di Luca RAMACCI
Pubblicata sulla rubrica "Ecolex" in La Nuova Ecologia Febbraio 2007
La Cassazione ha finalmente detto che uno scarico è…. uno scarico.
Sembra una battuta critica nei confronti della Suprema Corte ma, in realtà, è un altro degli effetti devastanti del famigerato “testone unico ambientale”.
Nell’opera di “normalizzazione” non poteva mancare, infatti, il tentativo di rendere più confusa la differenza tra scarico e rifiuti liquidi.
Era troppo scomodo per gli inquinatori adeguarsi all’insegnamento della Cassazione che, districandosi tra le leggi succedutesi negli anni, aveva chiaramente delineato l’esatto confine tra le due materie.
Non c’era più il famigerato “scarico indiretto” (quello fatto con l’autobotte, per intenderci) e per chi doveva accertare le violazioni era più facile stabilire quali sanzioni applicare.
La regola stabilita dalla cassazione era chiarissima: c’è scarico e quindi si applica la relativa disciplina, quando il refluo raggiunge la sua destinazione (acque superficiali, fognatura eccetera) direttamente e senza soluzione di continuità.
Se questo scarico, che viaggia come un treno su un binario tra due stazioni, viene per qualche motivo interrotto, non è più uno scarico ma un rifiuto liquido, soggetto alla relativa disciplina.
Il tutto si fondava sulla definizione di scarico. E qui il genio maligno del legislatore è corso in aiuto degli ecofurbi eliminando nel “testone” proprio quelle parole così poco gradite.
La cosa ha indotto subito qualche commentatore a prospettare un possibile ritorno al passato, con la ricomparsa delle famigerate autobotti. Altri hanno invece sostenuto che le cose, in realtà, non erano cambiate perché anche eliminando alcune parole, il concetto di scarico era comunque rimasto lo stesso.
Si trattava, però, di semplici interpretazioni che, per quanto autorevoli, non producevano effetti pratici.
Fortunatamente è arrivata la consacrazione della lettura più rigorosa della nuova legge da parte della cassazione.
E così è stato precisato, con la sentenza n. 35888 del 26 ottobre 2006, si spera a scanso di futuri equivoci, che “lo scarico non necessita della presenza di tubazioni o apparecchiature speciali costituenti una vera e propria condotta, poiché integra uno scarico in senso giuridico qualsiasi sistema di deflusso, oggettivo e duraturo, che comunque canalizza, senza soluzione di continuità, in modo artificiale o meno i reflui dal luogo di produzione al corpo ricettore. Tale interpretazione non risulta contraddetta dal tenore letterale dell’articolo 74 lettera ff) del D.Lv. 152-2006”.
Anche stavolta agli ecofurbi è andata male, culliamo la speranza che si rassegnino.