Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 545, del 29 gennaio 2013
Urbanistica. Qualificazione opere interne di completamento funzionale
Non possono qualificarsi come opere interne di completamento funzionale quelle che si traducono nella creazione di un quid novi rispetto alla consistenza strutturale e funzionale del manufatto già realizzato, volto alla suddivisione strutturale e funzionale di una singola unità immobiliare per ricavarne nuovi vani da affittare a terzi, con conseguente aumento del precedente carico. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00545/2013REG.PROV.COLL.
N. 03894/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3894 del 2012, proposto dalla società Lacom s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa in giudizio dagli avvocati Andrea Abbamonte e Giuseppe Ciccopiedi, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via degli Avignonesi, 5;
contro
il Comune di Benevento, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Sangiuolo, con domicilio eletto presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, p.za Capo di Ferro, 13;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI, SEZIONE VIII, n. 110/2012, resa tra le parti, concernente DEMOLIZIONE DI OPERE ABUSIVE E RIPRISTINO DELLO STATO DEI LUOGHI;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Benevento;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 ottobre 2012 il Cons. Bernhard Lageder e uditi per le parti gli avvocati Abbamonte e Sangiuolo, il quale si costituisce in udienza, depositando memoria e documenti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe, il T.a.r. per la Campania respingeva il ricorso n. 10952 del 1999, proposto dalla s.r.l. Central Auto (ora, s.r.l. Lacom) avverso l’ordinanza n. 198/99 del 28 ottobre 1999 (notificata il 4 novembre 1999) del dirigente del V Settore tecnico dell’Ufficio gestione del territorio del Comune di Benevento, con la quale era stata ordinata la demolizione delle opere realizzate dalla ricorrente, in assenza di concessione edilizia, nell’immobile ad uso commerciale dalla stessa condotta in locazione (con facoltà di sublocazione), sito in Benevento, via Meomartini ai civici 4-6-8-10-12-14-16-18-20-22-24-26-37, consistenti nella suddivisione dell’immobile in più locali destinati ad altrettanti distinti esercizi commerciali, come da risultanze del sopralluogo eseguito dal servizio comunale di vigilanza edilizia.
In relazione a tali opere la ricorrente aveva segnalato l’inizio di attività sul presupposto, non condiviso dall’Amministrazione comunale, che si trattasse di “opere interne (…) di tramezzature con vani di comunicazione in pannelli mobili di siporex (…) che non modificano la destinazione d’uso, non comportano modifiche di sagoma della costruzione e dei prospetti e non comportano alcun incremento alla di superficie e di volume e (…) non recano pregiudizio alla statica dell’immobile” (v. così, testualmente, la relazione tecnica dell’architetto incaricato dalla ricorrente, datata 26 agosto 1998), ai sensi dell’art. 26 l. n. 47 del 1985 sottratte all’onere del previo rilascio di concessione edilizia.
L’adito T.a.r. respingeva sia la censura di eccesso di potere sotto vari profili, sia la censura di violazione di legge per l’erronea omessa considerazione dell’intervenuta abrogazione tacita dell’art. 26 l. n. 47 del 1985 ad opera del combinato disposto degli artt. 19 l. n. 241 del 1990 (come sostituito dall’art. 2, comma 10, l. n. 537 del 1993) e 2, comma 60 n. 7), l. n. 662 del 1996, col conseguente passaggio, per le opere interne, dal regime concessorio/autorizzatorio a quello semplificato-liberalizzato.
2. Avverso tale sentenza interponeva appello la ricorrente soccombente, riproponendo sostanzialmente i motivi di primo grado, sebbene adattati all’impianto motivazionale dell’appellata sentenza. La società appellante chiedeva dunque, previa sospensione della provvisoria esecutorietà dell’appellata sentenza e in sua riforma, l’accoglimento del ricorso di primo grado.
3. Accolta con ordinanza n. 2238/2012 del 13 giugno 2012 l’istanza di sospensiva sotto l’esclusivo profilo delpericulum in mora, si costituiva in giudizio il Comune di Benevento, resistendo. All’udienza pubblica del 30 ottobre 2012 la causa veniva trattenuta in decisione.
4. L’appello è infondato.
4.1. Il T.a.r. correttamente ha respinto il motivo di eccesso di potere, prospettato sotto i profili di carenza d’istruttoria e di motivazione e di travisamento dei fatti, in quanto:
- come condivisibilmente affermato nell’appellata sentenza, l’impugnata ordinanza repressivo-ripristinatoria deve ritenersi sorretta da un adeguato supporto istruttorio, costituito dalle risultanze documentali acquisite in sede procedimentale (quale il prot. n. 58/99 del 17 agosto 1999 dei tecnici comunali addetti al servizio di vigilanza edilizia e dagli elementi oggettivi di riscontro ivi specificati), idonee a comprovare il frazionamento dell’originaria unità immobiliare ad uso commerciale (costituita da una sala esposizione con annesso locale adibito ad ufficio) in una pluralità di autonomi locali commerciali con correlativi impianti tecnologici, tant’è che le risultanze istruttorie, poste a base dell’ordinanza di demolizione, sono rimaste confermate in esito al sopralluogo eseguito il 5 settembre 2000 dallo stesso servizio di vigilanza;
- parimenti adeguato e sufficiente deve ritenersi l’impianto motivazionale posto a base dell’impugnata ordinanza, richiamante i citati accertamenti del servizio di vigilanza ed enunciante in modo chiaro e univoco la natura delle opere, costituite “dal frazionamento, con opere interne ed impianti, della originaria unità immobiliare, in assenza di C.E.” (v. così, testualmente, l’ordinanza in esame);
- deve, altresì, escludersi che il provvedimento sia affetto da travisamento in fatto, emergendo da una valutazione complessiva delle risultanze documentali in atti (compresa la documentazione planimetrica) che i vani di comunicazione tra le varie unità commerciali ricavate dalla suddivisione dell’originario unità immobiliare con pareti di pannelli siporex dello spessore di ca. 10 cm erano muniti di porte in legno, le quali in occasione dei sopralluoghi in parte erano chiuse e in parte coperte da scaffalature, sicché correttamente è stata esclusa la persistente configurabilità di un’unica unità immobiliare, tanto più che i vari locali ricavati dalla suddivisione erano muniti d’impianti tecnologici autonomi e risultavano occupate da altrettante, distinte, imprese commerciali.
4.2. L’appellata sentenza si fonda, altresì, su una corretta applicazione della disciplina legislativa urbanistico-edilizia vigente all’epoca di realizzazione delle opere e di adozione dell’ordinanza repressiva, a ragione escludendo che le opere in questione possano qualificarsi alla stregua di opere interne sottratte al regime concessorio/autorizzatorio.
Invero, l’art. 26 l. n. 47 del 1985, nel sottoporre gli interventi edilizi minori, costituite dalle “(…) opere interne alle costruzioni che non siano in contrasto con gli strumenti urbanistici adottati o approvati e con i regolamenti edilizi vigenti, non comportino modifiche della sagoma, della costruzione, dei prospetti né aumento delle superfici utili e del numero delle unità immobiliari, non modifichino la destinazione d’uso delle costruzioni e delle singole unità immobiliari, e non rechino pregiudizio alla statica dell'immobile (…)” (v., così, testualmente, il citato articolo di legge), al regime della relazione tecnica di asseverazione da presentare al Comune contestualmente all’inizio dei lavori, ne ha escluso espressamente gli interventi che, tra l’altro, comportino un aumento del numero delle unità immobiliari.
È, poi, sopravvenuto l’art. 4 l. 24 dicembre 1993, n. 493 (come sostituito dall’art. 2, comma 60, l. 23 dicembre 1996, n. 662) che, senza modifica espressa del citato art. 26, ha reso realizzabili con la denuncia d’inizio attività le “(…) opere interne di singole unità immobiliari che non comportino modifiche alla sagoma e dei prospetti e non rechino pregiudizio alla statica dell’immobile (…)”.
Quanto al rapporto tra le due norme, deve condividersi la ricostruzione operata dal T.a.r., secondo cui l’art. 2, comma 60, l. n. 662 del 1996 si è limitato ad attrarre l’attività edilizia libera di cui all’art. 26 l. n. 47 del 1985 alla sfera applicativa della dichiarazione d’inizio attività, ma non ne ha implicitamente ampliato i contenuti tipologici a discapito della sfera applicativa della concessione edilizia, dovendosi, in particolare, escludere che fossero rimasti sottratti al regime concessorio gli interventi di ristrutturazione comportanti il frazionamento di una singola unità immobiliare in una pluralità di distinte unità.
Infatti, a siffatti tipi di opere è correlato un aumento del carico urbanistico, tant’è che – come puntualmente osservato nell’appellata sentenza – il legislatore, successivamente, ha ribadito l’assoggettamento al permesso di costruire degli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino un aumento delle unità immobiliari (art. 10, comma 1 lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001) contestualmente prevedendo, in via espressa, per tali opere il regime abilitativo alternativo della c.d. super d.i.a., gravata dall’obbligo di pagamento del contributo di costruzione proprio del permesso di costruire (art. 22, comma 3 lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001).
Sul piano dell’interpretazione letterale dell’art. 4 l. n. 493 del 1993 (come sostituito dall’art. 2, comma 60, l. n. 662 del 1996), il riferimento alle “singole unità immobiliari”, nel cui ambito sono consentite “opere interne” assentibili mediante d.i.a., contrariamente a quanto sostenuto dall’odierna appellante, suffraga ulteriormente la sopra condivisa ricostruzione del quadro normativo applicabile ratione temporis alla fattispecie sub iudice, risultandovi invero stabilito il limite morfologico-strutturale costituito dalla circoscrizione dell’intervento all’interno della singola unità immobiliare, ontologicamente superato in caso di interventi tesi a ricavarne nuove unità immobiliari.
Non possono, infatti, qualificarsi come opere interne di completamento funzionale quelle che si traducono nella creazione di un quid novi rispetto alla consistenza strutturale e funzionale del manufatto già realizzato, quale quello in esame, volto alla suddivisione strutturale e funzionale di una singola unità immobiliare per ricavarne nuovi vani da affittare a terzi, con conseguente aumento del precedente carico urbanistico (v. sul punto, in fattispecie analoga, C.d.S., Sez. V, 5 marzo 2001, n. 1244).
4.3. Per le esposte ragioni, s’impone la conferma dell’appellata sentenza, affermativa della legittimità dell’impugnata ordinanza repressivo-ripristinatoria delle opere contestate, costituite dalla suddivisione strutturale e funzionale di una singola unità immobiliare in una pluralità di distinti locali commerciali.
5. Tenuto conto di ogni circostanza connotante la presente controversia, si ravvisano i presupposti di legge per dichiarare le spese del presente grado di giudizio interamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (ricorso n. 3894 del 2012), lo respinge e, per l’effetto, conferma l’appellata sentenza; dichiara le spese del presente grado di giudizio interamente compensate tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Aldo Scola, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere, Estensore
Andrea Pannone, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)