Pubblicata sulla rubrica "Ecolex" in La Nuova Ecologia Maggio 2007
I depuratori delle pubbliche fognature sono una delle grandi disgrazie nazionali.
Dovrebbero svolgere una funzione insostituibile, restituendo reflui ripuliti da tanta porcherie ma in realtà non è così, perché uno tra i principali contributi all’inquinamento di acqua e suolo è rappresentato proprio dai depuratori.
Sono costruiti spesso con eccessivo entusiasmo da amministratori sempre felici di spendere i nostri soldi ed affidati, sempre con zelo, a gestori privati che dovrebbero farli funzionare.
Chi li deve autorizzare, però, spesso lo fa senza alcuna preventiva valutazione, ad esempio, sulla compatibilità dei reflui con il corso d’acqua dove vanno a finire che, in certi casi, neppure c’è ed i reflui vengono allegramente versati sul suolo.
Talvolta gli impianti vengono abbandonati a loro stessi, privi di manutenzione. Quando va bene sono mantenuti in esercizio in modo approssimativo.
Di fronte a situazioni come queste il legislatore però non fornisce strumenti con cui si possano perseguire efficacemente certi comportamenti.
E’ una situazione creatasi quando, a metà degli anni ’90, si dovevano salvare certi sindaci indagati. Il problema venne prontamente risolto, come è abitudine del nostro legislatore, con un bel colpo di spugna che, in quel caso, si chiamava Legge 17295.
A quella, che prevedeva sostanzialmente l’impunità per gli amministratori locali invischiati in questioni riguardanti i loro depuratori, hanno fatto seguito altre leggi che hanno mantenuto questo stato di cose. Fino al recente “testo unico ambientale”.
E così i depuratori continuano ad inquinare alla faccia delle irrisorie sanzioni amministrative peraltro quasi mai applicate.
Per risolvere questa situazione, ne abbiamo già parlato in passato, molte procure fanno ricorso al codice penale, utilizzando reati come il getto pericoloso di cose, il danneggiamento o la frode nelle pubbliche forniture per contrastare un fenomeno che altrimenti resterebbe impunito.
Anche queste soluzioni sono però poco efficaci se non accompagnate da provvedimenti di sequestro che sono comunque di difficile attuazione per impianti, come i depuratori, che devono necessariamente funzionare.
Un sistema che pare efficace è quello di chiudere l’impianto consentendo lo smaltimento dei reflui mediante autobotte. I costi elevatissimi del servizio spesso riducono alla ragione i gestori dell’impianto che corrono subito ai ripari sistemandolo e dimostrando, così, che avrebbero potuto farlo anche prima se non ci fosse stata l’ennesima legge “salvafurbi”