Tribunale di Pinerolo sent. 27 del 14 gennaio 2010
Est. Reynaud Imp. Bocco
Acque. Analisi

Su tempi, modalità e validità dell'attività di campionamento e analisi

TRIBUNALE DI PINEROLO
IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Pinerolo in composizione monocratica nella persona del giudice dr. Gianni Reynaud;
alla pubblica udienza del 14 GENNAIO 2010
ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e della contestuale motivazione la seguente

SENTENZA
nei confronti di:

BOCCO Franco
- LIBERO PRESENTE -

con l'assistenza e la difesa dell'Avv. Francesca Maria CHIALVA del Foro di Pinerolo - di fiducia -

IMPUTATO

del reato di cui art. 137 comma 5° D.lgs. 152/06, perché, nella sua qualità di titolare dell’omonima ditta individuale corrente in Garzigliana - reg. Conti n. 15/D, effettuava a scarichi in pubblica fognatura superando i limiti di legge con riferimento al parametro zinco.
Fatto accertato in Garzigliana, il 23/5/08.

Le parti hanno concluso come segue:

Il pubblico ministero:
- chiede dichiarare la penale responsabilità dell’imputato e chiede condannare allo stesso alla pena di mesi 2 di arresto ed € 2.000,00 di ammenda

Il difensore dell’imputato: chiede assolversi l’imputato perché il fatto non sussiste o perché il fatto non costituisce reato.

MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO

Tratto a giudizio avanti a questo giudice per rispondere del reato a lui ascritto in rubrica, l'imputato è comparso al dibattimento. Svolta la necessaria istruttoria – consistita nell’acquisizione di documenti, nell’audizione dei testimoni e di due consulenti tecnici della difesa, nell’esame dell’imputato - il pubblico ministero e il difensore hanno conchiuso come in epigrafe ed il giudice ha pronunciato sentenza dando lettura del solo dispositivo.
Il processo ha tratto le mosse da un controllo di routine effettuato dal locale organo di vigilanza sugli scarichi superficiali – il dipartimento di Pinerolo dell’A.R.P.A. – presso l’insediamento produttivo dell’imputato (titolare di ditta individuale in Garzigliana che svolge attività di trattamenti galvanici ed è munita di autorizzazione allo scarico in acque superficiali rilasciata dalla Provincia di Torino). Il tecnico della prevenzione CHIALVETTO, escusso come testimone, ha riferito che, unitamente ad un collega, si recò presso lo stabilimento dell’imputato la mattina del 22.5.2008 e chiese di poter effettuare un campionamento delle acque reflue utilizzate nel ciclo produttivo per il lavaggio dei particolari oggetto di trattamento e convogliate in un depuratore collegato ad uno scarico discontinuo che al momento del sopralluogo non era in atto. Ottenuto il consenso telefonico dell’imputato – non presente in azienda – un suo dipendente azionò lo scarico e i tecnici dell’A.R.P.A. effettuarono il campionamento medio per tutta la durata di questo (un’ora soltanto, essendosi in tale lasso di tempo svuotata la cisterna). Concluse le operazioni, con verbale sottoscritto e chiuso alle ore 10,45 (consegnato in copia al dipendente della ditta BONANSEA Roberto) si avvertì il titolare dello scarico che l’analisi chimico-fisica sulle acque sarebbe stata eseguita lo stesso giorno, alle ore 14, presso il laboratorio A.R.P.A. di Grugliasco, con facoltà dell’interessato di “presenziare alle operazioni” e di “avvalersi della presenza di un consulente tecnico designato per iscritto con formale atto di nomina”. Le analisi così effettuate portarono ad una conclusione di non conformità per superamento dei limiti consentiti in relazione al parametro Zinco (0,80 mg/l, a fronte di un limite massimo di 0,50 mg/l). Allo svolgimento delle operazioni non era presente il BOCCO né alcuno da lui delegato e, nell’esame, l’imputato ha riferito che, a causa del brevissimo preavviso, non gli fu possibile trovare un consulente tecnico disponibile ad intervenire alle analisi (il tecnico abitualmente utilizzato dall’imputato per le analisi dei campioni delle acque di scarico – il chimico dott. Gianni Stea, escusso a dibattimento in qualità di c.t. della difesa – risiede e lavora a Savona).
Ciò premesso – a prescindere dagli altri argomenti illustrati dal difensore in sede di conclusioni – reputa il Tribunale che sia preliminare affrontare la questione relativa alla nullità delle operazioni di analisi e/o inutilizzabilità dei relativi verbali (acquisiti al fascicolo del dibattimento a norma dell’art. 223, comma 3, disp. coord. c.p.p.), questione formalmente dedotta ed eccepita dalla difesa subito dopo l’escussione del teste FURCI con riguardo alla sostanziale vanificazione del diritto al contraddittorio che sarebbe ravvisabile nel ristretto termine intercorrente tra la comunicazione del luogo e del momento in cui si sarebbe proceduto all’analisi dei campioni e l’analisi stessa, ciò che impedì all’imputato di partecipare alle operazioni con un consulente tecnico di propria fiducia. La questione, ad avviso del Tribunale, è fondata.
Ed invero, la tutela delle garanzie difensive nell’ambito degli accertamenti tecnici di carattere amministrativo svolti in sede di attività ispettive o di vigilanza, che – in funzione del loro risultato e della loro irripetibilità – potrebbero far emergere una notitia criminis con necessità di utilizzare i risultati nella successiva fase del giudizio penale, è assicurata dal già citato art. 223 disp. coord. c.p.p. La norma contempera due esigenze di opposto segno: stante l’irripetibilità dell’accertamento – che può costituire la prova di uno degli elementi costitutivi del reato – per un verso occorre prevedere l’utilizzabilità dei risultati in sede processuale, ma, per altro verso, non è possibile attendere che emergano indizi di reato per consentire l’esercizio del contraddittorio difensivo (ciò che in via generale è previsto dall’art. 220 disp. coord. c.p.p.), pena la preclusione del concreto esercizio del diritto di difesa nel momento dell’acquisizione di elementi che poi saranno utilizzati come prova del reato. Nel dettare la disciplina in parola, il legislatore del 1988 ha cercato di recepire le acquisizioni cui era pervenuta, sotto l’impero del codice di rito abrogato, la giurisprudenza costituzionale in materia di prelievi ed analisi di campioni. Con alcune pronunce “additive” emesse con riguardo alle specifiche discipline di settore in cui il problema si era posto, la Corte aveva ritenuto che per rendere il sistema compatibile con l’art. 24 Cost. dovessero essere estese alla fase pre-processuale in parola i diritti di difesa in allora previsti per la fase istruttoria seguendo il cosiddetto “criterio teleologico”, in virtù del quale tutti gli atti utilizzabili in dibattimento attraverso il veicolo delle letture dovevano essere assistiti da adeguate garanzie difensive. Con riguardo all’analisi delle acque di scarico, era dunque stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 15 comma 7 della c.d. legge Merli (l. 10.5.1976 n. 319), nella parte in cui non prevedeva <<che il laboratorio provinciale di igiene e profilassi dia avviso al titolare dello scarico affinché possa presenziare, eventualmente con l’assistenza di un consulente tecnico, all’esecuzione delle analisi>> (Corte Cost., sent. 15.7.1983, n. 248). Recependo dunque, in termini generali, questo principio, l’art. 223 disp. coord. c.p.p. – nella parte che qui interessa - “anticipa” le garanzie difensive quando in sede di attività di vigilanza <<si debbano eseguire analisi di campioni per le quali non è prevista la revisione>> (art. 223, 1° co., disp. coord. c.p.p.) o comunque - riconosce la giurisprudenza - quando si tratti di analisi per le quali non sia possibile la revisione (<<in quanto presupposto per l’analisi di revisione è che il campione prelevato sia inalterabile per un congruo periodo di tempo, requisito da escludere nei campioni degli scarichi, soprattutto di quelli trattati, le cui caratteristiche variano a seconda dello stadio della reazione chimica o biochimica in atto>> (Cass., Sez. III, 29.1.2003, n. 15170). In conformità alla giurisprudenza costituzionale, il sistema delle garanzie è stato quindi costruito attorno a due distinti diritti (con correlativi obblighi a cura dell’autorità procedente): il diritto dell’interessato a ricevere l’avviso (<<a cura dell’organo procedente è dato, anche oralmente, avviso all’interessato del giorno, dell’ora e del luogo dove le analisi verranno effettuate>> (art. 223, 1° co., disp. coord. c.p.p.) e il conseguente diritto di partecipazione alle analisi e di assistenza tecnica. L’avviso è dunque finalizzato a consentire la partecipazione dell’interessato allo svolgimento delle analisi, anche a mezzo di un suo rappresentante, e le caratteristiche tecniche dell’accertamento giustificano la possibilità che l’interessato (o il suo rappresentante) siano assistiti da un consulente tecnico. A costoro – aggiunge la norma – <<spettano i poteri previsti dall’art. 230 del codice>> (art. 223, 1° co., disp. coord. c.p.p.), vale a dire, in sostanza, la possibilità di proporre a chi effettua l’accertamento di compiere specifiche indagini e, in ogni caso, di formulare osservazioni e riserve delle quali deve darsi atto nel verbale delle operazioni. Soltanto il rispetto di questo procedimento – e di quello, analogo, previsto dal successivo comma della disposizione con riguardo alle analisi soggette a revisione – consente l’utilizzo processuale dei risultati acquisiti: <<i verbali di analisi non ripetibili e i verbali di revisione di analisi sono raccolti nel fascicolo per il dibattimento, sempre che siano state osservate le disposizioni dei commi 1 e 2>> (art. 223, 3° co., disp. coord. c.p.p.). Si tratta, peraltro, di un’efficacia “privilegiata”, posto che i verbali possono essere ab origine inseriti nel fascicolo del dibattimento e sono equiparati, sostanzialmente, agli accertamenti tecnici irripetibili e alla perizia effettuata in sede d’incidente probatorio. E’, di fatti, principio consolidato quello <<secondo cui non si possono trasferire nel processo quelle deduzioni che si aveva la possibilità di proporre al momento dello svolgimento delle analisi e che per propria scelta o inerzia non sono state compiute. In particolare, una volta che l’interessato sia stato preavvertito dell’analisi e nulla abbia osservato...non potrà, ex post, in sede processuale, eccepire eventuali irregolarità o insufficienze delle operazioni tecniche di prelievo e di analisi lasciate alla discrezionalità degli operatori>> (Cass., Sez. III, 10.5.2005, n. 20510).
Tenendo conto, dunque, della ratio della disciplina sopra riepilogata per contemperare gli opposti interessi in modo conforme alla Costituzione - pur nel silenzio della legge (che di tale aspetto non si occupa) - reputa il Tribunale che per essere funzionale all’esercizio del diritto di difesa l’avviso del giorno e dell’ora delle attività di analisi debba essere dato con un anticipo tale da consentire all’interessato non solo di parteciparvi (anche a mezzo di delegato), ma soprattutto, data la natura tecnica delle operazioni, di poter ragionevolmente assicurare la presenza di un consulente che possa utilmente interloquire con chi effettua le analisi e che possa verificare la correttezza dell’accertamento. Ritenere diversamente varrebbe tanto quanto annullare – nei fatti – le garanzie difensive assicurate dalla norma e, quindi, dare ad essa un’interpretazione non conforme a Costituzione. Trattandosi di una disposizione di carattere generale – destinata ad operare per analisi di campioni di svariata natura (alimenti ed acque della più diversa specie, rifiuti solidi, emissioni in atmosfera…) e per la ricerca, all’interno dei campioni, dei più disparati parametri (che hanno tempi di deteriorabilità assai differenti tra loro) - è peraltro comprensibile che essa non stabilisca un termine di preavviso minimo, potendo questo variare in funzione del tempo entro il quale la specifica analisi che viene in rilievo dev’essere utilmente compiuta. E’ con riguardo a questo elemento – reputa il Tribunale – che gli organi amministrativi prima (allorquando adempiono alla prescrizione di legge) e il giudice poi (in sede di verifica del loro operato) debbono però valutare quale possa essere, nel caso concreto, il congruo preavviso che contempera la finalità di eseguire l’accertamento non ripetibile in tempo utile e di consentire all’interessato il contraddittorio tecnico sull’acquisizione di un risultato che, come detto, potrebbe formare prova non più contestabile in giudizio circa un elemento costitutivo di una fattispecie di reato.
Secondo quanto riferito a dibattimento dalla teste dott.ssa FIORITO – il tecnico del laboratorio dell’A.R.P.A. che eseguì le operazioni – “l’analisi delle acque deve essere iniziata entro 24 ore dal prelievo” e per tale ragione sono gli organi di vigilanza che effettuano il campionamento a fissare (probabilmente, sulla base di procedure interne condivise) il giorno e l’ora dell’analisi e dare l’avviso. Reputa dunque il Giudicante che il suddetto termine per l’esecuzione delle analisi – indubitabilmente breve – consentisse (e imponesse) che le operazioni fossero fissate in un termine più ampio (e prossimo al tempo massimo utile) rispetto a quello in concreto individuato: tre ore e 15 minuti dal termine delle operazioni di prelievo, vale a dire un lasso di tempo non soltanto in sé ridottissimo, ma ingiustificatamente compresso (in misura pari a circa 1/8) rispetto al termine già breve che di necessità doveva essere rispettato. Il teste CHIALVETTO ha riferito che le analisi furono fissate in quel modo perché il prelievo fu effettuato di venerdì, lasciando così intendere che, da un lato, non era probabilmente possibile fissare le analisi il sabato mattina (giorno forse non lavorativo per i dipendenti dell’A.R.P.A.) e, dall’altro lato, che le stesse non potessero essere collocate neppure nel tardo pomeriggio del medesimo giorno (forse, per rispettare gli orari di lavoro dei tecnici di laboratorio). Ad avviso del Tribunale, non è però possibile avallare la compressione di un diritto costituzionalmente garantito per la difficoltà dell’Amministrazione di dotarsi di una efficiente organizzazione, ciò che si potrebbe fare adottando diverse misure quali: garantire l’esecuzione delle analisi anche il sabato; evitare di effettuare prelievi (soprattutto quando, come nel caso di specie, non vi era uno scarico in atto) il giorno precedente a quello non lavorativo; organizzare la struttura in modo tale da poter quantomeno fissare le analisi alla fine della stessa giornata in cui si effettua il prelievo. Deve pertanto concludersi che nel caso di specie vi fu la sostanziale violazione delle garanzie difensive contenute nell’art. 223, comma 1, disp. att. c.p.p. Del resto, in istruttoria è emerso come l’azienda dell’imputato, da anni, fosse seguita da un consulente tecnico chimico – il dott. STEA, residente a Savona – sicché la doglianza di non aver potuto ottenere la sua presenza in sede di esecuzione delle analisi (o quella di altro tecnico qualificato, da individuarsi e contattarsi nell’arco di 2-3 ore) non può essere ritenuta pretestuosa.
Poiché il rispetto delle garanzie difensive di cui si è detto è conditio sine qua non per l’utilizzo dei verbali amministrativi di analisi, le loro risultanze non possono spiegare effetto nel presente processo. La giurisprudenza non è tuttavia concorde sulle ragioni giuridiche che sorreggono tale conclusione e, a seconda dell’opzione interpretativa adottata, mutano le conseguenze in ordine alla disciplina dell’invalidità e/o inefficacia. L’orientamento maggioritario della Corte di legittimità è nel senso che, in tali casi – e le ipotesi più frequenti riguardano l’omesso avviso per lo svolgimento delle analisi irripetibili - si avrebbe una nullità di regime c.d. intermedio: <<pur trattandosi, invero, di una nullità di ordine generale ricadente nella previsione di cui alla lett. c) dell’art. 178 c.p.p., attinente all’intervento dell’imputato (o del suo difensore), la stessa tuttavia, non rientra tra quelle assolute, insanabili e rilevabili anche di ufficio in ogni stato e grado, di cui al successivo art. 179...Ne consegue, ai sensi dell’art. 180, la rilevabilità e deducibilità di siffatta eventuale nullità, incorsa nella fase delle indagini preliminari, non oltre la deliberazione della sentenza di primo grado>> (Cass.,Sez. III, 15.3.2000, n. 5207, in materia di analisi delle acque di scarico; nello stesso senso, più di recente, Cass., Sez. III, 11.5.2006, n. 21136). Questo orientamento, tuttavia, sembra postulare la ricostruzione delle attività in questione come attività processuali e, di fatti, fa applicazione di regole che riguardano la validità degli atti del processo compiuti nella fase delle indagini, mentre – prima dell’acquisizione della notitia criminis – le attività di vigilanza hanno esclusivamente natura amministrativa, sicché, nei riferiti termini, appare improprio l’utilizzo della categoria della nullità degli atti del procedimento. Altra giurisprudenza ha pertanto ritenuto maggiormente condivisibile <<il contrario orientamento, anche se più remoto (Cass., Sez. VI, 5.11.1992, n. 592; Cass., Sez. VI, 8.10.1993, n. 189; Cass., Sez. III, 21.2.1994, n. 5310) che fa discendere dall’omissione dell’avviso la assoluta inutilizzabilità dei risultati delle analisi in sede penale, non ovviabile neppure raccogliendo in dibattimento la testimonianza del consulente tecnico incaricato di eseguirle, perché sarebbe in contrasto con le prescrizioni dell’art. 194 c.p.>> (Cass., Sez. III, 20.11.2002, n. 1068). A questa posizione, in una non recente decisione che ha approfondito il problema, è stato però giustamente obiettato che secondo un costante insegnamento della Suprema Corte <<l’inutilizzabilità è prevista dall’art. 191 c.p.p. solo per “le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge”, ma non per quelle che, pur consentite, sono state assunte senza l’osservanza di prescritte formalità e procedure (Cass., Sez. I, 11.6.1992, n. 6922, Cannarozzo, rv. 190571; Cass., Sez. I, 1.7.1994, n. 7491, Mazzuoccolo)>> (Cass., Sez. III, 25.9.1997, n. 10209). Dato atto che <<un’altra pronuncia della sesta sezione di questa corte ricollega invece l’inutilizzabilità delle analisi effettuate senza preavviso alla impossibilità giuridica di acquisirne i verbali nel fascicolo per il dibattimento, sancita dal terzo comma del predetto art. 223 disp. coord. c.p.p. (Cass., Sez. VI, 25.1.1993, n. 592, rv. 193462)>>, la decisione da ultimo citata acutamente osserva che <<anche questa argomentazione non appare pertinente, giacché utilizza una accezione di inutilizzabilità più pratica che giuridica. Invero il giudice non ha la possibilità di valutare i risultati delle analisi non preavvisate solo perché non sono acquisiti al fascicolo del dibattimento. Ma ove essi siano ugualmente acquisiti al fascicolo, in spregio alla prefata norma dell’art. 223, non ne consegue la inutilizzabilità giuridica, bensì soltanto la possibilità di sollevare la questione in sede preliminare, ai sensi dell’art. 491 c.p.p., subito dopo compiute per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti: spirato inutilmente questo termine e preclusa la questione, i risultati delle analisi restano nel fascicolo del dibattimento, con la conseguenza che essi sono utilizzabili a fini probatori, a meno che la nullità per la mancanza del preavviso sia rilevata (anche d’ufficio) entro la deliberazione della sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 180 c.p.p.>> (Cass., Sez. III, 25.9.1997, n. 10209).
Reputa questo Giudice che l’impostazione del problema data nella decisione da ultimo citata sia quella preferibile, dovendosi tuttavia rettificare la ragione per cui può affermarsi la sussistenza della causa di nullità a regime intermedio. Di fatti, poiché, come già si è detto, la violazione di regole del procedimento amministrativo non può, di per sé, originare nullità della relativa attività, che non ha carattere processuale, l’atto (processuale) nullo è da ravvisarsi nella violazione dell’art. 223, 3° co., disp. coord. c.p.p., che, questa sì, disciplina un’attività processuale la quale mira a tutelare le garanzie difensive di intervento e assistenza dell’imputato, essendo diretta ad evitare che possano formare oggetto di valutazione da parte del giudice elementi di prova raccolti in violazione del diritto di difesa. Il momento in cui la norma può essere violata coincide di regola con la formazione fascicolo del dibattimento e l’inserimento in esso dei verbali in questione ovvero – com’è accaduto nel caso di specie – con l’ordinanza di ammissione delle prove adottata ai sensi dell’art. 495 c.p.p., quando il verbale di analisi è stato acquisito agli atti come documento prodotto dal pubblico ministero. L’individuazione del momento in cui si verifica la nullità ex art. 178, lett. c), c.p.p è importante per individuare i termini per la sua rilevazione e le possibili cause di sanatoria. Ed invero, trattandosi di nullità nella specie verificatasi nel corso del giudizio, ai sensi dell’art. 180 c.p.p. essa può essere rilevata o dedotta sino alla deliberazione della sentenza del grado successivo, ma con possibilità d’immediata sanatoria se non eccepita dalla parte che vi assiste, ai sensi dell’art. 182, 2° co., c.p.p. Nel caso di specie, come detto, la nullità è stata eccepita dalla difesa alla prima udienza istruttoria, quando, dopo l’audizione del tecnico che eseguì le analisi (dott.ssa FIORITO) e del responsabile della sede A.R.P.A. di Pinerolo (dott. FURCI), è emerso al dibattimento che gli organi di vigilanza diedero un preavviso di sole tre ore per l’esecuzione di un’analisi che poteva invece essere iniziata nell’arco delle 24 ore. La deduzione di nullità sulla quale la difesa fonda in via principale la richiesta di assoluzione dell’imputato, dunque, è stata certamente tempestiva.
Non potendosi pertanto utilizzare il verbale delle analisi e non potendosi ovviamente acquisire in dibattimento il risultato delle analisi compiute in violazione delle garanzie difensive attraverso la deposizione testimoniale della dott.ssa FIORITO – ciò che varrebbe ad aggirare in via surrettizia il chiaro divieto di legge – non può ritenersi provato che l’imputato abbia effettuato uno scarico superando i limiti di legge con riferimento al parametro Zinco. Egli deve quindi essere assolto dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste.

P. Q. M.

Letto l'art. 530 c.p.p.,
ASSOLVE

l’imputato BOCCO Franco dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste

Pinerolo, 14 gennaio 2010
IL GIUDICE
(Gianni Reynaud)