Plastiche monouso e Tribunale UE

di Gianfranco AMENDOLA

pubblicato su unaltroambiente.it. Si ringraziano Autore ed Editore

La giurisprudenza comunitaria assesta un duro colpo alle plastiche monouso con una bella e articolata sentenza, appena pubblicata1.

Vediamo, sinteticamente, di che si tratta. Sappiamo tutti che, quando si parla di rifiuti, la plastica ricopre un ruolo rilevante, specie se si tratta di plastica monouso e cioè di prodotti di consumo frequente e rapido che sono gettati una volta usati, raramente sono riciclati e tendono pertanto a diventare rifiuti. Secondo i dati comunitari, nella UE, dall’80 all’85 % dei rifiuti marini rinvenuti sulle spiagge sono plastica: di questi, gli oggetti di plastica monouso rappresentano il 50 %.

E’ per questo che nel 2019 ha visto la luce la direttiva UE n. 904 sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente (chiamata comunemente <<direttiva SUP>>)2, secondo cui “i prodotti di plastica monouso disciplinati dalla presente direttiva dovrebbero essere oggetto di una o più misure, in funzione di vari fattori, quali la disponibilità di alternative adeguate e più sostenibili, la possibilità di cambiare modelli di consumo, la misura in cui essi sono già disciplinati dalla vigente normativa dell’Unione” (considerando 13).

E pertanto, la direttiva delinea una strategia di intervento basata su sette punti principali:

1) Divieto di immissione sul mercato di determinati prodotti di plastica monouso per i quali sono facilmente disponibili soluzioni alternative adeguate, più sostenibili e anche economicamente accessibili. “In tal modo, sarebbe promosso il ricorso alle alternative facilmente disponibili e più ecocompatibili e a soluzioni innovative verso modelli imprenditoriali più sostenibili, possibilità di riutilizzo e materiali di sostituzione” (considerando 15 e allegato B)

2) Misure per ridurre il consumo di determinati prodotti di plastica monouso per i quali non sono immediatamente disponibili alternative adeguate e più sostenibili (considerando 14 e allegato A)

3) I prodotti di plastica monouso che sono spesso gettati nelle reti fognarie o altrimenti impropriamente smaltiti dovrebbero essere soggetti a requisiti di marcatura per informare i consumatori in merito alle corrette opzioni di gestione dei rifiuti per il prodotto

4) Introduzione di regimi di responsabilità estesa del produttore3 al fine di riversare sul produttore i necessari costi di gestione e di rimozione, nonché i costi delle misure di sensibilizzazione per prevenire e ridurre i rifiuti da prodotti di plastica monouso per i quali non sono facilmente disponibili alternative adeguate e più sostenibili (considerando 21 e allegato E)

5) Incentivi finanziari destinati ai pescatori per indurli a riportare a terra gli attrezzi da pesca dismessi onde evitare di pagare potenziali aumenti dei contributi indiretti sui rifiuti (considerando 23)

6) Promozione di sistemi di raccolta differenziata più efficaci per i prodotti di plastica monouso costituiti da bottiglie per bevande che sono i rifiuti marini più frequentemente rinvenuti sulle spiagge nell’Unione (considerando 27 e allegato F)

7) Adozione di misure per informare correttamente i consumatori di prodotti di plastica monouso …della disponibilità di alternative riutilizzabili e sistemi di riutilizzo, delle migliori modalità di gestione dei rifiuti e/o di quelle da evitare, delle migliori prassi in materia di corretta gestione dei rifiuti e dell’impatto ambientale delle cattive prassi, nonché della percentuale del contenuto di plastica presente in determinati prodotti di plastica monouso e attrezzi da pesca e dell’impatto sulla rete fognaria dello smaltimento improprio dei rifiuti (considerando 28 e allegato G).

Quanto all’ambito coperto dalla direttiva, nelle sue premesse (i <<considerando>> si chiarisce che essa dovrebbe comprendere “gli articoli in gomma a base polimerica e la plastica a base organica e biodegradabile, a prescindere dal fatto che siano derivati da biomassa o destinati a biodegradarsi nel tempo4. Vernici, inchiostri e adesivi non dovrebbero essere disciplinati dalla presente direttiva e tali materiali polimerici non dovrebbero pertanto rientrare nella definizione”, aggiungendo che “le restrizioni dell’immissione sul mercato introdotte nella presente direttiva dovrebbero riguardare anche i prodotti realizzati con plastica oxo-degradabile, poiché tale tipo di plastica non si biodegrada correttamente e contribuisce dunque all’inquinamento ambientale da microplastica, non è compostabile, incide negativamente sul riciclaggio della plastica convenzionale e non presenta dimostrati vantaggi sotto il profilo ambientale”. Di conseguenza, l’art. 5 della direttiva dispone, tra l’altro, che “gli Stati membri vietano l’immissione sul mercato dei prodotti di plastica monouso elencati nella parte B dell’allegato e dei prodotti di plastica oxo-degradabile”. La definizione di plastica oxo-degradabile si rinviene nell’art. 3 della direttiva subito dopo quelle di <<plastica>> e di <<prodotto di plastica monouso>>: si tratta, cioè, delle <<materie plastiche contenenti additivi che attraverso l’ossidazione comportano la frammentazione della materia plastica in microframmenti o la decomposizione chimica>>.

Ed è proprio questa la problematica sottoposta all’attenzione del Tribunale UE con la sentenza appena pubblicata. Il Tribunale, infatti, era stato adito da società con sede nel Regno Unito, aventi ad oggetto lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di taluni prodotti plastici speciali, nonché additivi e mescole madri utilizzati nella fabbricazione di tali prodotti, con particolare riferimento alla mescola madre d2w, la quale contiene, secondo il ricorso, un additivo che consentirebbe alla plastica in cui è stato incorporato di frammentarsi, sotto l’effetto dell’ossidazione, in detriti (oxo-degradazione) la cui massa molecolare sarebbe sufficientemente ridotta da poter essere assimilati dai microorganismi (biodegradazione). Secondo il ricorso, quindi, tale additivo consentirebbe alla plastica in cui è stato incorporato (che viene denominata <<plastica-oxobiodegradabile>>) di trasformarsi in materiali biodegradabili e, pertanto, dovrebbe essere esclusa dal divieto di cui all’art. 5.

Con una lunga ed articolata motivazione, che vale la pena di leggere per esteso, il Tribunale UE ha respinto tutti i motivi di ricorso, facendo subito chiarezza sulle definizioni (la plastica oggetto del ricorso viene denominata <<plastica con aggiunta di un additivo pro-ossidante>>) e concludendo, in estrema sintesi che:

  1. Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, il divieto di commercializzazione dell’art. 5 comprende anche queste plastiche in quanto, secondo gli studi scientifici disponibili al momento dell’adozione della direttiva5, il livello di biodegradazione è da basso a inesistente in un ambiente aperto, in discarica o in ambiente marino, non è compostabile, ha un impatto negativo sul riciclaggio della plastica convenzionale e non presenta alcun vantaggio ambientale dimostrato; precisando, in particolare, che, secondo questi studi, le tecnologie attualmente disponibili non consentono alle imprese di ritrattamento di identificare e isolare la plastica contenente un additivo pro-ossidante e che questo sarà quindi necessariamente riciclato con la plastica convenzionale, il che può comportare un deterioramento della qualità dei materiali riciclati, anche perché è impossibile controllare il grado di invecchiamento subito dalla plastica contenente un additivo pro-ossidante prima che quest’ultimo sia riciclato.
  2. Non si può ritenere che i prodotti fabbricati a base di plastica oxo-degradabile, il cui oggetto e la cui finalità della direttiva 2019/904 sono la prevenzione e la riduzione dell’incidenza sull’ambiente e sulla salute umana, si trovino in una situazione comparabile a quella dei prodotti fabbricati a base di plastica convenzionale quanto meno, perché, fra l’altro, la plastica contenente un additivo pro-ossidante non può essere riciclata con la plastica convenzionale senza compromettere la qualità del materiale riciclato.
  3. Più in generale, si deve ricordare che la politica dell’Unione in materia ambientale è fondata, in particolare, sul principio di precauzione e che, a questo proposito, l’Unione tiene conto, tra l’altro, dei dati scientifici e tecnici disponibili. Orbene, il principio di precauzione implica che, quando sussistono incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi, in particolare per l’ambiente, o per la salute umana, possono essere adottate misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di detti rischi. Secondo la giurisprudenza comunitaria, qualora risulti impossibile determinare con certezza l’esistenza o la portata del rischio asserito a causa della natura non concludente dei risultati degli studi condotti, ma persista la probabilità di un danno reale per l’ambiente o la salute umana nell’ipotesi in cui il rischio si realizzasse, il principio di precauzione giustifica l’adozione di misure restrittive. “Di conseguenza -conclude il Tribunale, respingendo il ricorso- salvo adottare misure arbitrarie che non possono in alcun caso essere legittimate dal principio di precauzione, l’autorità pubblica competente deve curarsi che le misure da essa adottate siano fondate, anche laddove si tratti di misure preventive, su una valutazione scientifica dei rischi la più esaustiva possibile, tenuto conto delle circostanze peculiari del caso di specie.

In questo quadro, appare opportuno rilevare che queste conclusioni cautelative riguardano, più in generale tutta la plastica cd. biodegradabile. Più volte, infatti, la Commissione UE ha evidenziato che sostituire la plastica convenzionale con quella biodegradabile rischia di rallentare lo sviluppo di soluzioni di economia circolare basato sulla riduzione dei rifiuti e sul riutilizzo di tali prodotti. Rischia anche di disincentivare i progetti a riciclare la plastica per mantenere i materiali il più a lungo possibile, così come l’uso di più alternative sostenibili che non contengono plastica. Pertanto, le sostituzioni non dovrebbero essere considerate come una soluzione per la gestione inappropriata o l’abbandono dei rifiuti. Non a caso, negli Orientamenti per l’applicazione delle norme sulla plastica monouso,6 la Commissione sostiene che “attualmente non esistono norme tecniche ampiamente condivise per certificare che un determinato prodotto di plastica sia adeguatamente biodegradabile nell’ambiente marino in un breve lasso di tempo e senza causare danni all’ambiente”.

Del resto, anche ammettendo che possa esservi plastica biodegradabile, essa va, comunque, eliminata o ridotta perché, in caso contrario, ci si pone, comunque, al di fuori della legalità europea che, per quanto riguarda i rifiuti, si basa su una precisa “gerarchia” dove, al primo posto, troviamo la “prevenzione” perché «il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto», non quello che si biodegrada (non si sa come e non si sa quando); seguito dal riciclo, dal riutilizzo (anche energetico) e dallo smaltimento.

Questo vale, a maggior ragione, per il nostro paese che, anche se con ritardo, ha recepito la direttiva SUP con il D. Lgs. 8 novembre 2021, n. 196; ma, come spesso accade, lo ha fatto all’italiana, aggiungendo molte chiacchiere (del tutto superflue) e molti rinvii (spesso del tutto pleonastici) ad altri testi di legge, in cui nascondere alcune sostanziali modifiche peggiorative del testo comunitario; sterilizzando, nel contempo, la operatività di numerose disposizioni che viene demandata, quasi sempre, a successivi (ed incerti) decreti e interventi governativi.

E, se qualcuno ha dei dubbi, provi a guardare insieme i testi della direttiva comunitaria e del decreto italiano di recepimento e si chieda perché, quasi sempre, gli articoli del nostro decreto sono notevolmente più lunghi dell’articolo-base approvato in sede comunitaria7.

E, come se non bastasse, l’art. 4, comma 7 della legge italiana, <<al fine di promuovere l’acquisto e l’utilizzo di materiali e prodotti alternativi a quelli in plastica monouso>> riconosce addirittura un contributo pubblico a tutte le imprese che acquistano e utilizzano prodotti <<che sono riutilizzabili o realizzati in materiale biodegradabile e/o compostabile, certificato secondo la normativa UNI EN 13432:2002>>, anche se si tratta dei prodotti espressamente vietati in sede comunitaria ma ammessi dalla deroga italiana.


  1. Sentenza Tribunale UE 31 gennaio 2024, causa T-745/20 su questo sito↩︎
  2. Per approfondimenti e richiami, ci permettiamo rinviare al nostro La normativa all’italiana contro le plastiche monouso, in www.osservatorioagromafie.it, e in www.lexambiente.it, 21 gennaio 2022.↩︎
  3. Ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. g-bis d. lgs. 152/06 il regime di responsabilità estesa del produttore comprende “le misure volte ad assicurare che ai produttori di prodotti spetti la responsabilità finanziaria o la responsabilità finanziaria e organizzativa della gestione della fase del ciclo di vita in cui il prodotto diventa un rifiuto”. Per approfondimenti, citazioni e richiami anche con riferimento alla disciplina per gli imballaggi, si rinvia al nostro La responsabilità estesa del produttore quale asse portante dell’economia circolare nella normativa comunitaria e nel d.lgs. n. 116/2020, in www.rivistadga.it, 2021 n. 1.↩︎
  4. Non a caso, nelle Linee guida emanate il 7 giugno 2021, la Commissione UE ricorda che la direttiva riguarda anche “la plastica a base organica e biodegradabile, a prescindere dal fatto che siano derivati da biomassa o destinati a biodegradarsi nel tempo”;↩︎
  5. In proposito, il Tribunale ricorda che tale valutazione scientifica deve fondarsi sui migliori dati scientifici disponibili e deve essere effettuata in modo indipendente, oggettivo e trasparente↩︎
  6. Commissione UE, Orientamenti per l’applicazione delle norme sulla plastica monouso, Bruxelles 31 maggio 2021↩︎
  7. Per approfondimenti e richiami, si rinvia al nostro La normativa all’italiana cit., nonché a La tragedia di Ischia e la vicenda delle plastiche monouso: la sostenibilità all’italiana, in Questione Giustizia, 3 dicembre 2022.↩︎