Sull’illegittimità della nomina, come consulente tecnico, di un avvocato “esperto di diritto ambientale” da parte del pubblico ministero.

di Alberta Leonarda VERGINE

 

  1. E’ dato del tutto acquisito che la “delimitazione del quadro normativo concernente l’ambiente è tutt’altro che agevole, stante la sua ‘… relativa inafferrabilità concettuale e empirica’”1 e l’alluvionale produzione normativa, caratterizzata anche per la pluralità delle fonti e per la frammentarietà delle discipline che, da tempo immemorabile, da più parti si auspica (senza successo) venga adeguatamente sfoltita e resa coerente2.

Orientarsi in questo groviglio di disposizioni che si succedono nel tempo, a ritmo sincopato, non è agevole; anzi talvolta è quasi impossibile, tanto è vero che la stessa Corte Suprema non raramente decide, con esiti contraddittori, identici casi propendendo per l’una piuttosto che per l’opposta ipotesi interpretativa della confusa normativa3.

In questo raffazzonato e caotico quadro normativo di riferimento, la giurisprudenza, tetragona, praticamente non ammette mai l’ignoranza “scusante” della legge penale per oscurità del testo normativo4, in quanto, pur ammettendo che talvolta (spesso) esso sia tale, ritiene che “.. l'oscurità della legge può [suscitare] negli imputati soltanto un dubbio […]. L'incertezza non abilita da sola ad invocare la condizione soggettiva di ignoranza inevitabile della legge penale in quanto al dubbio avrebbe dovuto conseguire l'astensione dall'intervento e l'espletamento di qualsiasi utile accertamento per conseguire la corretta conoscenza della legislazione vigente.”5.

  1. Posto ciò, non può che suscitare sconcertato stupore leggere che un P.M., nel corso delle indagini svolte con riferimento a attività presuntivamente abusive di gestione di “rocce e terre da scavo” (categoria di materiali riconosciuta da tutti come assai “controversa”6 anche a causa dei continui interventi modificativi della sua disciplina7), ha conferito (anche8 ) a un avvocato esperto di diritto ambientale un incarico di consulenza tecnica finalizzato in buona sostanza a accertare se il materiale gestito dalle ditte appaltatrici come “sottoprodotto” dovesse invece qualificarsi quale “rifiuto” e a individuare la disciplina applicabile nel caso, individuata previamente - sempre dal suddetto consulente tecnico - attraverso una sorta di “interpretazione autentica” del complesso e stratificato dettato normativo di riferimento.

L’ipotesi che, mentre un artigiano che lavora in una piccola officina senza dipendenti e tanto meno consulenti, non orientandosi nell’intricata selva di disposizioni ambientali (ad esempio in punto sottoprodotti o olii esausti, che si sono succedute nel tempo con linguaggio tecnico di difficilissima comprensione), non può mai sostenere “non ho capito cosa debbo fare, come lo debbo fare e quando lo debbo fare”, un Pubblico Ministero possa, invece, fruire di un consulente tecnico-giurista per individuare le norme di legge sotto le quali sussumere il fatto concreto, lascia un po’ stupefatti.

E ciò, sia per motivi d’ordine strettamente “tecnico” , sia per motivi di opportunità e equilibrio tra parte difesa e parte pubblica accusa in un processo che, per dettato costituzionale, dovrebbe essere “giusto” e “paritario”.

  1. Premettiamo che la singolare questione è stata risolta in senso sfavorevole al pubblico ministero dal competente Tribunale che, a fronte della richiesta della difesa degli imputati di dichiararsi la inammissibilità della deposizione dell’Avv. XX perché irritualmente nominato quale C.T.U. dal Pubblico Ministero, ha pronunciato una lucida e condivisibile ordinanza nella quale, dato atto che l’incarico affidato alla Avv. XX “effettivamente ha un contenuto che non è riferibile a una conoscenza tecnico scientifica ma […] afferisce alla competenza giuridica molto approfondita che […] l’Avv. XX ha maturato nello specifico settore”; che il contenuto della valutazione fatta dal consulente del P.M. “non è altro che inquadrare alcuni documenti, alcune modalità di gestione di questi materiali nell’ambito della gestione dei rifiuti. E questa è certamente un’attribuzione che non può formare oggetto di incarico perché è la precipua competenza, il precipuo dovere che incombe ai Magistrati, agli Avvocati, e quindi, in definitiva, al Giudice”. E, sottolineato che “la difficoltà di inquadrare la condotta nello schema normativo voluto dal legislatore” se da un lato giustifica “una difficoltà intellettuale dell’interprete nell’inquadrare le condotte nello schema normativo, tempo per tempo, in vigore”, dall’altro non “giustifica che si possa incaricare un esperto, pur della valentia dell’Avv. XX, per risolvere la questione”, ha concluso nel senso “di non potere ammettere l’esame del consulente Avv. XX sulla questione della qualificazione giuridica” dei materiali per i quali è causa e di conseguenza non ammettere quella parte dell’elaborato peritale redatta dal suddetto Consulente.

Chi scrive è ben consapevole che “sarebbe ipocrita ritenere che la particolare complessità del sistema giuridico - nella sua più ampia accezione, tale da includere ad es. l’intera disciplina amministrativa, ovvero elementi giuridici fortemente integrati con elementi di natura economica – debba necessariamente caratterizzare il bagaglio culturale dell’organo dell’accusa, in particolare quando si tratti di normative di settore estremamente specialistiche” e che “proprio l’interesse ad uno svolgimento dell’indagine in termini di efficacia ed esaustività lasc[erebbe] spazio a prospettive tali da porre in dubbio l’applicazione dell’abusato broccardo “iura novit curia”9.

Ma, cionondimeno, ritiene che sarebbe altrettanto ipocrita l’atteggiamento di chi si dimenticasse che il codice di rito ritaglia uno spazio molto ben definito alla consulenza tecnica/perizia. Quest’ultima, infatti, è ammissibile solo quando “occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche” (art. 220, c.1 c.p.p.), e lo stesso può sostenersi, “sulla base del presupposto dell’identità tematica tra perizia e consulenza tecnica”10 anche per quest’ultima.

Inoltre, è l’art. 359 c.p.p. che specifica che il P.M. può affidare una consulenza a esperti qualora (e solo qualora) debba procedere a “accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ad ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze” . Ciò consente di affermare che la consulenza tecnica è “uno strumento allestito dall’ordinamento processuale per consentire l’acquisizione di dati conoscitivi e/o valutativi la cui apprensione richiede l’intervento di un soggetto tecnicamente qualificato in settori di competenza extra-giuridica”11, e che, pertanto, è “del tutto estranea all’ambito peritale l’individuazione delle norme di legge applicabili a una determinata fattispecie”12, non potendo, né la perizia, né la consulenza tecnica, “essere strument[i] di eterointegrazione delle cognizioni giuridiche del magistrato”13.

  1. Dato quanto sopra, potremmo limitarci a affermare che se eccentrica – in verità sostanzialmente contra legem rispetto all’assetto dell’istituto codicistico14 - è stata l’iniziativa del P.M.; al contrario perfettamente coerente con i principi del sistema si presenta l’ordinanza del Tribunale. E potremmo concludere qui la nostra “informativa”, ma a ci sembra opportuno insistere ancora su un altro aspetto della questione, che prescinde dall’oggetto specifico della consulenza richiesta nel caso all’esame dal P.M.

Anzitutto, deve tenersi in debito conto che “mentre il consulente tecnico, chiamato a collaborare con una parte privata, è tradizionalmente concepito come un ruolo di ausilio alla difesa, donde la sua equiparazione, quanto a funzione e garanzie, al difensore; quello nominato dal pubblico ministero, sia pure prestando un’attività di ausilio a una “parte” del processo, ripete, dalla funzione pubblica dell’organo che coadiuva, i relativi connotati, tanto è vero che acquista natura di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio nel momento in cui compie le attività affidategli dal pubblico ministero. Con la conseguenza che su di lui grava il dovere, connaturato a ogni parte pubblica, di obiettività e imparzialità, nel senso che la sua funzione è tesa all’accertamento della verità, posto che il pubblico ministero deve svolgere indagini su fatti e circostanze anche a favore della persona sottoposta alle indagini (art. 358 c.p.p.)”15.

Orbene, anche se l’oramai assai lunga pratica quotidiana ci porta a dubitare che questa funzione sia sempre tra quelle prioritarie dei p.m., va considerato che, da quanto precede, consegue che il consulente del P.M. viene a trovarsi in una sorta di posizione “privilegiata” rispetto ai consulenti delle altre parti. Infatti, se l’obbligo di fedeltà al cliente consente (se non addirittura impone) al consulente della difesa non certo di mentire16, ma senza dubbio di sottacere quanto non utile a fini difensivi; “l’ausiliario del pubblico ministero, invece, mutuerebbe, dalla parte di riferimento, i doveri di legalità, lealtà, correttezza e ricerca della verità che le sono proprie: di conseguenza egli avrebbe […]un obbligo di verità”17. Ciò provocherebbe che, quand’anche non si arrivasse a parificare tout court perito e consulente tecnico del pubblico ministero18, comunque “alle dichiarazioni dell’esperto del P.M. [verrebbe] riconosciuto valore provante, mentre ciò che dice il consulente [avrebbe] il valore di mera argomentazione di parte, id est non probatorio”19.

5.Ma non basta. Di fronte a una consulenza tecnica del p.m., alla quale può contrapporsi una consulenza della difesa che pervenga a opposte conclusioni, il giudice può, ma non sempre ciò avviene, decidere di nominare un perito, ma non è certamente obbligato a farlo20. E la circostanza (della mancata nomina di periti del giudice) assume un rilievo tutto particolare considerato che, una volta entrata nel processo, “la consulenza è suscettibile di assumere pieno valore probatorio non diversamente da una testimonianza”21.

Orbene, in questi casi il giudice vive quella che è stata definita “una condizione di perenne disagio […] sempre più consumatore di leggi scientifiche, ma nel contempo perennemente gravato dalla ‘fragilità del mito dello iudex peritus peritorum’ 22. Per due ordini di ragioni. Non solo per una presunta inaccessibilità del sapere scientifico al giudice ‘profano’: già Carnelutti scriveva che ‘per giudicare il consiglio del perito il giudice dovrebbe sapere quello che non solo non sa , ma che con la chiamata del perito confessa di non sapere’23; ma anche per gli evidenti limiti, da un lato, di credibilità dei consulenti nel processo, dall’altro, di validità delle ricerche scientifiche nate fuori dal processo, ma presupposte nei contributi dei consulenti.

Di fronte a queste difficoltà il rischio è che il giudice finisca per rifugiarsi nelle due strade più semplici: in quelle che gli garantiscono ‘l’assuefazione’, ‘l’indifferenza burocratica’, l’irresponsabilità anonima’24. La prima consisterebbe nel ricorrere al suo libero convincimento, privo di ogni argine e barriera, quindi al suo personale intuito svincolato dalle leggi della scienza. […] La seconda scorciatoia potrebbe consistere nell’affidarsi al parere del consulente dell’accusa, ausiliario di un organo spesso ritenuto comunque imparziale, dedito alla ricerca della verità e pur sempre autorità giudiziaria ”25.

Ed ecco che qui si manifestano con estrema chiarezza quelle “ambiguità del codice di rito [che] hanno continuato a fornire l’avallo ad interpretazioni non in linea con la struttura di un autentico processo di parti”26: il p.m. gode di una sorta di “presunzione di lealtà e probità”27 che gli conferisce maggior credito processuale e “questo paradosso si riflette poi in modo speculare sul suo consulente tecnico.[…] Ecco allora il motivo per cui il giudice potrebbe essere tentato [e spesso cede a tale tentazione n.d.a.] di affidarsi alle conclusioni del consulente del p.m.”28.

E se si considera, poi, che l’esame cui il consulente nominato ex art 233 c.p.p. può essere sottoposto ai sensi dell'art 501 c.p.p. ha come scopo specifico proprio quello “di consentire l’acquisizione probatoria degli esiti delle sue indagini e delle sue valutazioni”29, la mancata nomina di un perito sbilancia completamente il già scarso equilibrio tra parte difesa e parte accusa.

Non solo perché non è infrequente imbattersi in consulenti della pubblica accusa incapaci di “sottrarsi, con distaccata obiettività, dalla psicologia accusatoria che è inevitabilmente collegata con l’ufficio del pubblico ministero”30; ma anche, e soprattutto, perché l’appiattirsi del giudice sulle conclusioni del consulente del p.m. senza sottoporre al vaglio di esperti terzi e indipendenti la questione tecnica oggetto della consulenza, stride in modo irrimediabile quanto sgradevole con il disposto dell’art. 111 Costituzione. Il quale non solo pretende che ogni processo si svolga nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale - e “non esiste parità allorché le prove presentate da una parte scontano un minor grado di attendibilità per il semplice fatto di provenire da chi abbia una determinata posizione processuale”31 o, peggio ancora, allorché il mezzo di prova non può essere utilizzato dalla parte per mancanza di adeguate capacità economiche, ma questo aspetto problematico della vicenda è già stato risolto dalla Corte Costituzionale32- ma consacra, senza esitazioni e limiti, il diritto dell’imputato a una piena difesa e a un “giusto” processo, che non sarà mai tale se una delle parti vede riconosciuto, per sé e per il proprio consulente, un quid pluris di ingiustificata, e comunque tutta da dimostrare, maggiore credibilità/affidabilità.

1 Così RUGA RIVA, Parte generale, in (a cura di PELLISSERO), Reati contro l’ambiente e il territorio, in (a cura di PALAZZO PALIERO), Trattato teorico pratico di diritto penale, Torino, 2013, 5 che, sul punto, cita PALAZZO, Principi fondamentali e opzioni di politica criminale nella tutela penale ambientale, in (a cura di GRASSI CECCHETTI ANDRONIO), Ambiente e diritto, Firenze 1999, 547

2 In questo senso, ancora di recente in occasione della discussione sulla introduzione dei delitti ambientali nel codice penale, cfr. VERGINE, I nuovi delitti ambientali: a proposito del d.l.l. n. 1345/2014, in Ambiente&Sviluppo, 2014, 6, 443 ss; VERGINE, La strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni. A proposito del d.d.l. n.1345/2014 sui novi delitti ambientali, in R.G.A., 2014, 5, 457 ss.

3 Cfr. la recentissima Cass. sez. III ud. 02.10.2014, dep. 22.01.2015 con la quale il S.C. ha, inopinatamente, capovolto il proprio precedente trend in tema di acque meteoriche di dilavamento e che la dottrina quasi unanime ha criticato; cfr. VERGINE, L’evanescente certezza del diritto. La ‘marcia indietro’ della Cassazione in tema di acque meteoriche di dilavamento, in R.G.A., 2015, 2 ; AMENDOLA, Acque meteoriche di dilavamento: la Cassazione tentenna, in www.lexambiente.it; P. GIAMPIETRO, Le acque meteoriche di dilavamento non sono più assimilabili alle acque reflue, lexambiente.it, 29 maggio 2015; a favore, KUSTURIN, La Cassazione torna sui suoi passi: acque meteoriche & acque reflue industriali, in www.ambientediritto.net.

4 Un po’ più di spazio è riconosciuto, invece, alla bona fede derivante da un elemento positivo estraneo all’agente consistente in una circostanza che induca alla convinzione della liceità del fatto, in questo senso Cass. sez. III ud.25.06.2009, dep. 18.09.2009, n. 36218

5 In questi termini Cass. sez. III, ud. 16.04.2004, dep. 24.06.2004, n. 7709

6 In questi termini, RUGA RIVA, op.cit., 78 ss.; Cfr. anche P. GIAMPIETRO, Il nuovo statuto delle terre e rocce da scavo, in www.lexambiente.it, 21 novembre 2012 e ID. I trattamenti del sottoprodotto e la normale pratica industriale, ivi, 15 maggio 2013; P.GIAMPIETRO M. PETRONZI, La Cassazione insiste sulla “temporaneità” dell’art. 186 T.U.A. con irretroattività del D.M. 161/2012 i fini penali, in lexambiente.it, 22 luglio 2014 .

7 Per tutti, richiamiamo l’attenzione sull’incredibile vicenda vissuta nell’ultimo biennio dall’art. 186 del d.lgs.152/06. Il 24/03/2012 è stata promulgata la l. 27/2012, di conversione del D.L. 24/01/2012 n° 1, la quale rimanda la regolamentazione dell’utilizzo delle terre e rocce da scavo ad un decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, in concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (art. 49, Utilizzo delle terre e rocce da scavo) al fine di stabilire “le condizioni alle quali le terre e rocce da scavo sono considerate sottoprodotti ai sensi dell’art. 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006”. Dalla data di emanazione del previsto decreto sarebbe stato abrogato l’art. 186 del D. Lgs. 152/2006. In data 10/08/2012 è stato emanato il suddetto decreto ministeriale, il n. 161/2012 che trovava applicazione nella “gestione del materiale da scavo” (art. 3, comma 1), con esclusione dei rifiuti provenienti dall’esecuzione di interventi di demolizione di edifici o altri manufatti preesistenti (comma 2). Tale dispositivo (ancorché adottato ben oltre i sessanta giorni previsti dalla L. 27/12) rappresenta il “decreto” di cui all’art. 49, comma 1-bis della L. 27/12 alla cui data di entrata in vigore avrebbe cessato di valere l’art. 186 del D. Lgs. 152/06, anche se tale collegamento è semplicemente richiamato nelle premesse del DM 161/2012 (5° comma) non prevedendosi una esplicita abrogazione dell’art. 186 - forse perché sarebbe probabilmente risultata illegittima per il principio di gerarchia delle fonti e comunque tale effetto era già disposto dal citato art. 49, comma 1-ter della L. 27/12. Conseguentemente, a partire dal 10/08/2012, fino alla modifica successiva introdotta dal c.d. “decreto del fare” di cui si darà conto a breve, il DM 161/12 disciplinava in toto la gestione del materiale da scavo e risultava abrogato l’art. 186 del D. Lgs. 152/06. Tuttavia il 26/04/2013 è stato emanato un nuovo decreto legge il n.43/2013 (convertito con Legge n. 71 del 24/06/2013) che all’art. 8-bis, Deroga alla disciplina dell’utilizzazione di terre e rocce da scavo, stabiliva che le disposizioni del DM 161/2012 trovassero applicazione solo nell’esecuzione di opere soggette ad autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.) o a valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) (comma 1) e al contempo che, in attesa di una specifica disciplina per la gestione del materiale da scavo provenienti dai cantieri di piccole dimensione, continuassero ad applicarsi su tutto il territorio nazionale le vecchie disposizioni dell’art. 186 del D. Lgs. 152/06, in deroga a quanto stabilito dall’art. 49 della L. 27/2012. In altri termini è stato “resuscitato” l’art. 186 e giusto per rendere ancora più stratificata la disciplina de qua, nel periodo intercorrente tra l’emanazione del DM 43/13 e la sua conversione in legge, il noto “decreto de fare”, cioè il D.L. n. 69 del 21/06/2013 (vigente a partire dal 30/06/2013), disponeva ciò che già si era disposto con il d.l. n. 43/2012 e cioè che “all’art. 184-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni dopo il comma 2, è aggiunto il seguente comma “2-bis”. Il decreto” 161/2012 “ si applica solo alle terre e rocce da scavo che provengono da attività o opere soggette a … “VIA e/o AIA ”. La successiva legge di conversione del decreto del fare (L. n. 98 del 09/08/2013) ha poi confermato, all’art. 41, comma 2, le sopra richiamate disposizioni del DL 69/13 e aggiunto un altro elemento al già sufficientemente confuso impianto normativo: l’art. 41-bis (ulteriori disposizioni in materia di terre e rocce da scavo) con il quale ha disciplinato la gestione delle terre e rocce da scavo per i piccoli cantieri sottoponendoli al regime di cui all’art. 184-bis del D. Lgs. 152/06 (sottoprodotto) solo in caso di precise condizioni, in relazione all’art. 266, comma 7 del D. Lgs. 152/06 e in deroga al D.M. 161/2012.

8 Nel caso all’esame, il P.M. ha richiesto una consulenza collegiale.

9 Così PARODI, Natura, funzione e ruolo del consulente tecnico del pubblico ministero, in Consulenza tecnica e perizia: problemi processuali nella acquisizione della prova tecnico-scientifica, CSM uff. ref. Per la formazione decentrata Corte d’Appello di Torino, 2005.

10 In questi termini, SCAPPINI, sub art. 233, in (a cura di CONSO ILLUMINATI) Commentario breve al codice di procedura penale, Cedam, 2015, 905

11 FURGIUELE, La prova per il giudizio nel processo penale, Torino, 2007, 209.

12 Così in AAVV ( a cura di FERRUA,MARZADURI, SPANGHER) La prova penale, Torino, 2013, 413.

13 VILLANI, Alcuni profili problematici della consulenza tecnica di ufficio nel processo civile, in Quaderni del CSM n. 108 , vol., La prova nel processo civile, p. 302; nello stesso senso RIVELLO, sub art. 359, , in (a cura di CONSO ILLUMINATI) Commentario breve, cit., 1546.

14 Non irrilevante notare che il legislatore pretende che il P.M., ma non anche la parte difesa, quando sceglie un consulente, di regola lo individui tra i periti iscritti al relativo Albo, ma non esiste un Albo dei …periti giuridici.

15 In questi testuali termini, Cass. SS.UU. ud. 25.09.2014, dep. 12.12.2014 n. 51824.

16 Le regole deontologiche e professionali impediscono al difensore e al suo consulente di “dolosamente fuorviare il giudice affermando come veri fatti che egli sa falsi”, così: FOCARDI, La consulenza tecnica extraperitale delle parti private, Cedam, 2003, 215.

17 Così FOCARDI, La consulenza tecnica extraperitale, cit., 211-12.

18 In questo senso, CREMONESI, Natura giuridica e funzioni del Consulente Tecnico nelle indagini preliminari, in Giust. Pen., 1995, III, 244. per il quale l’intenzione del legislatore sarebbe stata quella di “considerare unica la disciplina del consulente tecnico del pubblico ministero e quella del perito”.

19 Così FOCARDI, La consulenza tecnica, cit. 212 nota (14)

20 Cfr. Cass. sez. I, 13.10.1993, in Cass. Pen. 1995, 1547; Cass. sez. II, 28.02.1997, in Guida al diritto, 1997, 26, 68.

21 Così Corte Cost. sent. 19.02.1999, n. 33 in Giur.Cost. 1999, 251 con nota redazionale di commento.

22 Così KOSTORIS, I consulenti tecnici nel processo penale, Milano, 1993, 322

23 Così CARNELUTTI, Principi del processo penale , Napoli, 1956, 215; ancora recentemente nello stesso senso DOMINIONI, La prova penale scientifica. Gli strumenti scientifici-tecnici nuovi o controversi e di elevata specializzazione, Milano, 2005, 335 ss.; TARUFFO, La prova scientifica nel processo civile, in Riv.trim.dir.proc.civ., 2005, 1110.

24 Cfr. STELLA, Giustizia e modernità. La protezione dell'innocente e la tutela delle vittime, Milano III ed. 2003, 32 ss. e 142 ss.

25 Così CENTONZE, Scienza “spazzatura” e scienza “corrotta” nelle attestazioni e valutazioni dei consulenti tecnici nel processo penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, p. 1232 ss

26 Così CENTONZE op.loc. cit.

27 In questi termini testuali, PISANI, Italian style: figure e forme del nuovo processo penale, Quaderni dell’Indice penale, Cedam, 1998, 17

28 CENTONZE, op. cit., 1254

29 Così GREVI, Prove , in (a cura di CONSO GREVI) , Compendio di procedura penale, Cedam, 2006, 343

30 FIORI, in (a cura di FIORI MARCHETTI), Medicina legale e della responsabilità medica, Milano, 2009, 683

31 Così FOCARDI, La consulenza tecnica, cit. 215

32 Si allude alla già citata sent. Corte Cost. n.33/99 con la quale è stata dichiarata “l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4, comma 2, prima parte, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti) nella parte in cui, per i consulenti tecnici, limita[va] gli effetti della ammissione al patrocinio a spese dello Stato ai casi in cui [era] disposta perizia” e nella quale si ribadisce che, non essendo il giudice “vincolato a nominare un perito qualora le conclusioni fornite dai consulenti di parte gli appaiano oggettivamente fondate, esaustive e basate su argomenti convincenti” ciò fa sì che , inerendo “le prestazioni del consulente di parte […] all'esercizio del diritto di difesa, […] privarne il non abbiente significa negargli il diritto di difendersi in un suo aspetto essenziale”.

 

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Il testo del provvedimento

TRIBUNALE PENALE DI FIRENZE, RITO MONOCRATICO

DOTT. MAGNELLI GAETANO Giudice

PROCEDIMENTO PENALE N. R.G. TRIB. 994/13 - R.G.N.R. 9149/07

A CARICO DI: XX + 16

UDIENZA DEL 11/05/2015

pag. 106 e ss. del verbale di udienza

“Il Giudice: … sulla questione che è stata posta in principalità dall’Avvocato XX, che in proposito ha depositato una memoria, questione alla quale hanno aderito tutti i difensori e sentito anche il Pubblico Ministero …., ritengo di potere decidere in questi termini, è cioè che il conferimento dell’incarico che è stato dato alla Avv.P.F. effettivamente ha un contenuto che non è riferibile a una conoscenza tecnico scientifica ma è un contenuto che afferisce alla competenza giuridica molto approfondita, da quello che leggo attraverso gli allegati alla memoria dell’Avvocato XX, che l’Avv.ssa P.F. ha maturato nello specifico settore.”

“Il contenuto della valutazione che ha fatto l’Avv.ssa P.F. quindi non è altro che inquadrare alcuni documenti, alcune modalità di gestione di questi materiali nell’ambito della gestione dei rifiuti.”

“E questa è certamente un’attribuzione che non può formare oggetto di incarico perché è la precipua competenza, il precipuo dovere che incombe ai Magistrati, agli Avvocati, e quindi in definitiva al Giudice”.

“Il fatto che la disciplina delle terre e rocce da scavo - sottoprodotto, quelle che una volta venivano anche chiamate materie prime e seconde, ha avuto nel nostro ordinamento una storia, è inutile dirlo, molto travagliata, quindi si comprende la difficoltà di discernere il regime che volta a volta si è susseguito in base alla norma in quel momento in vigore.”

“Il fatto che, nel corso dell’attività lavorativa delle imprese condotte avanti al giudizio del Magistrato, (esse) abbiano avuto delle discipline convenzionali che possono risultare in contrasto con la disciplina per quel tempo applicabile - e da questo quindi la difficoltà di inquadrare la condotta nello schema normativo voluto dal legislatore - giustifica sì una difficoltà intellettuale dell’interprete nell’inquadrare le condotte nello schema normativo tempo per tempo in vigore.”

“Ciò non giustifica però che si possa incaricare un esperto pur della valentia dell’Avv.ssa P.F. per risolvere la questione…. … non può essere demandato al perito id est consulente di parte la soluzione di questioni giuridiche che rientrano, o meglio debbono rientrare nella precipua competenza cognitiva e delle parti processuali, intendo Pubblico Ministero e Difensori, e quindi del giudicante … “

“…. Ritengo attualmente di non potere ammettere l’esame della consulente Avv.ssa P.F. sulla questione della qualificazione giuridica, quindi l’elaborato dalle pagine 42 e seguenti.”

“E’ noto che la consulenza congiunta R. P.F. vede in una prima (parte) l’espressione dell’attività e delle valutazioni dell’ingegnere R. che abbiamo sentito; nella parte finale, se non ricordo male, tutta l’attività valutativa che ha fatto l’Avv.ssa P.F.…… Quindi la consulente Avv.tessa P.F. non viene esaminata e il suo elaborato, per il momento, non è considerato acquisibile agli atti….>>.