Acque meteoriche di dilavamento e pozzi perdenti: applicazione alla Regione Veneto

di Ennio CASAGRANDE

 

SOMMARIO

Benché ci sia ampia normativa e relative linee guida che regolano sia l’invarianza idraulica sia la qualità delle acque, attualmente, sono ancora irrisolte le problematiche legate al concetto di scarico qualitativo e quantitativo nel sottosuolo. Il seguente contributo, attraverso l’analisi della normativa nazionale e locale, cerca di evidenziare, con chiaro riferimento alla Regione Veneto, le ripercussioni legate alla qualità e alla quantità delle acque meteoriche, scaricate per mezzo di pozzi perdenti, ponendo l’attenzione sul delicato giudizio della legalità.

Sul tema delle acque meteoriche di dilavamento provenienti da stabilimenti artigianali e industriali è, certamente, possibile affermare come ci sia un’ampia bibliografia giuridica in merito. Dal punto di vista tecnico e dei relativi controlli, invece, non esiste – a parere dello scrivente – un sufficiente riferimento bibliografico in cui si possa trarre delle conclusioni univoche a beneficio di una corretta gestione idraulica.

Con l’intento di approfondire la materia, quindi, di seguito si riportano delle valutazioni tecnico-giuridiche atte a definire alcuni scenari tipici riscontrabili nella Regione Veneto.

L’art. 39 comma 5 delle N.T.A., facenti parte del corpo normativo emanato con la D.C.R. n. 107 del 05/11/2009 modificato con D.C.R. n. 51/CR del 20/07/2015 e relative linee guida (DGR 80/2011) 1 recita quanto segue: “Per tutte le superfici diverse da quelle previste ai commi 1 e 3 le acque meteoriche di dilavamento, le acque di prima pioggia e le acque di lavaggio, convogliate in condotte ad esse riservate, possono essere recapitate incorpo idrico superficiale o sul suolo , fatto salvo quanto previsto dalla normativa vigente in materia di nulla osta idraulico […].” Fin qui il concetto è abbastanza chiaro, in quanto, si richiede il convogliamento delle acque su un sistema idraulico separato e il recapito su recettore previa richiesta del nulla osta idraulico. Le superfici, invece, di cui ai commi 1 e 3 – che richiedono idoneo trattamento e autorizzazione allo scarico ai sensi dell’art. 113, comma 1, lettera b) del D.Lgs. n. 152/2006 – riguardano i casi di superfici scoperte interessate dalla presenza di depositi di rifiuti, materie prime ecc. non protetti dall’azione degli agenti atmosferici e “che comportino il dilavamento non occasionale e fortuito di sostanze pericolose e pregiudizievoli per l’ambiente”(comma 1) oppure piazzali, di estensione superiore o uguale a duemila metri quadrati del comporto automobilistico/meccanico (autofficine, carrozzerie, autolavaggi ecc.), parcheggi di superficie complessiva superiore o uguale a cinquemila metri quadrati e più in generale superfici di distribuzione dei carburanti (incluse operazioni connesse) che comportino analogo rischio di dilavamento di sostanze pericolose o pregiudizievoli per l’ambiente (comma 3)2.

Il comma 5 continua sottolineando che “Nei casi previsti dal presente comma, laddove il recapito in corpo idrico superficiale o sul suolonon possa essere autorizzatodai competenti enti per lascarsa capacità dei recettorio non si renda convenientemente praticabile, il recapito potrà avvenire anchenegli strati superficiali del sottosuolo, purché sia preceduto da unidoneo trattamento in continuo di sedimentazionee, se del caso, didisoleazione delle acque ivi convogliate.”

Considerato che, come tante regioni italiane, anche il Veneto presenta una parte di territorio a rischio idraulico (alluvioni) è inevitabile che una porzione coincida con zone artigianali e industriali, dove la presenza di superfici impermeabili è più considerevole. È interessante, pertanto, soffermarsi su quanto esposto proprio al comma 5.

Come già accennato, tale comma, sottolinea come per le superfici scoperte non rientranti nei commi precedenti, le acque meteoriche debbano essere convogliate in condotte riservate e recapitate in corpo idrico superficiale o sul suolo. Qualora, invece, il recapito in corpo idrico superficiale o sul suolo non possa essere autorizzato per problemi, sostanzialmente, legati all’invarianza idraulica, il recapito può avvenire anche negli strati superficiali del sottosuolo, purché sia preceduto da un idoneo trattamento in continuo di sedimentazione.

Si rammenta il fatto che questa indicazione, del resto, è in accordo con il divieto dello scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo (articolo 104, comma 1 del D.Lgs. n. 152 del 3/4/2006)3. Soffermandoci sulla definizione, è indubbio che l’indicazione normativa implica delle conseguenze ben complesse sia a livello burocratico sia a livello pratico.

Per affrontare compiutamente il problema è necessario approfondire alcune definizioni importanti. Innanzitutto, con rimando proprio al comma 5, con il termine di sottosuolo si indica “l’insieme degli strati inferiori del terreno, sottostanti allo strato superiore […]” 4. Inevitabile osservare, quindi, come lo stesso comma 5 riporti una definizione fuorviante (strati superficiali del sottosuolo), indicando come recettore – per l’appunto – uno strato superficiale che non farebbe parte del sottosuolo.

Invero, già nel 2002, il Ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio 5 si soffermò proprio su questo concetto, evidenziando che: “per scarico negli strati superficiali del sottosuolo può intendersi lo scarico che avviene in un corpo naturale, situato al di sotto del piano campagna […] suddiviso in orizzonti” con spessore “compresotra 1,5 e 4,0 metri e, comunque, deve trovarsi al di sopra della massima escursione del livello di falda di 1,50 metri.”

Ovviamente, la definizione de quo del Ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio risulta ben più chiara e non lascia spazio a interpretazioni fantasiose. Dello stesso parere sono, inoltre, le linee di indirizzo per la gestione delle acque di scarico di alcune provincie 6 che, recependo la prima versione del D.Lgs. 152/1999 e il già citato parere del Ministero, individuarono come soluzioni idonee i pozzi assorbenti caratterizzati dall’interessare solamente gli strati superficiali del sottosuolo . Benché ricompaia il termine “strati superficiali del sottosuolo” è evidente come le linee guida si soffermino nell’indicare come soluzione, il pozzo assorbente traendo dalla bibliografia gli effetti che potrebbero causare l’inserimento di un pozzo perdente7.

Un decennio dopo anche l’allegato A alla D.G.R. n. 2948 del 6/10/2009 recante “Valutazione di compatibilità idraulica per la redazione degli strumenti urbanistici – Modalità operative e indicazioni tecniche” evidenziò che “in caso di terreni ad elevata capacità di accettazione delle piogge […] in presenza di falda freatica sufficientemente profonda e di regola in caso di piccole superfici impermeabilizzate , è possibile realizzare sistemi di infiltrazione facilitata […]” ribadendo, per l’appunto, che quest’ultimi “possono essere realizzati, a titolo esemplificativo, sotto forma di vasche o condotte disperdenti posizionati negli strati superficiali del sottosuolo.

Tutto chiaro? Sembrerebbe di sì, ma non è così… Infatti, esiste ancora oggi il problema intrinseco dei piazzali esistenti (anche di dimensioni considerevoli) che utilizzano, come sistemi di filtrazione, i pozzi perdenti notoriamente fonti di contaminazione 8 perché “richiesti” nelle norme di polizia idraulica oppure dal gestore del recettore. In tale scenario, tralasciando l’efficacia legata alla compatibilità idraulica, vengono a mancare i dettami base del D.Lgs. n. 152/2006 che, come ricordato in precedenza, vieta lo scarico nel sottosuolo e comunque senza un trattamento preliminare.

L’impiego di pozzi perdenti anziché di pozzi assorbenti, quindi, si configurerebbe come doppio illecito: da una parte il non allineamento del sistema di scarico ai dettami prescrittivi dell’invarianza idraulica, dall’altra la totale mancanza dei dettami imposti nel D.Lgs. n. 152/2006 in merito alla modalità e alla qualità delle acque di scarico arrivando, se tali piazzali dovessero essere interessati da sostanze o materiali inquinanti, alla configurazione di reflui industriali 9 privi, in tal modo, di autorizzazione.

È indispensabile, senza dubbio, un allineamento degli Enti coinvolti in merito ai caratteri prescrittivi, ma, soprattutto, la corretta interpretazione delle soluzioni adottate da parte del titolare dello scarico , unico responsabile del superamento dei limiti conseguentemente di eventuali inquinamenti prodotti dall’installazione di pozzi perdenti10.

1 Piano Tutela delle Acque Regione Veneto

2per l’elenco completo si rimanda al testo integrale Norme Tecniche di Attuazione di cui all’Allegato A3 alla Deliberazione del Consiglio Regionale n. 107 del 5/11/2009 – Aggiornamento ad Agosto 2021

3 scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee: È vietato lo scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo

4 Fonte Treccani: https://www.treccani.it/vocabolario/sottosuolo/

5 Ministero dell'Ambiente e Tutela del Territorio prot. n. 6983/TAI/DI/PRO del 07/08/2002

6 La gestione delle acque e degli scarichi a livello di Enti Locali, Provincia di Treviso, 2003

7 Wagner E.G., Lanoix J.N., Evacuation des excreta dans les zones rurales et les petites agglomerations , OMS, Ginevra, 1960

8 M. Gorla, Siti contaminati, Flaccovio, 2019

9 Cass. Pen., Sez. III, n. 45900 del 16/11/2022

10 Cass. Civile Sez. 1, Sentenza n. 10480 del 08/05/2006