Cass. Sez. III n. 46594 del 11 ottobre 2017 (Ud 20 apr 2017)
Presidente: Fiale Estensore: Liberati Imputato: Cusini
Urbanistica.Tensostrutture
Le tensostrutture sono nuove costruzioni che richiedono il permesso di costruire e l’autorizzazione paesaggistica. Ne va esclusa la precarietà quando svolgono una funzione stabile e duratura, quale quella di aumentare in via non occasionale la capacità ricettiva di un esercizio commerciale grazie anche alla chiusura laterale con teloni della struttura che ne consente l'utilizzo per lunghi periodi dell'anno.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 19 maggio 2016 la Corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza del 19 novembre 2015 del Tribunale di Sondrio, con cu Giovanni Cusini era stato condannato alla pena complessiva di giorni 11 di arresto ed euro 21.000,00 di ammenda ed era stata disposta la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, in relazione al reato di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen., 44, lett. c), d.P.R. 389/2001, e 136, 142, lett. d), 146, 157 e 181 d.lgs. 42/2004 (ascrittogli per avere, quale amministratore unico della S.p.a. SITAS, in area posta in territorio del Comune di Livigno e sottoposta a vincolo paesaggistico, in quanto posta al di sopra di 1.800 metri di altezza sul livello del mare, in assenza dei necessari provvedimenti autorizzativi, posizionato due tensostrutture a ombrello chiuse ermeticamente su tutti i lati, attrezzate internamente con tavoli e sedie per la somministrazione di alimenti e bevande al pubblico, della lunghezza di m. 15,90, larghezza di m. 4,90, superficie di mq. 77,91 e altezza in gronda di m. 2,5 e all'apice di m. 3,90).
La Corte d'appello, nel confermare la sentenza impugnata, ha disatteso la prospettazione dell'imputato circa la natura temporanea e occasionale delle due tensostrutture oggetto della contestazione, sottolineando la necessità della loro stabile chiusura a causa delle condizioni climatiche dovute alla altitudine e la mancanza di qualsiasi elemento a sostegno del dedotto uso precario e temporaneo, evidenziando, in senso contrario, la funzione delle strutture di ampliare stabilmente la capacità ricettiva della attività commerciale svolta dall'imputato nel locale a esse adiacente.
E' stata, inoltre, sottolineata la compromissione al paesaggio arrecata dalla presenza di tali tensostrutture, giudicate disarmoniche rispetto al contesto nell'ambito del quale erano state realizzate, che, benché fortemente urbanizzato, trattandosi del centro del Comune di Livigno, risulta caratterizzato dalla presenza di costruzioni a destinazione residenziale inserite armonicamente nel paesaggio montano, sia per le dimensioni sia per il rispetto dei canoni architettonici tipici della zona.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, affidato a quattro motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari ai fini della motivazione.
2.1. Con un primo motivo ha denunciato violazione degli artt. 3, comma 1, lett. e.5), e 10, comma 1, d.P.R. 380/2001 e degli artt. 27, comma 1, lett. e.5), e 33, comma 1, I. Regione Lombardia n. 12 del 2005, in quanto l'intervento realizzato, e cioè la posa delle due strutture, non determinava trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, essendo stato compiuto con manufatti leggeri e allo scopo di soddisfare esigenze temporanee; i giudici di merito avevano, infatti, erroneamente definito come tensostrutture due semplici ombrelloni in alluminio e tela avvolti su un asse centrale, con due pali di sostegno in alluminio aventi funzione accessoria, posti davanti ad altre preesistenti strutture non oggetto della contestazione; tali ombrelloni dovevano ritenersi compresi tra le attività di edilizia libera e non interventi di nuova costruzione, come erroneamente ritenuto dai giudici di merito.
2.2. Con un secondo motivo ha lamentato violazione degli artt. 3, comma 1, lett. e.6), e 10, comma 1, d.P.R. 380/2001 e dell'art. 6.6. del regolamento edilizio del Comune di Livigno, e mancanza di motivazione, a proposito della esclusione della natura temporanea della tensostruttura e del suo carattere di pertinenza. Ha sottolineato al riguardo che i due ombrelloni non eccedevano il 20% dell'edificio principale a servizio del quale erano stati posti, non ne costituivano un prolungamento ma erano dotati di autonomia, e non erano dotati di un valore di mercato autonomo e indipendente da quello dell'edificio principale, con la conseguente esclusione della necessità del permesso di costruire per il loro posizionannento in considerazione di tali caratteristiche.
2.3. Con un terzo motivo ha prospettato contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione riguardo al carattere occasionale e amovibile del manufatto, che avrebbe dovuto indurre i giudici di merito a escludere la necessità del permesso di costruire, rientrando l'opera, in virtù di tali caratteri, nella attività edilizia libera.
2.4. Con un quarto motivo ha prospettato violazione dell'art. 146 d.lgs. 42/2004 e vizio della motivazione, con riferimento al reato paesaggistico ascrittogli, per l'insufficiente accertamento dell'esistenza di un danno al paesaggio quale conseguenza della realizzazione delle opere incriminate, occorrendo l'accertamento in concreto di un pregiudizio ai valori paesaggistici protetti per poter ritenere configurabile il reato di cui all'art. 181 d.lgs. 42/2004.
Al riguardo non era stata adeguatamente considerata la modesta entità delle opere, la loro precarietà e, soprattutto, la presenza di altre tensostrutture del tutto simili, che avrebbero dovuto indurre i giudici di merito a escludere una compromissione ai valori protetti dalla disposizione incriminatrice contestatagli.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, peraltro ampiamente riproduttivo dei motivi d'appello, non è fondato.
2. Il primo motivo, mediante il quale è stata denunciata violazione degli artt. 3, comma 1, lett. e.5), e 10, comma 1, d.P.R. 380/2001 e degli artt. 27, comma 1, lett. e.5), e 33, comma 1, I. Regione Lombardia n. 12 del 2005, è infondato.
Con esso, infatti, il ricorrente, pur prospettando una violazione di legge penale, tende a censurare l'accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito che, sulla base di quanto emerso dall'istruttoria svolta, e in particolare di quanto riferito dai testi escussi e di quanto desumibile dalle riproduzioni fotografiche dei manufatti, hanno ritenuto accertato che l'imputato abbia realizzato le due tensostrutture indicate nella imputazione (e cioè due tensostrutture a ombrello chiuse ermeticamente su tutti i lati, attrezzate internamente con tavoli e sedie per la somministrazione di alimenti e bevande al pubblico, della lunghezza di m. 15,90, larghezza di m. 4,90, superficie di mq. 77,91 e altezza in gronda di m. 2,5 e all'apice di m. 3,90), mentre il ricorrente sostiene di essersi limitato a posare due ombrelloni in alluminio e tela avvolti su un asse centrale e con sostegni in alluminio, e che le tensostrutture poste alle spalle di questi sarebbero estranee al giudizio: si tratta di doglianza non consentita nel giudizio di legittimità, in quanto volta a conseguire una rivisitazione delle risultanze dell'istruttoria svolta (sulla base delle quali i giudici di merito hanno concordemente ritenuto accertata la realizzazione delle opere come descritte nel punto 1 della imputazione), allo scopo di mutare l'oggetto dell'accertamento giudiziale, alla cui determinazione i giudici di merito sono pervenuti in modo del tutto univoco e coerente e che non è neppure stato oggetto di specifiche censure da parte del ricorrente.
Tali tensostrutture sono, poi, del tutto correttamente state qualificate come nuove costruzioni, come tali richiedenti il permesso di costruire e l'autorizzazione paesaggistica, in quanto costituisce "costruzione" in senso tecnico - giuridico un manufatto tridimensionale che comporti una ben definita occupazione del terreno e dello spazio aereo (Sez. 3, n. 5624 del 17/11/2011, Lavorato, Rv. 251904; Sez. 3, n. 6806 del 10/01/2001, Falcone, Rv. 219049), ed è ciò che è stato realizzato nel caso di specie dal ricorrente, essendo stato accertato il posizionamento stabile del manufatto indicato nella imputazione, che possiede le caratteristiche di ingombro del terreno e dello spazio aereo richieste dalla giurisprudenza di legittimità per la configurabilità di una nuova costruzione, come tale richiedente il permesso di costruire.
3. Il secondo motivo, mediante il quale è stata prospettata la natura pertinenziale della tensostruttura, è inammissibile.
Affinché un manufatto presenti il carattere di pertinenza, tale da non richiedere per la sua realizzazione il permesso di costruire, è necessario che esso sia preordinato a un'oggettiva esigenza funzionale dell'edificio principale, sia sfornito di un autonomo valore di mercato, sia di volume non superiore al 20% di quello dell'edificio cui accede, di guisa da non consentire, rispetto a quest'ultimo e alle sue caratteristiche, una destinazione autonoma e diversa (così, da ultimo, Sez. 3, n. 52835 del 14/07/2016, Fahrni, Rv. 268552; conf. Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno, Rv. 253064; Sez. 3, n. 6593 del 24/11/2011, Chiri, Rv. 252442; Sez. 3, n. 39067 del 21/05/2009, Vitti, Rv. 244903; Sez. 3, n. 37257 del 11/06/2008, Alexander, Rv. 241278).
Tali caratteristiche del manufatto realizzato dall'imputato non sono in precedenza state prospettate, non emergendo ciò né dalla sentenza di primo grado, né dai motivi d'appello (mediante i quali era stata solamente prospettata la temporaneità della tensostruttura e la sua inoffensività sul piano paesaggistico), né dalla sentenza di secondo grado, sicché non è dato rilevare al riguardo alcun vizio della motivazione di tale ultima sentenza, né violazioni di legge, posto che risulta ora precluso l'accertamento di tale carattere dell'opera, che richiederebbe indagini in fatto non consentite nel giudizio di legittimità, con la conseguente inammissibilità della censura, volta a conseguire una rivalutazione delle risultanze di fatto esaminate dai giudici di merito.
4. Il terzo motivo, mediante il quale è stata prospettata la natura temporanea e amovibile dell'opera, con la conseguente esclusione della necessità del permesso di costruire per la sua realizzazione, è infondato.
Va al riguardo ribadito che, al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio del permesso di costruire la realizzazione di un manufatto, l'asserita precarietà dello stesso non può essere desunta dal suo carattere stagionale, ma deve ricollegarsi - a mente di quanto previsto dall'art. 6, comma secondo, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, come emendato dall'art. 5, comma primo, d.l. 25 marzo 2010, n. 40 (convertito, con modificazioni, nella I. n. 73 del 2010) - alla circostanza che l'opera sia intrinsecamente destinata a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee, e ad essere immediatamente rimossa al venir meno di tale funzione, non risultando al riguardo sufficiente la sua astratta rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo (Sez. 3, n. 36107 del 30/06/2016, Arrigoni, Rv. 267759; Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014, Manfredini, Rv. 261636; Sez. 3, n. 34763 del 21/06/2011, Bianchi, Rv. 251243; Sez. 3, n. 13705 del 21/02/2006, Mulas, Rv. 233926). Di tali consolidati e condivisibili criteri ermeneutici la Corte d'appello ha fatto corretta applicazione, escludendo la natura occasionale e precaria delle strutture poste in essere dall'imputato, in considerazione dell'uso delle stesse compiuto in concreto; al riguardo è stato sottolineato che la funzione, stabile e duratura, di tali tensostrutture è quella di aumentare in via non occasionale la capacità ricettiva dell'esercizio commerciale dell'imputato, grazie anche alla chiusura laterale con teloni della struttura che ne consente l'utilizzo per lunghi periodi dell'anno, sicché, indipendentemente dalle loro caratteristiche costruttive, ne è stata esclusa la natura precaria e occasionale, considerando correttamente l'utilizzo stabile e la funzione duratura.
Ne consegue l'infondatezza della doglianza, essendo correttamente stata esclusa la natura precaria e il carattere occasionale dell'opera.
5. Il quarto motivo, relativo alla mancanza di compronnissione del paesaggio quale conseguenza della installazione delle due tensostrutture incriminate, è infondato. Questa Corte ha costantemente affermato che il reato di pericolo astratto previsto dall'art. 181 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 non richiede ai fini della sua configurabilità un effettivo pregiudizio per l'ambiente, né la concretezza della messa in pericolo del bene tutelato, essendo sufficiente l'esecuzione, in assenza di preventiva autorizzazione, di interventi che siano astrattamente idonei ad arrecare nocumento al bene giuridico tutelato, (Sez. 3, n. 11048 del 18/02/2015, Murgia, Rv. 263289; Sez. 3, n. 6299 del 15/01/2013, Sinneon, Rv. 254493), potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettino inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l'aspetto esteriore degli edifici, posto che nelle zone paesisticamente vincolate è inibita ogni modificazione dell'assetto del territorio attuata attraverso qualsiasi opera non soltanto edilizia ma di qualunque genere (Sez. 3, n. 34764 del 21/06/2011, Fanciulli, Rv. 251244; Sez. 3, n. 14461 del 07/02/2003, Carparelli, Rv. 224468).
Coerentemente a tale indirizzo interpretativo la Corte d'appello ha, quindi, affermato la configurabilità anche del reato paesaggistico, sottolineando l'idoneità dell'opera realizzata dall'imputato a compromettere il paesaggio, evidenziando come le tensostrutture posizionate dal ricorrente siano disarmoniche rispetto alle caratteristiche alpine dell'area circostante, caratterizzata dalla presenza di abitazioni ben inserite nella cornice tipica del paesaggio di montagna, rispettose dei canoni architettonici tipici della zona: si tratta di motivazione adeguata e idonea a dar conto della astratta idoneità delle opere realizzate dall'imputato a compromettere il valore del paesaggio, stante la loro assoluta distonicità rispetto ai canoni costruttivi della zona, con la conseguente infondatezza della doglianza sollevata al riguardo dall'imputato.
6. In conclusione il ricorso deve essere respinto, stante l'infondatezza del primo, del terzo e del quarto motivo di ricorso e l'inammissibilità del secondo.
Consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20/4/2017