Cass. Sez. III n. 20349 del 28 maggio 2010 (Ud.16 mar. 2010)
Pres. Petti Est. Fiale Ric. Catania
Urbanistica.Pertinenza urbanistica
In materia edilizia, per pertinenza deve intendersi un'opera che non sia parte integrante o costitutiva di un altro fabbricato, bensì al servizio dello stesso onde renderne più agevole e funzionale l'uso. (In applicazione di tale principio la Corte ha escluso la natura pertinenziale di un locale residenziale, ricavato dalla chiusura su due lati di un lavatoio - stenditoio, collegato tramite scala esterna con l'appartamento sottostante).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PETTI Ciro - Presidente - del 16/03/2010
Dott. FIALE Aldo - rel. Consigliere - SENTENZA
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - N. 560
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. MULLIRI Guicla - Consigliere - N. 36991/2009
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) CATANIA GIUSEPPE, N. IL 27/04/1968;
avverso la sentenza n. 158/2009 CORTE APPELLO di ROMA, del 20/05/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/03/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Montagna Alfredo, che ha concluso per l'annullamento con rinvio;
udito il difensore avv. Rossi Camillo, il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 20.5.2009, confermava la sentenza 14.3.2008 del Tribunale monocratico di quella città, che aveva affermato la responsabilità penale di Catania Giuseppe in ordine al reato di cui:
- al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), (per avere realizzato, in assenza del prescritto permesso di costruire, lavori edilizi consistiti nella chiusura su due lati di un lavatoio- stenditoio, per mq. 40 circa, ricavando un locale ad uso residenziale collegato tramite scala esterna con l'appartamento sottostante - acc. in Roma, via Paolo Rosi, n. 82, fino at 16.11.2005);
e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena (condizionalmente sospesa) di mesi di mesi due di arresto ed Euro 7.000,00 di ammenda, con ordine di demolizione del manufatto abusivo.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Catania, il quale ha eccepito:
- la nullità della stessa a cagione della irregolare notifica dell'estratto contumaciale della sentenza di primo grado e del decreto di citazione per il giudizio di appello;
- la incongruità del disconoscimento della "natura pertinenziale" delle opere di nuova realizzazione, che non sarebbero assoggettate, per tale loro caratteristica, al regime del permesso di costruire;
- la prescrizione del reato, venuta a scadere il 26 settembre 2009. MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché manifestamente infondato.
1. Quanto alla eccepita violazione della legge processuale, prospetta il ricorrente che:
- egli, in data 12.3.2008, nel commissariato di P.S. "C. Colombo", aveva formalizzato dichiarazione di domicilio presso il luogo di lavoro "Ottica Color" sito in Roma, via delle Sette Chiese, n. 54;
- a mezzo raccomandata, spedita il 20.10.2008 e recapitata il successivo 21 ottobre, aveva poi trasmesso il relativo verbale al Tribunale penale;
- l'avviso di fissazione del giudizio di appello era stato ritualmente notificato al difensore di fiducia, mentre la notifica ad esso imputato era stata effettuata, a mezzo posta, nel domicilio personale (diverso da quello successivamente dichiarato), sicché egli non era stato messo in grado di partecipare al dibattimento di secondo grado.
Trattasi di doglianza manifestamente infondata.
Deve anzitutto premettersi che la tempestiva impugnazione proposta dal difensore avverso la sentenza del Tribunale ha comunque travolto ogni eventuale irregolarità della notificazione dell'estratto contumaciale della stessa, integrando il raggiungimento dello scopo cui la notificazione medesima era finalizzata.
Va poi rilevato che le Sezioni Unite di questa Corte Suprema - con la sentenza 7 gennaio 2005, n. 119 - hanno affermato il principio secondo il quale in tema di notificazione della citazione all'imputato, la nullità assoluta ed insanabile prevista dall'art. 179 c.p.p., ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato. La medesima nullità non ricorre, invece, nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue la applicabilità della sanatoria di cui all'art. 184 c.p.p..
Nella fattispecie in esame, non si è in presenza di una omissione nella notifica bensì di una sua notifica nel posto sbagliato, sì che il vizio riguarda la notifica e non certo il decreto. Conseguentemente, la nullità verificatasi deve considerarsi relativa (art. 181 c.p.p., comma 3) e, concernendo un atto preliminare al dibattimento, doveva essere eccepita entro il termine di cui all'art. 491 c.p.p. (vedi Cass.: Sez. 3, 17.11.2009, n. 43859, Petrolo ed altro; Sez. 6, 28.1.2009, n. 3895, Alberti ed altro). Evidente, quindi, la tardività della eccezione, proposta solo con il ricorso per Cassazione, tanto più se si considera che del giudizio di appello era stato ritualmente avvisato il difensore, il quale, essendo stato presente al successivo dibattimento, ben avrebbe potuto sollevare tempestivamente l'eccezione.
La mancata proposizione nei termini di cui all'art. 491 c.p.p. sana il vizio, mancando la prova che la notificazione della citazione, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, sia risultata in concreto inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato.
2. Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte Suprema, la nozione di "pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve trattarsi, invero, di un'opera - che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato - preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede. La relazione con la costruzione preesistente deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale l'uso (carattere di strumentali funzionale), sicché non può riconduci alla nozione in esame l'ampliamento di un edificio che - come nella vicenda che ci occupa - per la relazione di connessione fisica, costituisce parte di esso quale elemento che attiene all'essenza dell'immobile e lo completa affinché soddisfi ai bisogni cui è destinato (Vedi, tra le decisioni recenti, Cass., Sez. 3; 29.5.2007, Rossi; 11.5.2005, Gricia; 17.1.2003, Chiappalone. Nello stesso senso vedi pure C. Stato, Sez. 5, 22.10.2007, n. 5515.
3. Il reato, accertato "fino al 16.11.2005", non era sicuramente prescritto (secondo la stessa ricostruzione operata dal ricorrente) alla data delle pronunzia della sentenza impugnata (il termine ultimo di prescrizione coincide, infatti, con il 16.5.2010) e la inammissibilità del ricorso non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, per cui non può tenersi conto della prescrizione eventualmente scaduta in epoca successiva (vedi Cass., Sez. Unite, 21.12.2000, n. 32, ric. De Luca).
Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio (nella specie rivolte a fissare l'ultimazione dei lavori in epoca diversa ed anteriore) non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata. 4. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della inammissibilità medesima segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille/00) in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 16 marzo 2010.
Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2010