Corte di Giustizia
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE JULIANE KOKOTT presentate il 25 giugno 2009. Causa C‑241/08
Commissione delle Comunità europee contro Repubblica francese

«Procedimento per inadempimento – Trasposizione della direttiva 92/43/CEE (direttiva habitat) – Zone speciali di conservazione – Conseguenze significative di un progetto – Assenza di effetti perturbanti di talune attività – Necessità della valutazione dell’incidenza sul sito – Necessità, in caso di valutazione negativa dell’incidenza sul sito, di proporre alternative»
I –    Introduzione

1.        Oggetto di controversia fra le parti è se la Francia abbia trasposto correttamente l’art. 6 della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (2) (in prosieguo: la «direttiva habitat») agli artt. L 414‑1, L 414‑4 e R 414‑21 del codice dell’ambiente francese (Code de l’environnement). La suddetta normativa concerne zone che, per la loro importanza ai fini della salvaguardia o del ripristino di taluni habitat naturali e/o della conservazione delle specie sono protetti dal diritto comunitario.

2.        Le seguenti tematiche sono controverse:

–        Se lo Stato membro possa limitare le legittime misure di contrasto del degrado di siti qualora non possano essere vietate attività antropiche prive di conseguenze significative.

–        Se il divieto di perturbare specie in modo significativo osti ad affermare per via legislativa che determinate attività non provocano alcuna perturbazione significativa.

–        Se la valutazione dell’incidenza sul sito debba essere applicata a tutti i piani e i progetti pertinenti.

–        Infine, se le disposizioni francesi garantiscano che siano prese in sufficiente considerazione alternative a progetti che ledono l’integrità di un sito.

II – Procedimento e conclusioni

3.        La Commissione ha comunicato le proprie riserve alla Francia il 18 ottobre 2005 con un invito a presentare osservazioni («lettera di diffida»). Dopo la risposta francese il 7 febbraio 2006 la Commissione ha adottato un parere motivato il 15 dicembre 2006, in cui ha stabilito un termine ultimo di due mesi per porre rimedio agli addebiti da essa formulati.

4.        Dal momento che la risposta del 28 febbraio 2007 non ha soddisfatto la Commissione, quest’ultima ha proposto il presente ricorso, per via elettronica, il 30 maggio 2008 e ha fatto seguire l’atto introduttivo a mezzo posta il 2 giugno 2008. La Commissione chiede che la Corte voglia:

–        dichiarare che la Repubblica francese, non avendo adottato le disposizioni legislative e regolamentari necessarie per trasporre correttamente l’art. 6, nn. 2 e 3, della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tale direttiva; e

–        condannare la Repubblica francese alle spese.
5.        La Repubblica francese chiede che la Corte voglia
–        respingere il ricorso e
–        condannare la Commissione delle Comunità europee alle spese.
6.        Fra le parti si è svolta esclusivamente la fase scritta.
III – Valutazione giuridica

7.        La Commissione è dell’avviso che la Francia non abbia trasposto correttamente l’art. 6, nn. 2 e 3, della direttiva habitat.

A –    Sull’art. 6, n. 2, della direttiva habitat
8.        L’art. 6, n. 2, della direttiva habitat ha il seguente tenore:

«Gli Stati membri adottano le opportune misure per evitare nelle zone speciali di conservazione il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie nonché la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate, nella misura in cui tale perturbazione potrebbe avere conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi della presente direttiva».

9.        La Corte ha già dichiarato che, ai fini della trasposizione dell’art. 6, n. 2, della direttiva habitat, può essere necessario adottare sia misure dirette ad ovviare ai danni e alle perturbazioni provenienti dall’esterno e causati dall’uomo, sia misure per neutralizzare evoluzioni naturali che potrebbero comportare un degrado dello stato di conservazione delle specie e degli habitat nelle zone speciali di conservazione (3).

10.      L’art. L 414‑1, n. 5, del codice francese dell’ambiente prescrive che a tale fine siano fissate per ciascun sito le necessarie misure di conservazione o ripristino in cooperazione con i diversi gruppi di interesse. La Commissione contesta le restrizioni delle suddette misure, contenute nella terza e nella quarta frase del terzo comma.

1.      Sulla ricevibilità

11.      Vi sono dubbi circa la ricevibilità dei motivi di ricorso aventi ad oggetto l’art. L 414‑1, n. 5, terzo comma, terza e quarta frase, del codice dell’ambiente francese, dal momento che la Commissione, con il ricorso, ha censurato una versione diversa rispetto a quella esaminata nella fase precontenziosa.

12.      Nella fase precontenziosa la Commissione ha fatto riferimento alla versione allora vigente per mezzo della legge 23 febbraio 2005 n. 2005‑157, sullo sviluppo delle zone rurali (4):

«Esse non comportano il divieto di attività antropiche qualora queste non abbiano conseguenze significative sulle finalità menzionate al comma precedente. Le attività piscicole, la caccia e le altre attività venatorie praticate alle condizioni e nei siti autorizzati dalle leggi e dai regolamenti in vigore non costituiscono attività che perturbano o che hanno conseguenze analoghe».

13.      Nel ricorso, tuttavia, la Commissione censura l’art. L 414‑1, n. 5, terzo comma, terza e quarta frase, nella versione dettata dalla legge 30 dicembre 2006, n. 2006‑1772, relativa all’acqua e agli ambienti acquatici (5), e dunque modifiche introdotte successivamente alla comunicazione del parere motivato ma precedentemente alla scadenza del termine ivi fissato.

«Esse non comportano il divieto di attività antropiche qualora queste non abbiano conseguenze significative sul mantenimento o sul ripristino di uno stato di conservazione soddisfacente di questi habitat naturali e di queste specie. La pesca, le attività acquicole, la caccia e le altre attività venatorie praticate alle condizioni e sui territori autorizzati dalle leggi e dai regolamenti in vigore non costituiscono attività che perturbano o che hanno conseguenze analoghe» (6).

14.      L’oggetto di un ricorso ai sensi dell’art. 226 CE è delimitato dalla fase precontenziosa. La lettera di diffida inviata dalla Commissione allo Stato membro e poi il parere motivato della Commissione delimitano la materia del contendere, che quindi non può più venir ampliata. Infatti, la possibilità per lo Stato membro interessato di presentare osservazioni costituisce, anche se esso ritenga di non doverne fare uso, una garanzia essenziale voluta dal Trattato, la cui osservanza è un requisito formale essenziale per la regolarità del procedimento di accertamento dell’inadempimento di uno Stato membro. Di conseguenza, il parere motivato e il ricorso della Commissione devono vertere sugli stessi addebiti già mossi nella lettera di diffida che apre il procedimento precontenzioso (7).

15.      Peraltro, l’esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato (8).

16.      Applicando questa norma in modo rigorosamente formalistico, l’estensione del procedimento alle modifiche introdotte dalla legge 2006 costituirebbe un’estensione illegittima della materia del contendere rispetto al parere motivato. Nella forma della fase precontenziosa, invece, il ricorso sarebbe infondato, in quanto le disposizioni contestate alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato non esistevano già più nella forma in cui la Commissione le ha contestate.

17.      Allorché, tuttavia, la normativa censurata nella fase precontenziosa sia stata conservata da nuove norme giuridiche, che lo Stato membro ha adottato dopo il parere motivato, e che sono state impugnate nell’ambito del ricorso, il procedimento giurisdizionale può estendersi alla nuova situazione giuridica (9). Poiché le modifiche della normativa francese del 2006 – come la Commissione evidenzia correttamente e senza essere smentita – toccano solo marginalmente il contenuto della normativa determinante per il ricorso, la sua inclusione nel ricorso costituisce una modifica giustificata della materia del contendere.

18.      I motivi con cui si censura l’art. L 414‑1, n. 5, terzo comma, terza e quarta frase, del codice francese dell’ambiente, sono pertanto ricevibili.

2.      Sulla restrizione alle «conseguenze significative»

19.      Con la prima censura la Commissione contesta l’art. L 414‑1, n. 5, terzo comma, terza frase, del codice francese dell’ambiente nella parte in cui prescrive che le attività antropiche possono essere limitate solo qualora abbiano conseguenze significative sul mantenimento e sul ripristino di uno stato di conservazione soddisfacente degli habitat naturali e delle specie selvatiche.

20.      Essa evidenzia giustamente che l’art. 6, n. 2, della direttiva habitat vieta qualsiasi degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie ed opera una limitazione alle conseguenze significative solo in caso di perturbazione delle specie. Sarebbe contrario a ciò se le attività antropiche potessero essere limitate solo se aventi conseguenze significative.

Sulla nozione di degrado

21.      Sebbene la Corte non abbia ancora definito espressamente la nozione di degrado degli habitat naturali, ci si può tuttavia orientare ricorrendo alla giurisprudenza relativa all’art. 6, n. 3, della direttiva habitat. In linea di principio si ritiene universalmente che l’art. 6, nn. 2 e 3 mirano al medesimo livello di tutela (10).

22.      L’art. 6, n. 3, della direttiva habitat fa riferimento due volte all’incidenza sulle zone di conservazione. A termini della prima frase, i piani o i progetti che possano avere incidenze significative su un siffatto sito devono formare oggetto di valutazione circa la compatibilità con gli obiettivi di conservazione stabiliti per esso. La seconda frase prevede che il piano o il progetto siano approvati solo se non pregiudichino l’integrità del sito in questione dopo la valutazione dell’incidenza.

23.      Come ha sostenuto anche la Francia, piani o progetti possono incidere in modo significativo su un sito nell’accezione dell’art. 6, n. 3, prima frase, della direttiva habitat quando rischiano di compromettere gli obiettivi di conservazione dello stesso (11). Se ciò si verifica occorre esaminare se la misura incida sugli obiettivi di conservazione stabiliti per tale sito.

24.      Si deve rilevare che il pregiudizio per gli obiettivi di conservazione non presuppone un’analisi separata della significatività dell’incidenza. È invece sufficiente che sussista il pericolo di compromettere gli obiettivi di conservazione per far sorgere l’obbligo di effettuare la valutazione dell’incidenza. La possibile incidenza sul sito non riveste invece interesse se non tocca gli obiettivi di conservazione (12).

25.      L’esito della valutazione dell’incidenza sul sito è determinante per stabilire se il piano o il progetto possa essere autorizzato ai sensi dell’art. 6, n. 3, seconda frase, della direttiva habitat. Le autorità competenti danno il loro accordo a tale piano o progetto solo se, alla luce delle conclusioni della valutazione dell’incidenza sul sito, hanno accertato che «l’integrità» del sito in causa non viene pregiudicata.

26.      Su questo fondamento il governo francese esprime la seguente opinione: si possono approvare piani o progetti se, pur avendo incidenze significative su un sito, non ne pregiudicheranno l’«integrità». Esso ritiene pertanto contraddittorio escludere categoricamente le incidenze significative a norma dell’art. 6, n. 2, della direttiva habitat.

27.      Questa argomentazione, tuttavia, poggia su un’erronea distinzione fra le incidenze significative e il pregiudizio per «l’integrità» di un sito. Gli obiettivi di conservazione, infatti, sono determinanti non solo ai fini dell’incidenza significativa, bensì anche ai fini del pregiudizio per «l’integrità» di un sito (13).

28.      Conseguentemente, si deve presupporre anche un degrado degli habitat naturali nell’accezione dell’art. 6, n. 2, della direttiva habitat quando gli obiettivi di conservazione della zona di conservazione interessata vengono pregiudicati.

Sulla compromissione degli obiettivi di conservazione

29.      La Francia sostiene manifestamente l’opinione che solo le incidenze significative sul mantenimento o sul ripristino di uno stato di conservazione soddisfacente degli habitat naturali di un sito possano compromettere anche gli obiettivi di conservazione dello stesso. Tuttavia, ai sensi degli artt. 1, lett. l), 4, n. 4, e 6, n. 1, della direttiva habitat, gli obiettivi di conservazione di un sito hanno proprio ad oggetto il mantenimento o il ripristino di uno stato di conservazione soddisfacente degli habitat naturali. Pertanto tutte le incidenze sui suddetti habitat naturali possono compromettere anche gli obiettivi di conservazione di un sito, indipendentemente dal fatto che queste incidenze siano qualificate come significative o no.

30.      Se le incidenze di talune attività, in particolare le diverse attività citate a titolo di esempio dalle parti, compromettano di fatto gli obiettivi di conservazione può essere solo accertato nel singolo caso alla luce delle finalità concretamente interessate. Si tratta di una decisione scientifica di natura previsionale, complessa proprio in un terreno di confine, che presuppone un certo potere discrezionale delle autorità nazionali competenti.

31.      La normativa francese contestata, tuttavia, non lascia spazio a questo potere discrezionale, bensì osta al divieto di attività antropiche che abbiano incidenze «non significative» sugli habitat. Detto in termini più semplici: le suddette attività sono consentite in linea di principio. Anche laddove gli esperti siano convinti che un’attività pregiudichi gli obiettivi di conservazione, si dovrebbe dimostrare in aggiunta a ciò che tali incidenze sono significative prima di potere vietare tale attività.

Sull’interpretazione dell’art. L 414‑1, n. 5, primo e terzo comma, del codice dell’ambiente

32.      La Francia rileva inoltre che la Commissione non interpreterebbe correttamente l’art. L 414‑1, n. 5, primo e terzo comma, del codice dell’ambiente. Le attività antropiche aventi conseguenze significative sul mantenimento o sul ripristino di uno stato di conservazione soddisfacente sarebbero comunque vietate. In assenza di tali conseguenze significative le attività non potrebbero essere proibite, tuttavia vigerebbe sempre l’obiettivo di impedire il degrado degli habitat naturali di cui al primo comma. Ciò dovrebbe essere garantito tramite misure idonee.

33.      Se l’art. L 414‑1, n. 5, primo e terzo comma, del codice dell’ambiente venisse interpretato e applicato in questo senso si realizzerebbero elementi sostanziali dell’art. 6, n. 2, della direttiva habitat. Resterebbe incerto solo cosa accadrebbe nel caso in cui non fossero fattibili misure nel contesto delle quali proseguire senza danni l’attività. Anche questa incertezza verrebbe risolta se – come illustra il governo francese nella controreplica – il degrado nell’accezione dell’art. 6, n. 2, della direttiva habitat costituisse una conseguenza significativa nell’accezione dell’art. L 414‑1, n. 5, terzo comma, terza frase, del codice dell’ambiente.

34.      L’argomento del governo francese, tuttavia, non riconosce che non è sufficiente trasporre la direttiva habitat in modo che le finalità della stessa possano essere eventualmente conseguite mediante un’interpretazione conforme – peraltro non evidente – del diritto interno. Non si può ritenere che semplici prassi amministrative, per natura modificabili a discrezione dell’amministrazione e prive talvolta di adeguata pubblicità, costituiscano valido adempimento degli obblighi che incombono agli Stati membri nel contesto della trasposizione di una direttiva (14).

35.      Piuttosto, l’accuratezza del recepimento è particolarmente importante in un caso, come quello di specie, in cui la gestione del patrimonio comune è affidata, per il rispettivo territorio, agli Stati membri (15). Ne consegue che nell’ambito della direttiva, che stabilisce norme complesse e tecniche nel settore del diritto ambientale, gli Stati membri sono particolarmente tenuti a fare in modo che la loro normativa destinata al recepimento di tale direttiva sia chiara e precisa (16).

36.      L’art. L 414‑1, n. 5, terzo comma, terza frase, del codice dell’ambiente non soddisfa questi requisiti. L’interpretazione esposta dal governo francese non è totalmente esclusa, tuttavia per il lettore imparziale è più naturale ritenere che siano consentite attività qualora non abbiano conseguenze significative sugli habitat naturali. Questa conclusione potrebbe acquisire credito soprattutto per i gruppi di interesse coinvolti che, ai sensi dell’art. L 414‑1, n. 5, secondo comma, prendono parte alle consultazioni sulle misure per la salvaguardia del sito. Vi è motivo di temere che su questa base sorgano conflitti inutili circa il carattere significativo o meno di taluni danni inflitti agli obiettivi di conservazione.

37.      Come evidenzia la Commissione, l’interpretazione dell’art. L 414‑1, n. 5, terzo comma, terza frase, del codice dell’ambiente presentata dal governo francese non corrisponde inoltre alla lettura dell’art. 6, n. 2, della direttiva habitat, sostenuta dal medesimo governo. Così, esso afferma che il divieto di degradare gli habitat naturali sarebbe «radicale» (17) e cerca di specificare la disposizione in parola non lo esige.

Sulla considerazione di altri interessi

38.      La Francia invoca del pari l’art. 2, n. 3, della direttiva habitat e il terzo ‘considerando’ della stessa, secondo cui nell’attuazione della direttiva occorre tenere conto delle esigenze economiche, sociali, culturali e regionali. L’art. L 414‑1, n. 5, del codice dell’ambiente rappresenterebbe in quest’ottica una trasposizione adeguata e proporzionata della direttiva.

39.      Questa opinione, tuttavia, è una valutazione contrastante con la giurisprudenza sull’art. 4, n. 4, prima frase, della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (18) (in prosieguo: la «direttiva uccelli»). La suddetta disposizione, al pari dell’art. 6, n. 2, della direttiva habitat, impone agli Stati membri di adottare le misure idonee ad evitare, nelle zone di protezione, il degrado degli habitat nonché le perturbazioni dannose che pregiudichino in modo significativo le specie per le quali sono state classificate le zone di protezione speciale nell’accezione della direttiva uccelli (19). Una violazione dell’obbligo discendente dall’art. 4, n. 4, prima frase, della direttiva uccelli non può essere giustificata da interessi economici o sociali, in quanto la menzione dei suddetti interessi nella direttiva uccelli non costituisce un autonomo motivo di deroga (20).

40.      Per la direttiva habitat non può valere – in linea di principio – altro. Nel caso di specie si può omettere di esaminare se i suddetti interessi possano eccezionalmente prevalere sulla tutela del sito nel contesto dell’art. 6, n. 2, della direttiva habitat (21) o se la considerazione di interessi prevalenti presupponga sempre l’applicazione dell’art. 6, nn. 3 e 4. Infatti, l’art. L 414‑1, n. 5, terzo comma, terza frase, del codice dell’ambiente, non opera alcuna distinzione in base al fatto che esistano o meno interessi rilevanti riguardo all’attività in questione. Pertanto la suddetta disciplina non può essere giustificata neanche da tali interessi.

Sulle misure di conservazione dannose

41.      Il governo francese eccepisce inoltre che anche le misure di conservazione e sviluppo degli habitat naturali possono provocarne il deterioramento e, nonostante ciò, sono consentite. Pertanto dovrebbe essere ben possibile consentire anche attività antropiche prive di conseguenze significative.

42.      Per illustrare misure dannose di mantenimento e ripristino, la Francia cita diversi esempi: in particolare, sulla medesima superficie potrebbero susseguirsi diversi tipi di habitat. Ciascun cambiamento comporterebbe necessariamente la perdita di un tipo di habitat. Determinate misure di conservazione, inoltre, potrebbero danneggiare altri tipi di habitat o persino, temporaneamente, il tipo di habitat in questione. La Francia cita a questo proposito la bonifica costante di stagni che, se da un lato evita l’accumulo di fango, dall’altro distruggerebbe temporaneamente il tipo di habitat protetto. Infine, sebbene, ad esempio, l’agricoltura comprometterebbe determinati elementi degli habitat, essa costituirebbe allo stesso tempo la premessa per l’ulteriore sfruttamento delle superfici da parte degli uccelli.

43.      Questi argomenti, tuttavia, non riconoscono che misure idonee e necessarie alla realizzazione degli obiettivi di conservazione non possono essere considerate, in linea di principio, come un degrado del sito nell’accezione dell’art. 6, n. 2, della direttiva habitat. Qualora determinati obiettivi di conservazione dovessero essere in contrasto l’uno con l’altro, nel senso che le misure di conservazione necessarie per un obiettivo pregiudicano la realizzazione dell’altro, questo conflitto deve essere risolto piuttosto nell’ambito della definizione di tali obiettivi.

44.      La Corte ha già stabilito che gli obiettivi di conservazione, come emerge dagli artt. 3 e 4 della direttiva habitat, ed in particolare dall’art. 4, n. 4, (22), possono essere determinati in funzione dell’importanza dei siti per il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, di uno o più tipi di habitat naturali di cui all’allegato I o di una o più specie di cui all’allegato II e per la coerenza di Natura 2000, nonché alla luce dei rischi di degrado e di distruzione che incombono su detti siti (23). Pertanto, è necessario all’occorrenza ponderare questi obiettivi e stabilire priorità. A scopo di completezza, è d’uopo in questa sede sottolineare che questa decisione estremamente complessa, pur presupponendo un ampio margine di valutazione delle autorità preposte, non è tuttavia sottratta completamente al controllo giurisdizionale (24).

45.      Attività antropiche non meglio precisate, e che pertanto possono avere carattere discrezionale, non sono invece confrontabili con misure di conservazione necessarie o con un contrasto degli obiettivi di conservazione.

Esito dell’esame dell’art. L 414‑1, n. 5, terzo comma, terza frase, del codice dell’ambiente

46.      Si deve pertanto dichiarare che l’art. L 414‑1, n. 5, terzo comma, terza frase, del codice dell’ambiente, è incompatibile con l’art. 6, n. 2, della direttiva habitat.

3.      Sulle deroghe per talune attività

Il secondo motivo di ricorso della Commissione ha ad oggetto l’art. L 414‑1, n. 5, terzo comma, quarta frase, del codice dell’ambiente. La pesca, le attività acquicole, la caccia e le altre attività venatorie praticate nel contesto della disciplina vigente, non sono attività perturbanti ai sensi della suddetta norma. La Commissione ritiene che questa affermazione sia incompatibile con l’art. 6, n. 2, della direttiva habitat.

47.      In effetti la Corte, già in relazione all’art. 6, n. 3, della direttiva habitat, ha negato che per talune attività, altrimenti legittime, possa non esservi in linea generale la necessità di una valutazione dell’incidenza sul sito. Non è infatti sicuro che tali attività non possano incidere significativamente sulle zone di conservazione e dunque pregiudicarne l’integrità (25).

48.      Questo principio è applicabile anche, in forza della stessa finalità di tutela, all’art. 6, n. 2, della direttiva habitat. Talune attività possono essere qualificate in generale come non perturbanti ai sensi di questa disposizione solo se è garantito che non producono perturbazioni che possano avere conseguenze significative per quanto riguarda le finalità della direttiva.

49.      Che la molluschicoltura possa avere conseguenze significative sulle zone di protezione è stato già riconosciuto dalla Corte (26). Non solo l’impianto di un allevamento di molluschi, ma anche il funzionamento dello stesso può causare perturbazioni. Ciò vale in pari misura sicuramente per la pescicoltura. La caccia e la pesca comportano forse rischi più ridotti, tuttavia vi possono essere obiettivi di conservazione che vengono compromessi da corrispondenti perturbazioni. Deve dunque essere possibile vietare tali attività qualora possano produrre perturbazioni in relazione a determinate zone di protezione tali da avere incidenze significative con riferimento agli obiettivi della direttiva.

50.      Questa conclusione non è inficiata dal fatto che nell’esercizio delle suddette attività devono essere rispettate in generale le normative relative ad esse.

51.      La Francia sostiene quindi che nelle relative norme sull’acquicoltura sarebbero state stabilite in particolare le zone in cui tali attività sono ammesse e che, a tale proposito, si sarebbe tenuto conto dei siti sensibili. Inoltre possono essere stabilite quote per la caccia e la pesca.

52.      Certo, siffatte misure possono forse mitigare il rischio di perturbazioni significative. Tuttavia, tale rischio per queste attività può essere escluso completamente attraverso la normativa pertinente solo qualora essa prescriva in modo cogente l’osservanza dell’art. 6, n. 2, della direttiva habitat, ossia qualora sia improntata soprattutto a garantire gli obiettivi di conservazione secondo la direttiva habitat (27). Tuttavia il governo francese non afferma affatto ciò.

53.      Il governo francese sostiene poi che per ciascun sito verrebbe elaborato un documento («document d’objectifs» – documento degli obiettivi), che rappresenta il fondamento della disciplina delle citate attività in modo tale che queste non producano perturbazioni significative.

54.      Non vi è accordo fra le parti sul fatto se vi sia un obbligo di stabilire siffatte regole. La Commissione si basa sul tenore letterale della corrispondente base normativa, l’art. L 414‑2, n. 4, del codice dell’ambiente, che non fonderebbe tale obbligo. La Francia, invece, fa discendere tale obbligo dall’art. L 414‑1, n. 5, primo comma, del codice dell’ambiente.

55.      Ciò, tuttavia, non è determinante ai fini della pronuncia su questo motivo di ricorso. È infatti palese che l’art. L 414‑1, n. 5, terzo comma, terza frase, del codice dell’ambiente, deve essere inteso nel senso che non sono consentite misure volte ad impedire le perturbazioni nei confronti delle attività ivi citate. In caso contrario, questa disposizione non avrebbe alcuna efficacia normativa.

56.      Anche laddove l’art. L 414‑1, n. 5, terzo comma, quarta frase, del codice dell’ambiente fosse applicato in pratica nel modo esposto dal governo francese, ciò non modificherebbe il fatto che questa disposizione è quanto meno equivoca. I gruppi di interesse coinvolti confiderebbero nel fatto che le loro attività non potrebbero essere affatto considerate perturbanti e assoggettate a restrizioni.

57.      L’art. L 414‑1, n. 5, terzo comma, quarta frase, del codice dell’ambiente, pertanto, non soddisfa nemmeno i requisiti di una trasposizione sufficientemente chiara (28) dell’art. 6, n. 2, della direttiva habitat.

B –    Sull’art. 6, n. 3, prima frase, della direttiva habitat

58.      La Commissione censura inoltre la trasposizione francese dell’art. 6, n. 3, della direttiva habitat. La prima frase di questa disposizione disciplina quali piani e progetti debbano essere verificati sotto il profilo dell’incidenza sugli obiettivi di conservazione delle zone di protezione speciale:

«Qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione dell’incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo».

59.      La suddetta disposizione è stata trasposta nell’ordinamento francese dall’art. L 414‑4, n. 1, del codice dell’ambiente:

«I programmi o i progetti relativi a lavori, opere o adeguamenti soggetti ad un regime di autorizzazione o di approvazione amministrativa e la cui realizzazione è tale da incidere in modo notevole su un sito Natura 2000, sono oggetto di una valutazione della loro incidenza relativamente agli obiettivi di conservazione del sito. Nel caso di programmi previsti da disposizioni legislative e regolamentari e che non sono soggetti a valutazione dell’incidenza, la valutazione è effettuata secondo la procedura di cui agli artt. L 122‑4 e segg. del presente codice.

I lavoro, le opere e gli adeguamenti previsti dai contratti Natura 2000 sono dispensati dalla procedura di valutazione menzionata al comma precedente».

60.      La Commissione contesta due punti di tale trasposizione:

–        La deroga per i lavori, le opere o gli adeguamenti previsti nei cosiddetti contratti Natura 2000 sarebbe troppo ampia; e

–        anche i progetti che non necessitano di autorizzazione dovrebbero essere sottoposti ad una valutazione dell’incidenza, qualora possano avere conseguenze significative sugli obiettivi di conservazione.

1.      Sui contratti Natura 2000

61.      La Commissione censura il fatto che, ai sensi dell’art. L 414‑4, n. 1, secondo comma, del codice dell’ambiente, i lavori, le opere e gli adeguamenti previsti nei cosiddetti contratti Natura 2000 siano sottratti alla valutazione dell’incidenza ai sensi dell’art. 6, n. 3, prima frase, della direttiva habitat.

62.      I contratti Natura 2000, sono accordi, previsti dall’ordinamento francese, stipulati con gli utenti di taluni siti in zone di conservazione ai sensi della direttiva habitat.

63.      I lavori, le opere o gli adeguamenti possono certamente rappresentare piani o progetti nell’accezione dell’art. 6, n. 3, prima frase, della direttiva habitat, mentre i piani o i progetti direttamente connessi o necessari alla gestione del sito non necessitano di una valutazione dell’incidenza sullo stesso.

64.      L’accoglimento del ricorso su questo punto presuppone pertanto che la normativa francese consenta di inserire nei contratti Natura 2000 lavori, opere e adeguamenti non direttamente connessi o necessari alla gestione del sito.

65.      Il contenuto dei contratti è disciplinato all’art. L 414‑3, n. 1, secondo comma, del codice dell’ambiente:

«Il contratto Natura 2000 comporta un insieme di impegni conformemente agli orientamenti e alle misure definiti dal documento degli obiettivi, relativo alla conservazione ed eventualmente al ripristino degli habitat naturali e delle specie che hanno giustificato l’istituzione del sito Natura 2000».

66.      Risulta pertanto che in un contratto Natura 2000 non possono essere concordate misure qualsiasi, sottraendole così alla valutazione dell’incidenza. Al contrario, l’accordo deve essere conforme al documento degli obiettivi per il sito interessato. Quest’ultimo potrebbe sostanzialmente rappresentare la trasposizione degli artt. 4, n. 4 (29) e 6, n. 1 (30), della direttiva habitat, ovvero soprattutto gli obiettivi di conservazione e il piano di gestione per i singoli siti.

67.      La Francia, dunque, sottolinea – verosimilmente a ragione – che le misure di trasposizione concordate nei contratti Natura 2000 non contraddicono gli obiettivi di tutela e ripristino di un sito.

68.      Secondo la Commissione, tuttavia, questa conformità con gli obiettivi dei siti non è sufficiente. Provvedimenti che non siano in contrasto con gli obiettivi non sarebbero tuttavia necessariamente collegati in modo diretto alla gestione del sito. La disciplina francese, pertanto, sottrarrebbe troppe misure alla valutazione dell’incidenza.

69.      La deroga per le misure di gestione del sito si fonda sul fatto che queste ultime hanno ad oggetto la realizzazione degli obiettivi di conservazione e ripristino per tale sito. Per loro natura, la fissazione di questi obiettivi non è dissimile da una valutazione dell’incidenza. Essa necessita della valutazione scientifica di una fattispecie complessa, ossia del sito interessato con le specie, gli habitat e le potenzialità di sviluppo che si presentano in esso. Una valutazione dell’incidenza di queste misure, pertanto, finirebbe col costituire un doppio esame.

70.      Contrariamente a quanto affermato dalla Commissione, l’art. 6, n. 3, della direttiva habitat non comporta neanche un controllo dell’incidenza di misure di gestione del sito, laddove queste possano incidere su determinati obiettivi di conservazione. La definizione di obiettivi di conservazione e ripristino, infatti, può richiedere di dirimere conflitti fra diverse finalità. Così può essere necessario accettare un danno a taluni tipi di habitat o di specie per rendere possibili altri sviluppi. Decisiva, a tale proposito, è la relativa rilevanza degli obiettivi di mantenimento e ripristino per Natura 2000 (31).

71.      L’eliminazione della valutazione dell’incidenza mediante decisioni sulla gestione del sito, tuttavia, non può estendersi a provvedimenti che facciano perdere il necessario nesso diretto con la gestione del sito. A ragione la Commissione sottolinea, infatti, che le deroghe alle norme generali devono essere interpretate restrittivamente. Ai sensi dell’art. 6, n. 3, prima frase, della direttiva habitat, in linea di principio i piani e i progetti devono essere valutati individualmente. In questo procedimento possono essere prese in esame le ripercussioni concrete delle singole misure.

72.      I contratti Natura 2000, invece, sono necessariamente di carattere più generico. Difficilmente potranno prendere in considerazione il luogo concretamente interessato o lo stato dello stesso al momento della misura. Inoltre, le esperienze maturate in relazione a misure analoghe nel lasso di tempo fra la conclusione del contratto e l’attuazione della misura possono essere integrate solo modificando il contratto stesso. Quando una siffatta modifica comporta la restrizione delle attività, diviene solitamente controversa e quindi difficilmente conseguibile.

73.      Pertanto non è sufficiente, ai fini di una deroga alla valutazione dell’incidenza, che le misure siano compatibili con il documento degli obiettivi; esse, invece, devono essere direttamente necessarie ai fini della realizzazione degli obiettivi di conservazione. Per quanto le ripercussioni pratiche di un corrispondente adeguamento della normativa francese siano limitate, questa dovrebbe comunque contribuire ad evitare fraintendimenti.

74.      Conseguentemente gli artt. L 414‑4, n. 1, secondo comma, in combinato disposto con l’art. L 414‑3, n. 1, secondo comma, prima frase, del codice dell’ambiente sono incompatibili con l’art. 6, n. 3, prima frase, della direttiva habitat nella parte in cui si considera sufficiente la conformità dei contratti Natura 2000 con il documento degli obiettivi del sito interessato.

75.      Nella parte in cui la Commissione contesta alla Francia nell’ambito della propria replica – e dunque, si presume, tardivamente – che i contratti Natura 2000 potrebbero essere conclusi prima dell’adozione di un documento degli obiettivi e, pertanto, indipendentemente da quest’ultimo, essa omette di dimostrare questo addebito, contestato dalla Francia.

2.      Sui progetti che non necessitano di autorizzazione

76.      Ai sensi dell’art. L 414‑4, n. 1, prima frase, del codice dell’ambiente, nella versione che trova applicazione alla fattispecie, i lavori, le opere o gli adeguamenti erano soggetti alla valutazione dell’incidenza nel caso in cui necessitavano di autorizzazione.

77.      Ai sensi dell’art. 6, n. 3, prima frase, della direttiva habitat, in caso di dubbio quanto all’assenza di effetti significativi, i piani o i progetti devono essere valutati quanto alla loro incidenza. Pertanto talune categorie di progetti possono essere sottratti alla valutazione di impatto solo sulla base di criteri idonei a garantire che queste misure non possano incidere significativamente sui siti protetti (32).

78.      Su questo fondamento, la Commissione eccepisce che la normativa francese comprenderebbe progetti che non necessitano né di un’autorizzazione né di un’approvazione dell’amministrazione e, conseguentemente, sarebbero estranei alla procedura di verifica. Taluni di questi progetti avrebbero conseguenze significative sulle zone di protezione in considerazione degli obiettivi di conservazione delle specie.

79.      La Francia non contesta quest’argomento, bensì si appella alle modifiche delle disposizioni pertinenti che sono state in parte introdotte dalla legge 1° agosto 2008 (33) e per il resto predisposte.

80.      Queste disposizioni stabiliscono che, in linea di principio, tutte le possibili misure, che necessitino di autorizzazione o meno, devono essere sottratte alla valutazione dell’incidenza. La premessa, tuttavia, è che siano contenute in un elenco nazionale o locale, in considerazione degli obiettivi di conservazione interessati.

81.      Non è da escludersi che soprattutto gli elenchi locali siano idonei a limitare ai casi necessari l’obbligo di verifica di provvedimenti che, per loro natura, hanno ripercussioni limitate. Gli elenchi locali, infatti, possono censire in modo più preciso sia i provvedimenti in questione sia i rischi per gli obiettivi di conservazione e ripristino rispetto alle normative generiche. Così si possono evitare verifiche superflue e censire in modo più mirato rischi specifici. Qualora i rispettivi elenchi, tuttavia, non siano adottati o restino incompleti, la zona di protezione viene necessariamente compromessa. Proprio nel campo dei provvedimenti specifici per il sito, la Commissione è in grado di verificare ciò solo in modo sporadico.

82.      Come tuttavia sottolinea correttamente la Commissione, questa nuova normativa non è in ultima analisi rilevante nel caso di specie. La Corte non ne può tenere conto, essendo determinante la situazione giuridica esistente alla scadenza del termine stabilito dalla Commissione nel parere motivato, ossia il 15 febbraio 2007 (34). Il governo francese non contesta che la disciplina previgente non fosse conforme all’art. 6, n. 3, prima frase, della direttiva habitat.

83.      Occorre pertanto affermare che l’art. L 414‑4, n. 1, primo comma, prima frase, del codice dell’ambiente è incompatibile con l’art. 6, n. 3, prima frase, della direttiva habitat, nella misura in cui restringe la valutazione dell’incidenza ai lavori, alle opere o agli adeguamenti che necessitano di autorizzazione.

C –    Sulla valutazione delle alternative

84.      Infine la Commissione critica che la valutazione dell’incidenza che il richiedente di un piano o di un progetto è tenuto a presentare non debba contenere una enunciazione delle alternative qualora comporti un risultato negativo. Un’adeguata valutazione dell’incidenza nell’accezione dell’art. 6, n. 3, della direttiva habitat dovrebbe, tuttavia, contenere anche queste alternative.

85.      A prima vista sembra che questa questione sia già stata risolta in senso contrario a quanto affermato dalla Commissione. Le alternative di un piano o di un progetto, infatti, non concernono l’applicazione dell’art. 6, n. 3, della direttiva habitat, bensì l’autorizzazione di progetti e piani ai sensi dell’art. 6, n. 4. Nella parte che qui interessa, questa disposizione ha il seguente tenore:

«Qualora, nonostante conclusioni negative della valutazione dell’incidenza sul sito e in mancanza di soluzioni alternative, un piano o progetto debba essere realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, lo Stato membro adotta ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 sia tutelata. (...)».

86.      L’applicazione dell’art. 6, n. 4, della direttiva habitat non è cogente. Piuttosto, in caso di esito negativo della valutazione dell’incidenza, le autorità competenti possono scegliere di rifiutare l’autorizzazione per realizzare il progetto o di autorizzare lo stesso ai sensi dell’art. 6, n. 4, della direttiva habitat, purché sussistano le condizioni ivi previste (35). Pertanto, una valutazione dell’incidenza ai sensi dell’art. 6, n. 3 non deve essere estesa agli aspetti enunciati all’art. 6, n. 4 (36).

87.      Ad un’attenta analisi, la Commissione muove tuttavia una censura strutturata in modo diverso. L’art. R 414‑21, n. 3, del codice dell’ambiente, da essa censurato, riguarda espressamente il caso in cui un piano o un progetto, nonostante l’esito negativo della valutazione dell’incidenza sul sito, debba essere eseguito. In questo caso una verifica delle alternative è obbligatoria.

88.      Nonostante ciò, si potrebbe eccepire alla Commissione, che le sue censure non riguardano la trasposizione dell’art. 6, n. 3, della direttiva habitat, bensì una violazione dell’art. 6, n. 4. Limitando severamente l’oggetto della causa sulla base del petitum della Commissione si potrebbe pertanto pervenire alla conclusione che questa censura debba essere respinta (37).

89.      Tuttavia l’art. 6, n. 3, della direttiva habitat, la motivazione del ricorso e già il parere motivato fanno riferimento al legame con l’art. 6, n. 4, della stessa. Pertanto il petitum deve essere interpretato nel senso che la Commissione intendeva effettivamente censurare una violazione dell’art. 6, n. 4.

90.      Peraltro questo legame era manifestamente noto alla Francia, dal momento che tutte le osservazioni nel procedimento precontenzioso e le memorie nel procedimento giurisdizionale hanno preso le mosse dalla violazione dell’art. 6, n. 4. La difesa contro le censure della Commissione non ha quindi subito un pregiudizio dalla mancata citazione letterale dell’art. 6, n. 4, della direttiva habitat.

91.      Ai sensi dell’art. R 414‑21, n. 3, punto 1, il richiedente deve, a tale fine, esporre i motivi per cui non esiste un’altra soluzione soddisfacente.

«Laddove, nonostante le misure previste al comma II, il programma o il progetto può avere rilevanti ripercussioni dannose sullo stato di conservazione degli habitat naturali e delle specie, che hanno giustificato la designazione del sito o dei siti, nella documentazione di valutazione saranno inoltre esposti:

1 I motivi per cui non esiste un’altra soluzione soddisfacente e gli elementi che consentono di giustificare la realizzazione del programma o del progetto alle condizioni previste all’art. L 414‑4, comma III o IV;

2.      (…)».

92.      La Commissione è dell’avviso che questi dati sarebbero insufficienti per effettuare una valutazione delle alternative. Le autorità competenti, piuttosto, dovrebbero esaminare autonomamente le alternative a tale fine.

93.      Il governo francese eccepisce a questa opinione innanzitutto che l’art. 6, n. 4, della direttiva habitat non prescrive espressamente un’esposizione delle alternative, bensì esclusivamente l’assenza di una soluzione alternativa.

94.      È vero che la posizione francese risulta corretta se si valuta isolatamente il tenore letterale, tuttavia dal contesto e dall’obiettivo della disciplina emerge che l’assenza di alternative presuppone un confronto delle alternative (38).

95.      La Francia sostiene inoltre che la richiesta di motivare l’assenza di alternative di cui all’art. R 414‑21, n. 3, punto 1, del codice dell’ambiente presuppone praticamente in ogni caso che il richiedente esamini, descriva e rappresenti mediante cartografia le alternative. Ciò verrebbe chiarito successivamente nelle disposizioni di attuazione.

96.      Anche quando vengono illustrate in pratica alternative, l’art. R 414‑21, n. 3, punto 1, del codice dell’ambiente non è tuttavia improntato ad una verifica delle alternative nell’accezione dell’art. 6, n. 4, della direttiva habitat.

97.      Ciò deriva in primo luogo dal fatto che l’accertamento dell’assenza di alternative non spetta al richiedente, bensì all’autorità competente al rilascio delle autorizzazioni. Questa, ponderando tutti i vantaggi e gli svantaggi delle varianti del piano o del progetto richiesto, può pervenire ad una conclusione diversa rispetto a quella del richiedente. Quest’ultimo, nella scelta fra diverse alternative, di norma è guidato dai propri interessi. L’art. 6, n. 4, della direttiva habitat, invece, permette la compromissione di una zona di protezione solo se ciò sia imposto da motivi imperativi di rilevante interesse pubblico. Il che può essere stabilito solamente dall’autorità che concede l’autorizzazione.

98.      Pur non essendo escluso che al richiedente sia affidata la preparazione dell’analisi delle alternative, i suoi lavori preparatori non possono pregiudicare il risultato. Il confronto, invece, deve comportare all’occorrenza l’esecuzione del progetto con un’altra modalità salvaguardando il sito protetto in questione. Peraltro ho già sottolineato la ncessità che almeno le alternative della selezione ristretta vengano esaminate secondo criteri scientifici paragonabili per quanto riguarda i loro effetti sulla zona interessata e i rispettivi motivi di interesse pubblico (39).

99.      L’art. R 414‑21, n. 3, punto 1, del codice dell’ambiente non esprime in modo sufficientemente chiaro la necessità di un ampio confronto aperto ai risultati da parte dell’autorità competente per il rilascio delle autorizzazioni. In particolare, non è sufficiente esporre solo i motivi per cui non esiste alcuna alternativa, anche quando al riguardo vengono riportate alternative. Piuttosto l’autorità competente per il rilascio delle autorizzazioni deve essere posta a conoscenza anche degli argomenti a favore di alternative, così che possa prendere in considerazione anche tali argomenti.

100. Conseguentemente, l’art. R 414‑21, n. 3, punto 1, del codice dell’ambiente è incompatibile con l’art. 6, n. 4, della direttiva habitat.

IV – Conclusione
101. Pertanto suggerisco che la Corte voglia dichiarare quanto segue:

1.      la Repubblica francese, non avendo adottato le disposizioni legislative e regolamentari necessarie per trasporre correttamente l’art. 6, nn. 2, 3 e 4, della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tale direttiva.

2.      La Repubblica francese è condannata alle spese.

1 – Lingua originale: il tedesco.

2  – GU L 206, pag. 7; è determinante la versione della direttiva habitat modificata dall’atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica ceca, della Repubblica di Estonia, della Repubblica di Cipro, della Repubblica di Lettonia, della Repubblica di Lituania, della Repubblica di Ungheria, della Repubblica di Malta, della Repubblica di Polonia, della Repubblica di Slovenia e della Repubblica slovacca e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’Unione europea, GU 2003 L 236, pag. 33.


3 – Sentenza 20 ottobre 2005, causa C‑6/04, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I‑9017, punto 34).

4 – JORF 24 febbraio 2005, n.°46.

5 – JORF 31 dicembre 2006, n.°303.

6 ‑      Il corsivo è mio.

7 – Sentenza 18 dicembre 2007, causa C‑186/06, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑12093, punto 15 e giurisprudenza ivi cit.).

8 – Sentenza 18 maggio 2006, causa C‑221/04, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑4515, punto 23 e giurisprudenza ivi cit.).

9 – Sentenza 22 settembre 2005, causa C‑221/03, Commissione/Belgio (Racc. pag. I‑8307, punto 39 e giurisprudenza ivi cit.).

10 – V., in tal senso, sentenze 7 settembre 2004, causa C‑127/02, Waddenvereniging e Vogelbeschermingsvereniging (Waddenzee) (Racc. pag. I‑7405, punto 36), e 13 dicembre 2007, causa C‑418/04, Commissione/Irlanda (Racc. pag. I‑10947, punto 263), nonché le conclusioni da me presentate il 29 gennaio 2004 nella causa C‑127/02, Waddenvereniging e Vogelbeschermingsvereniging (Waddenzee) (Racc. pag. I‑7405, paragrafo 118), il 19 aprile 2007 nella causa C‑304/05, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑7495, paragrafo 62), e il 14 settembre 2006 nella causa C‑418/04, Commissione/Irlanda (Racc. pag. I‑10947, paragrafo 173).


11 – Sentenza Waddenzee (cit. alla nota 10, punto 48).

12 – Sentenza 4 ottobre 2007, causa C‑179/06, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑8131, punto 35).

13 – Sentenza Commissione/Irlanda (cit. alla nota 10, punto 25).

14 – Sentenza 12 luglio 2007, causa C‑507/04, Commissione/Austria (Racc. pag. I‑5939, punto 162 e giurisprudenza ivi cit.).

15 – Sentenze Commissione/Regno Unito (cit. alla nota 3, punto 25); 10 gennaio 2006, causa C‑98/03, Commissione/Germania (Racc. pag. I‑53, punto 59), e 10 maggio 2007, causa C‑508/04, Commissione/Austria (Racc. pag. I‑3787, punto 58).


16 – Sentenza Commissione/Regno Unito (cit. alla nota 3, punto 26).

17 – Punto 34 del controricorso.

18  – GU L 103, pag. 1.

19 – Sentenze 25 novembre 1999, causa C‑96/98, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑8531, punto 35); 13 giugno 2002, causa C‑117/00, Commissione/Irlanda (Racc. pag. I‑5335, punto 26), e 20 settembre 2007, causa C‑388/05, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑7555, punto 26).


20 – Sentenze 28 febbraio 1991, causa C‑57/89, Commissione/Germania (Racc. pag. I‑883, punto 22), e Commissione/Spagna (cit. alla nota 7, punto 37).


21 – V. a tale proposito le conclusioni da me presentate nella causa Waddenzee (cit. alla nota 10, paragrafo 119). Una soluzione pragmatica, già predisposta nel diritto francese recente (v. al riguardo infra, paragrafi 80 e seg.), estenderebbe il procedimento di autorizzazione di cui all’art. 6, nn. 3 e 4, della direttiva habitat – forse solo caso per caso – alle attività dubbie, poiché in questo contesto si può tenere conto di interessi rilevanti.


22 – Questa disposizione ha il seguente tenore: «Quando un sito di importanza comunitaria è stato scelto a norma della procedura di cui al paragrafo 2, lo Stato membro interessato designa tale sito come zona speciale di conservazione il più rapidamente possibile e entro un termine massimo di sei anni, stabilendo le priorità in funzione dell’importanza dei siti per il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, di uno o più tipi di habitat naturali di cui all’allegato I o di una o più specie di cui all’allegato II e per la coerenza di Natura 2000, nonché alla luce dei rischi di degrado e di distruzione che incombono su detti siti».


23 – Sentenza Waddenzee (cit. alla nota 10, punto 54).

24 – V. le conclusioni da me presentate il 23 aprile 2009 nella causa C‑254/08, Futura Immobiliare e a. (non ancora pubblicata nella Raccolta, paragrafo 58).


25 – V. sentenza Commissione/Germania (cit. alla nota 15, punti 43 e 44).

26 – V. al riguardo sentenza Commissione/Irlanda (cit. alla nota 10, punti 236 e segg.).

27 – V. sentenza Commissione/Germania (cit. alla nota 15, punto 43).

28 – V. supra, paragrafo  34.

29 – Sul testo di questa disposizione, v. nota 22.

30 – Questa disposizione ha il seguente tenore: «Per le zone speciali di conservazione, gli Stati membri stabiliscono le misure di conservazione necessarie che implicano all’occorrenza appropriati piani di gestione specifici o integrati ad altri piani di sviluppo e le opportune misure regolamentari, amministrative o contrattuali che siano conformi alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali di cui all’allegato I e delle specie di cui all’allegato II presenti nei siti».


31 – V. supra, paragrafi 43 e seg.

32 – Sentenza Commissione/Germania (cit. alla nota 15, punto 41).

33 – Legge 1° agosto 2008, n. 2008‑757, sulla responsabilità ambientale e su diverse normative di adeguamento al diritto comunitario nel settore dell’ambiente (JORF 2 agosto 2008, n. 179, pag. 12361).


34 – V. supra, paragrafo 15.

35 – Sentenza 26 ottobre 2006, causa C‑239/04, Commissione/Portogallo (Racc. pag. I‑10183, punto 25). V. anche sentenza Waddenzee (cit. alla nota 10, punti 57 e 60).


36 – Sentenza 14 aprile 2005, causa C‑441/03, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I‑3043, punti 28 e seg.).

37 – V. sentenza Commissione/Regno Unito (cit. alla nota 3, punti 57 e segg.).

38 – Sentenza Commissione/Portogallo (cit. alla nota 35, punti 36 e segg.).

39 – V. le conclusioni da me presentate il 27 aprile 2006 nella causa C‑239/04, Commissione/Portogallo (Racc. pag. I‑10183, paragrafo 46). V. anche sentenza Commissione/Italia (cit. alla nota 10, punto 83).