TAR Lombardia (BS) Sez.I n. 4883 del 20 dicembre 2010
Acque. Acque di falda emunte

L’assimilabilità a rifiuto delle acque di falda emunte nelle operazioni di messa in sicurezza non è normativamente corretta.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N. 04883/2010 REG.SEN.
N. 01300/2009 REG.RIC.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)



ha pronunciato la presente


SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 1300 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
ENIPOWER MANTOVA Spa, rappresentato e difeso dagli avv. Antonella Capria, Innocenzo Gorlani, Teodora Marocco, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Innocenzo Gorlani in Brescia, via Romanino, 16;


contro


MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE, MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI E DELLA SALUTE, MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, ISPRA, ISS, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliata per legge in Brescia, via S. Caterina, 6;

REGIONE LOMBARDIA, rappresentata e difesa dagli avv. Antonella Forloni, Piera Pujatti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Donatella Mento in Brescia, via Cipro, 30;

PROVINCIA DI MANTOVA, rappresentata e difesa dagli avv. Francesco Noschese, Eloisa Persegati Ruggerini, Lucia Salemi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Francesco Noschese in Brescia, via Cadorna, 7;

COMUNE DI MANTOVA, rappresentato e difeso dagli avv. Chiara Bergamaschi, Sara Magotti, con domicilio eletto presso T.A.R. Segreteria in Brescia, via Carlo Zima, 3;

COMUNE DI VIRGILIO, COMUNE DI SAN GIORGIO DI MANTOVA, PARCO DEL MINCIO, non costituiti in giudizio;

nei confronti di

ARPA LOMBARDIA, SOGESID SPA, ASL 307 DELLA PROVINCIA DI MANTOVA, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

del decreto prot. 8495/QDV/DI/B in data 30/9/20098, di approvazione definitiva di tutte le prescrizioni stabilite nel verbale della Conferenza dei Servizi decisoria del 31/7/2009, relativa al sito di bonifica di interesse nazionale.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 novembre 2010 il dott. Carmine Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO


Il presente ricorso ha ad oggetto l’impugnazione di alcuni degli atti della procedura amministrativa di messa in sicurezza di emergenza delle aree inquinate facenti parte del sito di interesse nazionale dei Laghi di Mantova, un’area posta nella pianura alluvionale del fiume Mincio, a sud est dell’abitato della città di Mantova.

Il ricorso in esame è promosso, in particolare, da Enipower Mantova s.p.a., che è una società del gruppo ENI cui è stato conferito nel 2006 (dalla dante causa Enipower s.p.a., facente parte del medesimo gruppo industriale) il ramo d’azienda incaricato di gestire una centrale termoelettrica sita nel perimetro dell’area inquinata dei Laghi di Mantova.

Lo stabilimento della Enipower Mantova è interessato dalla contaminazione dei suoli e della falda principale, contaminazione derivante da idrocarburi e benzene, che la società ricorrente contesta provenire dal proprio stabilimento.


Con il ricorso principale odierno la società ricorrente impugna il provvedimento del 30. 9. 2009 con cui il direttore generale del Ministero dell’ambiente ha disposto di approvare tutte le prescrizioni stabilite dal verbale di conferenza di servizi del 31. 7. 2009 relativo alla bonifica dei laghi di Mantova e del polo chimico (con gli atti allegati e presupposti).

Con il primo ricorso per motivi aggiunti la ricorrente impugna anche la nota del 17. 12. 2009 con cui il Ministero, in risposta a missiva inviata dalla stessa ricorrente, conferma le statuizioni contenute nel provvedimento impugnato con il ricorso principale.

Con il secondo ricorso per motivi aggiunti la ricorrente impugna infine anche la nota del 18. 12. 2010 con cui il Ministero chiede alle aziende di ottemperare alle prescrizioni contenute nel verbale della conferenza di servizi impugnata con il ricorso principale.


Si costituivano in giudizio tramite l’Avvocatura dello Stato il Ministero dell’Ambiente, il Ministero del Lavoro, il Ministero dello Sviluppo economico, l’Agenzia di protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici, l’Istituto centrale ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare, l’Istituto superiore della sanità, che chiedevano i ricorsi fossero dichiarati inammissibili o comunque infondati nel merito.

Si costituivano in giudizio, inoltre, la Regione Lombardia, la Provincia di Mantova, il Comune di Mantova, che prendevano ciascuno le conclusioni descritte di seguito.

Nessuno si costituiva per le altre parti che la ricorrente ha ritenuto di convenire in giudizio.


I motivi che sostengono il ricorso principale sono i seguenti:

1. il provvedimento sarebbe illegittimo perché si limita ad approvare il verbale della Conferenza di servizi senza alcuna specifica motivazione;

2. il provvedimento sarebbe illegittimo perchè Enipower Mantova non è la responsabile dell’inquinamento, e quindi non le possono essere imposte in radice misure di messa in sicurezza di emergenza;

3. il provvedimento sarebbe illegittimo perchè non ci sono i presupposti di inquinamento repentino ed in atto per una messa in sicurezza;

4. il provvedimento sarebbe illegittimo perché sarebbe illogico chiedere ad una azienda di provvedere ad impedire la diffusione di contaminazione che è transitata al proprio stabilimento dai terreni vicini;

5. il provvedimento sarebbe illegittimo nella parte in cui impone l’obbligo del contenimento fisico per la ragione preclusiva che l’intervento non costituisce messa in sicurezza di emergenza, ma bonifica, e per difetto di istruttoria sulla necessità in concreto di tale misura;

6. il provvedimento sarebbe illegittimo nella parte in cui chiede che anche minimi interventi di movimentazione terreni debbano essere autorizzati, in quanto l’art. 242 d.lgs. 152/06 non prevede affatto che le attività di messa in sicurezza d’emergenza debbano essere autorizzate, d’altronde il Ministero dell’Ambiente non sarebbe titolare di competenze edilizie;

7. il provvedimento sarebbe illegittimo nella parte in cui impone di trattare le acque di falda emunte come rifiuti in contrasto con la disposizione dell’art. 243 d.lgs. 152/06;

8. il parere dell’I.S.S., allegato al verbale di Conferenza di servizi, relativo ai valori di concentrazione nelle acque sotterranee della sostanza MtBE sarebbe fondato su presupposti tecnici erronei;

9. l’Accordo di programma 31. 5. 2007, richiamato nella Conferenza di servizi, sarebbe illegittimo in quanto non si chiarisce il rapporto tra esso e il procedimento amministrativo in essere;

10. l’Accordo di programma 31. 5. 2007, richiamato nella Conferenza di servizi, sarebbe illegittimo in quanto sostitutivo di una procedura di bonifica che invece è la procedura prevista dal codice dell’ambiente;

11. l’Accordo di programma 31. 5. 2007, richiamato nella Conferenza di servizi, sarebbe illegittimo anche perché affida alla Sogesid s.p.a., ente strumentale del Ministero, la progettazione ed esecuzione di interventi di messa in sicurezza di emergenza senza ricorrere all’evidenza pubblica.


Nel primo ricorso per motivi aggiunti si censura la nota del 17. 12. 2009 con cui il Ministero conferma le prescrizioni. I motivi riprendono in parte quelli del ricorso principale.


Nel secondo ricorso per motivi aggiunti si censura la nota del 18. 5. 2010 con cui il Ministero, confermando quanto prescritto dalla Conferenza di servizi del 31. 7. 2009, chiede alle aziende presenti nel polo chimico di ottemperare alle prescrizioni e di trasmettere un elaborato tecnico con la descrizione degli interventi di messa in sicurezza di emergenza avviati o in corso di avvio.


Nel ricorso principale era formulata altresì istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato, che veniva rinuncia all’udienza a ciò appositamente fissata.

Nel primo ricorso per motivi aggiunti era formulata altresì istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato, che veniva rinuncia all’udienza a ciò appositamente fissata.


Il ricorso veniva discusso nella pubblica udienza del 24. 11. 2010, all’esito della quale veniva trattenuto in decisione.


DIRITTO


I. Nel redigere questa sentenza si sceglie di utilizzare la tecnica della citazione del precedente conforme ex art. 74 c.p.a. in tutit i casi in cui si tratterà di dare una risposta a tutte le questioni che sono state già decise nelle precedenti sentenze emesse da questo Tribunale nel contenzioso che oppone da anni la Enipower Mantova al Ministero dell’Ambiente.

L’utilizzo della tecnica della citazione del precedente conforme, oltre che essere legittimata dall’art. 74 c.p.a., è anche opportuna nel caso di specie perché favorisce la leggibilità della sentenza, atteso che la perfetta comprensione giurisdizionale della vicenda della complessa ed indispensabile procedura amministrativa di bonifica dei laghi di Mantova potrebbe essere - a giudizio del Tribunale - ostacolata dalla lunghezza dei provvedimenti del Ministero che vengono impugnati (non facilmente decifrabili e pieni di ripetizioni di statuizioni identiche) da cui deriva a catena la lunghezza e difficoltà di lettura dei ricorsi, e la lunghezza e difficoltà di lettura delle sentenze.

Ciò posto, si passa ad esaminare i singoli motivi di ricorso.


II. Nel primo motivo di ricorso si deduce che il provvedimento dirigenziale sarebbe illegittimo perché si limita ad approvare il verbale della Conferenza di servizi senza alcuna specifica motivazione.

La questione è stata già respinta nella sentenza di questo Tribunale 9. 10. 2009, n. 1736, punto III, nonché nella sentenza di questo Tribunale 12. 2. 2010, n. 735, punto XVI.

Si rimanda pertanto a quanto affermato dal Tribunale nei precedenti conformi appena citati, e si respinge nuovamente il motivo.


III. Nel secondo motivo di ricorso si deduce che Enipower Mantova non è la responsabile dell’inquinamento, e quindi non le possono essere imposte misure di messa in sicurezza di emergenza, nel terzo si afferma che non ci sarebbero neanche i presupposti per una messa in sicurezza; e nel quarto si aggiunge che è illogico chiedere ad una azienda di provvedere ad impedire la diffusione di contaminazione altrui.

Questi tre motivi devono essere affrontati congiuntamente perché sono tre passaggi dello stesso ragionamento che mira ad ottenere una pronuncia che sottragga la ricorrente da ogni obbligo di messa in sicurezza.

Se però si va ad esaminare i punti del provvedimento impugnato che riguardano espressamente la posizione della ricorrente (sono le pagine 57 e seguenti), si nota in realtà come la posizione di Enipower Mantova sia trattata nella Conferenza di servizi in modo piuttosto sfumato proprio perché il Ministero recepisce quasi integralmente il progetto di bonifica presentato spontaneamente dall’azienda (a pagina 59 c’è scritto sul progetto dell’azienda che “si ritiene lo stesso approvabile”). E’ vero che a questo progetto vengono apposte delle prescrizioni, ma le prescrizioni attengono tutte alla caratterizzazione del sito. Nella pronuncia di questo Tribunale (in diversa composizione) 12. 2. 2010, n. 735 è stato evidenziato che quando “le misure imposte, altrimenti qualificabili in modo diverso, si devono concretizzare (…) in attività di indagine, di raccolta e studio di dati e di prelievo di campioni e in varie analisi e rilevazioni tecniche con annesse attività amministrative semplici di mera certificazione” o nella “diversa imposta necessità preventiva di redigere un piano di caratterizzazione in attinenza ai siti di percorrenza lineare delle condotte di gas e delle condotte elettriche” “appaiono più che ragionevoli e non invasive; le stesse inoltre non sono né di carattere sanzionatorio, né di carattere ripristinatorio”.

Il Tribunale ha anche aggiunto nel seguito di quella stessa sentenza che esse “dunque ben possono insistere anche in pacifica assenza di quella responsabilità causale così come dedotto da Sol. Del resto le dette medesime prescrizioni (…) possono essere, se concretizzate, anche più che utili per Sol stessa; appunto perché sono proprio ed anche attività meramente prodromiche ad ogni altra misura sia di sicurezza che di bonifica per suoli anche di interesse esclusivo di Sol stessa”.

La stessa cosa va detta per le prescrizioni con cui si impone all’azienda di impedire la contaminazione del Fiume Mincio e dei laghi di Mantova, posto che si tratta comunque di attività finalizzate ad ottenere il rilascio della certificazione di avvenuta bonifica (sul punto vi è un richiamo a pagina 61 del provvedimento impugnato).

Ne consegue che le relative censure devono essere respinte.


IV. Nel quinto motivo di ricorso si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo nella parte in cui impone l’obbligo del contenimento fisico, per la ragione preclusiva che l’intervento non costituisce messa in sicurezza di emergenza, ma bonifica; ed inoltre perché la misura sarebbe chiesta sempre per tutti i tipi di inquinamento, indipendentemente da una verifica istruttoria sulla necessità della stessa.

E’ fondata questa seconda parte del motivo di ricorso.

La prima parte non è fondata perché di per sé in presenza di una fonte di inquinamento in atto il sconfinamento fisico dell’area inquinata mediante palancolatura non è incompatibile con i limiti della messa in sicurezza di emergenza proprio perché serve non per bonificare l’area (attività che sarà svolta in un secondo momento), ma per contenere l’ulteriore propagazione dell’inquinamento confinandolo nei suoli che sono già inquinati.

E’ vero, però, - e qui si torna alla seconda parte del motivo di ricorso - che nel caso in esame, valutati tutti gli elementi in gioco e le criticità dell’area, il barrieramento fisico non è stato preceduto da adeguata istruttoria.

Si richiama sul punto il precedente conforme di questo Tribunale n. 1736/09, punto VIII, nonché la sentenza del Consiglio di Stato n. 6455/09, punto 3.2., con la precisazione però che sia la pronuncia del Tribunale che quella del Consiglio di Stato concludono entrambe nel senso non dell’inammissibilità in astratto della misura come messa in sicurezza di emergenza, ma soltanto della insufficienza di dati a sostegno della stessa (il Consiglio di Stato impone anche un onere al Ministero di spiegare perché il barrieramento idraulico che stanno conducendo le aziende è insufficiente).

Le conclusioni già prese dagli organi giurisdizionali vengono qui ribadite per le stesse motivazioni indicate nei precedenti citati, e sembrano essere corroborate anche dalle deduzioni della parte pubblica che evidenzia che la versione attuale dello studio Sogesid - o comunque l’ultima versione esposta dalle parti agli atti di causa - modifica parzialmente la prospettiva adottata in precedenza dall’amministrazione, prevedendo il barrieramento fisico soltanto da un lato, e non intorno a tutto il perimetro dell’area contaminata.

La circostanza che anche la società incaricata dallo Stato di individuare la migliore soluzione tecnologica per il contenimento dell’inquinamento abbia scartato la ipotesi del barrieramento fisico integrale è ulteriore indica della arbitrarietà della decisione a suo tempo presa nel provvedimento impugnato e censurata nel motivo di ricorso in esame. e che quindi essa non esclude una rivalutazione all’esito della caratterizzazione finale dell’area.

Il motivo è pertanto accolto, impregiudicata ogni valutazione in un (eventuale) futuro ricorso sulla correttezza della nuova (meno invasiva) soluzione proposta dalla Sogesid.


V. Nel sesto motivo di ricorso si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo nella parte in cui chiede che anche semplici interventi di movimentazione terreni debbano essere autorizzati, in quanto l’art. 242 d.lgs. 152/06 non prevede affatto che le attività di messa in sicurezza d’emergenza debbano essere autorizzate, anche perché il Ministero dell’Ambiente non ha competenze edilizie.

In realtà, un potere del Ministero dell’Ambiente di sottoporre ad autorizzazione le opere ed i movimenti terra che avvengono nel perimetro dell’area inquinata è previsto nella norma dell’art. 252 t.u. ambiente relativa ai siti inquinati di interesse nazionale (quale quello che ci occupa).

I co. 6, 7 e 8 della stessa norma (in cui si dispone che “6. L'autorizzazione del progetto e dei relativi interventi sostituisce a tutti gli effetti le autorizzazioni, le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti dalla legislazione vigente, ivi compresi, tra l'altro, quelli relativi alla realizzazione e all'esercizio degli impianti e delle attrezzature necessarie alla loro attuazione. L'autorizzazione costituisce, altresì, variante urbanistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori. 7. Se il progetto prevede la realizzazione di opere sottoposte a procedura di valutazione di impatto ambientale, l'approvazione del progetto di bonifica comprende anche tale valutazione. 8. In attesa del perfezionamento del provvedimento di autorizzazione di cui ai commi precedenti, completata l'istruttoria tecnica, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può autorizzare in via provvisoria, su richiesta dell'interessato, ove ricorrano motivi d'urgenza e fatta salva l'acquisizione della pronuncia positiva del giudizio di compatibilità ambientale, ove prevista, l'avvio dei lavori per la realizzazione dei relativi interventi di bonifica, secondo il progetto valutato positivamente, con eventuali prescrizioni, dalla conferenza di servizi convocata dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. L'autorizzazione provvisoria produce gli effetti di cui all'articolo 242, comma 7) delineano un sistema in cui sono concentrati in capo al Ministero dell’ambiente i poteri autorizzatori per qualsiasi tipo di attività che modifichi gli impianti, le attrezzature e le aree oggetto di bonifica. In tali poteri autorizzatori rientra anche la possibilità utilizzata dal Ministero dell’Ambiente nel caso in esame di sottoporre a preventiva autorizzazione anche i movimenti di terra.

Senza dimenticare che il potere che è stato esercitato dal Ministero dell’Ambiente nel caso in esame deriva anche dal potere di vigilanza e controllo che spetta in via generale ad ogni autorità amministrativa cui la norma attributiva del potere conferisca poteri di amministrazione attiva per verificare l’adempimento delle prescrizioni dettate nell’esercizio dei poteri di amministrazione attiva. Non va, infatti, dimenticato che la decisione dell’amministrazione è stata originata da una segnalazione ricevuta dalla Direzione per la qualità della vita che ha rilevato come proprio la Polimeri Europa avesse presentato 22 comunicazioni di lavori indifferibili ed urgenti all’interno dello stabilimento che avevano fatto dire alla predetta Direzione che la Polimeri “stesse operando in pieno contrasto con la vigente normativa in materia di bonifiche in quanto i predetti interventi non erano riconducibili ad opere di sicurezza, di collegamento a reti pubbliche, né finalizzati al miglioramento della sicurezza degli impianti, degli operatori e delle condizioni ambientali e di lavoro” (si fa notare che in altro ricorso contro lo stesso provvedimento trattato nella stessa udienza, altra azienda si lamenta proprio che è stato il comportamento di Polimeri Europa a portare il Ministero a sanzionare tutte le aziende indifferentemente).

Ne consegue che il potere, riconosciuto dalla norma, è stato esercitato correttamente dal Ministero e che il relativo motivo di ricorso deve essere respinto.


VI. Nel settimo motivo di ricorso si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo nella parte in cui sottopone la gestione delle acque di falda emunte alla disciplina dei rifiuti.

La prescrizione in parola è effettivamente contenuta in via generale nella prima parte del provvedimento impugnato (punti 1 e 2 dell’ordine del giorno) che si riferiscono a quasi tutte le aziende, anche se non è ripetuta specificamente nella parte del provvedimento che riguarda specificamente Enipower Mantova.

In ogni caso, come è stato affermato da questo Tribunale di fronte ad altra censura proposta da altra azienda contro il medesimo provvedimento, leggendo il provvedimento impugnato (lettura che, come si è già detto prima, non è semplice giusta la tecnica di redazione che è stata scelta dall’autorità amministrativa che non agevola la comprensione dei passaggi motivazionali) si deduce che il Ministero ha fondato la propria tesi circa l’assimilabilità a rifiuto liquido delle acque di falda estratte nel corso delle operazioni di messa in sicurezza dalla circostanza che l’assimilabilità a scarico sarebbe prevista soltanto per le acque estratte in occasione delle operazioni di bonifica, ma non di quelle di messa in sicurezza (pagina 46 del provvedimento impugnato, seconda e terza riga). Il Ministero ha scelto cioè un argomento di tipo formale e tranciante, valido per tutti i casi di acque emunte nel corso delle operazioni di messa in sicurezza.

Questa deduzione non tiene conto, però, della circostanza che alla data in cui è stato emesso il provvedimento impugnato l’art. 243 d.lgs. 152/06 era stato novellato dall'articolo 8-quinquies della legge n. 13 del 2009 in cui era stato introdotto con norma ad hoc anche un inciso (favorevole alla tesi delle aziende) che prevedeva l’assimilabilità agli scarichi delle acque di falda emunte nel corso delle procedure di messa in sicurezza. La disposizione in parola è stata così trasformata nella seguente: “Le acque di falda emunte dalle falde sotterranee, nell'ambito degli interventi di bonifica o messa in sicurezza di un sito, possono essere scaricate, direttamente o dopo essere state utilizzate in cicli produttivi in esercizio nel sito stesso, nel rispetto dei limiti di emissione di acque reflue industriali in acque superficiali di cui al presente decreto. 2. In deroga a quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 104, ai soli fini della bonifica dell'acquifero, è ammessa la reimmissione, previo trattamento, delle acque sotterranee nella stessa unità geologica da cui le stesse sono state estratte, indicando la tipologia di trattamento, le caratteristiche quali-quantitative delle acque reimmesse, le modalità di reimmissione e le misure di messa in sicurezza della porzione di acquifero interessato dal sistema di estrazione/reimmissione. Le acque reimmesse devono essere state sottoposte ad un trattamento finalizzato alla bonifica dell'acquifero e non devono contenere altre acque di scarico o altre sostanze pericolose diverse, per qualità e quantità, da quelle presentì nelle acque prelevate”.

La novella alla norma appena citata, di per sé, non è decisiva per parificare le acque di falda emunte agli scarichi, perché, come evidenziato da T.a.r. Sicilia, Palermo, I, n. 540/09 “la norma in parola introduce un peculiare regime diversificato per le acque di falda emunte nell'ambito di interventi di bonifica di siti inquinati, di per sé non idoneo tuttavia a parificarne il regime giuridico - per quanto attiene alla gestione e autorizzazione dei relativi impianti di trattamento - a quello proprio delle acque reflue industriali. Una lettura sistematica della previsione normativa in esame, in combinato disposto con le altre norme e con le ulteriori disposizioni di cui agli art. 210, 242, 124 e 125, d.lg. 152/06, non può infatti non tenere conto della particolare natura dell'oggetto dell'attività posta in essere, siccome individuata dal legislatore nei rifiuti liquidi” (la motivazione è nota alle parti che erano costituite in giudizio anche in quel caso, relativo al disinquinamento dell’area industriale di Priolo), ed anche questo Tribunale (sia pure in diversa vicenda ed altra composizione) ha ritenuto nella ordinanza n. 117/2010 che “le acque emunte sarebbero oggettivamente assimilabili a rifiuti liquidi non potendo avere alcuna utilizzazione ed essendo prioritaria l’esigenza di evitare qualunque forma di diluizione con altri tipi di acque o il rischio di dispersione nello stabilimento”.

Ma al di là di quelli che possono essere i limiti di lettura del nuovo testo dell’art. 243 d.lgs. 152/06, per decidere il caso sottoposto all’attenzione del Tribunale è decisiva la circostanza che il Ministero abbia fondato la propria motivazione soltanto sulla non applicabilità del regime dell’art. 243 d.lgs. 152/06 alle operazioni di messa in sicurezza, ma solo a quelle di bonifica, circostanza che impone in radice l’assimilabilità a rifiuto delle acque di falda emunte nelle operazioni di messa in sicurezza e, come detto, non è normativamente corretta.

Alla luce di tale norma, pertanto, la tesi su cui è fondato il provvedimento del Ministero non può essere apprezzata, e la relativa prescrizione, nei limiti della motivazione, deve essere annullata.


VII. Nell’ottavo motivo di ricorso si deduce che negli allegati al verbale della conferenza di servizi vi sarebbe un parere dell’Istituto superiore di sanità relativo ai valori di concentrazione nelle acque sotterranee della sostanza MtBE ma il parere sarebbe fondato su presupposti erronei.

Ci si permette di rilevare che un motivo formulato in tal modo è inammissibile, non si riesce infatti a comprendere dalla formulazione del motivo se il parere dell’Istituto superiore di sanità sia stato richiamato nel provvedimento impugnato ed abbia fondato una qualche statuizione del provvedimento impugnato.

In conformità ai principi generali, per poter ottenere una risposta del Tribunale, occorre che vi sia un provvedimento che prescrive qualcosa al soggetto ricorrente e che questi contesti la legittimità di quanto gli viene imposto (o negato, in caso di interessi pretensivi).

Nel motivo in esame non si indica il passaggio del provvedimento che conterrebbe (sia pure attraverso richiamo al parere dell’Istituto superiore di sanità) questa imposizione relativa alla ricerca della sostanza MtBE. Nelle pagine da 57 a 62 del provvedimento impugnato, che sono le pagine dedicate specificamente alla posizione di Enipower (unica azienda che presenta questo motivo), non è mai citato neanche una volta un parere dell’Istituto superiore di sanità. Nell’ipotesi in cui l’obbligo di rispettare questo parere derivi dal richiamo ad altro provvedimento che a sua volta richiama il parere dell’Istituto superiore sanità, ci si permette di dire che ciò avrebbe dovuto essere quantomeno evidenziato in modo che il Tribunale comprenda quale sia la prescrizione da (eventualmente) annullare, posto che non si può certo annullare un mero parere dell’Istituto superiore di sanità che per inciso non figura neanche tra i provvedimenti impugnati.

In definitiva, nei termini in cui è stato formulato il motivo deve essere dichiarato inammissibile.


VIII. Nel nono, decimo, ed undicesimo motivo di ricorso la ricorrente spiega motivi (con la precisazione “ove occorra”) nei confronti dell’accordo di programma stipulato tra Ministero ed entri territoriali per concordare le linee della bonifica ed a cui le aziende restano libere di aderire o meno.

A giudizio della ricorrente, l’Accordo di programma sarebbe illegittimo in quanto non si chiarisce il rapporto tra esso e il procedimento amministrativo in essere (nono motivo), sarebbe illegittimo anche in quanto sostitutivo di una procedura di bonifica che invece è prevista dal codice dell’ambiente (decimo motivo), ed anche perché affida alla Sogesid s.p.a., ente strumentale del Ministero, la progettazione ed esecuzione di interventi di messa in sicurezza di emergenza senza ricorrere all’evidenza pubblica (undicesimo motivo).

Si tratta di motivi di ricorso che sono stati già più volte proposti dalla ricorrente, e sempre contro lo stesso accordo di programma del 31. 5. 2007.

Il Tribunale ha già dichiarato inammissibili i motivi contro l’accordo di programma in quanto res inter alios nella sentenza 318/09, nonché di nuovo nella sentenza 1737/09.

Si respinge pertanto il motivo di ricorso con rinvio al precedente conforme per le motivazioni per esteso.


IX. Nel primo ricorso per motivi aggiunti censura anche la nota del 17. 12. 2009 con cui il Ministero conferma le prescrizioni.

Nel secondo ricorso per motivi aggiunti la ricorrente censura anche la nota del 18. 5. 2010 con cui il Ministero, confermando quanto prescritto dalla Conferenza di servizi del 31. 7. 2009, chiede alle aziende presenti nel polo chimico di ottemperare alle prescrizioni e di trasmettere un elaborato tecnico con la descrizione degli interventi di messa in sicurezza di emergenza avviati o in corso di avvio.

La nota del 17. 12. 2009 (impugnata con primi motivi aggiunti) sono 14 righe scritte dal Ministero in risposta ad una lettera inviata dalla ricorrente che aveva comunicato che non avrebbe ottemperato alle prescrizioni della Conferenza di servizi (impugnata con il ricorso principale), ed a cui il Ministero risponde che invece essa deve ottemperare. Si tratta a tutta evidenza di un mero atto confermativo, come tale inidoneo a ledere l’interesse della ricorrente, la cui impugnazione deve essere giudicata inammissibile.

La nota del 18. 5. 2010 (impugnata con secondi motivi aggiunti) sono 29 righe scritte dal Ministero dopo aver ricevuto dalla Provincia di Mantova comunicazione del rinvenimento di composti alifatici alogenati nelle acque superficiali, circostanza ritenuta preoccupante perché indice chiaro dell’esistenza di un inquinamento in atto, ed in cui lo stesso Ministero raccomanda alle aziende di ottemperare all’attivazione degli interventi di messa in sicurezza prescritti nella Conferenza di servizi. Si tratta a tutta evidenza anche in questo caso di un mero atto confermativo, come tale inidonea a ledere l’interesse della ricorrente, la cui impugnazione deve essere giudicata inammissibile.

Le parti sono state avvertite in udienza ex art. 73, co. 3, c.p.a del possibile esercizio del potere del Tribunale di rilevare d’ufficio la eccezione, in conformità alla quale va a questo punto formulato il dispositivo.


X. La soccombenza della ricorrente sulla maggior parte delle questioni proposte le impone l’onere delle spese, quantificato come in dispositivo (la quantificazione tiene conto della circostanza che l’Avvocatura si è limitata a prendere posizione soltanto su alcuni dei motivi di ricorso; la Regione Lombardia si è costituita solo formalmente; Comune e Provincia di Mantova hanno preso posizione soltanto sui motivi relativi all’accordo di programma).


P.Q.M.


definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

ACCOGLIE nei limiti della motivazione i soli motivi sub 5 e 7, e, per l’effetto, annulla il decreto 30. 9. 2009 nella sola parte in cui dispone a carico della Enipower Mantova l’obbligo di procedere al barrieramento fisico dell’area inquinata ed al trattamento come rifiuti delle acque di falda emunte.

DICHIARA INAMMISSIBILE il ricorso quanto ai motivi 8, 9, 10, 11, ed ai primi e secondi motivi aggiunti.

RESPINGE per tutto il resto.

CONDANNA la ricorrente al pagamento in favore di ciascuna delle controparti costituite delle spese di lite, che quantifica in euro 1.000 (oltre accessori, se dovuti).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 24 novembre 2010 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Petruzzelli, Presidente
Sergio Conti, Consigliere
Carmine Russo, Referendario, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/12/2010