Consiglio di Stato Sez. VI n. 4940 del 30 giugno 2021
Urbanistica.Mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante
Il mutamento di destinazione d’uso di un fabbricato ha per effetto il passaggio da una categoria funzionalmente autonoma dal punto di vista urbanistico ad un’altra e si traduce in un differente carico urbanistico, con la precisazione che lo stesso a volte avviene senza la realizzazione di opere a seguito del mero mutamento d’uso dell’immobile, altre volte si caratterizza per la realizzazione di quelle opere in assenza delle quali l’immobile non può soddisfare quella diversa funzionalità che comporta il trapasso da una categoria funzionalmente autonoma dal punto di vista urbanistico ad un’altra; di conseguenza, il mutamento di destinazione d’uso riguarda, quindi, un immobile individuato e può avere corso solo nel rispetto della disciplina urbanistica vigente. Il presupposto del mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante ai fini dell’eventuale adozione della sanzione è che l’uso diverso comporti un maggior peso urbanistico effettivamente incidente sul tessuto urbano; - l’aggravio di servizi — quali, ad esempio, il pregiudizio alla viabilità ed al traffico ordinario nella zona, il maggior numero di parcheggi nelle aree antistanti o prossime l’immobile - è l’ubi consistam del mutamento di destinazione che giustifica la repressione dell’alterazione del territorio in conseguenza dell’incremento del carico urbanistico come originariamente divisato, nella pianificazione del tessuto urbano, dall’Amministrazione locale e su queste basi, il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante è soltanto quello intervenuto tra categorie funzionalmente autonome sotto il profilo urbanistico, come accade nel passaggio dalla destinazione industriale a quella commerciale.
Pubblicato il 30/06/2021
N. 04940/2021REG.PROV.COLL.
N. 05977/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5977 del 2019, proposto da
Mariangela Perretta, rappresentata e difesa dall'avvocato Raffaele Melfi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Scanzano Jonico non costituito in giudizio;
nei confronti
Marone - Società Semplice Agricola, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Carlo Tangari ed Antonio De Feo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata (Sezione Prima) n. 367/2019.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2021 il Cons. Giordano Lamberti e dato atto che l’udienza si svolge ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e dell’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa 13 marzo 2020, n. 6305;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 – L’appellante è proprietaria di un’unità abitativa sita in Scanzano Jonico, via Giovanni XXIII, n. 34, posta al primo piano di un complesso condominiale.
Il fabbricato è ubicato in Zona B2 – residenziale in corso di completamento - come risulta dalla tavola di zonizzazione del PRG e dal Regolamento Urbanistico e vincolata paesaggisticamente.
2 - Sotto l’appartamento dell’appellante è stata aperta un’attività artigianale per la produzione e la vendita di prodotti caseari.
3 – L’appellante contesta che i locali nei quali si svolge tale attività non siano muniti di permesso di costruire per il cambio di destinazione d’uso da deposito a locale artigianale produttivo; tale cambio di destinazione d’uso sarebbe inoltre avvenuto anche senza il consenso del condominio.
Nello specifico rileva che:
- il 4.03.2016, l’assemblea del Condominio “DECA” ha negato l’autorizzazione a Marone Giuseppe, per conto della S.A.M. Agricola – Soc. Coop. a r.l., ad effettuare il cambio di destinazione d’uso e l’istallazione della canna fumaria esterna al fabbricato per aprire un laboratorio di latticini;
- in data 10.06.2016, la S.A.M. Agricola (Soc. Coop. a r.l.) ha ottenuto il parere preventivo igienico-sanitario per il cambio di destinazione d’uso dei locali da deposito a locale commerciale;
- in data 28.06.2016, è stato rilasciato il permesso di costruire n. 15/2016 per il cambio di destinazione d’uso da locale deposito a locale commerciale;
- il 27.10.2016, la S.A.M. ha presentato una variante in corso d’opera per la realizzazione di un locale vendita e modifica dei servizi igienici;
- l’11.01.2017, la S.A.M. Agricola ha chiesto la voltura del permesso di costruire n. 15/2016 in favore della AGRISMA s.r.l.;
- il 31.07.2017, la AGRISMA ha presentato allo Sportello Unico Attività Produttive la comunicazione di inizio attività, dichiarando che avrebbe svolto l’attività di trasformazione del latte in prodotti caseari e la loro vendita;
- con l’atto del 24.11.2017 n. 14420, la società ha ottenuto l’autorizzazione paesaggistica per l’installazione nel prospetto laterale dell’edificio della canna fumaria a servizio del caseificio per lo scarico dei fumi e vapori; tale manufatto non è stato realizzato per mancata autorizzazione del condominio.
4 – L’appellante, da quando è iniziata l’attività di produzione di AGRISMA s.r.l., ha lamentato l’insorgenza di molestie e disturbi causate dall’attività di lavorazione del latte, che avviene nei locali sottostanti al suo appartamento. Per tale ragione, ha chiesto all’amministrazione di verificare se l’attività esercitata nei locali corrisponde a quella autorizzata, anche al fine di irrogare i più opportuni atti sanzionatori per l’abusiva attività del caseificio, quale attività artigianale di produzione, mai autorizzata dal Comune.
5 - Con nota del 24.10.2018 n. 15572, il Comune, pur dando atto che il cambio di destinazione d’uso autorizzato era soltanto da locale deposito a commerciale, ha rifiutato i provvedimenti repressevi dell’abuso, ritenendo che l’attività era comunque conforme alle previsioni urbanistiche della zona.
6 – L’appellante ha impugnato tale provvedimento avanti il T.A.R. per la Basilicata, deducendo:
a) la violazione degli artt. 13, comma 2, e 16, comma 1, del vigente Regolamento Urbanistico ex art. 16 L.R. n. 23/1999, i quali non consentirebbero l’insediamento di un caseificio nella Zona B2, dove si trova il fabbricato condominiale;
b) la violazione dell’art. 23 ter del DPR n. 380/2001, ai sensi del quale il mutamento della destinazione da commerciale a produttiva dovrebbe essere autorizzato con permesso di costruire e non con SCIA e, pertanto, le opere realizzate dovrebbero considerarsi abusive ai sensi degli artt. 27 e 31 dello stesso DPR n. 380/2001, tenuto anche conto della circostanza che l’immobile in questione si trova in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico;
c) la violazione dell’art. 11 del DPR n. 380/2001, in quanto, poiché gli artt. 6 e 29, lett. d), n. 4, del Regolamento del Condominio impedirebbero l’attività di caseificio, il Comune non potrebbe autorizzarla, senza aver preventivamente acquisito il parere favorevole dell’assemblea condominiale.
6.1 - Il T.A.R., con la sentenza n. 367/2019, ha respinto il ricorso.
7 – L’appello avverso tale pronuncia deve trovare accoglimento nei limiti di seguito precisati.
Preliminarmente, è utile richiamare il contenuto dell’atto impugnato. Nella nota del 24.10.2018 n. 15572, si legge: “Da sopralluogo effettuato in data 10.10.2018, da personale del settore tecnico e della Polizia Locale, si è riscontrato che le opere edilizie sono conformi a quelle autorizzate. Nel contempo si è accertato che l’attività svolta consistente in un caseificio artigianale con vendita del prodotto che, pur se non conforme a quanto autorizzato con i titoli sopra richiamati, è conforme alle previsioni urbanistiche della zona. Alla luce di quanto sopra evidenziato si ritiene che tale difformità non si configura come abuso – non comporta una variazione degli standard previsti dal decreto ministeriale 1444/68 ossia dei carichi urbanistici relativi alla zona omogenea in questione; -che non essendo state eseguite opere in difformità ai titoli edilizi sopra citati il mutamento della destinazione d’uso costituisce espressione della facoltà di godimento quale concreta proiezione dello jus utenti spettante al proprietario che, diversamente dallo jus aedificandi, non rientra nella disciplina urbanistico-edilizia generale”.
E’ la stessa amministrazione a confermare inconfutabilmente la prospettazione dell’appellante, e cioè che i titoli edilizi relativi all’immobili non contemplano un utilizzo produttivo dei locali.
7.1 – La riscontrata difformità, contrariamente all’assunto del Giudice di primo grado, che ha escluso la natura abusiva del cambio di destinazione d’uso valorizzando la SCIA del 31/07/2017, non può essere superata da quest’ultimo atto. Invero, la SCIA è stata presentata ad altri fini, ovvero per intraprendere l’attività dal punto di vista commerciale.
E’ pacifico che tale atto non si riferisce all’aspetto urbanistico-edilizio, presupponendo, come è tipico di ogni titolo legittimante l’attività commerciale, la regolarità edilizia dei locali rispetto all’attività che il richiedente si propone di svolgere (trasformazione del latte in prodotti caseari e vendita di prodotti caseari).
Deve ricordarsi che le disposizioni in materia di commercio implicano uno stretto collegamento tra la programmazione commerciale e la pianificazione urbanistica, con la conseguenza che l’apertura di esercizi commerciali presuppone la conformità dei relativi locali alle prescrizioni urbanistiche (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 gennaio 2001; Cons. Stato, sez. IV, 27 aprile 2004). Più precisamente, la normativa commerciale (D. lgs 114/98, Legge 287/91 e D.lgs n. 59/2010) prescrive, quanto ai requisiti oggettivi che devono sussistere per il rilascio delle relative autorizzazioni, che le attività devono essere esercitate, tra l’altro, nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia e urbanistica, nonché di quelle sulla destinazione d’uso dei locali e degli edifici.
Gli assunti che precedono non possono in alcun modo giustificare la conclusione che l’assentimento dell’attività commerciale implichi anche l’assentimento alla modifica dei locali dal punto di vista edilizio. Nonostante la stretta relazione tra i due ambiti, deve ritenersi che il titolo commerciale non può assorbire le valutazioni strettamente connesse al rispetto della disciplina urbanistica, che, viceversa, devono essere vagliate secondo le specifiche procedure a tal fine previste dalla legge, per sfociare, se del caso, in specifici titoli corrispondenti ai diversi interventi, così come prestabiliti dall’ordinamento.
Per scrupolo, deve precisarsi che, nel caso di specie, non è neppure possibile configurare una sorta di titolo edilizio implicito, dovendosi al riguardo osservare che si è al cospetto di una SCIA, ovvero di un atto del privato, e non di un provvedimento amministrativo, da cui l’impossibilità di desumere una sopposta volontà dell’amministrazione circa l’assentimento al mutamento della destinazione d’uso dal punto di vista edilizio.
Così circoscritta la valenza e l’efficacia della SCIA del 31/07/2017 ed escluso che la stessa possa svolgere la funzione di titolo edilizio legittimante il cambio di destinazione d’uso dei locali da commerciali a produttivi, perdono di ogni consistenza gli argomenti del T.A.R. con i quali si prospetta la necessità di intervenire in autotutela sulla predetta SCIA, nei modi e nei limiti a tal fini previsti dalla legge, sicché il cambio di destinazione non potrebbe considerarsi abusivo fino a che permangono gli effetti della SCIA.
7.2 – Per indagare la natura illegittima del cambio di destinazione d’uso denunciato deve invece aversi riguardo ai relativi titoli edilizi, dai quali, per quanto ammesso dalla stessa amministrazione, non emerge l’assentimento dello svolgimento dell’attività di produzione nei locali in questione.
In proposito, l’art. 23 ter del DPR n. 380/2001, aggiunto dall’art. 17, comma 1, lett. n), D.L. n. 133/2014 conv. nella L. n. 164/2014, al comma 1 qualifica come “mutamento d’uso urbanisticamente rilevante, ancorché non accompagnato dall’esecuzione di opere edilizie”, quello dalla categoria “commerciale” a quella “produttiva”, ed al comma 2 puntualizza che “la destinazione d’uso di un fabbricato o di una unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile”.
Anche la giurisprudenza ha chiarito che il mutamento di destinazione d’uso di un fabbricato ha per effetto il passaggio da una categoria funzionalmente autonoma dal punto di vista urbanistico ad un’altra e si traduce in un differente carico urbanistico, con la precisazione che lo stesso a volte avviene senza la realizzazione di opere a seguito del mero mutamento d’uso dell’immobile, altre volte si caratterizza per la realizzazione di quelle opere in assenza delle quali l’immobile non può soddisfare quella diversa funzionalità che comporta il trapasso da una categoria funzionalmente autonoma dal punto di vista urbanistico ad un’altra; di conseguenza, il mutamento di destinazione d’uso riguarda, quindi, un immobile individuato e può avere corso solo nel rispetto della disciplina urbanistica vigente (ex multis Consiglio di Stato, sez. V , 30/06/2014 , n. 3279).
Il presupposto del mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante ai fini dell’eventuale adozione della sanzione è che l’uso diverso comporti un maggior peso urbanistico effettivamente incidente sul tessuto urbano; - l’aggravio di servizi — quali, ad esempio, il pregiudizio alla viabilità ed al traffico ordinario nella zona, il maggior numero di parcheggi nelle aree antistanti o prossime l’immobile - è l’ubi consistam del mutamento di destinazione che giustifica la repressione dell’alterazione del territorio in conseguenza dell’incremento del carico urbanistico come originariamente divisato, nella pianificazione del tessuto urbano, dall’Amministrazione locale e su queste basi, il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante è soltanto quello intervenuto tra categorie funzionalmente autonome sotto il profilo urbanistico, come accade nel passaggio dalla destinazione industriale a quella commerciale (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. VI , 25/09/2017 , n. 4469).
Alla luce delle considerazioni che precedono, deve concludersi che il cambio di destinazione d’uso in questione – da commerciale a produttivo - richiedeva uno specifico titolo edilizio, che nel caso di specie non sussiste, con la conseguenza che la modifica di destinazione d’uso è abusiva e, in quanto tale, deve essere sanzionata nelle forme di legge da parte del Comune.
7.3 – Non può portare ad un diverso esito l’inciso contenuto nel provvedimento impugnato, ove si legge che “pur se non conforme a quanto autorizzato con i titoli sopra richiamati, è conforme alle previsioni urbanistiche della zona”, posto che all’assenza del titolo edilizio consegue l’illegittimità dell’intervento, indipendentemente dalla sua conformità alla disciplina sostanziale.
Tale aspetto, se del caso, ben può costituire il presupposto per la sanatoria dell’intervento, ma non legittima di per sé il cambio di destinazione privo della necessaria autorizzazione.
Deve infatti ricordarsi che l’eventuale (allo stato indimostrata) legittimità sostanziale della modifica posta in essere, in rapporto al regime dell’area, deve necessariamente essere valutata nell’ambito di un procedimento di sanatoria. Tanto si evince dall’art. 31 e dall’art. 27 del DPR n. 380/2001, che impongono all’amministrazione comunale di reprimere l’abuso, senza alcuna valutazione di sanabilità, nonché dall’art. 36, che rimette all’esclusiva iniziativa del privato l’attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica.
Sarà in quella sede che, se del caso, il Comune valuterà l’esatta portata degli artt. 13, comma 2, e 16, comma 1, del vigente Regolamento Urbanistico - che in base alla prospettazione di parte appellante precluderebbero, anche dal punto di vista sostanziale, l’assentimento del cambio di destinazione d’uso - non potendosi pertanto esaminare in questa sede la questione prima che sulla stessa si sia espressa l’amministrazione, pena il rischio di violare il disposto di cui all’art. 34, comma 2, del c.p.a.
7.4 – Vale un analogo discorso in riferimento alla dedotta violazione dell’art. 11 del DPR 380/2001 in ragione del fatto che difetterebbe l’autorizzazione condominiale al cambio di destinazione d’uso.
Invero, tale aspetto attiene alla legittimazione necessaria per l’ottenimento del titolo edilizio ed in ipotesi si porrà solo allorché la parte interessata si determinerà a chiedere la sanatoria della modifica d’uso posta in essere.
La questione è invece irrilevante ai fini del presente giudizio, dove non viene in discussione il rilascio di un titolo edilizio, ma, viceversa, la sua assenza, che come detto comporta l’abusività del cambio di destinazione d’uso.
8 – In definitiva, l’appello deve trovare accoglimento e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve trovare accoglimento il ricorso di primo grado nei sensi di cui in motivazione, dovendo pertanto l’amministrazione adottare gli opportuni provvedimenti repressivi degli illeciti urbanistico-edilizio posto in essere in Scanzano J. alla Via Berlinguer n. 29 e 31, salva la facoltà di presentare idonea domanda di sanatoria, il cui esito non è pregiudicato dalla presente pronuncia.
Le spese di lite del doppio grado di giudizio, vista la complessità della vicenda, possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) accoglie l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado nei sensi di cui in motivazione.
Spese di lite compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2021 con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Diego Sabatino, Consigliere
Andrea Pannone, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere, Estensore