Cass. Sez. III n. 22012 del 9 giugno 2010 (Ud. 13 apr. 2010)
Pres. Onorato Est. Teresi Ric. Sanpaolesi ed altri
Aria. Emissioni da biogas proveniente da discarica

Le emissioni in atmosfera di biogas provocate nella gestione di una discarica a causa della mancata adozione di accorgimenti diretti ad assicurare la corretta captazione e il razionale convogliamento dei notevoli quantitativi di biogas lasciando incompleti e liberi di scaricare in aria vari pozzi di raccolta della maleodorante miscela gassosa bruciata solo in parte attraverso l’accensione di fiaccole, non sono certamente consentite dal D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 e sono, invece, vietate da regole generali o speciali che impongono misure di cautela e prevenzione molto rigorose, come quelle previste dal D.M. 12 luglio 1990, che in forza dello stesso DPR. n. 203 del 1988, art 3 ha dettato le linee guida per il contenimento delle emissioni, oltre che per la fissazione dei valori limite (fattispecie relativa all'applicazione dell'articolo 674 c.p.).

 

UDIENZA del 13.04.2010

SENTENZA N. 705

REG. GENERALE N. 31799/2009


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale



Composta dagli ill.mi Signori:


dott. Pierluigi Onorato                         Presidente
1. dott. Alfredo Teresi                             Consigliere rel.
2. dott. Claudia Squassoni                      Consigliere
3. dott. Guicla I. Mulliri                            Consigliere
4. dott. Giulio Sarno                                Consigliere


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sui ricorsi proposti agli effetti civili da
1. Sanpaolesi de Falena Luca
2. Sanpaolesi de Falena Francesca
3. Sanpaolesi de Falena Giovanni
4. Facibeni Paolo
5. Facibeni Lorenzo
6. Facibeni Cosimo
7. Nazzareno Giannadrea
8. Carpita Marisa
9. Carpineti Eraclio
10. Galletti Fabrizio
11. Mauceli Serena
12. Callegari Graziano
13. Mazzamuto Franco
14. Galletti Ivo
15. Neroni Edelways
16. D'Ignazio Luigi
17. D'Ignazio Giovanni
18. Bongi Marcello
19. Dacomo Franca Maria
20. Di Leila Leonardo
21. Mannucci Sabina
22. Giusti Gino
23. Carpineti Giancarlo
24. Zadrozna Anna Elzbieta
25. Pirilli Carmela
26. Cazzuola Monica
27. Piancatelli Maria Teresa


parti civili nel procedimento penale a carico di


1. Nenci Alessandro
2. Montanucci Pier Angelo

3. Lami Valerio


avverso la sentenza pronunciata dalla Corte d'Appello di Firenze in data 9.03.2009 che, in riforma della sentenza di primo grado, ha assolto i predetti
- perché il fatto non è previsto dalla legge come reato dall'imputazione di cui agli art. 113 e 674 cod. pen.;
- perché il fatto non sussiste (modificando la formula assolutoria di primo grado) dall'imputazione di cui agli art. 113 cod. pen. 51, commi 3 e 4, d. lgs. n. 22/1977;
- perché il fatto non sussiste dall'imputazione di cui agli art. 113 cod. pen. e 25 d.P.R. n.203/1988
e ha revocato le statuizioni civili della sentenza impugnata;


- Visti gli atti, la sentenza denunciata e i ricorsi;
- Sentita in pubblica udienza la relazione del Consigliere dott. Alfredo Teresi;
- Sentito il PM nella persona del PG, dott. Alfredo Montagna, che ha chiesto l'annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile competente;
- Sentiti i difensori delle parti civili, avv. Enrico Pappalardo e Nando Bartolomei che hanno chiesto l'annullamento, con o senza rinvio, della sentenza impugnata e la condanna degli imputati alla rifusione delle spese sostenute nel grado;
- Sentito il difensore del ricorrente, avv. Alberto Uccelli, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;


osserva


Con sentenza in data 9.03.2009 la Corte d'Appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado, assolveva Nenci Alessandro, Montanucci Pier Angelo e Lami Valerio
- perché il fatto non è previsto dalla legge come reato dall'imputazione di cui agli art. 113 e 674 cod. pen. [Nenci, quale presidente del CdA della REA s.p.a; Montanucci, quale amministratore delegato della REA s.p.a.; Lami, quale direttore tecnico della REA s.p.a., in cooperazione colposa tra loro, nell'esercizio dell'attività della discarica di Scapigliato gestita dalla predetta società,

- non realizzando barriere frangivento lungo il perimetro della discarica - come prescritto dalla Provincia di Livorno -;

-non procedendo a corretta captazione e convogliamento di notevoli quantitativi del biogas sviluppato dalla macerazione dei rifiuti;

- lasciando vari pozzi di biogas incompleti e liberi di scaricare in aria il biogas accumulato e bruciato solo in parte attraverso l'accensione di fiaccole, provocavano emissioni di biogas atte a molestare persone viventi nelle aree circostanti];
- perché il fatto non sussiste (modificando la formula assolutoria di primo grado) dall'imputazione di cui agli art. 113 cod. pen. 51, commi 3 e 4, d. lgs. n. 22/1977 [i predetti nelle rispettive qualità e nell'esercizio dell'attività sopraindicata, non realizzando barriere frangivento lungo il perimetro della discarica, come prescritto dalla Provincia di Livorno, avevano gestito la discarica senza rispettare la prescrizione prevista nella prima autorizzazione all'esercizio dell'impianto];
- perché il fatto non sussiste dall'imputazione di cui agli art. 113 cod. pen. e 25 d.P.R. n.203/1988 [per non avere - Nenci e Montanucci - presentato alla competente autorità richiesta di autorizzazione all'emissione diffuse in atmosfera provenienti dalla scarica gestita dalla suddetta società]
e revocava le statuizioni civili della sentenza impugnata.


Premetteva la Corte che la discarica di Scapigliato, attivata nell'anno 1982, dal gennaio 1997 era stata affidata dal Comune di Rosignano Marittimo, proprietario dell'area e titolare delle concessioni amministrative, alla s.p.a. REA.


Essendo stata la discarica inserita nel piano regionale di smaltimento dei rifiuti con conseguente incremento del quantitativo di rifiuti accettati, si era reso necessario l'ampliamento dei lotti.


L'impianto era sede definitiva dei rifiuti all'interno di scavi nei quali il materiale, prima disposto in strati, era costipato e sottoposto a ricoprimento giornaliero con versamenti di terreno.


Nel sito esistevano impianti di captazione e riciclo del biogas costituiti da pozzi di raccolta terminanti con tubazioni di sfiato alla cui sommità erano collocate fiaccole per la combustione del gas esalato e ciò per ridurre le esalazioni maleodoranti del biogas.


Tanto premesso, la Corte, rilevato che la prescrizione di collocare barriere arboree frangivento sui confini dell'area [disposta dalla Giunta provinciale di Livorno il 6.05.1985] non era stata attuata dal Comune di Rosignano Marittimo, all'epoca gestore dell'impianto, e che negli atti di approvazione degli ampliamenti successivi la prescrizione non era stata riproposta, riteneva che ostava alla configurazione del reato di cui all'art. 51, co. 3 e 4, d. lgs. n. 22/1997 la conformazione assunta nel corso del tempo dalla discarica, in continuo ampliamento [da concava era divenuta convessa sicché la piantumazione di alberi su confini labili non poteva svolgere alcuna azione frangivento], donde la pronuncia d'insussistenza del fatto a modifica della formula "perché il fatto non costituisce reato" (per carenza dell'elemento psicologico del reato) adottata dal tribunale.


Quanto alla presenza in discarica di vari pozzi di biogas incompleti e di fiaccole non accese in maniera permanente, la corte territoriale rilevava che, con la delibera della giunta provinciale di Livorno n. 2507 del 29.05.1991 con cui era stato approvato il progetto generale attuativo di completamento e di estensione della discarica, era stato previsto il ripristino dei pozzi esistenti e la realizzazione di altri settantacinque pozzi per la raccolta del biogas e riteneva, recependo le considerazioni tecniche del perito Baccaro, che, trattandosi di un impianto già operativo, la diffusione del biogas non poteva essere efficacemente contenuto perché le opere sopraindicate avrebbero dovuto essere innestate nel corso della messa a dimora dei rifiuti quando il biogas non era giunto a maturazione, sicché non era possibile collegare i pozzetti di aspirazione agli impianti di cogenerazione immediatamente dopo lo spandimento dei rifiuti in quanto la quantità di metano, nelle prime fasi di degradazione del materiale, è insufficiente ad alimentare la combustione in continuo del biogas.


Inoltre, lo spegnimento delle fiaccole era dipeso dalla concentrazione bassa di metano presente nel biogas che non garantiva un'accensione costante.


Per tali ragioni la corte territoriale riteneva non configurabile la fattispecie criminosa prevista dalla seconda parte dell'art. 674 cod. pen. perché la discarica, con i suoi successivi ampliamenti sempre più vicini agli insediamenti abitativi, era stata gestita nel rispetto delle ottenute autorizzazioni, sicché non potevano essere ascritti ai responsabili della gestione le emissioni diffuse maleodoranti.


L'assoluzione di Nenci e Montanucci dal reato di cui all'art. 25 del d.P.R. n. 203/1988 era giustificata dal fatto che fino al 17.03.2006, data di entrata in vigore del d. lgs. n. 152/2006, non erano tenuti a chiedere l'autorizzazione gli impianti industriali di produzione di beni o servizi e gli impianti di pubblica utilità che effettuavano emissioni in atmosfera diffuse, a differenza degli impianti che davano luogo a emissioni convogliate o tecnicamente convogliabili.


Proponevano ricorsi per cassazione agli effetti civili le parti menzionate in epigrafe denunciando violazione di legge; mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione:
- sulla disposta rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, ex art. 603 c.p.p., per l'espletamento di una nuova perizia affidata al dr. Baccaro senza un'adeguata motivazione sulla necessità dell'indagine;
- sul sindacato da parte della corte territoriale esteso a punti non dedotti nei motivi d'appello degli imputati [costoro avevano fatto specifico riferimento a una delle condotte indicate nell'imputazione ex art. 674 c.p.: la mancata realizzazione delle barriere frangivento, senza sollevare censure sulla mancata captazione e sul mancato convogliamento del biogas e sull'incompleta realizzazione dei pozzi di raccolta e dei relativi sfiati], donde la violazione del principio devolutivo;
- sulla ritenuta insussistenza del reato di cui all'art. 674 cod. pen. che, invece, ricorre non solo quando le emissioni inquinanti violano i limiti di legge, ma anche quando si superano i limiti della normale tollerabilità ex art 844 c.c. per l'omessa attuazione degli accorgimenti tecnici idonei a eliminare o contenere le emissioni moleste, nella specie, accertate con dichiarazioni testimoniali provenienti anche dai funzionari dell'ARPAT di Pisa;
- sull'acritica adesione da parte dei giudici d'appello alle conclusioni del perito da essi nominato senza tenere conto delle consulenze esperite nel giudizio di primo grado e degli elementi probatori offerti dalle difese, specificamente riportati nei ricorsi;
- sull'esclusione del reato di cui all'art. 25 d.P.R. n. 203/1988 sia per l'erroneità della premessa che solo per le emissioni convogliabili dovesse essere richiesta, prima dell'entrata in vigore del decreto 152/2006, la relativa autorizzazione sia perché la corte territoriale si era contraddetta nel dire che nell'impianto vi era una rete di captazione del biogas e che le emissioni della discarica erano diffuse.


Chiedevano i ricorrenti l'annullamento della sentenza.


Gli imputati Nenci e Montanucci depositavano memorie difensive.

 

I ricorsi agli effetti civili sono fondati e devono essere accolti.


Va, anzitutto, esaminato il motivo attinente alla violazione dell'art. 674 cod. pen. alla luce dei più recenti approdi giurisprudenziali di questa Corte secondo cui la clausola "nei casi non consentiti dalla legge", propriamente riservata all'emissione di gas, vapori o fumi prevista nella seconda parte della norma, va intesa nel senso che, quando la diffusione provenga da un'attività economica socialmente utile e, come tale, legislativamente disciplinata, esula il reato se la diffusione è consentita dalla legge, ovverosia non supera i limiti tabellari previsti dalla legge speciale vigente nella soggetta materia [Cassazione Sezione III, n. 36845/2008, PG. e P.C. in proc. Tucci e altri].
In tal caso non può intervenire condanna penale per un'emissione in atmosfera che la legge speciale consente e valuta come tipicamente non pericolosa.
Tuttavia, la predetta clausola esclude il reato non per tutte le emissioni provocate dall'attività industriale regolamentata e autorizzata, ma solo per quelle emissioni che sono specificamente consentite attraverso limiti tabellari o altre determinate disposizioni amministrative potendosi solo queste ultime emissioni presumersi legittime [Sezione III n. 16286/2008, RV. 243456: "La clausola "nei casi non consentiti dalla legge" contemplata nell'art. 674 cod. pen., non i riferibile alla condotta di getto o versamento pericoloso di cose di cui alla prima parte della norma citata, ma esclude il reato solo per le emissioni di gas, vapori o fumo che sono specificamente consentite attraverso limiti tabellari o altre determinate disposizioni amministrative. (Fattispecie nella quale i stata esclusa l'applicabilità di tale clausola in un caso di diffusione di polveri nell'atmosfera provocate nel corso di un'attività produttiva, emissioni vietate dal D.M. 12 luglio 1990, impositivo di misure di cautela e prevenzione molto rigorose)."


Invece, non possono presumersi come legittime le altre emissioni, connesse più o meno direttamente all'attività produttiva regolamentata, che il legislatore non disciplina specificamente o che addirittura considera pericolose perché superiori ai limiti tabellari, o che vuole comunque evitare attraverso misure di prevenzione e di cautela imposte all'imprenditore [Cassazione Sezione III n. 40191/2007, Schembri, RV. 238054; Sezione III n. 2475/2007, Alghisi, RV. 238447].


Muovendo da tali premesse, è chiaramente erronea la valutazione giuridica della corte territoriale che, discostandosi senza valide argomentazioni dalla tesi del tribunale, aderente all'esegesi normativa dominante, si è attestata su una linea interpretativa superata da questa Corte pervenendo a una decisione erronea.


Nel caso di specie, le emissioni in atmosfera di biogas provocate nella gestione della discarica a causa, non tanto dalla mancata installazione di barriere arboree sui confini dell'area della discarica [stante la labilità degli stessi, per il continuo allargamento del sito, e la conformazione convessa della stratificazione dei rifiuti, donde la trascurabile efficacia dell'accorgimento, peraltro oggetto di una risalente prescrizione mai osservata e non impartita direttamente ai legali responsabili della società REA], ma a causa della mancata adozione di accorgimenti diretti ad assicurare la corretta captazione e il razionale convogliamento dei notevoli quantitativi di biogas lasciando incompleti e liberi di scaricare in aria vari pozzi di raccolta della maleodorante miscela gassosa bruciata solo in parte attraverso l'accensione di fiaccole, non erano certamente consentite dal d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, ma erano, invece, vietate da regole generali o speciali che imponevano misure di cautela e prevenzione molto rigorose, come quelle previste dal D.M. 12 luglio 1990, che in forza dello stesso D.P.R. n. 203 del 1988, art. 3 ha dettato le linee guida per il contenimento delle emissioni, oltre che per la fissazione dei valori limite (v. in particolare i paragrafi 6.1, 62, 6.3 e 6.4).


Nel caso di specie, la corrispondenza tra la gestione della discarica senza l'osservanza di tali regole e le emissioni maleodoranti oggetto delle lamentele delle parti civili ed emerse da numerose testimonianze, tra cui quelle degli operatori dell'ARPAT, è stata esclusa dalla sentenza impugnata sulla base di una motivazione assolutamente carente, inidonea a imporsi sulla correttezza logica e giuridica con cui il tribunale monocratico aveva ravvisato profili di colpa a carico degli imputati in ordine all'emissione del biogas e all'irrazionale sistema del suo convogliamento.


La sentenza impugnata ha pure immotivatamente escluso il reato di cui all'art. 25 del d.P.R. n.203/1988 ritenendo non addebitabile agli odierni imputati la mancata presentazione della domanda di autorizzazione per l'immissione in atmosfera di biogas.


Questa Corte nella sentenza di questa Sezione III n. 24328/2004 RV. 230104 ha affermato che "le emissioni di biogas di una discarica di rifiuti solidi urbani rientrano nella normativa sulla prevenzione dell'inquinamento di cui al d.P.R. 203/1988 e devono, pertanto, formare oggetto da parte della P.A., di specifiche prescrizioni durante tutto l'esercizio dell'attività, in quanto tali discariche sono stabilimenti di pubblica utilità idonei a dare luogo all'inquinamento atmosferico e tale fenomeno va considerato nella uniitaria autorizzazione integrata preventiva" argomentando che il suddetto decreto sottopone a preventivo controllo, nella forma di un'autorizzazione regionale espressa e specifica, l'inizio della costruzione di un nuovo impianto e distingue tale momento da quello dell'attivazione dell'esercizio, ugualmente soggetto a controllo regionale.


L'art. 1 (dello stesso decreto) sottopone alla suddetta disciplina "tutti gli impianti che possono dar luogo ad emissioni nell'atmosfera", mentre la definizione di impianto di cui al punto 9 dell'art. 2 ha riguardo allo "stabilimento o altro impianto fisso che serva per usi industriali o di pubblica utilità e possa provocare inquinamento atmosferico, ad esclusione di quelli destinati alla difesa nazionale".


Le iniziali incertezze circa la portata della norma sono venute sostanzialmente meno per effetto del DPCM 21/7/1989, che ha dettato norme d'indirizzo e coordinamento per l'attuazione e l'interpretazione del d.P.R. n. 203/1988, stabilendo la sua applicazione "agli impianti industriali di produzione di beni o servizi ... escludendo gli impianti termici non inseriti in un ciclo di produzione..., gli impianti di climatizzazione..., gli impianti termici destinati esclusivamente a riscaldamento dei locali....".


L'assoggettabilità o meno dei singoli impianti alla suddetta normativa (d.P.R. 203/1988), inoltre, ha dato luogo a diverse pronunce della Suprema Corte che si è soffermata sulla definizione d'inquinamento atmosferico di cui all'art. 2, punto 1, riscontrandone la sussistenza "....non necessariamente in caso di un accertato pericolo di danno alla salute dell'uomo, per la presenza di sostanze inquinanti o tossiche o nocive, ma anche solo per un'alterazione dell'atmosfera che incida negativamente sui beni naturali o anche semplicemente sull'uso di essi...." [Cassazione Sezione III, 3/3/1992, Forte; Cassazione Sezione I, 7/6/1996].


Conseguentemente questa Corte ha affermato i seguenti principi di diritto nella materia de qua:
- "Le emissioni di biogas di una discarica di rifiuti rientrano nello normativa sulla prevenzione dell'inquinamento atmosferico di cui al D.P.R. 203/1988 e devono formare oggetto di specifiche prescrizioni tecniche durante tutto l'esercizio dell'attività e non solo quando la discarica si sia esaurita. L'obbligo di provvedere alla captazione discende direttamente dalla legge, mentre la P.A. può solo determinare le modalità tecniche con cui provvedere. Le discariche sono stabilimenti di pubblica utilità idonei a dar luogo all'inquinamento atmosferico, fenomeno che deve essere considerato nell'unitaria autorizzazione integrata preventiva"
- "la fattispecie di cui all'art. 674 cod. pen. non richiede per la sua configurabilità il verificarsi di un effettivo nocumento alle persone, essendo sufficiente il semplice realizzarsi di una situazione di pericolo di offesa al bene che la norma intende tutelare..., atteso che anche con ciò può determinarsi un rischio per la salubrità dell'ambiente e conseguentemente della salute umana" [Cassazione Sezione III n. 46846/2005, RV. 232652];
- "tale ipotesi di reato può concorrere con quelle relative alla tutela dell'ambiente stante la diversa struttura della fattispecie e i differenti beni giuridici tutelati" [cfr. Cassazione Sezione I n. 26109/2005, RV. 231882].


Alla luce delle suddette considerazioni, la discarica de qua, gestita dalla REA S.p.A., rientra nell'ambito di applicazione del D.P.R. 203/1988, trattandosi di un impianto di pubblica utilità.


Pertanto, assorbiti in quelli trattati i residui motivi di ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al competente giudice civile in grado di appello, mentre gli imputati vanno condannati alla rifusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili, liquidate come in dispositivo.


PQM


La Corte annulla la sentenza impugnata in ordine alle statuizioni civili relative ai reati di cui agli art. 674 cod. pen. (capo A) e all'art. 25 d.P.R. n. 203/1988 (capo D) con rinvio alla Corte di Appello civile di Firenze.


Condanna gli imputati alla rifusione delle spese processuali di questo grado liquidate complessivamente in €. 25.000 (per le parti civili difese dall'avv. Nando Bartolomei) e in E. 9.000 (per le parti civili difese dall'avv. Enrico Pappalardo) oltre gli accessori di legge.


Cosi deciso in Roma nella pubblica udienza del 13.04.2010.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA il  9 GIU. 2010