Trib. Messina Ufficio GIP sentenza 13 maggio 2008
Est. Arena
Beni Ambientali. Incendi boschivi
TRIBUNALE DI MESSINA
Sezione dei giudici per le indagini preliminari
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Giudice dott.ssa Maria T. Arena
In esito al giudizio abbreviato all’udienza del 13 maggio 2008
Con l’intervento del Pubblico Ministero dott. Claudio Onorati
e con l’assistenza del cancelliere B3 dott. Santo Lo Conte
ha pronunciato mediante lettura del dispositivo la seguente

SENTENZA

Nel procedimento penale N. 4154/2007 R.G. GIP
Nei confronti di
L. P. G. difeso di fiducia dall’avv. Giusepe Carrabba del Foro di Messina
Arr. dom. p.q.c. presente
IMPUTATO
a) Delitto p. e p. degli artt. 110-423 bis co. 1-3-4, 61 n. 1-5 c.p. poiché in concorso ed unione con altre persone allo stato non identificate, utilizzando più inneschi costituiti da fiammiferi innestati su sigarette, che venivano collocate nell’erba dopo essere state accese, cagionava un incendio boschivo nella località “Grangabella” in agro di Messina, dal quale derivava la distruzione di circa HA 46,00 di area boscata e macchia mediterranea.
Con le aggravanti: di aver cagionato un danno grave, esteso e persistente all’ambiente; di aver danneggiato una zona protetta; di aver agito in condizioni di tempo (a notte inoltrata) e di luogo (in località isolata e impervia da raggiungere) tali da minorare la pubblica e privata difesa, e per motivi abietti o futili.
Fatto commesso in Messina tra il 23 e 24 luglio 2007.
PARTI CIVILI:
- LEGAMBIENTE Comitato Regionale Siciliano in persona del legale rapresentante pro-tempore dom.to in Palermo via Agrigento n. 67, assistito dall’avv. Aurora Notarianni del Foro di Messina
- W.W.F. in persona del suo Presidente Nazionale e legale rappresentante pro-tempore dom.to in Roma via Po n. 25/C assistito dall’avv. Davide Bambina del Foro di Trapani

IN FATTO ED IN DIRITTO

In seguito alla richiesta di definizione del processo con le forme del rito abbreviato avanzata dall’odierno imputato, giusta ordinanza emessa il 29.2.2008 veniva fissata l’udienza per il 22 aprile 2007, data in cui, depositata la dichiarazione di parte civile da parte di Legambiente Comitato Regionale Siciliano, il processo veniva rinviato stante l’impedimento del difensore dell’imputato.

All’odierna udienza, si costituiva parte civile anche il WWF e sulla conclusioni delle parti, il processo veniva definito giusto dispositivo del quale era data lettura in udienza.

Nei giorni 23 e 24 luglio 2007 si sviluppavano nel territorio messinese vasti incendi che si propagavano creando ingenti danni all’ambiente e determinando situazioni di pericolo per gli immobili ma soprattutto per le persone presenti nelle zone interessate.

Le operazioni di spegnimento richiedevano enormi sforzi da parte dei Vigili del Fuoco, che benché coadiuvati dal personale del Corpo Forestale della Regione Siciliana non riuscivano, data la vastità del fenomeno, ad impedire che oltre un migliaio di ettari di boschi e macchia mediterranea andassero completamente distrutti.

Appariva chiara sin dalle prime indagini la natura dolosa degli incendi divampati e ciò sia avuto riguardo alla localizzazione degli incendi, in luoghi impervi, difficili da raggiungere con i mezzi di soccorso sia per il numero di focolai concentrati in un’area relativamente ristretta, sia perché, infine, alcuni degli incendi, ed in particolare quello in località Grangabella, si erano sviluppati in orario notturno circostanza questa che consentiva evidentemente di escludere a priori fatti di autocombustione.

Nel corso delle indagini venivano effettuati dei sopralluoghi atti a rinvenire tracce utili al’identificazione dei piromani e predisposta la mappatura dei terreni rimasti coinvolti negli incendi al fine di individuare proprietari, possessori, utilizzatori delle aree danneggiate.

In località Grangabella, intanto, ove nelle ore serali del 23 luglio si era sviluppato un incendio propagatosi per 46 ha di area boschiva e macchia mediterranea, era rinvenuto un “innesco” costituito da una sigaretta parzialmente consumata sulla quale era inseriti due fiammiferi che, non appena fossero stati lambiti dalla sigaretta accesa, che andava consumandosi, avrebbero dovuto appiccare le fiamme sul terreno circostante.

Il rinvenimento avveniva ai margini di una stradella rurale, in mezzo all’erba alta, in una zona isolata e impervia, lontana dal traffico veicolare, solitamente percorsa dal personale della Forestale o dai pastori, in un punto prospiciente il luogo in cui insiste il fronte da cui si era sviluppato l’incendio.

L’innesco, dunque, non poteva che essere stato collocato da persona che conosceva la zona e che aveva ben valutato le modalità del’azione (la lenta consumazione della sigaretta sino al raggiungimento dei fiammiferi dai quali si sarebbe sviluppate la fiamma) anche al fine di avere il tempo necessario per allontanarsi dall’area ove erano stati collocati gli inneschi.
Il reperto veniva trasmesso ai militari del RIS al fine di accertare la presenza di tracce biologiche del piromane ed in particolare la presenza di saliva nella zona del filtro della sigaretta che era stata accesa.

Contemporaneamente venivano delegati accertamenti tendenti a verificare gli spostamenti degli abituali frequentatori della zona e disposta l’acquisizione di materiale biologico da utilizzare per la successiva comparazione.

Tra costoro vi era anche il L. P., dipendente dell’amministrazione forestale che, nella zona in cui si era verificato l’incendio trascorreva con i propri armenti il periodo invernale-primaverile.
In tale contesto, al L. P., convocato da personale del Corpo Forestale, veniva offerto un caffè. La tazzina dalla quale aveva bevuto l’odierno imputato era trasmessa al RIS ai fini della comparazione. Analoga attività veniva posta in essere anche con riferimento a Coloriti Giovanni, Artino Inferno Salvatore e Gangemi Calogero.

Dalle analisi effettuate dai militari del RIS emergeva la piena sovrapponibilità del profilo di DNA rinvenuto sull’innesco sequestrato e quello lasciato sulla tazzina utilizzata per sorbire il caffè offerto a L. P. G. in occasione della sua convocazione da parte del personale della Forestale.

L’accertamento genetico svolto forniva, dunque, la certezza che il L. P. avesse acceso la sigaretta utilizzata come innesco dato che come è noto, l’identificazione dei soggetti titolari di una sequenza genetica è prossima al 100% (99,9% essendo data l’unica possibilità di confusione dalla esistenza di un gemello omozigote).

A ciò si aggiungeva che l’imputato è un profondo conoscitore della zona poiché come detto è solito condurre i propri animali al pascolo in quella zona durante il periodo invernale e perché, ha collaborato con il Corpo Forestale proprio nella zona colpita dall’incendio.

Chiaro poi appariva il movente atteso che la presenza di vegetazione boschiva e cespugliata rappresenta un ostacolo al pascolo non consentendo la crescita di erba ed intralciandone gli spostamenti.

Il L. P. dichiarava in prima battuta di essere rimasto a casa propria in compagnia di parenti ed amici per tutta la sera e la notte in cui si era sviluppato l’incendio. Le indagini svolte al fine di verificare l’alibi fornito dall’imputato, però, facevano emergere numerose contraddizioni.

In particolare la moglie, La Monica Maria riferiva che il marito alle ore 18,30 si trovava presso la sua abitazione sita in c.da S. Piero del Comune di Militello Rosmarino e che, subito dopo, si era portato in località Rantù ad accudire gli animali. Avrebbe fatto rientro, secondo quanto riferito dalla donna, intorno alle 20,30, e sarebbe uscito solo la mattina successiva, intorno alle ore 4,00 per andare a svolgere la propria attività alle dipendenze dell’Amministrazione Forestale.

Analogamente L. P. Sebastiano, Barbagiovanni Salvatore e Galati P. Sardo Antonino dichiaravano che l’odierno imputato si sarebbe trovato presso la sua abitazione dalle ore 21,15 alle ore 24,00 circa e il L. P. Sebastiano aggiungeva di aver visto il figlio in c.da Rantù dalle ore 19,00 alle 20,00, dati questi che si ponevano in contrasto con i riscontri derivati dall’esame dei tabulati telefonici dai quali si ricava che l’imputato nel tardo pomeriggio del 23 luglio si trovava:
- alle ore 17,53 a Sant’Agata di Militello;
- alle ore 21,05 a Villafranca Tirrena;
- alle ore 21,59 a Capo d’Orlando
- alle 22,33 a Militello Rosmarino
Rizzo Domenica, poi, moglie di Colorite Giovanni, pur confermando i rapporti di conoscenza e frequentazione con la famiglia L. negava di avere avuto qualsiasi forma di contatto sia con il L. che con i suoi familiari;
anche tale dichiarazione però si poneva in contrasto con quanto accertato dai tabulati telefonici dai quali si ricava che la Rizzo, il 23 luglio 2007, alle ore 17,53 riceveva presso la propria abitazione (090/) una telefonata da parte del L. G. ed in particolare dall’utenza n. 349/ di proprietà del La Monica Maria ma in uso al marito L. P. G., che agganciava la cella Vodafone installata nel comune di Sant’Agata di Militello.

Appare evidente dunque dall’esame dei tabulati telefonici sulle utenze n. 349/ e n. 333/ in uso al L. P. che lo stesso ha effettuato spostamenti nel territorio della provincia anche nelle ore serali che si rivelano compatibili con l’incendio ma del tutto incompatibili con la versione offerta dall’uomo oltre che con le dichiarazioni rese dai sopraindicati testi, circa gli spostamenti dell’imputato.

Estremamente significative si rivelano poi le conversazioni captate in modalità ambientale all’interno della Casa Circondariale di Messina ove frattanto l’uomo veniva ristretto giusta ordinanza custodiale emessa dal GIP presso il locale Tribunale. Dai dialoghi non solo si ricavano illuminanti riscontri circa la responsabilità dell’odierno imputato, ma vieppiù circa la partecipazione al fatto di terze persone rimaste evidentemente ignote, nonché l’interesse del L. a dare avvicinare, da parte dei propri familiari (con i quali concordava la versione dei fatti da fornire agli investigatori), persone che potessero confermare l’alibi fornito.

Si veda in proposito la conversazione del 7.9.2007 (dopo 8 min.)
“G.: gli devi dire a Nino che quella sera erano le nove, nove e mezza, quanto ormai ci siamo visti;
DONNA 1: lui ormai l’ha scritto…; loro sono venuti sono rimasti sino a mezzanotte, mezzanotte, capito?
G.: va bene, ma loro stanno chiamando a loro … ai ragazzi? Loro sono venuti e sono rimasti fino a mezzano
Si aggiunga poi che dalle conversazioni del 24 agosto 2007 si colgono elementi che consentono di affermare che l’uomo non ha agito da solo, per non dire poi della vera e propria confessione registrata nel corso della conversazione intercettata in modalità ambientale il 29 agosto 2007 laddove il L. P. dopo 26,55 minuti affermava “a me possono condannarmi per l’incendio di Grangabella, la di 46 ettari” e laddove la donna (al minuto 52,00) gli diceva “c’era scritto Curcuraci…” ‘uomo rispondeva “Ma quale Curcuraci, là noi non c’entriamo niente … di Grangabella”.

Frattanto il consulente nominato dall’Ufficio di Procura, in data 8.10.2007 depositava il proprio elaborato nel quale esponeva che la zona interessata dal fuoco appartiene al versante sinistro del bacino idrografico del torrente Rodia caratterizzato da forma stretta e allungata e da pendenze accentuate; le fiamme sono state fermate in basso lungo una linea ricadente ad un’altitudine variabile tra i 70 e i 150 metri in prossimità del torrente Rodia ed in alto lungo la stradella di servizio che interseca la pendice a mezza costa, la stessa ove è stato rinvenuto l’innesco inattivo; l’origine dell’incendio deve essere ricondotta all’esistenza di diversi focolai simultanei.

Il dott. Giaimo spiegava che il focolaio iniziale era verosimilmente da individuare nella parte medio bassa della pendice, all’interno di un tratto boscato a forte pendenza; che l e fiamme si erano diffuse con direzione sud-ovest grazie al vento proveniente da nord est che determinava il c.d. effetto camino spingendo il fuoco partito dalla pendice, verso l’alto lungo l’impluvio. Alle ore 10,00 del 24 luglio il vento cambiava direzione verso Sud Est spingendo il fuoco verso la parte bassa della pendice, fino alle ore 14,00 ora in cui il vento cambiava nuovamente direzione spirando da Nord/Nord - Est spingendo nuovamente le fiamme verso l’interno.

Da quanto detto si ricava agevolmente come le affermazioni contenute nella memoria difensiva depositata in udienza sono il frutto di un equivoco. Ed invero, il dott. Giaimo non ha in alcun modo affermato che l’incendio è stato appiccato lungo la stradella che corre sul crinale; del pari di incorre in un equivoco quando si contesta il dato relativo all’estensione dell’incendio, quantificato dal consulente del P.M. in 32 ha, laddove si consideri che la tabella n. 3 allegata alla consulenza di riferisce alle “aree di presunto appiccamento”.

Si contesta poi la circostanza che sull’area in parla insistesse un bosco misto di conifere e latifoglie con pino domestico e querce termofile come leccio e roverella e ciò lo si fa attraverso la produzione della foto satellitare disponibile sul sito Internet GOOGLE EARTH che non dimostra certo, avuto riguardo sia alla distanza oltre che alla incertezza circa l’epoca a cui si riferisce la foto satellitare, che nel sito in parola non insistessero specie del tipo indicate dal consulente agronomo che si è portato sui luoghi insieme a personale del Corpo Forestale.

A ciò deve aggiungersi che per giurisprudenza costante sul punto, ai fini della configurazione del reato in parola è irrilevante il tipo di vegetazione esistente sul terreno quando questo, come nel caso di specie, rientri in area boschiva.

La norma, infatti, si riferisce a qualunque estensione di terreno sia che su di essa insista boscaglia, sterpaglia o altra vegetazione, dal momento che l’intento perseguito dal legislatore è quello di dare tutela ad entità naturalistiche la cui distruzione incide su un bene primario insostituibile della vita la cui natura determina per ciò stesso una maggiore pericolosità di diffusione delle fiamme.

Del resto lo stesso art. 2 l. 21/11/2000 n. 353 (che ha introdotto la fattispecie dell’art. 423 bis c.p.) ha definito l’incendio boschivo come un fuoco con suscettività di espandersi su aree boscate, cespugliate o arborate, nonché su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi alle dette aree, così espressamente ricomprendendo nell’evento sanzionato non solo l’incendio che incida sulle piante da fusto, ma anche quello che riguardi qualunque forma di vegetazione ricadente nell’area boschiva (cfr. Cass. 30/4/2001, n. 25935).

Inoltre, ai fini della sussistenza del reato, è irrilevante se la proprietà del terreno sia ascrivibile esclusivamente all’autore del fatto, o meno. Infatti, in presenza di incendio in area boschiva, la norma non fa alcuna distinzione in ordine alla proprietà. Del resto lo stesso art. 423c.p. prevede la rilevanza penale dell’incendio della cosa propria, quando questo determini pericolo per la pubblica incolumità.

Il quadro sin qui prospettato, relativo alla colpevolezza del L. P. di completa poi con la confessione resa il 21.12.2007 al Pubblico Ministero, laddove l’imputato confermava di essere l’autore dell’incendio cagionato con più inneschi del tipo di quello rinvenuto e giustificando il proprio gesto con la necessità di creare pascoli per le proprie bestie.

La confessione invero, presenta numerose incongruenze quali quella di avere agito da solo, lanciando dal finestrino solo due inneschi, uno a monte ed uno a valle della stradina, laddove invece,la consulenza stabiliva l’esistenza di diversi punti di avvio del fuoco.

Analogamente per ciò che riguarda l’eventuale partecipazione di terze persone ed i dialoghi intercorsi con la moglie rispetto ai quali non fornisce una plausibile spiegazione (“Lei mi chiede anche di tale Calogero di cui si parla in tale colloquio e del fatto che mia moglie fosse preoccupata poiché né io né lui fumiamo sigarette. Non le so dare una risposta rispetto alle contestazioni che mi muove. In particolare quanto a me, ribadisco che non fumo, anche se in passato ho fumato. Quanto a Calogero, che si identifica in Calogero Cangemi, non so dire se fuma e non so spiegare perchèparlavamo della sua auto e del fatto che non fumiamo”).

Del pari il L. P., dopo aver detto che i suoi cellulari erano rimasti sempre nella sua disponibilità, non sapeva spiegare il motivo per il quale risultassero agganciate alle ore 21,05 la cella di Villafranca Tirrena ed alle ore 21,59 quella di Capo d’Orlando.

L’imputato deve essere dunque condannato in relazione al reato a lui ascritto, correttamente qualificato anche per ciò che riguarda le circostanze contestate.

Il fatto è grave. L’area in questione, come si ricava dalle informative del Corpo Forestale della Regione Siciliana e dagli accertamenti tecnici di tipo agronomico-paesaggistico,rientra tra quelle protette con vincolo ambientale ricadendo nell’area di zone di perimetrazione classificate SIC ITA 030011 e ZPSITA030042 ai sensi del D.L.gls 42/2002 oltre che al vincolo idrogeologico di cui al R.D.L. n. 3267/1923; la vastità dell’incendio provocato e la gravità dei danni determinati all’ambiente rimasto inesorabilmente esposto al rischio di dissesti idrogeologici, attesa l’avvenuta distruzione della copertura del suolo che in caso di piogge persistenti, potrebbe determinare l’insorgenza di fenomeni erosivi con conseguente trasporto di materiale solido a valle.

Venendo alla determinazione della pena, valutati i criteri di cui all’art. 133 c.p., si stima equo irrogare all’odierno imputato la pena di anni quattro, riconoscendo al L. P., avuto riguardo alla sua incensuratezza, le circostanze attenuanti generiche in termini di equivalenza alle contestate aggravanti, e ritenuta congrua la pena base di anni sei, operata la riduzione per la scelta del rito, si perviene alla pena finale come sopra determinata.

L’imputato deve essere dichiarato interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.

L. P. deve essere condannato al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite, entrambi portatrici di un interesse proprio che rappresenta lo scopo oltre che l’elemento costitutivo del sodalizio, cioè l’interesse alla salvaguardia dell’integrità dell’ambiente; detto danno va liquidato in separata sede non essendovi in atti elementi atti alla quantificazione.

Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali nonché ala rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza in giudizio delle parti civili come da dispositivo, disponendone il pagamento in favore dello Stato.
Visti gli artt. 442, 533 e 535 c.p.p.

DICHIARA

L. P. G. colpevole del reato ascrittogli e concesse le attenuanti generiche equivalenti rispetto alle contestate aggravanti, lo condanna alla pena di anni quattro di reclusione, già ridotta per il rito.

Dichiara L. P. G. interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
Condanna l’imputato al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite, da liquidarsi in separata sede.

Condanna altresì l’imputato alla rifusione delle spese di costituzione di parte civile che si determina, per ciascuna di esse, in euro 1.000 per competenze ed onorari oltre IVA, CPA e spese come per legge e ne dispone il pagamento in favore dello Stato.
Indica il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione.
Visto l’art. 304 comma 1 e bis) c.p.p.

DISPONE

La sospensione dei termini di custodia cautelare durante la pendenza dei termini previsti dall’art. 544 comma terzo, c.p.p.

Messina 13 maggio 2008

Il Giudice
Dott.ssa Maria Arena

Depositata il 13.8.2008