenuto, il famoso nesso causale. E quindi diciamo questa cosa del ragionamento controfattuale va tenuta presente, però non è il caso tipico di un’omissione per fare, sarebbe ugualmente successo se invece io non l’avessi fatto, cioè è un ragionamento importante da tenere importante ma che non si può calare matematicamente in questo settore, perché non siamo nel settore delle omissioni. Io devo guardare la questione delle concause e con la questione delle concause le chiedo: si può dire, con una ragionevole probabilità, un ragionamento scientifico che sia corretto, che se un soggetto, qui manca l’altro collegamento ovviamente con l’inquinamento, ma che se un soggetto ha una neoplasia polmonare, che gli insorga e non riesco a dimostrare per che causa ma se che gli può insorgere per queste tre cause, però contemporaneamente ha anche una malattia che è una delle possibili insorgenze di questo cancro, si può dire che abbia funzionato da concausa, nel senso che la presenza di questo ha abbassato che ne so le difese immunitarie o quanto meno in ogni caso non ha agevolato la guarigione o non ha agevolato il percorso di stabilità di un certo cancro che quindi si è evoluto molto più in fretta? Mi pare che si possa dire, io che non sono medico, dico che mi parrebbe logico dire che se ho anche la bpco...
RISPOSTA CTU– Dottoressa, le ho già detto sì, il suo ragionamento è ineccepibile. Io le ho detto che la difficoltà concreta in questi casi è quando poi mi chiedono: dimostrami nel singolo caso, che so di quanto è anticipato il decesso o qual è il preciso fattore che ha fatto sì che la situazione si scompensasse, io so che a queste domande non so rispondere.
………
DOMANDA PM– Certo. E poi, visto che riportate la scheda delle cause note collegate in letteratura per insorgenza di patologie tumorali, gli studi riportati in letteratura che dimostrano rapporti di causa /effetto, rimaniamo a causa /effetto e non a concause, tra l’esposizione al particolato e l’insorgenza di patologie tumorali, per quanto ne sappia lei sono quelli che riporta solo nel caso M., o ce ne sono altri?
RISPOSTA CTU– Per quello che è a mia conoscenza, solo il caso M.. Quello che ho trovato in letteratura...
DOMANDA PM– Cioè, per la sarcoidosi?
RISPOSTA CTU– Per la sarcoidosi. Perché li la ricerca in letteratura, la prima che si è fatta, l’abbiamo fatta prima. Quando abbiamo visto che avevamo questa causa di sarcoidosi, abbiamo detto insomma è l’unico caso sul quale dobbiamo lavorare a fondo, per cercare di capire. Però, come ha visto anche lei, ci sono intuizioni scientifiche, ma studi causa controllo non ne sono stati fatti.
DOMANDA PM– E per quanto riguarda le concause?
RISPOSTA CTU– Il discorso è esattamente lo stesso, perché se non riusciamo a ricostruire un percorso patogenetico non sappiamo come mettere le concause. Noi dobbiamo avere una linea logica che ci consenta di dire “non basta trovare particelle, dobbiamo riuscire a capire come funzionano biologicamente. Finché troviamo sostanze, dobbiamo risolvere il problema: sono inerti o hanno una attività biologica.
..........
DOMANDA PM– Andando a vedere poi la parte dedicata specificatamente a questa signora, ho visto che questa signora tra le altre cose non ha fumato mai dice, non ha fumatori in casa, ed è oltretutto agricoltore. Sembrerebbe il caso classico, dove non ha interferenze con una vita in fabbrica, con fumo etc..
RISPOSTA CTU– Sì, era il caso classico, l’abbiamo affrontato con passione noi perché sembrava il caso risolutivo. Le voglio solo dire che ci sono stati dei periodi storici in cui per la sarcoidosi potessero essere le lacche per i capelli. Voglio dire che i fattori che sono stati presi sono i più svariati. Non necessariamente collegati...
DOMANDA PM– All’inquinamento.
RISPOSTA CTU– Sì, ambientali.
DOMANDA PM– Dopodiché ho letto il fatto che tredici anni prima ha fatto anche una broncopolmonite, che è un episodio che le chiedo se può essere in collegamento?
RISPOSTA CTU– Cioè, in collegamento causa /effetto, direi tranquillamente di no. Pure essendo la eziologia sconosciuta, tenderei a dire di no. Anzi dico non potrei assolutamente dimostrarlo.
DOMANDA PM– Mi può dire un attimo cos’è la sarcoidosi, in termini semplici? È una neoplasia?
RISPOSTA CTU– No. È una malattia che in qualche modo può assomigliare alla tubercolosi, cioè si formano delle formazioni granulomatose prevalentemente al interno del polmone, perché è caratteristica del polmone, ma può interessare anche altri organi. Non sono forme neoplastiche ma i granulomi sono in genere delle formazioni reattive alla presenza di corpi estranei, però qui reattiva a che cosa, siamo punto e a capo e non sappiamo come dirlo.
DOMANDA PM– Vedo che si accorge nel 2003, solo all’età di settant’anni, che ha questa presenza di opacità polmonari multiple.
RISPOSTA CTU– Sì.
DOMANDA PM– Le fanno la diagnosi e comunque è ancora viva, fortunatamente per lei; poi mi riportate queste fonti in letteratura, che io ho letto; poi riportate un’altra fonte, a pagina 104, sarcoidosi e nano particelle.
RISPOSTA CTU– La logica era questa: prima diciamo sostanzialmente a pagina 98 le caratteristiche di carattere generale sono instaurate nel box1. Direi che il box1 rappresenta un approfondimento per quello che correntemente è condiviso sulla sarcoidosi. Su questo box1 credo che non ci siano contestazioni di nessun tipo. L’altro...
DOMANDA PM– Fermiamoci qui, perché devo capire. Allora, sempre stando ai ragionamenti che abbiamo fatto, se la sarcoidosi si dice qua evoluzione sistemica etc., è tuttora sconosciuta. È ignota il ruolo di vari fattori eziologici considerati nel passato non è stato confermato. Poi dice comunque l’opinione prevalente è che la sarcoidosi abbia più di una causa, ciascuna delle quali può promuovere un differente quadro della malattia.
RISPOSTA CTU– La interrompo solo per dire l’opinione vuole dire il pensiero, cioè una volta fatte tutte le ricerche, siccome fino a un certo punto non si è ricavato niente, il pensiero di chi ha studiato, siccome le ricerche sono inconcludenti, problemi le cause possono essere multiple e non soltanto una.
DOMANDA PM– Sì. Quando dice “gli studi immunologici hanno chiarito che le lesioni sono indipendenti da una antigene che l’organismo ha difficoltà a eliminare piuttosto che dalla lesione lesiva”. Questo antigene può essere una nano particella?
RISPOSTA CTU– In linea teorica sì, visto che poi box2 è un’ipotesi di lavoro. Praticamente si forma questo granuloma, grossomodo come può insorgere quando si introduce qualche sostanza in sottocute, si formano dei granulomi di reazione a questi corpi estranei, solo che non si sa cosa sono questi corpi estranei. Può essere più di un corpo estraneo.
.....
DOMANDA PM-Quando mi dice a sostegno del ruolo causale delle nano particelle, 105, vi sono solo degli studi epidemiologici, quindi sono stati fatti?
RISPOSTA CTU– Studi in cui hanno visto che è una epidemiologia semplice, non so come dire, hanno visto che un certo numero di Vigili del Fuoco che hanno lavorato alle Torri Gemelle hanno riportato la sarcoidosi. E questo è un dato concreto in base al quale il ricercatore dice: questo è un filone di ricerca, perché è un dato che devo confermare scientificamente. Perché in dati statistici 26 Vigili del Fuoco
DOMANDA PM– Sono pochi. Quanto è un numero adeguato per fare uno studio?
RISPOSTA CTU– Deve essere un numero basso coorti adeguate. Questo è un valore da epidemiologo.
......
RISPOSTA CTU– Qui si dice che c’è un dato, un’epidemiologia che su, non so il numero totale, mille Vigili del Fuoco che sono intervenuti lì, 26 hanno contratto la patologia. Questo cosa significa? Attenzione, in questo studio c’è poi un altro fattore: la sarcoidosi non è semplice da diagnosticare, in questi casi non sembrava fosse una sarcoidosi tipica ma una similsarcoidosi. Questo è un problema che risolviamo. C’è la sarcoidosi, c’è un gruppo di persone che ha contratto la sarcoidosi, dobbiamo riuscire a confrontare questo tipo di persone che sono un dato epidemiologico rispetto alla coorte disponibile. Lo studio però deve andare a valutare una popolazione più larga. Non è detto a seconda dei casi che ci siano dei numeri predeterminati.
DOMANDA PM– Leggiamo le conclusioni a cui siete arrivati, così vedo se ci sono delle cose da chiarire, pagina 103. Per quanto di rilievo ai fini della consulenza si ricorda che gli studi scientifici non forniscono elementi quali e in quale misura gli effetti dannosi siano specificatamente attribuibili alle particelle ultrafini e alle nano particelle. B) è biologicamente plausibile che gli effetti dannosi indotti a livello cellulare dalle nano particelle possano avere un effetto aggravante su patologie preesistenti e sulla tossicità indotta da altri agenti nocivi e ambientali e quindi agire da concause di una serie di patologie o che possano contribuire di per sé a creare una situazione favorevole alla comparsa di patologie cronico degenerative o possano esserne di per sé all’origine”. Questo passaggio, poi il professore conclude dicendo che il fatto che ci siano le nano particelle simili nei tessuti a quelle trovate nella centrale è un punto di partenza di una ricerca per una possibile relazione causa /effetto. A me interessa innanzitutto il passaggio famoso, questo delle concause. Se è molto più difficile parlare di una causa /effetto, la questione delle concause io la devo comunque valutare, perché il codice nel nesso di causalità mi pone anche questo elemento, mi pone proprio l’elemento specifico del fatto di cause che abbiano contribuito anche se sopravvenute. Conosce l’articolo 42?
RISPOSTA CTU– È chiarissimo il problema.
DOMANDA PM– Io ho letto bene la consulenza del professor Tomatis, tra l’altro riportava degli studi di esperimenti etc., su animali e quant’altro; e poi mette come una biologica plausibilità di una concausa. Lei adesso, nel momento in cui abbiamo trattato l’inizio, mi ha fatto un genere di ragionamento dicendo: sì, è biologicamente compatibile, così può essere una concausa...
RISPOSTA CTU– Non ho detto sì può essere una concausa.
DOMANDA PM– ho fatto l’esempio del caso mentalmente pensavo al caso che abbiamo trattato al inizio.
RISPOSTA CTU– Sì, della bpco
DOMANDA PM– Lì ha detto che si è analizzato?
RISPOSTA CTU– I ragionamenti sono due. Nel caso della bpco ho detto che ho una insufficienza respiratoria che mi porta alla morte, a questa insufficienze mi contribuisce a) il carcinoma e b) la bpco; evidentemente in questo caso la concausa può sussistere se ho elementi sufficienti per dimostrarla perché ho una letteratura patogenetica scientificamente nota per dire dove si inserisce il carcinoma e dove si inserisce la bpco. Qui noi abbiamo una linea scientifica che è ignota
DOMANDA PM– Qui dice per le nano particelle?
RISPOSTA CTU– Sì, adesso parliamo di questo caso. In questo caso ciò che regge tutto è la plausibilità biologica, cioè è plausibile che possa esistere però non è dimostrato e non c’è; ed è plausibile che se non agisce da causa unica possa agire anche da concausa. È sempre una linea di pensiero che dice: possiamo impostare la ricerca statistica sulla base di questi presupposti.
DOMANDA PM– Certo. In questo senso poi dice le puntualizzazioni a e b, poi dice: considerato anche il richiamo ai quesiti e ai risultati del professor Tomatis, si risponde in questi termini. Nelle schede analitiche del paragrafo 4. 2 sono indicate le patologie; nelle tabelle del paragrafo 5 per ogni patologia sono indicate le cause scientificamente conosciute. L’unico caso meritevole è Marchesini Erminia”, nell’ottica delle particelle ultrafini e nano particelle?
RISPOSTA CTU – Sì.
......
DOMANDA PM– Le faccio la domanda di chiusura: al di là dei casi dove andando a leggere meglio si mette come una causa nota e conosciuta in letteratura, come una possibile causa effetto, le chiedo questo come medico legale, non è adesso il caso specifico, faccio sempre un ragionamento in astratto per capire se ha una dignità di validità giuridica, compatibilmente con le sue conoscenze mediche, se vivo in un ambiente inquinato da inquinamento da combustibile fossile, supponiamo di un pesante inquinamento, come potrebbe essere anche un inquinamento da traffico supponiamo, il fatto di avere, io ho letto, lo diceva lo stesso professor Tomatis, lo diceva Bai, ci sono delle relazioni anche in atti che parlano del fatto che aumentano le patologie respiratorie, aumentano le patologie anche allergiche, che sono stati fatti studi per cui con punte di inquinamento aumentano i decessi, questa è una cosa che viene considerata assodata nella letteratura scientifica?
RISPOSTA CTU– Sì.
DOMANDA PM– Quindi in relazione a patologie respiratorie. Nell’ambito di questo ragionamento si può considerare l’inquinamento, a prescindere dal dimostrare che tipo di inquinamento, come una causa di queste patologie respiratorie in generale o allergiche in generale?
RISPOSTA CTU– Se lei mi chiede un dato concreto di riuscire a dimostrare nei singoli casi, le dico dal punto di vista teorico generale sussiste la possibilità.
DOMANDA PM– Calando ulteriormente, se avessi un soggetto che ha una qualsiasi malattia tumorale e devo riferirmi a uno di questi, ne prendo uno a caso, che abbia anche una patologia, riprendiamo il soggetto che ha il cancro ai polmoni o la bpco, ma potrebbe anche essere un altro caso, e vivo in un ambiente inquinato, dove mi possano insorgere delle patologie, questa si può considerare una situazione di concausa nella malattia che ha portato al decesso?
RISPOSTA CTU– Il problema in questi casi è di riuscire in genere a ricostruire esattamente tutti i fattori che hanno contribuito all’insorgenza della malattia. Individuarli, qualificarli bene, quantificarli, determinarne l’esposizione nel tempo; disponendo di tutti questi parametri, ci si può avvicinare, passare dal dato teorico di mera compatibilità a un dato concreto in cui si dice: ci sono alcuni criteri di carattere cronologico, quantitativo, qualitativo, che ci consentono di dire che non è una mera correlazione teorica di compatibilità ma in concreto ho degli elementi probatori.

Tenuto conto degli esiti del biomonitoraggio lichenico e dei depobulk (CTU Dott. Scarselli e Dott.ssa Magnani) nell’ambito del procedimento n.3577/01 NR RG, giudicati incontrovertibili, attendibili e scientificamente corretti nella sentenza di condanna n.192/2006 del 31/3/2006, era affidata consulenza tecnica ex art.359 cpp al CTU Dott. Stefano Scarselli al fine di raccordare i dati scientifici ottenuti nel corso dell’indagine inserendoli in un quadro ambientale completo che tenesse conto di tutte le risultanze certe emerse e scientificamente indiscutibili..
Al CTU erano rivolti i seguenti quesiti:
1. Se le emissioni della CTE potessero aver interferito in modo significativo sulla presenza (background) di polveri fini e nanopolveri nell’area del Delta Po.
2. Se tali alterazioni avessero interessato indifferentemente l’intero territorio in oggetto o, come invece già dimostrato per altri inquinanti emessi dalla CTE (SO2, NOx, alcuni elementi in tracce quali nichel e vanadio), potessero avere riguardato particolarmente alcune zone circoscritte di “massima ricaduta”, precisando in tal caso, laddove possibile, estensione e localizzazione geografica.
3. Se e in che misura, in base ai dati ambientali di cui sopra e alla luce delle più recenti acquisizioni scientifiche nel campo dello studio e interpretazione della genesi, natura e caratteristiche chimico-fisiche dell’inquinamento da polveri fini e ultrafini, era effettivamente possibile attribuire, con ragionevole certezza, alle immissioni della CTE le particelle submicrometriche e nanoparticelle riscontrate nei reperti ambientali e nei reperti biologici analizzati nella CTU della Dott.ssa Gatti dep. il 15/12/2005.
Nella relazione tecnica depositata il 29/9/2007 erano spiegati passaggi importanti – che si riportano in sintesi per le parti che interessano ai fini della comprensione della presente richiesta di archiviazione parziale - per comprendere la natura del particolato atmosferico in relazione alle problematiche poste dalla presenza della Centrale Enel nel territorio del Delta del Po, nonché i limiti della ricerca di particelle significative, ai fini di quest’indagine, utilizzando la tecnica del microscopio a scansione:
-il materiale particellare atmosferico (Particulate Matter, PM) è attualmente considerato come l’inquinante col maggiore impatto sia sulla salute umana che sull’ambiente; in ogni centimetro cubo d’aria in ambiente esterno è sospeso un aerosol contenente da migliaia fino a milioni di particelle solide (polvere, fuliggine) e liquide (nebbia, caligine), con dimensioni lineari variabili tra meno di 0,01 m e alcuni centesimi di millimetro; le particelle sono in grado di assorbire all\'interno della loro massa altre sostanze presenti in atmosfera o di adsorbirle sulla loro superficie e possono inoltre coagulare, aumentando le loro dimensioni iniziali;
-jl materiale particellare viene prodotto da una grande varietà di fonti e di processi, di origine naturale o antropica, che vanno dalla semplice disgregazione di materiale crostale fino a complessi meccanismi fotochimici in troposfera.
-il particolato è costituito da una complessa miscela di sostanze, organiche ed inorganiche, allo stato solido e/o liquido che, a causa delle loro piccole dimensioni, restano sospese in atmosfera per tempi più o meno lunghi.La maggior parte delle sostanze con potenziale tossicità trasportate dall’aerosol tendono ad accumularsi nella frazione fine ed ultrafine. Le sostanze cui è associato un rischio tossicologico negli aerosol (ad es. i metalli , i non-metalli ed alcune sostanze organiche come gli idrocarburi policiclici aromatici – I.P.A.) sono componenti minoritarie nello stesso particolato, costituito da sostanze più abbondanti che in buona parte, anche se non esclusivamente, fanno da vettori alle prime;
-importante è determinare la densità numerica delle particelle (n° di particelle per unità di volume) ossia evidenziarle con adeguati sensori e contarle, rapportandole al volume di aria che le contiene. Discriminare le particelle in funzione delle dimensioni, fornisce un’informazione di fondamentale importanza: infatti le particelle atmosferiche sono presenti in atmosfera in funzione dell’inverso della loro massa, ossia poche particelle grossolane con una massa significativa contro particelle ultrafini che contribuiscono per l’1-2 % in massa ma oltre l’80 % in numero. Gli studi epidemiologici rivelano come la tossicità del particolato risulti molto meglio correlata a questo parametro (densità numerica) che alla massa (ossia i “µg/m3“ di PM10, PM2,5 ecc.);
-l’aerosol è una componente atmosferica ubiquitaria presente anche ai tropici, nelle regioni polari ed in mezzo agli oceani o in cima al plateau tibetano e in ogni luogo del pianeta è presente sotto forma di miscele complesse che includono sia contributi naturali che antropici in proporzioni variabili;
-con le definizioni di aerosol “primario” e “secondario” si distinguono rispettivamente particelle di natura primaria prodotte e direttamente emesse in atmosfera e particelle secondarie che si formano a seguito dell’emissione in atmosfera di sostanze gassose (queste sì primarie) le quali subiscono trasformazioni sia fisiche che chimiche e produzione di particolato con caratteristiche diverse dai gas precursori (il concetto di secondario ha solo connotazioni temporali-le particelle si formano a distanza e dopo l’emissione del gas- e non di priorità).
Una delle principali sorgenti naturali di aerosol primario è la risospensione di polveri da suolo a seguito di processi di erosione causati da vento e agenti atmosferici; gli elementi maggiori presenti sia nei suoli, sia nel materiale crostale, sono Si, Al e Fe, con un minor contributo di elementi solubili quali Ca2+, Mg2+, Na+ e K+, presenti sottoforma di vari minerali; la materia organica costituisce, in media, solo una piccola percentuale dei suoli.
Un’altra fonte naturale significativa di aerosol primario sono i mari e gli oceani (spray marino). Sebbene confinata ai corpi d’acqua salata, è importante discutere questa sorgente perché l’aerosol marino può esercitare una forte influenza sulla composizione del particolato in aree costiere. Lo spray marino è caratterizzato da una composizione salina identica a quella dell’acqua di mare, principalmente costituita da cloruro di sodio (NaCl) e da solfati (Na2SO4, MgSO4 e K2SO4).
Un’ulteriore sorgente naturale è quella rappresentata dalle emissioni vulcaniche che sono costituite da particelle minerali primarie, ma anche da ingenti quantità di gas precursori di PM secondario quali l’anidride solforica (SO3).
Il PM di origine naturale comprende anche una frazione biogenica. Queste particelle sono costituite, in genere, da detriti vegetali e, in minore misura, animali, pollini, spore e microrganismi (ad esempio virus, batteri, funghi e alghe). I virus e i batteri hanno dimensioni < 2 μm, mentre i detriti vegetali, pollini e spore popolano generalmente la frazione grossolana.
Le sorgenti naturali sono fonti non solo di aerosol primario, ma anche di precursori gassosi di aerosol secondario quali l’SO2 emessa dai vulcani, ma soprattutto il dimetilsolfuro (CH3)2S), di origine biogenica marina che, una volta diffuso dalla superficie marina in atmosfera, si ossida a SO2. L’SO2 subisce quindi un ulteriore processo di ossidazione via radicale OH•, che porta alla formazione di H2SO4. Questa componente acida viene neutralizzata, non necessariamente in rapporto stechiometrico, da parte dell’ammoniaca gassosa emessa ugualmente attraverso il ciclo naturale dell’azoto. Questa reazione acido-base porta alla formazione di (NH4)2SO4, un sale che rappresenta uno dei più abbondanti componenti chimici del PM atmosferico secondario.
Nell’aerosol secondario naturale è presente anche una piccola componente di nitrati provenienti dagli NOx prodotti all’interno del ciclo dell’azoto e dai fulmini.
La loro presenza, assieme a quella di NaCl, nell’aerosol naturale, è di fondamentale importanza, dato che è solo grazie all’igroscopicità di queste sostanze sotto forma di cristalli ultrafini che si verifica la condensazione del vapor acqueo (nubi e precipitazioni idrometeoriche).
Il PM naturale secondario presenta, inoltre, una frazione carboniosa costituita sia da C elementare prodotto dalla combustione , solo in piccola parte naturale, delle foreste, sia da sostanze organiche emesse dalla vegetazione. La biosfera vegetale rilascia nell’atmosfera numerose molecole organiche insature quali l’isoprene ed i terpeni (detti genericamente bioVOC’s), la cui ossidazione dà origine a composti organici più polari, caratterizzati da una minore pressione di vapore e con una maggiore probabilità di subire i processi di nucleazione che portano alla formazione di aerosol secondario.
Le principali sorgenti antropiche di aerosol atmosferico sono per lo più localizzate nelle aree urbane ed industriali. In generale, si può affermare che le sorgenti antropiche contribuiscano soprattutto alla frazione secondaria.
Infatti il PM secondario è associato alle ingenti quantità di precursori gassosi emessi a seguito dell’esteso utilizzo dei processi di combustione sia da sorgenti stazionarie (produzione di energia elettrica, industria, inceneritori, riscaldamento), sia da sorgenti mobili (traffico autoveicolare leggero e pesante, aereo e navale).
In ambiente urbano, il PM primario è tipicamente grossolano, costituito da particelle minerali e bituminose prodotte dall’erosione del pavimento stradale dal traffico cittadino e dall’usura delle parti meccaniche degli autoveicoli (motore, freni, pneumatici). Inoltre, i gas esausti dei veicoli contengono particelle carboniose (soprattutto Carbonio elementare), di origine primaria, tipicamente di dimensioni submicroniche.
Le attività industriali, quali la manifattura di cementi, l’industria mineraria, la manifattura dei materiali ceramici e da costruzione sono tipiche sorgenti di particelle primarie, spesso caratterizzate da dimensioni grossolane, anche se accompagnate dall’emissione di precursori gassosi, come ad esempio nel caso del settore ceramico, in grado quindi di produrre anche PM secondario. La stessa cantieristica associata all’edilizia e alla costruzione di infrastrutture richiede il monitoraggio ambientale per l’emissione in atmosfera di ingenti quantità di polveri a seguito delle operazioni di scavo.
Il PM antropico secondario è principalmente costituito da solfati, nitrati di ammonio e carbonio organico.
L’SO2 (precursore gassoso dei solfati) è emesso a seguito di processi di combustione del carbone, gasolio e olio combustibile, combustibili da cui le impurità di zolfo vengono eliminate solo parzialmente prima della commercializzazione e dell’uso.
Analogamente a quanto visto per la componente secondaria naturale, l’ossidazione dell’SO2 in atmosfera porta alla formazione dell’acido solforico (H2SO4), che può venire neutralizzato dall’ammoniaca (NH3) o, a volte, dal carbonato di calcio (CaCO3) dando luogo a particelle saline di dimensione submicronica.
In passato l’estensivo ricorso al carbone come combustibile provocò fenomeni gravissimi di inquinamento atmosferico, associati per lo più al fenomeno delle piogge acide. Gli attuali livelli di SO2, molto inferiori rispetto al passato, sono dovuti alla combustione di gasolio ed oli combustibili, che contengono minori concentrazioni di zolfo, e soprattutto al phasing-out del carbone in Europa.
Altri precursori gassosi di particolato secondario sono gli ossidi di azoto (NOx), che si formano alle alte temperature sviluppate dai processi di combustione. Sono, quindi, principalmente emessi dal traffico veicolare urbano e da processi industriali ad alta temperatura, condizione che favorisce la combinazione tra N2 ed O2 atmosferici.
Gli NOx vengono ossidati in atmosfera, via radicale OH•, a HNO3 e, in modo analogo a quanto visto per l’H2SO4, a seguito della reazione di neutralizzazione con NH3, formano goccioline di vapori condensati e/o cristalli di sali (nuclei di condensazione).
Come nel caso delle sorgenti naturali, esistono anche dei precursori organici di PM secondario antropico.
Le sorgenti sono costituite dalle cosiddette fugitive emissions, ossia le frazioni di idrocarburi volatili emesse dagli autoveicoli per evaporazione, ed i solventi organici impiegati estesamente sia nell’industria che nella vita di tutti giorni.
Queste sostanze rivestono ovviamente una grande importanza nei centri urbani ed industriali. Su scala globale, le sorgenti più importanti di VOC (composti organici volatili) antropici sono associate o alle grandi aree coltivate (condizione pseudo-naturale), ossia alle emissioni vegetali in tali aree, oppure alla combustione delle foreste, attività associata alle variazioni su larga scala di utilizzo del territorio a favore delle aree agricole.
Ugualmente ai bioVOC, anche queste sostanze possono essere ossidate in atmosfera e trasformate in specie più polari e condensabili.
La formazione di materiale particellare secondario attraverso reazioni chimiche può avvenire per mezzo di diversi meccanismi.
Questi includono: reazioni di specie gassose per formare prodotti a bassa tensione di vapore (seguite da processi di nucleazione, condensazione e/o coagulazione) e reazioni di specie gassose sulla superficie di particelle preesistenti, per formare prodotti in fase condensata. Infine si possono verificare reazioni chimiche con la mediazione di particelle di nebbia, nuvole o aerosol in fase acquosa.
Dopo la fase di produzione/emissione, le particelle subiscono processi di ridistribuzione e trasporto attraverso l’atmosfera cui segue, infine, la rimozione, sia per via secca che per via umida.
Le particelle sospese saranno, perciò, caratterizzate da un certo tempo di residenza in atmosfera, che è innanzitutto inversamente proporzionale alle loro dimensioni. Infatti, come precedentemente descritto, le particelle di dimensioni maggiori vengono facilmente rimosse dall’atmosfera in prossimità delle sorgenti emissive attraverso la deposizione gravitazionale (sedimentazione), mentre le particelle fini possono essere trasportate su lunghe distanze non solo su scala regionale e continentale, ma anche su scala planetaria. Il tempo di residenza per questa frazione è variabile con la quota (circa 3-8 giorni nella bassa troposfera, circa 20 giorni nell’alta troposfera e 1 anno nella stratosfera) e con il regime precipitativo locale (idrometeore). La principale conseguenza della maggiore permanenza del PM fine in atmosfera è che, se la circolazione locale risulta favorevole, può essere trasportato a grandi distanze e depositarsi molto lontano dal punto di emissione/formazione, fino a raggiungere anche aree remote come quelle polari. Questo è stato, ad esempio, il destino del piombo emesso dagli autoveicoli durante il periodo dell’impiego del Pb(Et)4 come antidetonante nella benzina, rilevato, seppur a livello di tracce, nelle nevi artiche e nel cuore della Siberia centrale. Ciò significa che il PM risulta un veicolo molto efficiente di inquinanti sia su scala locale che su quella continentale e globale.
Se le condizioni meteoclimatiche lo consentono, talvolta, sono possibili anche trasporti di materiale grossolano a lunga distanza. Questo è il caso delle saharan dust incursions, precedentemente menzionate.
Questo fenomeno, che non è esclusivo dell’area desertica nordafricana ma è presente anche in altre aree geomorfologicamente e climaticamente affini del nostro pianeta (deserto del Gobi, Sud America e Australia), consiste nel sollevamento, la risospensione ed il trasporto a migliaia di chilometri di ingenti quantità di polveri minerali sia attraverso il Mediterraneo e il Sud Europa che attraverso l’oceano Atlantico. Si tratta, naturalmente, di fenomeni meteorologici caratterizzati da venti molto intensi in grado di contrastare efficacemente la rapida deposizione gravitazionale delle particelle supermicroniche.
Il processo più efficace di rimozione del PM dall’atmosfera è il cosiddetto wet scavenging o rimozione umida, costituita dall’insieme dei processi di trasporto al suolo attraverso le precipitazioni (pioggia, neve, nebbia).
La correlazione tra lo stato di salute di una comunità e la qualità dell’aria è nota:durante l’ultimo decennio, numerosi studi epidemiologici hanno riscontrato un legame tra la presenza in atmosfera di particolato e il numero di ricoveri e decessi dovuti a problemi respiratori e insufficienze cardiache .
Le ricerche effettuate in questo campo hanno evidenziato che non esiste una soglia di concentrazione di PM al di sotto della quale non vi siano effetti dannosi alla salute umana [WHO 2002].Infatti, nonostante i livelli di concentrazione delle polveri siano sostanzialmente diminuiti, almeno nel mondo Occidentale, rispetto al passato, continuano a verificarsi numerosi ricoveri ospedalieri causati da episodi acuti di inquinamento.
In particolare, studi epidemiologici mostrano una relazione statisticamente rilevante tra tossicità e/o mortalità e l’aumento del particolato di dimensioni più piccole. Il meccanismo tossicologico, sebbene ancora sconosciuto, sembra quindi imputabile alle particelle ultrafini. Sono queste infatti, le più pericolose per la salute, in quanto si possono depositare negli alveoli polmonari e, a causa delle loro dimensioni, possono essere trasportate dal sangue in organi esterni all’apparato respiratorio. Di recente è stato ipotizzato che particelle iperfini si depositano sulle mucose, diffondendo lungo il nervo olfattivo fino al cervello. Recenti studi hanno mostrato che il particolato iperfine può interagire direttamente con il sistema nervoso centrale. E’ stato infatti riscontrato che, sebbene la maggior parte delle particelle nanometriche non si depositino sulle mucose olfattive a causa delle loro piccole dimensioni, alcune di esse sono state trovate in corrispondenza delle terminazioni nervose olfattive, da cui possono diffondere verso il cervello. Considerando che queste particelle si possono accumulare negli anni nel sistema nervoso centrale, esse possono indurre effetti neurotossici molto gravi .
La dimensione degli inquinanti particellari è quindi il parametro di maggior rilievo per lo studio dei loro effetti nocivi sulla salute umana, essendo direttamente correlata alla capacità di penetrare più o meno in profondità nel sistema respiratorio.
Il particolato più fine non viene trattenuto dalla mucosa nasale o bronchiale, ma penetra negli alveoli polmonari ed è quindi eliminato in modo meno rapido e completo, provocando infiammazioni e ostacolando gli scambi gassosi nel sangue. Le particelle ultrafini risultano quindi le maggiori responsabili dell’aggravamento delle malattie respiratorie e cardiache.
Queste particelle possono sfuggire la fagocitosi dei macrofagi degli alveoli polmonari, guadagnandosi l’accesso al tessuto epiteliale e agli interstizi dei polmoni, causando lesioni. Inoltre, per la particolare struttura della superficie, le particelle possono anche adsorbire dall’aria sostanze chimiche cancerogene, composti tossici o reattivi per poi depositarli sulle cellule con le quali interagiscono.
Le particelle più piccole contengono le maggiori quantità di elementi in traccia e tossine presenti nell’aria. In particolare, studi di tipo tossicologico hanno evidenziato proprio l’importanza dei metalli in traccia presenti nel particolato. I metalli, infatti, sono sensibili alle reazioni di ossido-riduzione e potrebbero indurre o catalizzare trasformazioni chimiche, portando alla produzione di radicali liberi, come il radicale ossidrile, con riconosciute capacità infiammatorie.
E’ stata persino messa in luce la dannosità di particelle a composizione relativamente innocua come carbonio organico, ammonio, solfato e nitrato, anche a basse concentrazioni. Per tali motivi è stato ipotizzato che i meccanismi tossicologici siano dovuti proprio al numero di particelle respirate o, meglio ancora, alla superficie totale disponibile a reagire all’interno dei bronchi a livello alveolare; tale superficie, a parità di volume di aria inalato, è tanto maggiore quanto più piccole sono le particelle, sia per la loro capacità di penetrazione polmonare, sia per la maggior concentrazione numerica, che come già detto, è inversamente proporzionale alle dimensioni.”
I PM veicolano una vasta gamma di agenti con azione xenobiotica come metalli pesanti e composti organici di origine antropica.
Gli IPA si formano per combustione incompleta di sostanza organica (carbone, olio, legno, benzina). L’attenzione per questa classe di composti dipende dalla loro elevata tossicità e cancerogenicità, tanto da risultare attualmente normati per legge.
I metalli e non metalli rappresentano poche unità percentuali (fino al 2-3 %) in massa nel particolato atmosferico, in cui sono comunque sempre presenti.
Alcuni elementi sono considerati dei “traccianti” delle sorgenti da cui sono stati emessi:
alluminio, ferro, silicio, potassio e manganese (elementi crostali): suolo, rocce;
sodio, cloro, magnesio:aerosol marino;
bromo, piombo, bario: emissioni da trasporto veicolare;
vanadio, nichel: combustione di oli combustibili;
selenio, arsenico, cromo, cobalto, rame: combustione di carbone;
zinco, antimonio, rame, cadmio, mercurio: rifiuti da incenerimento
Piombo, zinco, cadmio, arsenico, nichel, vanadio, si trovano in prevalenza nella frazione fine del particolato mentre elementi come, ferro, cromo, calcio, silicio, alluminio, rame e manganese si possono trovare sia nella frazione fine che in quella grossolana.
Durante i processi di combustione ad alta temperatura di carburanti fossili, alcuni elementi particolarmente volatili come l’arsenico, il cadmio, il manganese, il piombo, il nichel, l’antimonio, il selenio, il vanadio e lo zinco possono volatilizzare e, quando la temperatura diminuisce oltre la zona di combustione, condensano sulla superficie delle ceneri in sospensione (fly ash).
In atmosfera i metalli e gli elementi inorganici viaggiano con poche eccezioni adesi al particolato o inclusi nelle matrici cristalline , rivelano come tutte queste specie siano presenti ubiquitariamente come il particolato stesso e che ciò rende problematica la caratterizzazione univoca delle sorgenti di emissione da cui si originano.
Per quanto concerne la loro pericolosità/tossicità per l’organismo umano è essenziale riconoscerne la biodisponibilità generalmente associata alla presenza degli elementi in forma solubile. In genere, a causa della genesi e delle conseguenti caratteristiche strutturali e chimiche, gli elementi nella frazione coarse (grossolana), tendenzialmente “immobilizzati” nel reticolo cristallino dei minerali, sono meno pericolosi perché difficilmente solubili in condizioni fisiologiche. Diversamente, gli elementi in traccia presenti nella frazione fine “veicolati” in una matrice salina (NH4NO3 + (NH4)2SO4) igroscopica vengono più facilmente rilasciati e resi biodisponibili.
Una volta a contatto con i tessuti polmonari, i metalli come Fe, Cu e Mn possono indurre reazioni chimiche avverse alla salute dell’uomo (reazione di Fenton) .
Vi sono molte difficoltà di rilevazione del particolato; principali difficoltà sperimentali riguardano principalmente le frazioni di particolato fini ed ultrafini (infatti, o non si sono ancora formate o date le piccole dimensioni, sfuggono ai sistemi di cattura - sia per la rimozione che per la rilevazione - in uscita dal camino; inoltre molta della strumentazione utile per accedere al particolato ultrafine è stata messa a punto negli ultimi 5-10 anni ed è ancora poco diffusa) e le componenti secondarie di particolato che si formano a distanza e in tempi successivi alla fuoriuscita dal camino a seguito della trasformazione , mai immediata né istantanea, di precursori gassosi. La formazione del particolato secondario difficilmente potrà essere valutata al camino, pertanto dovendo caratterizzarne gli effetti in un territorio più o meno ampio, sarà necessaria la mobilitazione massiccia di sperimentazione sul campo atta a coprire non un solo punto recettore, ma numerosi punti di prelievo posti principalmente sotto vento all’impianto, ma includendo anche misure al camino, al fine di :
• caratterizzare il destino delle emissioni nell’ambiente
• rapportarle al rimescolamento con aria e particolato già presenti nell’ambiente
• seguirne la ridistribuzione nello spazio
• evidenziarne tempi e modi di trasformazione alla luce di quelle che sono le cosiddette “capacità ossidanti dell’atmosfera”
Quest’ultimo aspetto concerne essenzialmente il particolato secondario senza la cui debita caratterizzazione si incorre tipicamente in una sottostima delle emissioni, lacuna comune a tutti i fenomeni emissivi di natura antropica.
I contributi antropici al particolato atmosferico sono principalmente associati al largo impiego dei processi di combustione, che sono parte cospicua dell’esistenza umana dalla piccola scala (sigaretta, candele, cottura del cibo, riscaldamento domestico, incensi) alla grande scala (e.g, traffico, produzione di energia, inceneritori, combustione di biomasse forestali, quest’ ultima naturale in minima parte).
Comunque la combustione sia condotta, è puramente teorico che essa porti alla produzione di calore (di solito il prodotto più ambito), CO2 ed acqua, come idealmente ci si aspetterebbe.
Tutti i combustibili fossili, ma anche le biomasse (tabacco, legno, erba, vegetali,) contengono altri elementi come ad es. zolfo ed azoto a causa dell’origine biogenica e della composizione chimica dei tessuti viventi. Nella combustione perciò, anche a causa della reazione alimentata con aria (ca. 20% ossigeno ed 80% azoto) non si formano solo CO2 (biossido di carbonio), CO (monossido di carbonio) ma anche ossidi di azoto e di zolfo, tutti inquinanti gassosi primari.
La reazione avviene mediante una serie numerosa di reazioni chimiche intermedie (meccanismo a stadi) che possono interrompersi prima dell’ossidazione completa a CO2 dando luogo a particolato ultrafine e fine, primario (carbonio) e secondario (carbonio organico, solfati, nitrati) ed idrocarburi a peso molecolare variabile incluse specie volatili ed altre più o meno volatili inclusi gli IPA, noti per la tossicità e cancerogenicità.
Ai fini ambientali va detto che la presenza di specie minerali e metalliche nei combustibili comporta inevitabilmente la loro ridistribuzione nei prodotti e sottoprodotti di reazione, con ripartizioni che dipendono dalle proprietà chimico fisiche e dalla reattività specifica delle singole specie.
Tenuto conto del fatto che il processo di combustione comporta una forte disgregazione del materiale di partenza a causa della perdita del principale componente strutturale ossia il carbonio sotto forma di CO2 gassosa, si ha un frazionamento che ripartisce le specie inorganiche in una frazione “altobollente” accumulata nelle ceneri pesanti ed una frazione volatile che comprende metalli a basso punto di ebollizione, minore cioè della temperatura della fornace. Nel primo caso tali specie inorganiche includono silicati vetrosi che inizialmente allo stato fuso accumulano altri elementi affini e.g. ferro. Alcune di queste goccioline di materiale fuso non appena si raffreddano solidificano in sferette, morfologia che caratterizza principalmente le emissioni da centrali a carbone, ma che in piccola parte si formano anche nelle centrali a olio combustibile. I vapori dei metalli e di altre specie inorganiche più volatili in parte condensano sul particolato ultrafine e fine, in parte sfuggono dal camino sotto forma sia di vapori che di particolato (naturalmente fine ed ultrafine) in assenza di sistemi di abbattimento chimico (e.g. scrubber) o chimico fisico (adsorbenti). I soli elettrofiltri di solito non sono sufficientemente efficaci.
Un altro importante aspetto è quello che attiene alla produzione del particolato secondario, cioè quello che si forma in atmosfera a partire da precursori presenti nei fumi di emissione, segnatamente SO2 e NOx e VOC a seguito di interazioni tra questi composti e la radiazione solare e sostanze che già si trovano nell’aria ambiente.
Sebbene non precisamente quantificabile, i ricercatori sono oggi orientati a ritenere che la componente secondaria dell’aerosol prodotto a partire dalle emissioni di un impianto termoelettrico, indipendentemente dal combustibile impiegato (olio, carbone, gas) possa costituire un parte assai rilevante o addirittura preponderante sul totale. Questo aerosol secondario è composto per lo più di solfati e nitrati e composti organici ossigenati, composti alquanto solubili in acqua cui sono associati diversi metalli pesanti ed altri inquinanti organici, la cui rimozione dall’atmosfera è favorita dalla precipitazioni piovose o in presenza di nebbie ( sono proprio queste sostanze che promuovono la formazione delle idrometeore a causa della loro igroscopicità). Recenti studi hanno dimostrato come i metalli pesanti nella frazione fine, che è per lo più secondaria, sono in forma particolarmente solubile, per cui possono essere più facilmente mobilizzati in forma ionica e resi in tal modo biodisponibili (Gutierrez-Castillo et al., 2005).
Le emissioni delle centrali a olio combustibile si inquadrano in questo panorama che a grandi linee è comune a tutte le combustioni, come è ben spiegato in una review amplissima e molto citata nella letteratura sull’aerosol sia per gli studi di processo, che ambientale che di tossicologia (Slama Lighty et al, 2000).
Vanadio e nichel siano i traccianti tipicamente riconducibili alle centrali a olio combustibile, in cui tuttavia per genesi si trovano sotto forma di composto organometallico e quindi disciolto negli idrocarburi, motivo per cui non vengono rilevati nelle particelle sospese attraverso l’analisi SEM (Farhat Ali and Abbas, 2006). Sotto questa forma nella combustione questi metalli popolano tipicamente il particolato fine ed ultrafine, (Slama Lighty et al., 2000; Jang et al., 2007; Progetto PolveRE 2a parte) quindi non reperibile nelle particelle per lo più rilevate dai C.T. (Montanari e Capannelli) che hanno lavorato per questa indagine.
Tale rilevanza è compatibile invece con le rilevazioni ottenute mediante il biomonitoraggio lichenico il cui esito mostra una distribuzione di V e Ni sul territorio coerente con il trasporto a distanza di particolato submicronico.
Infatti alcune indicazioni sull’inquinamento da particolato fine nel Delta Po possono essere desunte dallo studio incentrato sul biomonitoraggio mediante licheni, segnatamente dall’indagine in cui i licheni sono stati utilizzati come bioaccumulatori di elementi in tracce (CTU Scarselli-Magnani, 2003). Pur nei limiti delle ricerche condotte, non finalizzate propriamente ad un monitoraggio diretto dell’aerosol atmosferico, i risultati supportano l’ipotesi di una interferenza apprezzabile da parte della CTE sui flussi/deposizioni di polveri i fini e ultrafini in diverse aree del Delta Po, ed in particolare in quelle più esposte alle ricadute. In effetti sono state riscontrate alterazioni significative riguardo alla contaminazione da Ni e V e con patterns distributivi correlabili con i modelli di dispersione. Inoltre, nello stesso studio sono stati effettuati rilevamenti anche mediante campionatori passivi tipo Bulk esposti per alcuni mesi in 4 stazioni “target”: i risultati hanno confermato l’esistenza di flussi rilevanti di nichel e soprattutto di vanadio, con valori di flusso per quest’ultimo metallo circa doppi rispetto ai massimi registrati in Laguna di Venezia .
Volendo sintetizzare, le informazioni tratte dalla letteratura convergono nell’indicare per una cospicua parte dei fumi direttamente emessi nell’ambiente dalla CTE alimentate con olio combustibile le seguenti caratteristiche (Slama Lighty et al., 2000; Mitra et al. 2002; Jang et al., 2007; Progetto PolveRE 2a parte):
-dimensioni submicroniche
-forma sferica o subsferica
-presenza ricorrente di S, V e Ni associati ad una matrice carboniosa
Per quanto concerne l’inquinamento nel Delta del Po, occorre tener presente che dalla metà del 2003 l’ARPA di Rovigo ha avviato misurazioni in continuo dei PM10 in due postazioni fisse site nel Delta Po, precisamente a Pila e Porto Tolle. I valori di concentrazione misurati in questi anni sono confrontabili con quelli tipici di aree non urbanizzate della Pianura Padana. Tali dati però non sono da considerarsi indicativi riguardo alle possibili interferenze della CTE. Abbiamo visto come i dati di PM10 non siano un descrittore sufficientemente predittivo dell’inquinamento da fonti antropiche, ed in particolare dei processi di combustione, essendo questi responsabili in massima parte della produzione di particelle ultrafini, che contribuiscono solo per l’1-2 % alla massa dei PM10 ma per oltre l’80% al numero, e fini, che hanno un tempo di residenza superiore in atmosfera rispetto alle prime, da cui comunque derivano (EEA, European Environment Agency, 2202; The Council of Europe, doc. 8167, 1998). In assenza di caratterizzazione chimica questo parametro è puramente indicativo, tanto più che molte delle specie chimiche rilevanti ai fini di questa indagine (V e Ni, ad es) sono in traccia anche in emissione (quindi “pesano” poco sul PM10) e che nell’ambiente vengono comunque ridistribuite e diluite. In secondo luogo, le rilevazioni dei PM10 sono iniziate quando la CTE utilizzava combustibile più pulito rispetto al passato e la sua attività si era assai ridimensionata in termini di ore funzionamento/anno (50% rispetto al massimo teorico nel 2003 mentre già dal 2004 era scesa sotto il 30 %) (CTU Scarselli, 2005).
Sulla base di quanto sopra, è evidente che nelle attuali condizioni è estremamente poco probabile riuscire ad estrapolare l’effetto della centrale termoelettrica da un insieme di campioni di particolato intrinsecamente molto complessi ed in n° troppo esiguo.
Anche la qualità dei filtri impiegati per la raccolta dei PM10 è poco adatta ad evidenziare i metalli sia utilizzando tecniche di mineralizzazione ed analisi del campione bulk (massa totale del particolato filtrato) e soprattutto assolutamente inadatta alle tecniche di microscopia elettronica a causa della struttura fibrosa, che interferisce enormemente sull’osservazione del particolato. Comunque il SEM, oltre a non poter essere applicato con successo su questi filtri, perde tutta la componente fine per lo più salina e carboniosa che ponderalmente varia dal 60 (estate) all’80% in peso per particolato. Le componenti terrigene/crostali, messe in evidenza come prevalenti nei filtri analizzati, sono sempre presenti nell’aria ambientale.
Le analisi chimiche condotte su campioni di olii BTZ e ATZ utilizzati dalla CTE di Polesine Camerini (Raccanelli-Bonamin, 2003), mostrano la tipica composizione degli oli comunemente utilizzati negli impianti di potenza, caratterizzata dalla prevalenza, tra i metalli pesanti ,di vanadio e nichel. Come atteso vanadio e nichel risultano dominanti anche nelle ceneri degli elettrofiltri, (analizzate oltre che da Raccanelli pure da Montanari e Capannelli mediante ESEM/SEM), ed infine ricorrono anche nei campioni di fumi prelevati al camino, dove tuttavia figurano tra i più abbondanti anche metalli come Zn e Mn (Raccanelli-Bonamin, 2003).
Per quanto concerne le risultanze delle verifiche dei campioni in microscopia SEM/ESEM, in particolare filtri PM10 , licheni, ortaggi, oli combustibili, ceneri da elettrofiltro, si può osservare che in primo luogo che l’analisi degli oli in microscopia SEM/ESEM evidenzia la presenza di particelle in sospensione, di natura minerale, che in buona parte denunciano l’estrazione del combustibile da giacimenti geologici in cui esso si è formato e con cui è stato in prolungato contatto. Inoltre non si può trascurare la possibilità che i trattamenti cui è sottoposto il petrolio (trasporto, rettifica, altri trattamenti, come la desolforazione della frazione oleosa, ecc.) oltre all’additivazione di componenti inorganici di processo (emulsionanti ecc..) comportino l’ulteriore aggiunta di particelle rispetto a sostanze inorganiche diverse che vanno a sommarsi a quelle geologiche. E’ comunque molto poco probabile che tali particelle rimangano tali dopo aver subito le elevatissime temperature (1000 – 1500 °C) di combustione nella fornace, e non è quindi sensato considerarle quali possibili traccianti intrinseci dell’olio combustibile. In questo processo i metalli volatili, disciolti nell’olio in complessi organometallici, si liberano sotto forma di vapori ( ad es. V e Ni, ma anche molti altri), mentre le componenti meno volatili si accumulano e depositano nella massa di ceneri pesanti che rimane sostanzialmente intrappolata al fondo del bruciatore o agli elettrofiltri (Osan et al., 2001).
Il suolo è una matrice in cui è difficile determinare la presenza di polveri atmosferiche depositate, perché a sua volta totalmente costituito da materiale inconsolidato di granulometria variabilissima, incluse particelle paragonabili sia dimensionalmente che mineralogicamente a quelle di aerosol. Da qui si capisce come tecniche a “singola particella” come il SEM non risultino adatte, se non come complemento, ad effettuare una caratterizzazione rappresentativa del materiale esaminato.
Nello specifico delle analisi effettuate (Capannelli. Montanari), va detto che i limiti degli strumenti diagnostici impiegati, non hanno permesso di identificare con la chiarezza necessaria le caratteristiche morfologiche superficiali e ultrastrutturali di tali particelle, fondamentali per una diagnosi fondata sul piano scientifico.
I campioni vegetali (licheni e ortaggi) potrebbero essere più interessanti per l’osservazione di apporti atmosferici purché campionati, trattati e conservati seguendo rigidi protocolli atti a preservarne l’integrità e quindi l’informazione ambientale. In tutti i casi infatti queste matrici mostrano sempre tracce della risospensione dal suolo, la cui rilevazione richiede accortezza ed esperienza.
Anche per le osservazioni compiute dai CT sulle matrici vegetali vanno richiamati i limiti di impostazione, metodologici e di strumentazione.
Va inoltre tenuto presente ai fini che interessano il numero largamente insufficiente di particelle analizzato. In atmosfera sono presenti da 104 [10.000] (ambiente remoto) a 107 [10 milioni] (ambiente altamente antropizzato) per cm3 di aria. E’ evidente la discrepanza tra i dati riportati e la realtà del sistema aerosol. Ne risulta una irrilevante significatività statistica.
Per quanto concerne le verifiche con il microscopio a scansione elettronica nei reperti biotici il primo aspetto da considerare è quello inerente lo stato di conservazione dei campioni bioptici ed il loro “processamento ”. Dal momento dell’intervento all’analisi i campioni sono venuti a contatto con innumerevoli fonti di contaminazione: strumenti chirurgici, contenitori, reattivi, fissativi e coloranti utilizzati (diversi contengono metalli come W, Cr, Hg, Pt, Cu e Mo).
Alcune impurità possono essere state introdotte dal metallo di cui è costituita la lama del microtomo usato per sezionare i reperti (acciaio che, oltre a ferro, cromo e nichel, può contenere altri elementi quali tungsteno, W). Si nota poi come le particelle rinvenute ed effettivamente analizzate abbiano dimensioni per lo più supermicrometriche e comunque mai inferiori a 0,5 μm (non si tratta dunque di nanoparticlelle). Non è chiaro con quale meccanismo particelle di tali dimensioni possano raggiungere organi interni diversi dai polmoni; anche supponendo ragionevolmente la via digestiva; comunque le particelle supermicroniche subiscono un\'efficiente selezione attraverso l\'apparato respiratorio e solo le più fini raggiungono punti di accesso all\'interno degli organi e al flusso ematico.Una carenza fondamentale è la totale assenza di riferimenti a indagini analoghe su organi di persone non malate. Non sappiamo se tutta la popolazione presenta le stesse particelle distribuite nell\'organismo anche in assenza di patologia. Dati i contatti continui col particolato sarebbe più che probabile. L\'assenza di questo paragone è fondamentale: l’ approccio comparativo risulta basilare nel metodo scientifico ai fini deduttivi.
Inoltre, per arrivare a definire i composti chimici presenti si sarebbe dovuto fare un’analisi quantitativa e da questa bilanciare tutti gli elementi trovati. Ad esempio se in una particella si trovano carbonio, ossigeno, zolfo, calcio, ferro e rame, si potrebbe trattare di una miscela di solfati e carbonati di calcio, ferro e rame e non una lega ferro-rame.. In definitiva tutti gli accoppiamenti fatti tra i metalli (es. ferro-cromo, nichel-piombo ecc …) sono semplicistici e le conseguenti conclusioni interpretative hanno carattere speculativo.
Non si può inoltre affermare con certezza che i composti inorganici siano per forza sostanze xenobiotiche perchè gli stessi elementi sono ampiamente rappresentati nella biosfera sotto forma di materiali strutturali, metalloenzimi e metalloproteine. Inoltre per metalli e metalloidi l’eventuale tossicità dipende dalla forma chimica (basta pensare alla diversità di cromo (III) non pericoloso e cromo(VI) cancerogeno) la cui determinazione è molto complessa, richiedendo o l’ausilio di tecniche a raggi X molto poco diffuse utili a determinare il cosiddetto “intorno chimico” degli elementi rilevati (XPS, XANES…) o complessi schemi di analisi chimica per via umida utili a ricostruire la cosiddetta speciazione chimica.
Qualora venisse poi dimostrato che le particelle rilevate fossero realmente provenienti dall\'ambiente di vita, innanzitutto bisognerebbe rapportare la loro presenza all\'esposizione ambientale dei singoli individui che, esattamente come nel caso della radioattività, richiede la stima di una dose all\'individuo calcolabile conoscendo tutte le fonti ed i tempi di esposizione al particolato con cui è venuto a contatto il singolo.
Il consulente Dott. Stefano Scarselli, nonché la Prof. Laura Tositti, la Dott.ssa Gabriella Arosio e la Dott.ssa Maria Luisa Pozzoli, suoi ausiliari, giungevano pertanto alle seguenti conclusioni:
“1) Tra le indagini ambientali riportate svolte dai diversi CT nel corso dell’istruttoria, solo le rilevazioni mediante biomonitoraggio lichenico e - seppur con limiti dettati essenzialmente dalla bassa risoluzione spaziale e dalla ridotta finestra temporale del campionamento - mediante depobulk sono state effettuate secondo criteri e metodologia adeguati al tipo di problema in esame. Solo questo approccio delinea un quadro che rispecchia oggettivamente lo stato dell’ambiente nel territorio interessato dalle ricadute della centrale. Pur nei limiti delle ricerche condotte, non finalizzate propriamente ad un monitoraggio diretto dell’aerosol atmosferico - considerando anche che i dati si riferiscono ad un periodo in cui la CTE ha funzionato in misura ridotta e utilizzando combustibili più “puliti” rispetto al passato - i risultati supportano l’ipotesi di una interferenza apprezzabile da parte della CTE sui flussi/deposizioni di polveri fini e ultrafini, soprattutto negli anni di pieno funzionamento (pre- 2001).
2) I patterns spaziali di elementi come V e Ni, considerati tipici traccianti di olio combustibile, evidenziano una distribuzione non omogenea dell’inquinamento sul territorio, con deposizioni più consistenti nelle zone poste sottovento rispetto alla CTE, ma con un’alterazione di fondo estesa all’intera area di indagine. Va precisato che comunque tali dati meriterebbero un approfondimento con adeguati mezzi (maggiore numero di prelievi, campioni di particolato opportunamente programmati secondo un appropriato experimental design). Anche lo zolfo meriterebbe uno studio più accurato e dovrebbe essere correlato a V e Ni e ad altri componenti ambientali del particolato, al fine di poter effettuare il profilo delle sorgenti e così distinguere le varie ma sempre presenti componenti dell’aerosol ambientale.
3) In tutte le relazioni sui reperti ambientali e bioptici viene lamentato il cattivo stato di conservazione e di trattamento dei campioni. Già questa probabilmente prolungata esposizione al particolato ambientale rende i campioni relativamente poco affidabili.
4) Le indagini condotte tramite microscopia elettronica (SEM, ESEM) sulle particelle presenti nei diversi reperti ambientali, pur essendo le sole, quanto meno nelle intenzioni, volte a fornire dati diretti sulla contaminazione ambientale da polveri fini e sulle relative alterazioni indotte dalla CTE, in realtà non hanno prodotto informazioni utili ad un inquadramento realistico di tale problematica. Pur tralasciando il fatto, per altro non trascurabile, che le matrici esaminate quali recettori al suolo (licheni, insalate, filtri PM10) non sono propriamente idonee al campionamento e alle finalità dell’indagine, il limite principale di queste ricerche risiede nella “taglia” delle particelle analizzate e nell’assolutamente irrilevante rappresentatività statistica delle osservazioni. I CT coinvolti nelle indagini hanno infatti preso in esame quasi esclusivamente la frazione “grossolana” del particolato (la quasi totalità delle particelle esaminate ha infatti dimensioni > 1 m, mentre la maggior parte si colloca al di sopra dei PM2,5), la cui genesi è riconducibile essenzialmente a sorgenti naturali o comunque non combustive. Le fonti antropiche invece sono responsabili in massima parte della produzione di particelle fini e ultrafini (Slama Lighty et al., 2000; Mitra et al. 2002; Jang et al., 2007) che, oltre ad essere le più abbondanti nell’aerosol in termini di concentrazione numerica, sono anche quelle potenzialmente più nocive per la salute. Questa importante componente del particolato, innanzitutto a causa dei limiti intrinseci degli strumenti utilizzati, non è stata per nulla investigata.
4) Dal momento del prelievo all’analisi tramite SEM, i campioni bioptici sono venuti a contatto con innumerevoli fonti di contaminazione: strumenti chirurgici, contenitori, reattivi, fissativi e coloranti utilizzati e la stessa aria ambiente. Le dimensioni della grande maggioranza delle particelle analizzate nei tessuti non sembrano compatibili con la possibilità di accesso agli organi attraverso la corrente sanguigna. Mancano poi riferimenti a indagini analoghe su organi di persone non malate (approccio comparativo). Il fatto che non siano stati riscontrati i markers tipici della combustione da olio combustibile (Slama Lighty et al., 2000; Mitra et al. 2002; Jang et al., 2007) non permette tuttavia di escluderne la presenza nei tessuti; tale evidenza potrebbe infatti dipendere dai limiti intrinseci della strumentazione utilizzata per le analisi che non hanno consentito di spingere le osservazioni nella frazione più fine del particolato, ossia a quella più strettamente riconducibile a processi combustivi (ved. punto 3).
Anche in questo caso, limiti metodologici e di tipo strumentale non hanno consentito di ottenere dati utili ai fini dell’indagine.”

All’esito di tali risultanze, vanno tratte le conclusioni tenendo conto che sono stati utilizzati interamente, dopo la autorizzata riapertura, i termini massimi consentiti dal codice di procedura penale per le indagini preliminari in procedimento complesso (due anni comprensivi dei periodi di sospensione feriale).
Ciò fa sì che non sia possibile in tale sede ancora investigare al fine di verificare ad esempio se possano rinvenirsi, con una ricerca di maggiormente dettagliata che tenga conto delle osservazioni critiche testè suesposte, nanoparticelle effettivamente significative in tessuti ammalati, non presenti invece in tessuti sani dello stesso soggetto, né condurre analoga ricerca su coorti significative di soggetti residenti nel Delta.
Dovendosi quindi valutare la portata degli elementi accusatori in relazione a reati di evento e di pericolo quali quelli descritti ai capi A e B -omicidio e disastro colposo, omissione di impianti e apparecchi atti a prevenire disastri-
occorre preliminarmente porsi il problema della causalità giuridica, che come ben si sa non svolge solo una funzione conoscitiva ma si risolve in un criterio di imputazione di un evento ad un soggetto e quindi necessariamente seleziona tutti gli antecedenti individuando solo quelli rilevanti a questo fine secondo le regole che l’ordinamento pone.
Trattandosi inoltre di condotte colpose, più rigoroso deve essere l’accertamento dei criteri che consentono di attribuire l’evento al soggetto – che non l’ha voluto – rispetto ai casi (reati dolosi) nei quali l’agente ha realizzato il risultato che si era prefigurato e dove quindi è più agevole il criterio di imputazione soggettiva.
Si è detto che “individuare la base della responsabilità penale nella condizione sine qua non, significa comprendere se le complesse questioni scientifiche legate alla causalità consentano di raggiungere la prova della causalità individuale .
Ancora più complessa rispetto alla causalità attiva è la problematica nel caso, come quello in esame, in cui si discuta di causalità omissiva, in quanto mentre per la prima si formula un solo giudizio ipotetico, chiedendosi se, senza l’azione, l’evento si sarebbe verificato ugualmente, nella seconda si formula un giudizio doppiamente ipotetico perché ci si chiede se, senza l’omissione, l’evento si sarebbe verificato ugualmente, e poi se il compimento dell’atto dovuto avrebbe scongiurato il verificarsi dell’atto lesivo.
In caso di causalità omissiva occorre tenere presente le conclusioni cui è giunta la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella nota sentenza Franzese 10 luglio 2002 n.30328, la quale ha adottato l’orientamento della secondo cui in tanto il giudice può affermare che un’azione od omissione sono state causa di un evento, in quanto possa effettuare il giudizio controfattuale avvalendosi di una legge o proposizione scientifica che ( cfr. in tal senso anche Cass. Sez IV 28/9/2000 n.1688 e 25/9/2001 n. 1652).
Erano così superati gli orientamenti cui erano giunte precedenti pronunce della Cassazione che avevano adottato l’orientamento c.d. probabilistico o comunque dell’aumento del rischio e che avevano valutato possibile giungere ad un giudizio positivo di causalità omissiva sulla base della mera possibilità o probabilità anche limitata (Cass.pen.7/7/93) o probabilità statistica del 30%(Cass.pen 12/7/91) o del 50% (Cass. pen. 7/3/89).
L’insegnamento attuale della Suprema Corte è nel senso secondo cui un soggetto può essere condannato per le sue omissioni e i suoi comportamenti negligenti solo se le leggi statistiche impiegate garantiscono, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l’omissione è stata la causa dell’evento, e cioè se le leggi statistiche enunciano una regola vicinissima a 100, la sola che è in grado di far dire che il comportamento doveroso omesso avrebbe scongiurato il verificarsi dell’evento lesivo.
Se nel meccanismo eziologico dell’evento non ha interferito con probabilità logica vicina alla certezza e con elevato grado di credibilità razionale l’opera dell’uomo, l’evento è giuridicamente indifferente. Se l’interferenza si è invece verificata il giudizio controfattuale va condotto su due livelli: se il fatto materiale non si fosse prodotto si sarebbe ugualmente verificato l’evento? Se la risposta è positiva, e se quindi l’evento non era prevenibile, non può essere addebitato ad alcuno. Se la risposta è negativa, il giudizio controfattuale va compiuto anche in relazione alla condotta commissiva o omissiva dell’agente per vedere che influenza ha avuto sul verificarsi dell’evento. Trattandosi di reati colposi occorre poi verificare se quella violazione della regola cautelare, normativamente o meno prevista, abbia cagionato quell’evento.
Si è anche detto che il ricorso alla probabilità logica si risolve nella verifica della credibilità dell’impiego di leggi c.d. di copertura (leggi scientifiche di valore universale o semplicemente statistico) nel caso concreto.
Si è al pari preso coscienza in dottrina e in giurisprudenza che il criterio della sussunzione degli eventi sotto leggi scientifiche non sempre è in grado di spiegare un determinato fenomeno: lo stesso caso Franzese riguardava la conferma di una sentenza di condanna anche se non appariva individuata una legge di copertura idonea a spiegare l’evento morte del paziente e pur tuttavia i giudici di merito avevano utilizzato, per ricostruire la causa dell’evento, criteri scientifici richiamandosi ad “autorevoli e concordi pareri della letteratura scientifica internazionale nel campo della medicina interna”.
Si è allora preso atto che le leggi scientifiche di copertura, quando esistono, possono essere idonee a spiegare le cause materiali degli eventi e le cause delle condotte quando coincidono con quelle materiali, ma non lo sono per spiegare la causalità della condotta che non coincida con quella materiale né la causalità della colpa che richiede anche una valutazione di natura normativa consistente nell’accertamento della concretizzazione del rischio ossia la violazione di quella regola di cautela che ha cagionato l’evento.
In questi casi è corretto parlare di credibilità logica intesa come elevato grado di probabilità o credibilità razionale perché il giudizio controfattuale, svincolato dalla probabilità statistica, potrà essere compiuto accertando con rigore scientifico che – se si fosse tenuta quella condotta o se si fosse seguita quella regola cautelare – l’evento non si sarebbe verificato: c.d. giudizio di probabilità logica.
Venendo ai casi concreti, si è quindi ad esempio detto che se l’indagine statistica dice che la somministrazione di una determinata terapia, per contrastare una certa patologia, ha avuto efficacia positiva nell’80% dei casi, il solo dato statistico non consente di affermare l’esistenza del rapporto di causalità tra la condotta del medico che ha omesso la terapia e la morte del paziente perché residuerebbe un rischio troppo elevato di condannare un innocente; ma se la probabilità statistica viene invece integrata da tutti gli elementi forniti dall’evidenza disponibile, è possibile che si possa pervenire ad una valutazione, in un senso o nell’altro, dotata, come dicono le sezioni unite, di un elevato grado di credibilità razionale non più espresso in termini percentualistici. Per ritornare all’esempio fatto, le caratteristiche del caso concreto che possono influenzare il giudizio di probabilità logica sono l’età, il sesso, il livello di gravità della patologia, la tempestività dell’accertamento della malattia, le condizioni di salute generale del paziente, la coesistenza di altre patologie, la contemporanea somministrazione di altri farmaci che interferiscono sulla cura praticata e in generale tutte le circostanze che possono aumentare o diminuire le speranze di sopravvivenza.
Il risultato del giudizio controfattuale quindi deve essere di grado elevato nel senso che l’eventuale dubbio residuo deve essere “non ragionevole” o del tutto congetturale e che quindi spiegazioni alternative devono essere escluse “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Al fine di pervenire a questo risultato, la giurisprudenza delle Sezioni Unite ritiene possibile applicare anche le regole del procedimento indiziario previste dall’art. 192 comma 2° cpp : invero il richiamo alla concordanza degli indizi impone un metodo di valutazione che valorizza l’esame critico delle ipotesi alternative.
La ricerca delle eventuali cause alternative ha una fondamentale importanza anche sotto un diverso profilo: quello relativo alle “frequenze medio basse” cioè ai casi in cui solo in una determinata percentuale minima o non elevata di casi da un determinato antecedente deriva una certa conseguenza.
Così, approfondendo il ragionamento con un esempio calzante rispetto alle tematiche oggetto del presente procedimento, il fumo da tabacco provoca il cancro al polmone ma solo una certa percentuale di fumatori lo contrae; inoltre poiché il cancro al polmone è riconducibile anche ad altre cause, se una persona lo contrae, per poter affermare che il fumo è stata la causa della malattia è necessario che sia possibile escludere le altre cause potenziali. Allo stesso modo rende estremamente problematico accertare il nesso di condizionamento tra la condotta e il tumore polmonare, il caso di esposizione a sostanze di natura diversa idonee a provocare il cancro al polmone quando la persona sia anche un forte fumatore: l’idoneità dell’elemento a cagionare la malattia non costituisce ancora la prova che, nel singolo caso, la malattia sia stata provocata da questa esposizione.
Queste osservazioni portano anche a logiche considerazioni in ordine al valore da dare, a fini probatori, all’indagine epidemiologica, che come è noto consente di accertare la causalità generale; così se in una zona erano previsti dieci casi di una determinata malattia e se ne sono verificati cinquecento, vuol dire che quell’elemento ha avuto efficacia generale, ma per poter attribuire all’indagine epidemiologica una validità di accertamento della causalità nel singolo caso è necessario prima individuare tutte le potenziali cause della malattia e poi escludere che la singola persona che l’ha contratta sia stata sottoposta a una di quelle cause alternative; così è più complesso affermare l’esistenza del rapporto di causalità nel caso di malattia tumorale al polmone contratta da chi, soprattutto se fumatore, sia stato sottoposto all’esposizione anche intensa e prolungata di fibre d’amianto in quanto la malattia ha una multifattorialità non ancora del tutto definita, mentre invece tali incertezze non ci sono nel caso di mesotelioma in quanto si conoscono, oltre all’amianto, gli altri agenti scatenanti che possono quindi essere accertati o esclusi con facilità (cfr sul punto Cass. Sez Un. Franzese “ è indubbio che coefficienti medio bassi di probabilità c.d. frequentista per tipi di intervento, rilevati dalla legge statistica – e ancor di più da generalizzazioni empiriche del senso comune o da rilevazioni epidemiologiche – impongano verifiche attente e puntuali sia della fondatezza scientifica che della specifica applicabilità della fattispecie concreta. Ma nulla esclude che anch’essi, se corroborati dal positivo riscontro probatorio, condotto secondo le cadenze tipiche della più aggiornata criteriologia medico-legale, circa la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori interagenti in via alternativa, possano essere utilizzati per il riconoscimento giudiziale del necessario nesso di condizionamento”. )
Così ragionando si può infatti fondatamente sostenere che se vi sia una legge scientifica verificata secondo cui in caso di emissione di una determinata sostanza si verificano certe conseguenze su una percentuale di persone ( ad esempio viene contratta una forma tumorale), si è di fronte non alla probabilità ma alla certezza che quel determinato effetto si produrrà, pur non essendovi certezza sul numero e sull’identità delle persone che contrarranno la malattia; ma se si conoscono tutte le possibili cause della malattia e si ha la certezza che chi ha contratto la malattia non è venuto a contatto con altre sostanze potenzialmente lesive, si potrebbe ritenere raggiunta la certezza processuale che è stata quella la fonte dell’evento.
Si è detto a questo proposito che in questi casi non ci si trova più in presenza di una probabilità valutata ex ante, ma ci si trova in presenza della verifica nel caso concreto della potenzialità lesiva dell’esposizione in quel singolo caso ( così si è fatto l’esempio : “se solo una persona su mille muore per la puntura di un calabrone si può ritenere con un giudizio di probabilità logica ed elevata credibilità razionale che lo shock anafilattico subito da un soggetto dopo una tale puntura in assenza di altre cause ipotizzabili sia certamente dovuto a ciò e non sarebbe corretto ritenere invece che la frequenza medio bassa di questa reazione non possa consentire di ritenere provato il nesso di condizionamento”).
Un\'altra questione occorre affrontare per la sua pertinenza al caso in esame: quello della prova scientifica e della sua affidabilità. Si è infatti detto che la premessa per l’applicazione del metodo della sussunzione sotto leggi scientifiche è data innanzitutto dall’esistenza di queste leggi; ma se, come accade, queste leggi non esistono o meglio non si conoscono in quanto i casi presentano aspetti di novità o unicità, non è certamente precluso al giudice accertare il rapporto di causalità dovendo fare ricorso, come precisato nella famosa sentenza delle Sezioni Unite Franzese, a “generalizzate regole di esperienza” che permettono di accertare il nesso di causalità per mezzo di “esperienza tratta da attendibili risultati di generalizzazione del senso comune” purchè anche le massime di esperienza o il senso comune abbiano un solido sapere scientifico che confermi la valutazione che ricollega la condotta all’evento.
Fatte tali precisazioni, la prima osservazione che va posta nel presente procedimento è la seguente: l’ipotesi per cui e da cui è ripartita l’indagine preliminare, già in un primo tempo archiviata, relativa alla possibilità che nanoparticelle riconducibili alle emissioni della Centrale Enel e trovate presenti nei tessuti delle persone ammalate abitanti nella zona del Delta, abbiano indotto o agevolato la malattia tumorale, è naufragata indipendentemente dalla sua o meno validità scientifica a causa dell’uso di metodologie, nel procedimento scientifico diretto alla ricerca della presenza o meno di nanoparticelle nei tessuti delle persone ammalate per mezzo della microscopia elettronica, che non comportano una prova scientifica valida.
Invero in primo luogo le particelle individuate dalla Dott.ssa Gatti nei reperti biologici e descritte nella sua consulenza non è affatto certo che fossero all’interno dei tessuti umani esaminati in quanto introitate dall’organismo del soggetto cui appartiene il reperto e non invece presenti nel reperto a causa della contaminazione del medesimo ad opera dei vari passaggi attraverso cui lo stesso è passato: una quasi certa contaminazione dei campioni esaminati è associabile agli strumenti chirurgici utilizzati per il prelievo dei reperti dai corpi dei pazienti o delle lame d’acciaio dei microtomi utilizzati per sezionare i reperti; molte altre impurità possono essere state introdotte per diretto contatto con l’aria ambiente, già ricca di suo di particelle in grado di depositarsi sui reperti perturbandoli. Tale contaminazione è più che probabile se sol si pensa al fatto che quando i reperti sono stati prelevati nelle varie strutture ospedaliere, tale prelievo era finalizzato ad altri fini medico-scientifici e non si sapeva che gli stessi reperti sarebbero stati utilizzati in seguito per questo tipo di ricerca: non si può quindi essere certi che si sia fatta attenzione ad utilizzare strumenti che impedissero il rilascio di microparticelle; un’altra contaminazione plausibile può essere avvenuta a causa dei contenitori utilizzati ovvero dei reattivi, dei fissativi e/o dei coloranti utilizzati, che possono autonomamente contenere metalli come quelli indicati dal CTU Dott.Scarselli, ausiliari Prof. Tositti, Dott.ssa Arosio e Dott.ssa Pozzoli;
in secondo luogo le particelle individuate dalla Dott.ssa Gatti nei reperti biologici non sono nanoparticelle, ma sono invece supermicrometriche e comunque mai inferiori a 0,5 μm e quindi di dimensioni tali da escludere la loro appartenenza alla categoria delle particelle fini o ultrafini (micro o nanoparticelle); questa osservazione, emersa solo a seguito della CTU del Dott. Scarselli che con gli ausiliari ha accertato questo dato, appare dirimente soprattutto per le sue implicazioni alla luce delle osservazioni fatte dal Prof. Tomatis nella propria consulenza, ove viene analizzato il ruolo delle particelle fini e ultrafini sulla salute umana, certamente diverso da quello delle particelle supermicrometriche; infatti la dimensione supermicronica delle particelle viste dalla Dott.ssa Gatti non rende dimostrabile con certezza deterministica, anche ammesso che non vi sia stata contaminazione dei reperti, la spiegazione logica di quale possa essere stato l’eventuale meccanismo fisiologico attraverso il quale tali particelle possano aver raggiunto la parte del corpo del paziente da cui è stato estratto il reperto: è noto infatti che le particelle supermicroniche subiscono un\'efficiente selezione attraverso l\'apparato respiratorio mentre solo le più fini raggiungono punti di accesso all\'interno degli organi e al flusso ematico;
in terzo luogo, quand’anche si superassero le perplessità destate dalle osservazioni riportate nei punti sopra evidenziati, permarrebbe una carenza fondamentale nel procedimento logico che vuole trarre delle conclusioni certe dalla presenza di nanoparticelle nei reperti esaminati: vi è infatti la totale assenza di riferimenti a indagini analoghe su organi di persone non malate ovvero su organi sani delle medesime persone malate (come hanno osservato gli altri CTU nominati nella presente indagine, non si sa se tutta la popolazione locale o di altre aree geografiche presenti analoghe particelle distribuite nell\'organismo anche in assenza di patologia data l’ubiquitarietà dell’aerosol atmosferico);
in quarto luogo si osserva che nelle particelle esaminate nei reperti bioptici non sono stati ritrovati markers caratteristici della combustione da olio combustibile; nè appare corretto considerare, come invece riportato nella consulenza della Dott.ssa Gatti, le particelle inorganiche, presenti in sospensione negli oli, quali traccianti delle emissioni della CTE, tanto più in assenza di riscontri a supporto in letteratura.
Posto che è assai poco probabile che le particelle minerali rimangano inalterate dopo aver subito le elevatissime temperature (1000 – 1500 °C) di combustione nella fornace, resta il fatto che dalle analisi eseguite in microscopia ESEM/SEM risultano differenze rilevanti tra le particelle inorganiche rinvenute in sospensione negli oli da un lato e quelle presenti negli elettrofiltri (che sono quelle che più si avvicinano per morfologia e chimica al particolato emesso in atmosfera) dall’altro. Nelle prime, ad esempio, si osserva l’assenza di Nichel e un’ assolutamente irrilevante presenza di Vanadio, elementi che invece risultano ricorrenti nelle particelle esaminate negli elettrofiltri. Tale dato si spiega considerando che Nichel e Vanadio si trovano tipicamente disciolti nell’olio (in questa forma costituiscono anzi i metalli pesanti più abbondanti) ed è questo il motivo per cui non vengono rilevati nelle particelle solide in sospensione nell’olio analizzate mediante SEM/ESEM. Nel corso della combustione Nichel e Vanadio, insieme ad altri metalli volatili, si liberano sottoforma di vapori per poi condensare in forma particellare con il successivo raffreddamento dei fumi durante la risalita lungo il camino. La letteratura chiarisce bene questo processo e come il particellato primario, specie la componente fine e ultrafine, si generi essenzialmente “ex-novo” a valle del processo di combustione.
E’ comunque dato indiscusso che un’amplissima letteratura scientifica sull’aerosol individua in Nichel e Vanadio, associati allo zolfo in una matrice carboniosa, i tipici traccianti delle emissioni delle centrali a olio combustibile e in tale maniera tali metalli popolano tipicamente il particolato fine ed ultrafine;
in quinto luogo, per arrivare a definire i composti chimici presenti nelle particelle analizzate nelle biopsie, si sarebbe dovuto fare un’analisi quantitativa e da questa bilanciare tutti gli elementi trovati. Infatti, l’estrapolazione della forma chimica dei metalli dai dati SEM/ESEM è puramente ipotetica se non arbitraria, cosicché tutti gli accoppiamenti fatti tra i metalli (es. ferro-cromo, nichel-piombo ecc …) sono semplicistici e le conseguenti conclusioni interpretative hanno carattere non dirimente.
Infine, in ultimo luogo, le altre argomentazioni riportate nella CTU della Dott.ssa Gatti secondo cui i reperti dove non sono state rinvenute “polveri” erano proprio quelli relativi a casi di tumore non riconducibili ad esposizione ad agenti inquinamenti per cui ciò costituirebbe prova ulteriore dell’oncogenicità del particolato rinvenuto, appaiono indimostrate, non fondate su articolata letteratura scientifica, oltrechè estremamente semplicistiche nel ragionamento.
Fatte tali osservazioni sull’impossibilità di fondare conclusioni sostenibili circa la reale presenza di micro e nano-particelle nei tessuti malati collegabili alle emissioni della Centrale Elettrica di Porto Tolle, occorre fare anche un’ulteriore serie di considerazioni.
E’ senz’altro provato in campo scientifico, così come emerge del resto dalle CTU in atti, in primis da quella del Prof.Tomatis, che l’inquinamento dell’aria, fra cui quello prodotto dai combustibili fossili, ha un ruolo causale nell’aumento della mortalità in generale e della frequenza di danni acuti, subacuti e cronici della salute e che il particolato sospeso, in specie le frazioni ultrafini, hanno la capacità di penetrare e diffondersi all’interno dell’organismo e possono esercitare un effetto nocivo sia di per sè sia veicolando sostanze ad alta tossicità; che inoltre la relazione fra la concentrazione di PM, soprattutto ultrafine, ed effetti avversi sulla salute è lineare e che non vi è quindi un livello di soglia al disotto del quale si possa prevedere l’assenza di effetti nocivi.
Ciò ha portato il Prof. Tomatis a concludere che doveva ritenersi biologicamente plausibile che gli effetti dannosi indotti a livello cellulare dalle nanoparticelle potevano avere un effetto aggravante su patologie preesistenti e sulla tossicita’ indotta da altri agenti nocivi ambientali e quindi agire da concause di una serie di patologie, o che potevano contribuire di per se’ a creare una situazione favorevole alla comparsa di patologie cronico-degenerative, o potevano esserne di per se’ all’origine.
Il CTU aveva peraltro rimarcato che gli studi scientifici non avevano però fornito elementi risolutivi per valutare quali e in quale misura gli effetti dannosi fossero attribuibili specificatamente alle particelle ultrafini e alle nanoparticelle; in sostanza né si conosceva il meccanismo produttivo né si sapeva come e in quale misura le nanoparticelle interferissero e quali fossero le conseguenze dannose causalmente collegabili alle stesse.
Come poi aveva ulteriormente precisato il Prof. Rodriguez, era un ragionamento logico ineccepibile ipotizzare ad esempio che un soggetto già ammalato di una grave patologia respiratoria tumorale potesse avere un peggioramento generale dello stato di salute in conseguenza della sua permanenza in un ambiente insalubre a causa dell’inquinamento atmosferico ovvero ipotizzare che in una persona affetta da broncopneumopatia cronico-ostruttiva, che ha tra le proprie cause eziologiche l’inquinamento, fosse più facile l’insorgenza di patologie tumorali in quanto la malattia diminuiva le capacità di reazione; ma il CTU aveva peraltro precisato che tale ragionamento logicamente corretto ma ipotetico non consentiva di dire nel singolo caso concreto se e in che misura fosse stato anticipato il decesso ovvero se e in che misura fosse avvenuto che il paziente, già ammalato, si fosse scompensato.
Il CTU in particolare aveva ribadito che ritenere plausibile un ruolo delle nanoparticelle nell’insorgenza di certe malattie non consentiva ancora comunque di trarre delle conclusioni giacchè non era possibile ricostruire un percorso patogenetico e quindi non era possibile .
I CTU Prof. Tomatis e Prof. Rodriguez si sono poi concentrati nel caso che più consentiva di avvicinarsi alla soluzione, quello di M. E. affetta da sarcoidosi, patologia che era insorta anche in 26 Vigili del Fuoco che erano intervenuti in occasione dell’attentato alle torri gemelle a New York e che avevano quindi respirato l’aria densa di particolato conseguente all’incendio e al crollo degli edifici.
I CTU hanno peraltro concluso nel senso di non ritenere neppure in tal caso di poter dare delle risposte di correlazione causa-effetto, neppure a semplice livello di concausa’ e il Prof Rodriguez, risentito sul punto dal PM, ha ribadito con convinzione tale concetto escludendo di poter giungere a qualsivoglia conclusione, se non a quella di un interessante punto di partenza per la ricerca scientifica.
Alla luce di tali complesse risultanze, se anche è pacifico che la CTE di Porto Tolle ha emesso per anni, in enorme quantità, macro e microinquinanti e che nella zona non vi erano altre rilevanti fonti di inquinamento, così come riconosciuto nella sentenza di condanna n.192/06 emessa dal Tribunale di Rovigo, sezione distaccata di Adria, sebbene è assolutamente provato in letteratura scientifica il ruolo causale dell’inquinamento dell’aria nell’aumento di frequenza di danni sia acuti che cronici per patologie cardio circolatorie e respiratorie, non si è però raggiunta nell’odierno procedimento la prova che vi sia stato anche un ruolo causale certo dell’inquinamento dell’aria prodotto dalla CTE in relazione all’insorgenza di malattie tumorali, ed in particolare non si è raggiunta la prova che le specifiche malattie di cui sono portatrici le persone offese, o di cui sono deceduti i loro familiari, così come indicate nel capo di imputazione sub A e come diagnosticate dalla CTU dei Prof. Tomatis e Prof. Rodriguez, siano state certamente causate o anche solo agevolate dall’inalazione o ingestione di micro e nanoparticelle provenienti dalla CTE di Polesine Camerini; è mancato inoltre il nesso causale in relazione all’omessa collocazione di impianti così come indicato nel capo di imputazione sub B e il pericolo di insorgenza di malattie tumorali ed in particolare delle specifiche malattie di cui sono portatrici le persone offese, o di cui sono deceduti i loro familiari.
Tutto ciò premesso
visti gli artt. 408/411 C.P.P. e 125m D. Lv. 271/89
c h i e d e
che il Giudice per le indagini preliminari in sede voglia disporre l’archiviazione del procedimento per Z. C.. B. R., T. F. e S. P. per le ipotesi di reato sopra descritte di cui agli artt. 110 cp, 81 cpv cp, 589 cp, 449 cp (capo A) e agli artt. 110 cp, 81 cpv cp, 437 cp (capo B) in relazione alle specifiche malattie di cui sono portatrici le persone offese, o di cui sono deceduti i loro familiari ed ordinare la conseguente restituzione degli atti al proprio Ufficio.
Manda alla Segreteria per l’avviso ex art.408 cpp alle persone offese che abbiano dichiarato di voler essere informate circa l’eventuale archiviazione.
Rovigo, lì 21/4/2008


Il Procuratore della Repubblica
Dott. Lorenzo Zen

Il Sostituto Procuratore
Dott.ssa Manuela Fasolato