Ancora sul concetto di abusivamente nei delitti ambientali: replica a Gianfranco Amendola

di Carlo RUGA RIVA

NOTA di Lexambiente.it: L'Autore dell'articolo ha pubblicato il volume I nuovi ecoreati Commento alla legge 22 maggio 2015 n. 68 (http://www.giappichelli.it/i-nuovi-ecoreati,7524328) 

0. Premessa

Gianfranco Amendola, su questo sito,1 come già aveva fatto in relazione ad altri interventi2, torna a criticare l’avverbio “abusivamente” inserito in taluni delitti ambientali.

In particolare, Amendola non condivide affatto la mia tesi, secondo cui la clausola di illiceità espressa non è un capriccio del legislatore italiano frutto di pressioni da parte di industriali cattivi e di associazioni ambientaliste un po’ fesse, bensì un requisito previsto nella Direttiva 2008/99 e comunque un elemento di fattispecie del tutto ragionevole.

Raccolgo volentieri il guantone della sfida dialettica, sperando anzi che sul ring salgano ulteriori sparring partner, o magari qualche arbitro, in un clima di confronto franco e costruttivo, che spero di affrontare senza esagerare nei toni3.

 

1. Sugli obblighi derivanti dalla direttiva 2008/99 CE

Sostiene il mio critico che la nota di illiceità speciale, condensata nell’avverbio “abusivamente”, non sia affatto imposta dalla Direttiva 2008/99.

Più precisamente, egli scrive, “appare…evidente…che la Direttiva non vuole affatto introdurre nuovi reati ma si prefigge solo di punire con sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive alcune attività qualora svolte in contrasto con il dettato comunitario…L’Italia….poteva tranquillamente ottemperare alla Direttiva agendo sulle sanzioni di queste “attività illecite”. Ha preferito, invece, agire in senso più complessivo introducendo alcuni (nuovi) illeciti incentrati non sull’”attività” ma sull’evento e qualificandoli come delitti”.

Mi pare che le obiezioni mosse da Amendola poggino su di una errata lettura della direttiva: l’obbligo di incriminazione europeo (art. 5, lett. a Direttiva 2008/99 CE) non concerne (mere) attività, come egli sostiene, ma condotte (“conduct” nella versione inglese”, “actes” in quella francese) di grave inquinamento che causino o possano causare danni rilevanti all’ambiente o morti o lesioni gravi alle persone.

Nel lessico penale si tratta di reati di evento naturalistico e di danno.

La nostra legislazione non contemplava fattispecie di reato paragonabili per struttura e contenuto: non aveva alcuna figura di inquinamento come alterazione delle risorse naturali, né una figura ad hoc di disastro ambientale; a tale ultima lacuna, come noto, la giurisprudenza aveva reagito ritagliando la figura del disastro ambientale dal calco amplissimo (se non informe) del disastro innominato.

La norma europea impone di incriminare condotte illecite, non conformi al diritto (“unlawful”/ “illicites”) e causali (o potenzialmente causali) rispetto a decessi o lesioni gravi o a danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora.

Non rilevano, per la norma europea, morti o lesioni gravi, o danni rilevanti all’ambiente conseguenti a condotte lecite di immissione o emissione nell’ambiente.

Forse ad Amendola non sembra una soluzione di buon senso (ed è una preoccupazione rispettabilissima), ma questo impone, piaccia o meno, la Direttiva 2008/99.

Beninteso, gli Stati membri possono derogare al minimum standard europeo di tutela (Considerando 12 della Direttiva), adottando misure più stringenti, purché si tratti di misure compatibili con il Trattato.

Il tema, quindi, non è se l’”abusivamente” sia previsto nell’equivalente europeo del disastro ambientale/inquinamento aggravato dall’evento (dato che mi sembra incontestabile), quanto se mai se tale requisito sia derogabile dagli Stati membri in un’ottica di maggior tutela rispettosa del Trattato.

Personalmente ritengo che, in un sistema costruito sul carattere (parzialmente) accessorio del diritto penale alla sottesa disciplina amministrativa (cfr. artt. 2 e 5 Direttiva), la illiceità della condotta sia una condizione imprescindibile per la punibilità del fatto, comprensivo degli eventi ricollegabili alla condotta.

In caso contrario mi sembrano messi a repentaglio principi penali di rango costituzionale (legalità, colpevolezza, separazione dei poteri) che innervano il Trattato.

Breve: l’”abusivamente” è assolutamente in linea con l’”illecitamente” imposto dalla Direttiva 2008/99; una sua deroga andrebbe motivata (sia dal legislatore che dai suoi sostenitori), e a mio parere confliggerebbe con fondamentali principi del Trattato.

 

Ciò detto, si può discutere se il legislatore italiano (al di là dell’”abusivamente”) abbia recepito l’input di incriminazione nel migliore dei modi possibili.

La mia risposta è no: il legislatore nostrano ha creato due delitti dai confini incerti: l’inquinamento aggravato dalle morti o lesioni (art. 452-ter) e il disastro ambientale (art. 452-quater), i cui requisiti tendono in larga parte a sovrapporsi4.

Aggiungo che, a mio sommesso parere, e senza poter e voler approfondire un tema di straordinaria complessità, le cose stanno esattamente così anche in relazione al disastro innominato, ove la clausola abusivamente non c’è.

Ritengo, in altre parole, che la clausola abusivamente sia nel bene o nel male sopravvalutata, perché esplicita ciò che dovrebbe derivare dall’applicazione di principi basici (legalità, colpevolezza, affidamento): o è inutile, o è al più utile a richiamare l’interprete ad una data interpretazione del rischio consentito, cui sarebbe tenuto comunque, in base a principi più generali o ancora, a tutto concedere, si limita ad orientare l’interprete verso uno dei possibili esiti del bilanciamento di interessi confliggenti, comunque risolvibile prescindendo dalla clausola in commento.

Pur con molte differenze e peculiarità (di bene giuridico, di struttura delle fattispecie ecc.), in altro contesto la Cassazione ha già avuto modo di interpretare una disposizione (l’art. 674, secondo periodo c.p.) nel senso che emissioni moleste (polveri, onde elettromagnetiche e altre “cose” di cui all’art. 674 primo periodo c.p.) ove autorizzate e rispettose dei limiti soglia e delle prescrizioni e norme di settore non costituiscono comunque reato, pur in assenza di clausola di illiceità espressa (“nei casi non consentiti dalla legge”, espressamente preveduta solo nel secondo periodo)5.

Ciò ha fatto la Suprema Corte fornendo una duplice interpretazione; vuoi unitaria (l’una disposizione sarebbe speciale rispetto all’altra, condividendo un unico genus) vuoi analogica, trattandosi di norma di favorevole la quale, ci sembra, presuppone la non eccezionalità della formula “fuori dei casi consentiti dalla legge”; se essa fosse eccezionale l’applicazione analogica sarebbe comunque preclusa dall’art. 14 disp. prel. c.c.

 

2. Sul buon senso e sui concetti elementari

Il mio vivace contraddittore si appella più volte al buon senso e ad elementari principi di diritto penale, patrimonio di ogni studente di giurisprudenza, per segnalare l’inopportunità e la pericolosità del demoniaco avverbio.

Temo non esista un (buon) senso unico, ma che ne esistano diversi (o magari nessuno).

Ad esempio, per fare il caso oggi più noto di disastro doloso (Ilva), la magistratura tarantina considera irragionevole la disciplina sul riesame dell’AIA introdotta dal legislatore, mentre la Corte costituzionale la considera del tutto ragionevole ed equilibrata.

Forse che la Corte costituzionale ha autorizzato la prosecuzione di un disastro ambientale?

Molti sostengono che non può esservi bilanciamento (mai e a nessun livello di offesa) tra interessi della salute e confliggenti interessi della produzione, della occupazione ecc.

La Corte costituzionale (non Confindustria) scrive che non esistono diritti tiranni.

A me pare nozione di elementare buon senso che se un imprenditore emette sostanze in atmosfera conformi ai valori prescritti dalla legge o indicati nella autorizzazione non risponda di eventuali conseguenze pericolose o dannose, salvo la prova di collusioni o di reati finalizzati a fissare soglie/prescrizioni non conformi alla legge o al patrimonio scientifico consolidato.

“Qualsiasi studente di giurisprudenza sa benissimo…che se qualcuno, in buona fede, si è sempre attenuto alle leggi ed ha agito con diligenza e prudenza, non rischia niente”.

Beh, su questa affermazione non scommetterei un euro, e credo che nessun avvocato punterebbe alcunché.

L’asserzione un po’ apodittica di Amendola (tanto quanto la mia scommessa, lo ammetto) evoca temi di straordinaria delicatezza: l’ambito del rischio consentito; il rapporto tra colpa generica e colpa specifica, specie in settori fortemente regolati dalla legge e da autorità amministrative.

Sarà bene, credo e auspico, che giurisprudenza e dottrina ci riflettano a fondo, perché è tema che, al di là di facili strumentalizzazioni (da parte dei pasdaran delle opposte fazioni) coinvolge niente meno che il cuore della democrazia: il rapporto tra cittadino e autorità (pa e magistratura); il rapporto tra poteri dello Stato.

Cosa vuol dire agire con prudenza e diligenza? Per stare lettamente sereno il nostro imprenditore dovrebbe inquinare 0; in tutti gli altri casi ci sarà sempre una nuovissima tecnologia, uno studio di qualche università che indica il pericolo di date sostanze a date esposizioni più basse ei valori fissati dalla legge o nelle precrizioni; o sarà sempre possibile adottare sistemi antinquinamento più efficaci; o magari sarebbe in ogni caso auspicabile raggiungere soglie più basse in base al principio di precauzione, anche a prescindere da qualsiasi evidenza scientifica di pericolo reale.

Non sono casi teorici, che professori scollegati alla realtà illustrano nelle università a studenti manipolabili, ma casi oggi discussi nelle aule di giustizia: ad es. nel caso Ilva si contestano, tra le molte, emissioni di polveri sottili conformi ai valori all’epoca vigenti, ma sempre all’epoca inferiori a quelli suggeriti dall’OMS: quale è la soglia di rischio consentito? Chi è l’imprenditore diligente e prudente (il mitico agente modello)? Quid iuris se all’epoca uno studio dell’università x segnalava un dato ulteriormente dimezzato? Allora in quel caso si valorizza l’accademia?

 

3. Sul criticato parallelo con la clausola “abusivamente” contenuta nell’art. 260 t.u.a.

Sul criticato parallelo con identica clausola contenuta nel delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti mi pare che Amendola parta da una lettura inesatta del diritto vivente, come peraltro rilevato da molti ed eterogenei commentatori6, il primo dei quali7 oggetto di varie reprimende da parte del nostro brillante polemista.

Se fosse vero che “abusivamente” significa solo senza autorizzazione avrebbe ragione Amendola: la norma sarebbe irragionevole; ma così non è, e dunque la polemica appare inutile.

 

4. Su alcune pretese contraddizioni

Secondo Amendola la clausola abusivamente servirebbe per sottrarre il disastro ambientale dalle “normali” regole del diritto penale, e in particolare, se bene intendo, dalla colpa generica; e ciò sarebbe da un lato inaccettabile, e dall’altro non imposto dalla UE.

Amendola aggiunge che sarebbe contraddittoria una clausola di illiceità speciale riferita ad un delitto colposo; non intendo perché sarebbe contraddittoria.

L’antigiuridicità opera oggettivamente, a prescindere dai criteri di imputazione della colpevolezza (dolo o colpa).

La citazione di Alberta Leonarda Vergine8 richiamata a supporto mi pare inconferente, riguardando una (condivisibile) critica alla compatibilità tra delitto colposo ambientale e criterio dell’interesse o vantaggio per l’ente (art. 5, d.lgs. n. 231/2001).

La mia tesi, in effetti, è più radicale di quella che Amendola critica; l’abusivamente è clausola che rende oggettivamente e tendenzialmente lecito il fatto, prima e a prescindere da qualsiasi valutazione sulla (eventuale) colpa soggettivamente rimproverabile all’autore del fatto.

Nemmeno, mi pare, colga nel segno la critica che vorrebbe cogliere una contraddizione tra disastro ambientale abusivo (art. 452-quater c.p.) e disastro innominato non abusivo (art 434 c.p.).

In primo luogo si tratterebbe di una differenza operata dal legislatore con una qualche logica, attesa la parziale accessorietà del diritto penale dell’ambiente alla sottesa disciplina amministrativa; caratteristica non sempre ricorrente nei molti settori coperti dal disastro innominato.

Ma, anche qui, la mia tesi è più radicale, come ho avuto modo di sostenere proprio in relazione all’art. 434 c.p.9: a mio parere anche il disastro innominato non può essere integrato da condotte non abusive, cioè conformi ai valori di legge e alle prescrizioni amministrative, salvi casi di collusione o di reati sottesi, o, più problematicamente (sul distinto versante colposo), di macroscopica inadeguatezza delle soglie o delle prescrizioni rispetto a conoscenze diffuse al momento della condotta.

 

5. Postilla sul metodo

Si sa, una lieve deformazione caricaturale delle tesi che si vogliono contrastare rende più agevola la loro critica.

Si parte lancia in resta sostenendo che “abusivamente” vuol dire “clandestinamente”, e si paventano sconquassi giurisprudenziali pro inquinatori: nello stagno dell’apocalisse qualche grillino e il Fatto quotidiano affonderanno i loro sassi.

Peccato che la giurisprudenza più recente, secondo la stessa ricostruzione di esperti magistrati cassazionisti e avvocati10, come già ricordato, non è nel senso indicato da Amendola.

Si apre l’articolo dicendo che è comprensibile che Confindustria sia tra i sostenitori della legge (e, parrebbe, dell’abusivamente), ma che lo sia un professore, suvvia, è troppo.

 

Evidentemente al nostro ideale interlocutore è sfuggito il commento comparso su “Il Sole 24 Ore” del 20 maggio 201511, ove, nel mettere in luce vari difetti della novella, si menziona il disastro ambientale: “Come definire se un’alterazione è abusiva o autorizzata? Come definire il grado di alterazione dell’ambiente? Una manna per le procure più reazionarie e per i loro periti desiderosi di fatturare”.

Del resto Forza Italia, il partito più vicino a Confindustria, è stato l’unico a votare compattamente contro la nuova legge nell’ultima votazione in Senato; a favore, tra gli altri, il Movimento 5 stelle (salvo una dissidente), ad oggi il partito più (a parole) vicino ai movimenti ambientalisti12.

Per quanto mi riguarda – sarò forse un po’ ingenuo – non ritengo che gli argomenti siano buoni o cattivi a seconda delle parti sociali o dei partiti che le sostengono.

Soprattutto quando, come nel caso di specie, sia tra i favorevoli che i contrari (alla legge nel suo complesso e all’avverbio “abusivamente” in particolare) vi siano persone e associazioni eterogenei (Confindustria e Amendola, NCD e Legambiente), certo sulla base di argomenti diversi: appunto, approfondiamo gli argomenti e discutiamoli anche con verve polemica, come fa il mio interlocutore, che ringrazio per (l’immeritata) attenzione dedicata al mio scritto.

In caso contrario dovremmo fare come chi (forse) provocatoriamente liquida l’esame della legge in commento in modo assai spiccio: “ci sono due modi per capire se un testo di legge è buono o no. Il primo è spendere diverse ore per studiarlo…il secondo è vedere cosa ne pensa il centrodestra”13.

Senonché, aggiungo sommessamente, i centro-destra sono tre, e sulla legge in commento hanno votato diversamente (a favore NCD, astenuta Lega, contro Forza Italia); tra l’altro, criticando il nuovo delitto si finisce con il santificare una disposizione fascista (l’art. 434 c.p. e il suo pendant colposo) di dubbia legittimità anche agli occhi della Corte costituzionale.

Ancora, noto che Amendola contrappone l’accademia teorica e fuorviante alla concretezza della magistratura (che detto incidentalmente costituisce una parte rilevante della dottrina penalambientalista), che saprà contenere le tesi un pò strambe della prima.

Sul punto sono sicuro che il tempo darà ragione ad Amendola: l’accademia, nel diritto penale dell’ambiente, non ha mai contato nulla, e il formante giurisprudenziale domina incontrastato da sempre: continuerà a farlo.

Solo faccio presente che i miei studenti leggono e discutono sentenze, simulano processi sulla base di fascicoli processuali reali e vengono esaminati sulla soluzione di casi veri.

Insomma, studiano l’essere del diritto penale dell’ambiente; al dover essere (ai principi) dedico poche battute: non vorrei si facessero strane idee, e poi venissero traumatizzati a contatto con la realtà giudiziaria o con certe sue rappresentazioni o invocazioni.

Infine, non credo che la bontà di una tesi si misuri sulla sua sola idoneità a tutelare o meno il territorio “in nome del popolo inquinato” (una sorta di canone ermeneutico in dubio pro natura), perlomeno non a prezzo di violare principi costituzionali e vincoli comunitari, anche questi teoricamente posti a garanzia del popolo.

Quello stesso popolo italiano, sia detto per inciso, largamente sprovvisto di coscienza civica ed ecologica, più pronto a inquinare che a votare per i partiti ambientalisti.

 

 

 

1 Amendola, Il disastro ambientale abusivo non è stato imposto dalla UE ma per  introdurre nella nostra legislazione ambientale una restrizione della normale responsabilità penale delle industrie, in www.lexambiente.it, 26 giugno 2015.

2 Amendola, Ma che significa veramente disastro ambientale abusivo?, in www.lexambiente.it, 27.3.2015, in polemica con l’avv. Palmisano; Amendola, Viva Viva il disastro ambientale abusivo, 24.4.2015, in www.lexambiente.it, in polemica con Legambiente ed altri.

3 Il mio interlocutore, confido, saprà perdonare alcune mie intemperanze, che anzi presuppongono la stima per l’autore delle critiche e, forse, servono a camuffare alcune debolezze delle mie argomentazioni.

4 Ruga Riva, I nuovi ecoreati. Commento alla legge 22 maggio 2015, n. 68, Torino, 2015, 21 s.

5 Cass. sez. III 13.07.2011, n. 37495; 17.4.2009, n. 16286, Del Balzo; Cass. sez. III, 13.5.2008, n. 36845 (caso Radio Vaticana). Per più ampi approfondimenti sia consentito rinviare a Ruga Riva, Il caso Ilva, Profili penali ambientali, in www.lexambiente.it, par. 4.

6 Cfr. le rassegne di L. Ramacci, Prime osservazioni sull'introduzione dei delitti contro l'ambiente nel codice penale e le altre disposizioni della legge 22 maggio 2015 n. 68 e di P. Molino, Rel. n. III/04/2015 (Corte di cassazione. Ufficio del Massimario. Settore penale), Novità legislative: Legge n. 68 del 22 maggio 2015, recante “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”, in www.penalecontemporaneo.it.

7 Cfr. Palmisano, Delitti contro l’ambiente, quand’è che un disastro si può dire abusivo, in www.lexambiente.it.

8 A.L. Vergine, I nuovi delitti ambientali: a proposito del d.d.l. n. 1345/2014, in A&S 2014, 450.

9 C. Ruga Riva, Il caso Ila, cit., par. 4t

10 Cfr. le rassegne sub nota 5 e 6.

11 Si tratta del commento di J. Giliberto, Passi avanti e difetti: una legislazione a doppia faccia, p. 20, sotto la rubrica “L’analisi”.

12 Astenuti Lega e Gal.

13 Marescotti, Ddl reato ambientali, la petizione di PeaceLink contro la controriforma, 19 maggio 2014, in www.ilfattoquotidiano.it