Cass. Sez. III n. 2313 del 24 gennaio 2011 (Ud. 15 dic. 2010)
Pres. Ferrua Est. Mulliri Ric. Librandi
Acque. Nozione di acque reflue industriali

Nella nozione di acque reflue industriali definita dall‘art. 74, comma primo, lett. h), del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (come modificato dal D.LgS. 16 gennaio 2008, n. 4) rientrano tutti i tipi di acque derivanti dallo svolgimento di attività produttive, in quanto detti reflui non attengono prevalentemente al metabolismo umano ed alle attività domestiche di cui alla nozione di acque reflue domestiche, come definite dall’art. 74, comma primo, lett. g), del citato decreto

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale


Composta dai Signori:


1. dr.ssa Giuliana Ferrua                            Presidente
2. dr. Renato Grillo                                    Consigliere
3. dr.ssa Guicla Mulliri                               Consigliere rel.
4. dr. Luigi Marini                                      Consigliere
5. dr. Santi Gazzara                                  Consigliere

all'esito dell'udienza pubblica del 15 dicembre 2010


ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente


SENTENZA


- sul ricorso proposto da: Li. An. Ca., nato a Cirò M. il xx.xx.xx imputato art. 59 D.L.vo 152/99
- avverso la sentenza del Tribunale di Crotone, sez. dist. di Strangoli in data 22.1.08
- Sentita la relazione del cons. Guida Mùlliri;
- Sentito il P.M., nella persona del P.G. dr. Vito D'Ambrosio, che ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per prescrizione;


osserva


1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso - Con la sentenza qui impugnata, lo Strangoli è stato dichiarato responsabile - e condannato alla pena di 1500 € di ammenda - per la violazione dell'art. 59 D.L.vo 152/99 per avere, quale titolare della ditta omonima, effettuato uno scarico di acque reflue industriali senza aver ottenuto il prescritto provvedimento di autorizzazione da parte della autorità competenti. In particolare, gli si contesta di avere effettuato il lavaggio delle cassette di uva durante la vendemmia e fatto defluire l'acqua di lavaggio in un canalone per la raccolta delle acque piovane.


Avverso tale decisione, l'imputato ha proposto, tramite il difensore, appello (convertito in ricorso) deducendo:
1) che scarichi di acque é concetto diverso da quello di lavaggio con acqua: nel primo caso, lo scarico, per quanto discontinuo, è il risultato di un ciclo produttivo industriale mentre nella specie - anche attenendosi a quanto accertato nel corso del sopralluogo - si è in presenza di un fatto occasionale; nel secondo caso, trattandosi di un normale lavaggio, il Tribunale avrebbe dovuto concludere che non si era in presenza di uno scarico e che non necessitava alcuna autorizzazione amministrativa.


Il ricorrente conclude invocando l'annullamento della sentenza impugnata.


2. Motivi della decisione - Il ricorso è manifestamente infondato e, quindi, inammissibile.


La ragione fondamentale di tale declaratoria risiede nel "vizio di origine" dell'impugnazione, concepita come appello e, quindi, sviluppata tutta su argomenti di merito che non si attagliano ad un giudizio in questa sede di legittimità. D'altro canto, la condanna alla sola pena pecuniaria non avrebbe potuto che essere censurata - ex art. 593 co. 3 c.p.p. - dinanzi a questa S.C..


Il gravame, perciò, nei suoi contenuti, è contrario alle regole del giudizio di legittimità ove l'unico controllo sulla motivazione che può essere invocato attiene alla verifica che il giudice abbia fornito una spiegazione del proprio convincimento, ancorandosi alle emergenze processuali e mostrando di darne una lettura non manifestamente illogica né contraddittoria.


Sulla scorta di tali premesse, è da escludere, pertanto, che il presente giudizio si identifichi con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite ovvero con la possibilità di formulare un giudizio diverso - da quello espresso dai giudici di merito - sull'intrinseca adeguatezza della valutazione dei risultati probatori o sull'attendibilità delle fonti di prova.


Risulta, dunque, inattaccabile la motivazione qui impugnata che, pur nella sua estrema sintesi, sottolinea un dato di fatto inconfutabile, e cioè, che, a seguito di lamentele degli abitanti del rione, ispettori ASL avevano effettuato un sopralluogo presso la cantina Librandi "constatando che, nel piazzale della cantina veniva effettuato il lavaggio delle cassette di uva durante la vendemmia, da parte degli operai dipendenti della Cantina Librandi; l'acqua di lavaggio defluiva in un canalone per la raccolta delle acque piovane".


Ancorché non esplicitato, è chiaro il concetto che il giudicante ha ritenuto tale condotta integrare il reato di cui all'art. 59 co. d.L.vo 152/99 (ora art. 137 D.L.vo 152/06) e, nel fare ciò, non ha errato essendovi plurime pronunzie di questa S.C. che affermano la ricorrenza di tale ipotesi contravvenzionale - e la conseguente necessità della prescritta autorizzazione - tutte le volte in cui vi sia immissione nella pubblica fognatura di "acque reflue non aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche" (Sez. III, 18.6.09, Tonelli, Rv. 244587).
Ed infatti, "nella nozione di acque reflue industriali definita dall'art. 74, comma primo, lett. h), del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (come modificato dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4) rientrano tutti i tipi di acque derivanti dallo svolgimento di attività produttive, in quanto detti reflui non attengono prevalentemente al metabolismo umano ed alle attività domestiche di cui alla nozione di acque reflue domestiche, come definite dall'art. 74, comma primo, lett. g), del citato decreto." (Sez. III, 5.2.09, Bonaffini, Rv. 243122)
Per tale ragione, dunque, in una situazione assimilabile alla presente, anche lo scarico senza autorizzazione di acque reflue derivanti dall'attività di molitura delle olive è stato ritenuto integrare il reato di cui all'art. 137 D.L.vo 152/06 (prima previsto dall'art. 59, D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152) (Sez. III, 20.5.08, De Gregoris, Rv. 240549).


L'inammissibilità del presente ricorso non consente (s.u. 22.3.05, Bracale, Rv. 231164) il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (nella specie, la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso).


P.Q.M.


Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.


dichiara

 

inammissibile il ricorso e

 

condanna

 

il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 €.


Cosi deciso in Roma nella pubblica udienza del 15 dicembre 2010

DEPOSITATO IN CANCELLERIA 24 Gen. 2011