Sez. 3, Sentenza n. 4514 del 20/01/2006 Cc. (dep. 03/02/2006 ) Rv. 233107
Presidente: Papadia U. Estensore: Amoroso G. Relatore: Amoroso G. Imputato: Rapotan e altri. P.M. Fraticelli M. (Parz. Diff.)
(Annulla senza rinvio, Trib. Pavia, 20 Settembre 2005)
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Inquinamento atmosferico - Prescrizioni dell'autorizzazione che impongano adempimenti prodromici alla messa in esercizio dell'impianto - Inosservanza - Configurabilità del reato - Sussistenza - Perfezionamento ed esaurimento della condotta illecita - Coincidenza con l'attivazione dell'impianto - Fattispecie in materia di sequestro preventivo.

In tema di inquinamento atmosferico, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 24 comma quarto, d.P.R. 24 maggio 1988 n. 203, fra le "prescrizioni" la cui inosservanza dà luogo a sanzione penale, possono ricomprendersi anche quelle che impongano adempimenti prodromici alla messa in esercizio del nuovo impianto, in funzione di una preventiva verifica delle condizioni ambientali esistenti nel luogo in cui l'impianto stesso dovrà essere attivato. In tal caso, però, il reato si perfeziona e si esaurisce all'atto in cui l'attivazione ha effettivamente luogo. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha escluso che potesse trovare giustificazione, sotto il profilo della rappresentata esigenza di impedire la prosecuzione del reato e l'aggravamento delle relative conseguenze, il sequestro preventivo di una centrale elettrica le cui emissioni non risultavano superiori ai limiti consentiti ma la cui attivazione non era stata preceduta, contrariamente a quanto disposto nei provvedimenti autorizzativi, dalla rilevazione, per un certo tempo, della qualità dell'aria nella zona interessata).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente - del 20/01/2006
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere - SENTENZA
Dott. MANCINI Franco - Consigliere - N. 105
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere - N. 39851/2005
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GELU Rapotan;
avverso l'ordinanza del 20 (rectius 21) settembre 2005 del tribunale di Pavia;
Udita la relazione fatta in Camera di consiglio dal Consigliere Dott. Giovanni Amoroso;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dott. FRATICELLI Mario, che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo di ricorso (irrituale costituzione del P.M. all'udienza camerale per il riesame) e annullamento con rinvio dell'impugnata ordinanza;
Uditi l'avv. Prof. Grosso Carlo Federico, l'avv. Prof. Dell'Anno Paolo e l'avv. Raffaelli che hanno concluso per l'accoglimento dei ricorsi e l'annullamento senza rinvio dell'impugnata ordinanza. la Corte osserva:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con decreto emesso in data 30 luglio 2005 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Voghera, su richiesta del Pubblico Ministero, ha disposto il sequestro preventivo delle turbine e degli altri impianti comportanti emissioni atmosferiche della centrale termoelettrica a ciclo combinato di proprietà della società Voghera Energia s.p.a. e sita in Torremenapace (Voghera) in riferimento all'ipotizzato reato, a carico dell'ing. Rapotan Gelu, direttore della centrale, in concorso con altre persone, previsto e punito dal D.P.R. 24 maggio 1988 n. 203 (Attuazione delle direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203, art. 24, comma 4, concernenti norme in materia di qualità dell'aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali) che prevede il fatto di chi, nell'esercizio di un nuovo impianto, non osserva le prescrizioni dell'autorizzazione o quelle imposte dalla autorità competente nell'ambito dei poteri ad essa spettanti.
Con ordinanza del 20 (rectius 21) settembre 2005 il tribunale di Pavia ha respinto il ricorso per riesame proposto ex art. 324 c.p.p. dal Rapotan, quale indagato e legale rappresentante della società. 2. Dal fascicolo del procedimento emerge quanto segue. L'8 gennaio 2002 il Ministro dell'Ambiente, di concerto con il Ministro per i beni culturali, ha espresso una pronuncia di compatibilità ambientale del progetto di realizzazione della centrale di cui si tratta tenendo conto dei dati sulla qualità dell'aria disponibili in quel momento nonché delle simulazioni mediante modelli matematici della situazione che si sarebbe creata a seguito dell'avvio della centrale e di altri due impianti in territori limitrofi; ha peraltro previsto la necessità di "una accurata campagna di monitoraggio delle emissioni e della qualità dell'aria, che dovrà esser condotta a partire dalle condizioni attuali, e proseguita per almeno un anno dopo la definitiva entrata in servizio della centrale".
Il 25 marzo 2002 il del Ministero delle attività produttive ha autorizzato, con decreto n. 5 del 2002, la costruzione e l'esercizio della centrale impartendo una serie di prescrizioni tra le quali, all'art. 2, punto 7, l'installazione "con almeno un anticipo di dodici mesi rispetto alla data di entrata in esercizio dell'impianto ... (di) almeno due stazioni di rilevamento degli NOx ... nei punti tecnici di massima ricaduta, che dovranno essere spostate in seguito alla messa in esercizio dell'impianto nei punti effettivi di massima ricaduta".
L'installazione delle due centraline di rilevamento è stata effettuata rispettivamente il 5 marzo 2004 e il 20 agosto 2004, centraline che però sono rimaste non funzionanti fino ad aprile 2005.
Il "primo fuoco" - ossia l'iniziale avvio della centrale - c'è stato il 5 ottobre 2004. La messa a regime di cui al D.P.R. n. 203 del 1988, art. 8, è avvenuta il 1 luglio 2005 ed è stata comunicata - come prescritto da tale disposizione - in data 13 luglio 2005 alla regione ed al sindaco del comune interessato.
Il decreto autorizzatorio prevedeva poi una successiva fase di sei mesi per il collaudo, ma nelle more è stato disposto il sequestro preventivo con il menzionato decreto del 30 luglio 2005 del g.i.p. di Voghera.
3. Ha osservato il tribunale del riesame - quanto al fumus commissi delicti - che non può condividersi la tesi della difesa dell'indagato secondo cui la norma incriminatrice non sarebbe pertinente al caso concreto in quanto essa riguarderebbe esclusivamente la fase dell'attività di esercizio dell'impianto, mentre la contestata condotta omissiva sarebbe riferita a prescrizioni da attuare prima dell'avvio dell'impianto stesso. Deve invece ritenersi che l'esercizio dell'attività produttiva non è stato conforme alle prescrizioni dell'autorizzazione, sicché vi è il fumus che il reato si sia realizzato, così come previsto dal D.P.R. n. 203 del 1988, art. 24, comma 4, non avendo la società Voghera Energia provveduto agli incombenti preliminari necessari. Nè poteva ritenersi che il decreto di autorizzazione del Ministero delle attività produttive fosse illegittimo con riguardo al monitoraggio cd. "in bianco; decreto che, con riferimento all'adempimento imposto al punto 7, risulta chiaro e puntuale e pertanto ha una funzione integrativa della disposizione che il legislatore ha voluto formulare come norma penale "in bianco". In particolare il fatto che il decreto di valutazione di impatto ambientale non abbia previsto la durata del monitoraggio prima dell'avvio dell'impianto non ha alcuna rilevanza, ben potendo tale durata essere definita, come è avvenuto effettivamente, nel provvedimento autorizzativo del Ministero delle attività produttive. Del resto la previsione di un anno di monitoraggio non può essere indice di alcun atto di vizio di illegittimità dell'atto anche perché risulta collegata alla necessità che la campionatura avvenga con riferimento alle diverse condizioni climatiche che si presentano nel corso delle stagioni. Ha poi ritenuto il Tribunale di disattendere le osservazioni della Difesa dell'indagato in ordine a una pretesa inesigibilità del comportamento assunto come doveroso da parte della Pubblica Accusa.
Nè era ipotizzabile alcuna violazione del principio di offensività perché, secondo la tesi della Difesa dell'indagato, la centrale avrebbe sempre funzionato nel rispetto dei limiti delle emissioni consentite e senza significative ricadute sull'ambiente; la norma incriminatrice prevede infatti una fattispecie di pericolo e non di danno, inoltre il bene-ambiente non è protetto in via diretta bensì in via mediata con l'attribuzione all'autorità amministrativa poteri di controllo e con l'imposizione di prescrizioni tali da garantire il controllo medesimo.
Sul piano fattuale - osserva poi il tribunale - risulta dagli atti di indagine, e non è stato del resto contestato dall'indagato, che il monitoraggio non è stato effettuato così come previsto, poiché le due centraline sono state posizionate solo pochi mesi prima dell'avvio della centrale e comunque non hanno offerto dati convalidabili. Sicché si deve, in sintesi, ritenere esistente il fumus del reato ipotizzato per ciò che riguarda l'assenza del monitoraggio ante operam.
4. Per ciò che attiene al periculum il Tribunale concorda parzialmente con la Difesa dell'indagato in merito alle censure svolte rispetto all'affermazione contenuta nel decreto oggetto di riesame, laddove il Giudice per le indagini preliminari ha sostenuto che non sarebbe dato sapere, allo stato, "quanto la centrale inquini" per l'assenza del prescritto monitoraggio ante operam. Infatti le emissioni della centrale in funzione possono essere rilevate (e risultano essere state effettivamente rilevate) anche indipendentemente dal precedente monitoraggio e tali dati possono costituire importanti presupposti per la valutazione dell'inquinamento che può essere prodotto dall'impianto. Tuttavia - prosegue il tribunale - i dati ottenibili durante l'esercizio della centrale non sono sufficienti per il raffronto cui mira il decreto di valutazione di impatto ambientale e il decreto del Ministero delle attività produttive. La misura cautelare reale applicata impedisce comunque che il reato venga portato a conseguenze ulteriori, in quanto non consente che la centrale sia attiva in assenza dei presupposti previsti dal provvedimento autorizzativo e, segnatamente, dell'attivazione del monitoraggio durante l'anno precedente l'avvio dell'attività. Il sequestro assolve quindi alla funzione che gli è propria di impedire l'ulteriore compimento del reato, di natura permanente o, comunque, la protrazione delle conseguenze del reato, qualora si voglia ritenere il medesimo istantaneo con effetti permanenti.
Nè è violato il principio di proporzionalità delle misure cautelari; principio che deve ritenersi rispettato poiché il sequestro degli impianti della centrale atti a produrre emissioni in atmosfera risulta essere l'unica misura possibile per garantire che il reato ipotizzato non venga portato a conseguenze ulteriori. 5. Avverso questa ordinanza hanno presentato ricorso per cassazione il Rapotan e la società Voghera s.p.a..
Il ricorso del primo (datato 3 ottobre 2005) è articolato in quattro motivi con cui si denuncia: a) la violazione dell'art. 324 c.p.p. in ragione della partecipazione all'udienza camerale del P.M. che ha chiesto l'applicazione della misura (stante l'inapplicabilità, in via analogica, dell'art. 309 c.p.p., comma 8 bis) con conseguente nullità assoluta ex art. 179 c.p.p.; b) la violazione dell'art. 321 c.p.p. mancando l'offensività della condotta contestata in ragione del mancato superamento dei limiti di emissione nell'atmosfera e quindi in mancanza di inquinamento dell'aria; c) la violazione del D.P.R. 203 del 1988, art. 24, comma 4, in quanto, trattandosi di un reato istantaneo e non essendo possibile alcun adempimento postumo, non è neppure ipotizzabile una protrazione dell'attività criminosa sicché non c'è il periculum; d) la violazione degli artt. 275 e 321 c.p.p. non essendo stato rispettato il principio di proporzionalità della misura cautelare reale.
Le doglianze dell'indagato sono integrate dal successivo ricorso del 5 ottobre 2005 articolato in otto motivi, che ripropongono le quattro censure suddette ed inoltre denunciano: a) la violazione del D.P.R. n. 203 del 1988 cit., art. 24 perché le "prescrizioni", ivi previste, sono solo quelle che attengono all'esercizio dell'impianto, non anche quelle che precedono lo stesso; quindi non c'è il fumus del reato; b) violazione dell'art. 24 cit. in ragione dell'illegittimità delle prescrizioni contenute nel decreto ministeriale autorizzatorio che deve essere disapplicato in parte qua dal giudice penale; c) violazione dell'art. 24 cit. perché il decreto del Ministero delle attività produttive va disapplicato anche in quanto non è delegabile a privati il monitoraggio; d) violazione dell'art. 23 Cost. essendo stata illegittimamente prescritta una prestazione obbligatoria non prevista dalla legge). Anche la società ha proposto ricorso articolato in quattro motivi che ripercorrono le censure dell'indagato; in sintesi: a) si tratta di un reato commissivo consumato sicché non c'è periculum; b) è stato violato il principio di proporzionalità ed adeguatezza della misura cautelare reale; c) irritualmente il P.M. che aveva chiesto la misura ha partecipato all'udienza camerale; d) non c'è offensività nella contestata condotta omissiva mancando un fatto di inquinamento atmosferico.
Inoltre sono stati proposti nuovi motivi per il Rapotan con atto del 3 gennaio 2006.
Si deduce che l'entrata in esercizio dell'impianto non vuoi dire prima accensione dello stesso (5 ottobre 2004) e che la "messa in esercizio" è nozione diversa dall'"entrata in esercizio", distinzione che emerge dal D.P.R. 203 del 1988, art. 8. Non rileva l'inidoneità dei dati (fino ad aprile 2005) e d'altra parte la prescrizione del previo monitoraggio in bianco per un anno risponde solo ad una prassi, ma non ha base normativa. Si richiama poi una normativa in corso di emanazione: il D.L. approvato dal Consiglio dei Ministri il 22 dicembre 2005, art. 23, comma 5, recante l'interpretazione autentica dell'art. 8 cit.: l'"entrata in esercizio" si ha solo sei mesi dopo il collaudo. In conclusione alla data del sequestro (30 luglio 2005) la centrale non era "entrata in esercizio" e quindi il termine annuale previsto per la previa installazione delle centraline di rilevamento non era ancora scaduto. Inoltre si ribadisce la manca il periculum trattandosi di una condotta omissiva esaurita. Infine è stata presentata una memoria integrativa del 4 gennaio 2006. Si invoca in particolare lo jus superveniens: il D.L. 30 dicembre 2005 n. 273, art. 23, comma 5, in corso di conversione in legge. Da ciò si desumerebbe che l'installazione delle due centraline (5 marzo 2004 e 20 agosto 2004) è stata effettuata ben prima di dodici mesi dall'"entrata in esercizio". La sequenza sarebbe la seguente: la "messa a regime" è avvenuta il 1 luglio 2005; è seguita la comunicazione del 13 luglio 2005 D.P.R. n. 203 del 1988 cit., ex art. 8; segue il periodo di sei mesi per il collaudo di cui al decreto del Ministero delle attività produttive fino al 13 gennaio 2006; si innesta poi la proroga di sessanta giorni prevista dal D.L. n. 273 del 2005 cit. fino al 13 marzo 2006, termine non ancora scaduto. Parimenti si insiste comunque sulla mancanza del periculum.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi, che possono essere trattati congiuntamente perché oggettivamente connessi e recanti motivi in massima parte sovrapponibili, pongono essenzialmente tre questioni: una - di carattere processuale e quindi preliminare rispetto al merito - attinente alla ritualità del procedimento camerale (infra sub 2), l'altra al fumus del commesso reato (infra sub 3 ss.), ed infine un'altra ancora attinente al periculum (infra sub 4 ss.) posto a fondamento del sequestro preventivo. Una possibile quarta questione - riguardante la proporzionalità ed adeguatezza della misura - risulterà invece assorbita.
2. Tutti i ricorsi - ma in vero non anche i nuovi motivi per Rapotan del 3 gennaio 2006 - hanno posto la questione della ritualità del procedimento camerale; e ciò hanno fatto in astratto rilevando che l'art. 309 c.p.p., comma 8 bis, introdotto dal D.L. 23 ottobre 1996 n. 553, art. 1, conv. in L. 23 dicembre 1996 n. 652, che prevede che il pubblico ministero che ha richiesto l'applicazione della misura coercitiva può partecipare all'udienza camerale in luogo del pubblico ministero presso il tribunale del luogo nel quale ha sede la corte di appello o la sezione distaccata della corte di appello nella cui circoscrizione è compreso l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza, non trova alcun corrispondente nell'art. 324 c.p.p. talché bisogna inferirne che, ove all'udienza camerale partecipi il P.M. presso l'autorità giudiziaria che abbia emesso la misura cautelare reale, richiesta appunto da quel P.M., si determina una violazione della legge processuale sub specie di nullità assolta ex art. 179 c.p.p., dovendo ritenersi prevista la sola partecipazione del P.M. presso l'autorità giudiziaria investita del riesame e non contemplata invece (e quindi interdetta) quella del P.M. che abbia richiesto la misura cautelare reale. In diritto deve osservarsi che effettivamente questa Corte (Cass., sez. 5^, 22 dicembre 1998 - 2 marzo 1999, n. 7114) ha affermato che, poiché il p.m. "ripete" la sua competenza dal giudice presso il quale esercita le sue funzioni, in difetto di una espressa disposizione in senso contrario, l'organo dell'accusa può esercitare le sue funzioni consultive solo nei procedimenti incardinati presso il "suo" giudice; il principio trova applicazione sia per la partecipazione del p.m. all'udienza, sia per l'esercizio del diritto di impugnazione ed anche nei procedimenti incidentali, relativi a misure cautelari, personali o reali;
pertanto, qualora il legislatore adoperi genericamente l'espressione "p.m.", la stessa deve ritenersi relativa solo al rappresentante dell'ufficio presso il giudice procedente, con la conseguenza che, quando il riesame o l'appello hanno ad oggetto provvedimenti di organi giudiziari diversi da quelli esistenti presso il tribunale della libertà, è il p.m. costituito presso tale organo ad essere legittimato a ricevere l'avviso per l'udienza camerale, a partecipare al procedimento ed a proporre l'eventuale impugnazione (conf. Cass., sez. 3^, 25 novembre 1999 - 11 gennaio 2000, n. 3747).
2.1. Tuttavia nella specie la dedotta nullità non sussiste mancandone il presupposto di fatto.
In proposito - con riferimento alla procedura camerale innanzi al tribunale di Pavia - va stigmatizzata la mancata completa esposizione dei fatti nei ricorsi in esame che tacciono in ordine ad una circostanza decisiva: all'udienza camerale del 21 settembre 2005 preliminarmente il collegio - come risulta dal verbale - ha provveduto ad immettere nelle funzioni di Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pavia il dott. Walter Cotugno, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Voghera; ciò in forza del provvedimento di applicazione del Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Milano del 20 settembre 2005.
Quindi - al di là dell'identità della persona fisica del magistrato che ha svolto le funzioni di P.M. (circostanza di per sè irrilevante, e comunque non dedotta come rilevante dai ricorrenti) - deve ritenersi che all'udienza camerale suddetta ha partecipato non già il P.M. (di Voghera) che aveva richiesto la misura cautelare, bensì il P.M. (di Pavia) presso l'autorità giudiziaria chiamata a decidere sul ricorso per il riesame. Nè nei ricorsi per cassazione si ipotizza alcuna illegittimità del provvedimento di applicazione del Procuratore Generale del quale anzi nulla si dice. Del resto all'udienza camerale suddetta il collegio della difesa - come risulta dal verbale - nulla ha eccepito in proposito, mentre ha contrastato la partecipazione di altri che vantavano la qualità di parti offese e che, con apposita ordinanza del tribunale, sono stati estromessi dall'udienza.
Pertanto manca in radice il presupposto di fatto dell'eccepita nullità degli atti posti in essere all'udienza camerale per irrituale costituzione del P.M. talché il motivo di impugnazione è del tutto infondato, dovendo al contrario affermarsi che legittimamente partecipa all'udienza camerale il magistrato del pubblico ministero che abbia chiesto la misura cautelare reale ove egli sia applicato al pubblico ministero presso il tribunale del riesame ed in tale veste intervenga all'udienza medesima. 3. La sussistenza del fumus commissi delicti (id est la sussistenza dei gravi indizi) del commesso reato è contestata dalla difesa dei ricorrenti sotto plurimi profili e con varie argomentazioni che si vengono ora ad esaminare distintamente.
In questa parte i ricorsi sono infondati.
3.1. La condotta contestata all'indagato consiste - come già sopra riferito in narrativa - nel non aver ottemperato alle prescrizioni poste dal provvedimento di autorizzazione (D.M. 25 marzo 2002 del Ministro delle attività produttive) all'esercizio dell'impianto di produzione di energia elettrica della centrale di Torremenapace emanato in forza del D.P.R. n. 203 del 1988, art. 17 sulle centrali termoelettriche secondo le prescrizioni di cui al D.P.R. 11 febbraio 1998 n. 53, recante la disciplina regolamentare del procedimento autorizzatorio della costruzione e dell'esercizio di impianti di produzione di energia elettrica che utilizzano fonti convenzionali. In particolare la condotta omissiva consiste nel mancato previo posizionamento di due stazioni di rilevamento degli ossidi di azoto con un anticipo di un anno prima dell'"entrata in esercizio" dell'impianto di produzione di energia elettrica al fine di consentire il monitoraggio della qualità dell'aria in assenza di emissioni da parte della centrale.
Un primo punto controverso consiste nell'identificazione dei termini esatti della prescrizione posta dal citato decreto ministeriale. Ed in vero il prescritto previo posizionamento di due centraline di rilevamento dell'inquinamento atmosferico derivante dall'immissione degli ossidi di azoto si ricollega al D.M. 8 gennaio 2002 con cui il Ministro dell'ambiente, valutando l'impatto ambientale nella nuova centrale elettrica, ha prescritto un monitoraggio delle emissioni e della qualità dell'aria che doveva essere condotto partendo dalle "condizioni attuali" (quindi un monitoraggio in bianco con emissioni- zero da parte della centrale) e doveva esser proseguito per almeno un anno anche dopo la "definitiva entrata in servizio" della centrale (con il monitoraggio quindi delle emissioni effettive della centrale). Solo di quest'ultimo monitoraggio era indicata la durata minima (di almeno un anno); invece del previo monitoraggio in bianco non era indicata alcuna durata, però ne era inequivocabilmente prescritta l'effettuazione. A fronte di questa prescrizione il Ministro per le attività produttive ha posto, nel menzionato provvedimento autorizzatorio, una prescrizione più precisa e dettagliata: occorreva - come già sopra indicato - l'installazione "con almeno un anticipo di dodici mesi rispetto alla data di entrata in esercizio dell'impianto ... di almeno due stazioni di rilevamento degli NOx ... nei punti tecnici di massima ricaduta, che dovranno essere spostate in seguito alla messa in esercizio dell'impianto nei punti effettivi di massima ricaduta". Quindi la previa tempestiva installazione delle centraline (che è ciò che interessa nella vicenda processuale in esame) doveva essere effettuata con un anticipo di almeno un anno per consentire un monitoraggio in bianco di pari durata (un anno); ossia la stessa durata del successivo monitoraggio delle emissioni della centrale che il D.M. 8 gennaio 2002 prescriveva a partire della "definitiva entrata in servizio" della centrale stessa. Inoltre il decreto ministeriale 25 marzo 2002 prevedeva anche il posizionamento delle centraline: all'inizio le stesse dovevano essere collocate "nei punti tecnici di massima ricaduta"; localizzazione questa che si contrapponeva a quella dei "punti effettivi di massima ricaduta" dove avrebbero dovuto essere ricollocate le centraline dopo la "messa in esercizio" dell'impianto. Questa contrapposizione ("punti tecnici" di massima ricaduta versus "punti effettivi") rispecchia null'altro che la duplicità del monitoraggio effettuato dalle centraline, prima "in bianco" e poi effettivo; esattamente come richiedeva il D.M. 8 gennaio 2002 di valutazione dell'impatto ambientale. Inizialmente le centraline avrebbero monitorato soltanto la qualità dell'aria e ciò avrebbero dovuto fare laddove si prevedeva - secondo le relative conoscenze tecniche e le possibili simulazioni matematiche delle previste emissioni della centrale - la massima ricaduta delle emissione di ossidi di azoto da parte della centrale. Successivamente alla "messa in esercizio" dell'impianto il posizionamento di queste centraline avrebbe dovuto essere aggiustato tenendo conto dell'effettiva ricaduta dell'emissione degli ossidi di azoto spostando le centraline laddove il livello di tali emissioni sarebbe risultato in concreto il più elevato.
Questa seconda fase del monitoraggio nella specie non interessa perché ciò che è stato contestato all'indagato è esclusivamente la mancata previa predisposizione delle centraline per il monitoraggio in bianco, ossia della mera qualità dell'aria senza emissioni da parte della centrale.
Può subito aggiungersi che risulta dall'impugnata ordinanza - e non è in realtà contestato dalla difesa dell'indagato - che le due centraline in questione non siano state installate un anno prima della prima accensione delle turbine della centrale, ma soltanto pochi mesi prima e che per di più inizialmente non fossero neppure funzionanti.
Emerge quindi che assolutamente determinante al fine di ritenere integrata, o meno, la contestata condotta omissiva, ovviamente sempre sotto il profilo della sussistenza dei gravi indizi, è la scansione temporale: il D.M. 25 marzo 2002 considerava un anno prima la data di "entrata in esercizio" dell'impianto per l'installazione delle centraline; e poi considerava la "messa in esercizio" dell'impianto come momento rilevante per il necessario riposizionamento delle centraline già installate.
3.2. Si pone quindi il quesito di che cosa debba intendersi per "entrata in esercizio" dell'impianto; quesito in ordine al quale le difese dei ricorrenti hanno ampiamente argomentato. Orbene deve innanzi tutto considerarsi che il cit. D.P.R. n. 203 del 1988 non contiene alcun riferimento ad un'ipotetica nozione tecnica di "entrata in esercizio" dell'impianto, di cui tale testo normativo non fa mai menzione. Per contro l'art. 8 del medesimo parla di "messa in esercizio" dell'impianto e "messa a regime" dell'impianto. L'art. 8, comma 1, prescrive che l'impresa, almeno quindici giorni prima di dare inizio alla "messa in esercizio" degli impianti, ne da comunicazione alla regione e al sindaco del comune o dei comuni interessati. L'attività di "dare inizio" alla "messa in esercizio" dell'impianto consiste - secondo l'interpretazione letterale della norma coonestata dalla sua ratio che è quella di porre immediatamente gli enti interessati al corrente di una possibile fonte di inquinamento atmosferico - nel primo funzionamento dell'impianto, anche se solo in una iniziale fase sperimentale. L'art. 8, successivo comma 2, prevede poi che entro quindici giorni dalla data fissata per la "messa a regime" degli impianti, l'impresa comunica alla regione e ai comuni interessati i dati relativi alle emissioni effettuate da tale data per un periodo continuativo di dieci giorni. La "messa a regime" rappresenta quindi un momento successivo e coincide con quello in cui l'impianto comincia a funzionare secondo i tempi del normale ciclo di produzione. Un'ulteriore considerazione deve poi svolgersi. Il D.M. 25 marzo 2002, che adopera due nozioni - l'"entrata in esercizio" dell'impianto e la sua "messa in esercizio" - delle quali solo la seconda è nota al D.P.R. n. 203 del 1988 e quindi costituisce una nozione tecnica, pone comunque una sequenza temporale: prima vanno installate le centraline di rilevamento per il monitoraggio in bianco (per un anno prima dell'"entrata in esercizio") e poi il monitoraggio delle emissioni effettive (dopo la "messa in esercizio" dell'impianto). Questa sequenza temporale comporta che - nell'accezione atecnica del D.M. 25 marzo 2002 - l'"entrata in esercizio" dell'impianto non può rappresentare un momento successivo alla "messa in esercizio" e, consistendo quest'ultima nell'iniziale avvio di funzionamento, anche solo sperimentale, dell'impianto, consegue che il decreto ministeriale utilizza il termine (atecnico) di "entrata in esercizio" null'altro che come sinonimo del termine (tecnico) di "messa in esercizio". È l'iniziale avvio di funzionamento della centrale (il cd. "primo fuoco") che segna il termine dilatorio del periodo di un anno in cui le due centraline devono poter effettuare il monitoraggio in bianco e segna anche il termine iniziale a partire dal quale le centraline devono essere ricollocate nei punti effettivi di massima ricaduta delle emissioni di ossidi di azoto.
3.3. Invece la tesi della difesa dell'indagato secondo cui l'"entrata in esercizio" dell'impianto è successiva non solo alla "messa in esercizio" (art. 8, comma 1), ma anche alla "messa a regime" dell'impianto (ex art. 8, comma 2), e sarebbe da individuare in un momento successivo al collaudo dell'impianto, è destituita di fondamento.
In disparte la considerazione che il cit. D.M. 25 marzo 2002, art. 2, punto 7, non contiene alcun riferimento al collaudo dell'impianto, è sufficiente rilevare che differendo il termine suddetto ad un momento successivo all'"entrata a regime" dell'impianto, ai sensi dell'art. 8 cit., comma 2, è ben possibile che il periodo di un anno possa essere interamente successivo alla prima accensione delle turbine dell'impianto e quindi all'iniziale funzionamento, in ipotesi anche solo sperimentale, dell'impianto stesso. Ciò significa che il monitoraggio in bianco sarebbe meramente eventuale e dipenderebbe dai tempi, più o meno brevi, della "messa a regime" e del successivo collaudo dell'impianto. Il che è certamente da escludere perché il D.M. 8 gennaio 2002 di valutazione dell'impatto ambientale richiede inequivocabilmente anche il monitoraggio della qualità dell'aria a partire dalle "condizioni attuali" (ossia senza emissioni della centrale) e perché, in piena sintonia con quest'ultimo, anche il D.M. 25 marzo 2002 richiede il previo monitoraggio degli ossidi di azoto inizialmente nei "punti tecnici di massima ricaduta", ossia lì dove si prevede il massimo livello di emissioni che ancora non ci sono.
Inoltre - ulteriore palese incongruenza - se si sposta l'"entrata in esercizio" dell'impianto ad un momento successivo al collaudo previsto dal decreto di autorizzazione, oltre che successivo alla "messa a regime", si potrebbe anche verificare che l'intero periodo di un anno (a ritroso) da tale momento sia tutto successivo alla "messa in esercizio" dell'impianto; il che certamente non è possibile che sia perché il D.M. 23 marzo 2002 prevede che "in seguito alla messa in esercizio" dell'impianto le centraline di rilevamento debbano essere "spostate" nei punti di effettiva massima ricaduta delle emissioni. Ma per essere "spostate", le centraline devono già essere state in precedenza collocate nei (diversi) punti "tecnici" di massima ricaduta. Quindi la "messa in esercizio" dell'impianto - intesa ex art. 8, comma 1, cit. - come iniziale accensione delle turbine della centrale deve essere necessariamente successiva alla prima collocazione delle centraline per il monitoraggio in bianco.
3.4. La difesa dell'indagato ha poi invocato lo jus superveniens costituito D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, art. 23, comma 5, ("Definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti") che prevede che i termini, non ancora scaduti alla data di entrata in vigore del medesimo decreto, previsti per l'adeguamento alle prescrizioni contenute nei decreti autorizzativi di impianti che generano emissioni in atmosfera sono prorogati di sessanta giorni, decorrenti: a) dalla "messa in esercizio dell'impianto", intesa come data di avvio delle prime prove di funzionamento del medesimo; b) dalla "entrata in esercizio dell'impianto", intesa come data successiva al completamento del collaudo, a partire dalla quale l'impianto, nel suo complesso, risulta in funzione nelle condizioni operative definitive, ossia quando, decorsi sei mesi dalla comunicazione di cui al D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, art. 8, comma 2, si prevede il passaggio del rilevamento delle emissioni da base giornaliera a base oraria.
Tale normativa nella specie non rileva perché essa si applica solo ai termini non ancora scaduti, che vengono prorogati; nella specie invece il termine di un anno a ritroso rispetto alla data del primo iniziale funzionamento dell'impianto (dal 5 ottobre 2003 al 4 ottobre 2004) era definitivamente decorso; ne' era di fatto prorogabile perché con il "primo fuoco" era irrimediabilmente compromessa la possibilità di avere un monitoraggio della qualità dell'aria in assenza delle emissioni della centrale per un anno.
Nè la disposizione citata può valere comunque quale norma di interpretazione autentica, come infondatamente ha sostenuto la difesa dell'indagato. La funzione di interpretazione autentica non può che essere riferita alla medesima fonte della norma interpretata. Un legge di interpretazione autentica può essere tale in riferimento ad una precedente norma di legge. Un provvedimento amministrativo può avere il contenuto di interpretazione autentica di un precedente provvedimento amministrativo. Si riconosce la funzione di interpretazione autentica altresì all'autonomia privata, talché anche un contratto può interpretare autenticamente un precedente contratto. Ma non può mancare la medesimezza della fonte e quindi in particolare un legge non può fornire l'interpretazione autentica di un atto amministrativo, ma semmai può dettarne una nuova disciplina con efficacia retroattiva. Nella specie pertanto il termine "entrata in esercizio", che appare nelle prescrizioni poste dal provvedimento amministrativo costituito dal decreto autorizzatorio (D.M. 25 marzo 2002) e che non trova riscontro in alcuna nozione tecnica del D.P.R. n. 203 del 1988, non è suscettibile di interpretazione autentica ad opera di una norma di legge; e quindi il riferimento contenuto nell'art. 23 cit., comma 5, sta invece a significare che, laddove nei decreti autorizzatori la dizione "entrata in esercizio dell'impianto" sia stata utilizzata, a qualche effetto, come data successiva al completamento del collaudo, allora sì il termine fissato con riferimento a tale nozione è da intendersi prorogato di sessanta giorni, ove non già scaduto. Ma se - come nella specie - il sintagma "entrata in esercizio" viene utilizzata nel decreto autorizzatorio come sinonimo di "messa in esercizio", non si ricade nell'ipotesi dell'art. 23, comma 5: non c'è la proroga di sessanta giorni e neppure c'è alcuna (non ipotizzabile) interpretazione autentica di tale sintagma.
4. Ulteriori censure sono mosse nei ricorsi all'ordinanza impugnata sotto il profilo della mancanza del periculum, id est della mancanza - come prescrive l'art. 321 c.p.p. - del pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, essendo questa la prospettiva dell'ordinanza impugnata che non ipotizza la confiscabilità dell'impianto.
Queste censure sono nel loro complesso fondate, anche se non è condivisibile la più radicale deduzione di mancanza di offensività della condotta omissiva contestata all'indagato in ragione del mancato superamento dei limiti di emissione. È sufficiente in proposito rilevare che nella specie si tratta di un reato formale (violazione, prima dell'attivazione dell'impianto, di una specifica prescrizione posta dall'autorizzazione); sicché non rileva affatto la circostanza che poi in concreto, una volta attivato l'impianto, non ci sia stato in ipotesi alcun inquinamento atmosferico. 4.1. Il punto centrale della problematica sollevata nei ricorsi è quella della possibilità, o meno, che vi sia una protrazione o un aggravamento delle conseguenze del reato; possibilità che è necessario che sussista perché possa predicarsi la legittimità del sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p., comma 1. Orbene, occorre innanzi tutto precisare che il D.P.R. n. 203 del 1988 cit., art. 24, comma 4, nel far riferimento alle "prescrizioni" del provvedimento autorizzatorio, non contiene alcuna specificazione e quindi il contenuto della stessa può essere il più ampio, sempre che il provvedimento non risulti per altro verso affetto da eccesso di potere, come sarebbe se la prescrizione non fosse in alcun modo ricollegabile a quelle esigenze di precauzione e di controllo sottese all'investitura del potere autorizzatorio in capo all'amministrazione pubblica.
È quindi destituito di fondamento il rilievo, svolto in particolare dalla difesa dell'indagato, secondo cui le "prescrizioni" dell'art. 24, comma 4, sarebbero solo quelle che attengono a condotte da porre in essere contestualmente all'esercizio dell'impianto e non anche a quelle che in ipotesi lo debbano precedere. Questa asserita limitazione oggettiva è priva di alcun ancoraggio normativo e quindi è del tutto arbitraria. Ben poteva il Ministro per le attività produttive porre delle prescrizioni attinenti a comportamenti da tenere prima dell'attivazione dell'impianto e non già nel corso del suo esercizio.
Certo non è del tutto evidente perché l'Autorità amministrativa preposta alla tutela dell'ambiente, nella valutazione dell'impatto ambientale della centrale elettrica, si sia limitata a prescrivere (con il cit. D.M. 8 gennaio 2002) anche un monitoraggio preventivo della qualità dell'aria senza emissioni, ma senza specificarne la durata, che invece è determinata (per un anno) per la sua prosecuzione, come monitoraggio delle emissioni, dopo la "definitiva entrata in servizio" della centrale; mentre l'Autorità preposta alla regolamentazione dell'attività produttiva abbia richiesto (con il cit. D.M. 25 marzo 2002) la preventiva installazione delle centraline di rilevamento con l'anticipo di un anno per il monitoraggio in bianco, senza però più fissare la durata del monitoraggio (non più in bianco, ma) delle emissioni della centrale, dopo la "messa in esercizio" dell'impianto. Ossia il previsto - e simmetrico - limite della durata minima di un anno gioca un ruolo diverso nei due decreti ministeriali: nel primo (quello di valutazione dell'impatto ambientale) assicura un prolungato rilevamento delle emissioni della centrale (la cui ratio è di tutta evidenza: occorre conoscere con sufficiente accuratezza quanto "inquini" la centrale), coniugato comunque con un previo monitoraggio in bianco che in ogni caso deve esserci (evidentemente per fornire un termine di raffronto e comparazione); nel secondo decreto (quello di autorizzazione dell'attività produttiva) il limite temporale di un anno assicura la possibilità di un prolungato rilevamento della qualità dell'aria senza emissioni della centrale, la cui ratio è meno evidente, se si considera che non è prevista (per quanto risulta dall'ordinanza impugnata) la durata del monitoraggio delle emissioni della centrale dopo lo spostamento delle centraline, nei punti effettivi di massima ricaduta, a seguito della "messa in esercizio" dell'impianto. Sembra che nel D.M. 25 marzo 2002 l'accuratezza nella rilevazione del mero dato di raffronto (la qualità dell'aria ad emissioni zero) faccia aggio su quella nella rilevazione delle effettive emissioni della centrale. Ma questa ambiguità della causale della prescrizione della previa installazione delle centraline per il monitoraggio in bianco con l'anticipo di un anno rispetto alla "entrata in esercizio" dell'impianto non ridonda in vizio (di eccesso di potere) dell'atto e quindi rimane la prescrizione nel suo contenuto letterale, come obbligazione strumentale dell'autorizzazione assentita. Può quindi concludersi sul punto che tra le possibili prescrizioni poteva ben esserci - come in effetti c'è stata all'art. 2, punto 7, del provvedimento autorizzatorio - anche quella della previa installazione di due centraline di monitoraggio delle emissioni degli ossidi di azoto con l'anticipo di un anno prima della "messa in esercizio" dell'impianto; il che implica appunto la possibilità del previo monitoraggio in bianco per un anno senza che per ciò ci sia alcuna delega di funzioni amministrative a soggetti privati. 4.2. Nè siffatta prescrizione viola - come infondatamente sostiene la difesa dell'indagato - l'art. 23 Cost. secondo cui nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. È di tutta evidenza che la società Voghera non era affatto "obbligata" ad attivare l'impianto di produzione di energia elettrica; la predisposizione delle due centraline di rilevamento non era altro che un onere per svolgere un'attività sottoposta a controllo, ma pur sempre libera. Il parametro costituzionale è quindi malamente invocato.
Pertanto ne' sotto il profilo del contenuto, ne' sotto quello di un'improbabile contrasto con l'art. 23 Cost. la prescrizione della previa installazione delle due centraline di rilevamento poteva dirsi illegittima e quindi è fuori luogo il riferimento, contenuto nelle difese dei ricorrenti, alla disapplicazione dell'atto amministrativo da parte del giudice penale.
Può aggiungersi che l'impugnata ordinanza non manca in proposito di svolgere due ulteriori rilievi che valgono a contestare questo convincimento: la società Voghera non ha affatto impugnato il decreto autorizzatorio per dolersi dell'illegittimità della prescrizione così posta; il decreto comunque è stato impugnato da altri controinteressati (Comuni di Silvano Pietra e di Corana) e la pronuncia resa dal Consiglio di Stato in grado d'appello contiene un preciso riferimento di avallo della prescrizione di un monitoraggio ante operam e successivamente alla messa in funzionamento dell'impianto.
4.3. Ciò posto in ordine alla legittimità, in parte qua, del provvedimento autorizzatorio, occorre ora distinguere in generale nell'ambito delle possibili prescrizioni del provvedimento autorizzatorio, alle quali fa riferimento, senza alcuna ulteriore specificazione, il quarto comma dell'art. 24 cit., ossia la disposizione incriminatrice.
Tali prescrizioni possono riguardare l'attività autorizzata nello stesso momento in cui essa è posta in essere e quindi possono consistere in un comportamento dovuto, oggetto di un'obbligazione strumentale derivata dal provvedimento amministrativo, la quale si protrae per tutto il tempo il cui l'attività autorizzata è svolta secondo un criterio di contestualità. L'eventuale inadempimento della prescrizione si accompagna all'espletamento dell'attività autorizzata che, per tutta la durata del suo svolgimento, risulta difettosa; talché il reato, consistente nella violazione della prescrizione, ha in tal caso carattere permanente: l'inadempienza, penalmente rilevante, si protrae fin quando l'attività autorizzata è svolta senza l'osservanza della prescrizione e cessa nel momento in cui il comportamento dovuto è posto in essere. Vi possono essere poi prescrizioni di tipo preventivo - qual è appunto quella avente ad oggetto la previa predisposizione delle centraline di rilevamento, utilizzabili inizialmente per il monitoraggio in bianco prima dell'attivazione della centrale - che riguardano una condotta che deve essere posta in essere prima - e non già contestualmente - dell'attività autorizzata. In tal caso il mancato rispetto di queste prescrizioni ha un dies ad quem che è l'inizio dell'attività autorizzata. In quel momento si perfeziona (e si esaurisce) il reato che è formale ed il cui bene giuridico protetto consiste non già direttamente nella tutela dell'ambiente, bensì nella tutela dell'Amministrazione nell'esercizio di un potere autorizzatorio di un'attività che coinvolge anche la tutela dell'ambiente. L'omissione del monitoraggio preventivo per la prescritta durata di un anno ha leso l'interesse dell'Amministrazione ad avere un dato conoscitivo (di raffronto) utile al fine delle sue determinazioni. La condotta omissiva si è esaurita nel momento in cui vi è stata la "messa in esercizio" dell'impianto, ossia l'iniziale avvio del suo funzionamento. A quella data (5 ottobre 2004) la società - e per essa il direttore della centrale attualmente indagato nel presente procedimento penale - si è resa inadempiente perché, pur avendo previamente predisposto le due centraline di rilevamento, non l'ha fatto con l'anticipo di un anno in modo da consentire un monitoraggio in bianco di tale durata, ossia in tutte le diverse condizioni climatiche che si presentano nel corso di un anno. Questa condotta omissiva si è realizzata - e si è anche esaurita - alla data suddetta. Essa non può più essere "proseguita", ne' vi è alcun possibile "aggravamento" non essendovi conseguenze ulteriori delle quali predicare la necessità che siano impedite con la misura cautelare in esame. L'effetto dell'inadempienza della prescrizione del provvedimento autorizzatorio è l'impossibilità per la pubblica amministrazione di avere un dato conoscitivo di rilievo: la qualità dell'aria senza le emissioni della centrale, monitorata per un anno. Questo dato è ormai perso, salvo che l'amministrazione non si determini a revocare l'autorizzazione perché si ripristino le condizioni originarie di assenza di emissioni e si proceda poi ad un nuovo preventivo monitoraggio in bianco.
Nè l'effetto della violazione della prescrizione incide direttamente sulla tutela dell'ambiente. Il dato di partenza - ossia le condizioni originarie del sito in assenza di emissioni della centrale - non è di per sè rilevante; ciò che rileva è che, una volta "messa in esercizio" la centrale, le sue emissioni rispettino i limiti massimi prescritti. Ma di ciò nella specie non si fa questione perché al di fuori della norma incriminatrice e della contestazione; anzi la difesa dei ricorrenti, allegando il rispetto di tali limiti, ha sostenuto - come sopra detto - la mancanza di offensività della contestata condotta omissiva.
Invece alla diretta tutela dell'ambiente sono mirate le altre due seguenti prescrizioni del D.P.R. n. 203 del 1988 cit., art. 24 - il comma 5 e 6 - che fanno appunto riferimento al superamento dei limiti di emissione e alla qualità dell'aria, che qui non vengono in rilevo perché estranee alla contestazione.
4.4. Tutto ciò comporta che la prosecuzione dell'attività di produzione di energia elettrica, autorizzata con il D.M. 25 marzo 2005 ed attualmente sospesa per effetto del sequestro preventivo in esame, non rappresenta affatto una prosecuzione di un'attività penalmente sanzionata proprio perché legittimamente autorizzata, senza che allo stato (prima del sequestro) risultino emissioni nell'atmosfera superiori ai previsti valori massimi e quindi senza che ci sia un fatto di inquinamento atmosferico. Mentre la mancata tempestiva installazione delle centraline di rilevamento per il previo monitoraggio in bianco, per un anno, della qualità dell'aria prima dell'inizio delle emissioni della centrale rappresenta una condotta esaurita che ha determinato un danno "consolidato": ossia il deficit di informazione per l'Amministrazione preposta alla tutela dell'ambiente, la quale potrebbe anche ritenere che la mancanza di questo dato informativo - ossia la qualità dell'aria ad emissioni zero (della centrale) per un anno - sia determinante per una valutazione comparata di raffronto delle situazioni "prima" e "dopo" e - come rilevato - potrebbe in ipotesi revocare l'autorizzazione già concessa; ma fino a tale possibile revoca l'attività è autorizzata nel rispetto dei limiti derivanti dall'art. 24, commi 5 e 6., oltre che nel rispetto dell'art. 8.
La stessa ordinanza impugnata peraltro registra che "le emissioni della centrale in funzione possono essere rilevate (e risultano essere state effettivamente rilevate) anche indipendentemente dal precedente monitoraggio". Tuttavia manca il raffronto perché il monitoraggio in bianco non è stato protratto per un anno e, anche se è possibile la valutazione di compatibilità ambientale di una sorgente di emissioni indipendentemente da tale raffronto, non può escludersi - afferma il tribunale di Pavia - che "il raffronto medesimo possa offrire elementi di interesse, al fine di determinare la ripartizione tra le diverse sorgenti di emissione dell'inquinamento globale". Non di meno - ritiene il tribunale - "la misura cautelare reale applicata impedisce che il reato venga portato a conseguenze ulteriori".
Ma - si ripete - il dato conoscitivo, che non è stato acquisito in ragione della violazione della specifica prescrizione posta dal decreto autorizzatorio, è definitivamente mancato, mentre la prosecuzione delle immissioni nell'atmosfera per effetto del funzionamento della centrale, che il sequestro preventivo in esame interdice, può essere ex se rilevante se dovessero risultare superati i valori limite richiamati dall'art. 24 cit., comma 5 e 6, mentre deve escludersi che -come afferma l'impugnata ordinanza - "il funzionamento della centrale costituisca in ogni caso una protrazione dell'attività criminosa".
D'altra parte la necessità di una protrazione o aggravamento delle conseguenze del reato, quale presupposto del sequestro preventivo in caso di reati consumati, è stata affermata nella contigua materia urbanistica da questa Corte (Cass., sez. un., 29 gennaio 2003 - 20 marzo 2003, n. 12878), che ha sì ritenuto possibile il sequestro preventivo di una costruzione abusiva anche quando essa sia stata ultimata, ma a condizione che il provvedimento risulti giustificato dal concreto ed attuale pericolo - della cui sussistenza si deve dare atto con adeguata motivazione - che la disponibilità e l'uso dell'immobile producano ulteriore lesione del bene giuridico protetto dalla norma penale, avuto anche riguardo alle prospettive future, a seconda che questi siano tali da far prevedere o meno il rilascio di provvedimenti amministrativi in sanatoria che impediscano l'altrimenti obbligatoria demolizione. La costruzione abusiva ultimata determina, come conseguenza del reato, un impatto urbanistico contra legem (cfr. Cass., sez. 3^, 1 febbraio 2005 - 15 marzo 2005, n. 10049) che permane e che può essere contrastato con il sequestro preventivo (cfr., analogamente, per la costruzione senza autorizzazione di un impianto che emette emissioni nell'atmosfera:
Cass., Sez. 3^, 12 febbraio 2004 - 27 maggio 2004, n. 24189). Invece l'attivazione della centrale senza la tempestiva previa installazione delle centraline di rilevamento per il monitoraggio preventivo di per sè non determina un impatto ambientale, non essendo superati i valori limite di emissioni, ma comporta solo un deficit informativo per la l'Amministrazione che tale centrale ha autorizzato, che non può "protrarsi" ne' "aggravarsi".
Semmai la fattispecie in esame è assimilabile a quella scrutinata da questa Corte (Cass., Sez. 3^, 23 marzo 2005 - 13 maggio 2005, n. 17840) che ha puntualizzato che la comunicazione di cui al D.P.R. n. 203 del 1988 cit. art. 24, comma 2, non può che essere preventiva, e cioè deve precedere l'attivazione del nuovo impianto, essendo peraltro finalizzata a provocare il controllo di cui al precedente art. 8 da parte delle competenti autorità. L'adempimento postumo dei precetto non è contemplato dalla norma, che anzi non solo stabilisce la precedenza della comunicazione rispetto all'attivazione dell'impianto, ma pone altresì un ulteriore limite temporale invalicabile ("nel termine prescritto") per detto adempimento. Anche in tal caso il reato si consuma e si esaurisce con l'omissione della condotta prescritta prima dell'attivazione del nuovo impianto. 5. In conclusione - assorbite le censure sul dedotto difetto di proporzionalità ed adeguatezza della misura cautelare - i ricorsi vanno accolti sotto il profilo dell'insussistenza del periculum nei termini sopra esposti. Conseguentemente va annullata senza rinvio l'ordinanza impugnata nonché il decreto di sequestro del g.i.p. del tribunale di Voghera del 30 luglio 2005 e va disposta la restituzione di quanto in sequestro all'avente diritto.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata nonché il decreto di sequestro del g.i.p. del tribunale di Voghera del 30 luglio 2005 e dispone la restituzione di quanto in sequestro all'avente diritto.
Manda alla Cancelleria per gli incombenti di cui all'art. 626 c.p.p.. Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2006.
Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2006