Cass. Sez. III n. 35217 del 29 ottobre 2025 (UP 24 set 2025)
Pres. Ramacci Rel. Noviello Ric. D'Ippolito
Urbanistica.Ristrutturazione pesante

La ristrutturazione pesante per opere non collocate nelle zone omogenee A né riguardanti immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, o situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142 del medesimo codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, richiede quale requisito essenziale (accanto a quello generale della persistenza di una traccia materiale e/o funzionale del preesistente edificio), che la creazione dell'organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente si connoti per un aumento di volumetria, la cui assenza declinerebbe, diversamente, l'intervento trasformativo, nelle fattispecie di ristrutturazione cd. leggera, richiedente il mero titolo abilitativo della SCIA.


RITENUTO IN FATTO 
1.     Con sentenza dì cui in epigrafe, la corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza del 24.2.2022 del tribunale di Cosenza, di condanna di D'ippolito Giulia sia per la realizzazione, senza titolo e in totale difformità da un permesso di costruire già rilasciato in sanatoria, presso il sottotetto, di un soppalco, con modifica di uso da sottotetto non abitabile a vano di uso domestico-residenziale, con alterazione anche del prospetto dell'edificio attraverso la creazione di finestre non previste originariamente, sia in ordine ai reati ex artt. 95 in relazione agli artt. 93 e 94, del DPR 380/01. Reati questi ultimi permanenti, laddove quello edilizio appare inserito sotto l'egida della disciplina della cd. legge Orlando quanto alla prescrizione.
2. Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione D'Ippolito Giulia, mediante il proprio difensore, deducendo quattro motivi di impugnazione.
3. Deduce con il primo il vizio di violazione di legge, sostenendo che in assenza di aumento volumetrico non sarebbe stata integrata alcuna fattispecie edilizia di rilievo penale, emergendo, piuttosto, un intervento di ristrutturazione non rientrante tra quelli definibili come "pesante", stante la realizzazione di un mero ripostiglio privo di accesso autonomo ed oggetto poi di legittima scia in sanatoria. In assenza, inoltre, di una superficie inferiore a 9 metri quadri non si potrebbe parlare di vano autonomo.
3. Con il secondo motivo, rappresenta il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 93, 94, 95 del DPR 380/01, osservandosi che per gli interventi privi di rilevanza o di minima rilevanza non è prevista la previa autorizzazione dell'ufficio tecnico della Regione ex art. 94 citato, mentre la corte non avrebbe spiegato le ragioni per cui tale intervento sarebbe rilevante per la pubblica incolumità e quindi penalmente sanzionabile ex art. 95 citato. Analoghe osservazioni si formulano in rapporto all'art. 93 citato essendo esonerate da preavviso scritto ex art. 93 comma 1 cit. le varianti non sostanziali, quale l'opera in esame.
4. Con il terzo motivo deduce il vizio di manifesta illogicità avendo il giudice disatteso le conclusioni del consulente tecnico di parte sulla base della sola visione di foto, in assenza di valide considerazioni critiche.
5. Con l'ultimo motivo deduce il vizio di omessa motivazione, rispetto alla richiesta di disporre una perizia sulla natura delle opere e rispetto alla richiesta di applicazione dell'art. 131 bis c.p., avanzata con atto di appello e nei motivi aggiunti.

CONSIDERATO IN DIRITTO 
1. Il primo motivo è del tutto infondato. Si premette che ai sensi dell'art. 10 lett. c) del DPR 380/01, integrano la cd. ristrutturazione edilizia "pesante" come tale richiedente il permesso di costruire, "gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli 2 e edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e, inoltre, gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino la demolizione e ricostruzione di edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142 del medesimo codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, o il ripristino di edifici, crollati o demoliti, situati nelle medesime aree, in entrambi i casi ove siano previste modifiche della sagoma o dei prospetti o del sedime o delle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente oppure siano previsti incrementi di volumetria".
1.1.     Alla luce della predetta disciplina, la ristrutturazione pesante per opere non collocate nelle zone omogenee A né riguardanti immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, o situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142 del medesimo codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, richiede quale requisito essenziale (accanto a quello generale della persistenza di una traccia materiale e/o funzionale del preesistente edificio), che la creazione dell'organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente si connoti per un aumento di volumetria, la cui assenza declinerebbe, diversamente, l'intervento trasformativo, nelle fattispecie di ristrutturazione cd. leggera, richiedente il mero titolo abilitativo della SCIA.
1.2. Tanto precisato, si osserva che questa Corte ha sempre individuato il requisito dell'aumento volumetrico non solo in un effettivo ed esteriore aumento della volumetria della struttura interessata, ma anche in una introduzione di una nuova volumetria interna atta a connotare la creazione del nuovo organismo edilizio. In tal senso si è osservato (Sez. 3, n. 48478 del 07/11/2013 Rv. 258352 - 01) che la costruzione abusiva, su un manufatto preesistente, di un solaio di interpiano e di una apertura per la realizzazione di un balcone, integra il reato previsto dall'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, trattandosi di intervento volto a creare nuovi volumi abitativi, superfici utili e modifiche dei prospetti. Si tratta di un indirizzo che, pur formulato sotto l'egida di precedenti formule descrittive della ristrutturazione richiedente il permesso di costruire, ben più rigorose di quella attuale che, per l'appunto, nei termini sopra specificati, lega la ristrutturazione "pesante" al solo essenziale requisito dell'aumento volumetrico (oltre che alla modifica di uso a date condizioni), in ogni caso individuava tale ultimo profilo volumetrico in termini per così dire più ampi della mera volumetria in aumento "esterna": secondo una prospettiva 3 interpretativa di fondo propria della ratio della ristrutturazione, pienamente condivisibile, che tiene conto della capacità dell'aumento volumetrico, assieme agli altri interventi realizzati (in ossequio del resto al principio generale della valutazione unitaria dell'intervento edilizio) di incidere in maniera particolarmente impattante sulla creazione di un "organismo nuovo": quale appare la creazione di un solaio intermedio (cd. soppalco) che, unito alla obiettiva abitabilità (i giudici hanno evidenziato la rilevante altezza, specie al colmo), e alla creazione di finestre, è tale da configurare un nuovo e distinto ambiente volumetrico abitabile, in luogo di un mero sottotetto. Si tratta di considerazioni giuridiche, sul fatto come decritto in sentenza, che questa corte è pienamente legittimata a formulare nell'ambito della tipologia di reato accertata dai giudici di merito. Né vale l'obiezione della assenza di un superficie calpestabile minima a fini abitativi (peraltro asserita ma non allegata) posto che, come noto, ai fini in esame rileva l'obiettiva utilizzabilità e destinazione ai fini residenziali, ancorchè non perfettamente in linea con requisiti di normazione secondaria che peraltro, come noto, non possono incidere sulle nozioni edilizie fondamentali di cui alla legislazione statale.
Da quanto esposto consegue anche la irrilevanza di mera scia per opere minori, e per quanto sopra evidenziato, non correttamente qualificate, rispetto ad opere richiedente il permesso di costruire 
2. Il secondo motivo riguarda il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 93, 94, 95 del DPR 380/01, osservandosi, da parte della difesa, che per gli interventi privi di rilevanza o di minima rilevanza non sarebbe prevista la previa autorizzazione dell'ufficio tecnico della Regione ex art. 94 citato, mentre la corte non avrebbe spiegato le ragioni per cui tale intervento sarebbe rilevante per la pubblica incolumità e quindi penalmente sanzionabile ex art. 95 citato. Analoghe osservazioni si formulano in rapporto all'art. 93 citato essendo esonerate, si osserva, da preavviso scritto ex art. 93 comma 1 cit., le varianti non sostanziali quale l'opera in esame.
Quest'ultima notazione è del tutto destituita di fondamento, atteso che innanzitutto parte da un rilievo valutativo personale, diretto a qualificare l'opera come variante non sostanziale, sconfessato dalle considerazioni di cui alla analisi del primo motivo, che descrivono, nel quadro di una necessaria valutazione unitaria dell'abuso edilizio, un'autonoma opera di ristrutturazione "pesante". Né si spiegano, comunque, con deficit di doverosa specificità del motivo di ricorso, rispetto al parametro dell'art. 94, bis comma 2 del DPR 380/01, le ragioni dell'inquadramento dell'intervento nelle varianti di carattere non sostanziale per le quali non occorrerebbe il preavviso di cui all'articolo 93.
Quanto poi alla inclusione dell'intervento tra le opere che, ex art. 94 bis, citato, non sarebbero sottoposte ad autorizzazione preventiva ai sensi dell'art.
94, del DPR 380/01, da una parte la censura difensiva appare generica, lamentando solo una incompleta motivazione, senza fornire specificazioni sulle ragioni di inclusione dell'opera tra le fattispecie sottratte alla previa autorizzazione, sebbene sia noto che il requisito della specificità dei motivi implica non soltanto l'onere di dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di consentire al giudice dell'impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (cfr. tra le altre, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, Valentini, Rv. 245907, Sez. 4, n. 24054 del 01/04/2004, Distante, Rv. 228586; Sez. 2, n. 8803 del 08/07/1999, Albanese, Rv. 214249); dall'altra, la corte ha illustrato adeguatamente, attraverso la evidenziazione della incidenza dell'opera sulle pareti perimetrali dell'edificio e del solaio sottostante su cui il soppalco è stato sopraelevato, con conseguente maggior carico statico ed interessamento di strutture portanti, le ragioni di applicazione della contestata fattispecie, non scalfite, appunto, dalla generica deduzione difensiva.
3. Il terzo motivo è inammissibile, a fronte della adeguata motivazione, come già illustrato analizzando i precedenti due motivi, e alla luce del principio per cui vizi di mancanza, l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione, devono essere di spessore tale da risultare percepibili ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità vertere su difetti di macroscopica evidenza, mentre rimangono ininfluenti le minime incongruenze e si devono considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (cfr., Sez. un., n. 24 del 24 novembre 1999, Rv. n. 214794; Sez. un., n. 12 del 31 maggio 2000, Rv. n. 216260; Sez. un., n. 47289 del 24 settembre 2003, Rv. n.226074). Nel caso in esame la valida motivazione formulata, in linea con le considerazioni di cui ai precedenti paragrafi, implica di per sé il superamento delle considerazioni tecniche di parte, senza necessità di una puntuale confutazione.
4. Quanto all'ultimo motivo, se da una parte si deve rilevare la mancata allegazione della richiesta che si assume formulata dalla difesa e disattesa, dall'altra, occorre comunque evidenziare la natura eccezionale dell'istituto della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ex art. 603 cod. proc. pen., atteso 5 e che segna il superamento della presunzione di completezza dell'istruttoria probatoria dibattimentale di primo grado. Ad esso infatti, il giudice può fare ricorso solo quando ritenga incompleta l'istruttoria già svolta ed impossibile la decisione allo stato degli atti, come può accadere non solo quando il giudice ritenga che i dati probatori già acquisiti siano incerti, ma anche quando l'incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze, ovvero sia di per sè oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza (cfr. Sez.6, n. 20095 del 26/02/2013 Rv. 256228 Ferrara; Sez. 3, n. 35372 del 23/05/2007, Rv. 237410 Panozzo). Per tali motivi il Legislatore non riconosce all'esercizio del predetto potere di rinnovazione un carattere obbligatorio assoluto né tantomeno una natura puramente discrezionale e, piuttosto, lo collega all'accertamento dell'impossibilità di decidere allo stato degli atti. La peculiare natura dell'esercizio di questo potere assume una portata determinante sul piano della motivazione delle decisioni assunte al riguardo.
Posto infatti che la rinnovazione in parola segna il superamento della citata presunzione di completezza, mentre il rigetto di domande proposte in tal senso radicando tale presunzione segna la persistenza della struttura ordinaria del giudizio di secondo grado, consegue che in quest'ultimo caso la motivazione della decisione negativa potrà anche essere implicita e desumibile dalla stessa struttura argomentativa della sentenza di appello con la quale si evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti all'affermazione o negazione di responsabilità, mentre il giudice d'appello ha l'obbligo di motivare espressamente sia in caso di accoglimento della richiesta di rinnovazione del dibattimento (art. 603 co. 1 cod. proc. pen. ) sia nel caso in cui disponga d'ufficio la rinnovazione (art. 603 co. 3 cod. proc. pen.). Venendo in questi casi a distinguersi solo l'ambito di riferimento della motivazione: nel primo caso concentrata sull'impossibilità di decidere allo stato degli atti, nel secondo caso sulla assoluta necessarietà della rinnovazione (cfr. Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 Rv. 266818 Ricci.; Sez. 5, n. 23580 del 19/02/2018 Rv. 273326 Campion). Nel caso in esame la motivazione formulata, fondata su dati fattuali inequivoci quali le caratteristiche dell'intervento, dà conto delle ragioni della irrilevanza della attività richiesta.
In ordine poi alla richiesta che sarebbe stata avanzata ex art. 131 bis c.p., essa non è idonea a fondare un vizio rilevante, posto che la insussistenza della speciale tenuità emerge implicitamente alla luce delle plurime violazioni rilevate, descrittive di un intervento per nulla modesto siccome incidente su plurimi e delicati profili tutelati, della medesima indole; da quello strettamente edilizio a quello antisismico. In linea, del resto, con il principio per cui in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto, il presupposto ostativo del comportamento abituale ricorre quando l'autore, anche successivamente al reato per cui si procede, abbia commesso almeno altri due reati della stessa indole, incidentalmente accertabili da parte del giudice procedente (Sez. 6 - n. 6551 del 09/01/2020 Rv. 278347 - 01) ed inoltre, ai fini dell'applicabilità dell'art. 131-bis cod. pen., nelle ipotesi di violazioni urbanistiche e paesaggistiche, la consistenza dell'intervento abusivo - data da tipologia, dimensioni e caratteristiche costruttive - costituisce solo uno dei parametri di valutazione, assumendo rilievo anche altri elementi quali, ad esempio, la destinazione dell'immobile, l'incidenza sul carico urbanistico, l'eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l'impossibilità di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli e la conseguente violazione di più disposizioni, l'eventuale collegamento dell'opera abusiva con interventi preesistenti, la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformità dallo stesso, il rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall'amministrazione competente, le modalità di esecuzione dell'intervento. Nella specie, essendo state violate più disposizioni di legge (urbanistiche, antisismiche), non può certo parlarsi di particolare tenuità, avuto riguardo all'offensività complessiva della condotta derivante dalla violazione di più disposizioni della legge penale, pur a fronte dell'unicità naturalistica del fatto (in tal senso cfr. Sez. 3, n. 19111 del 10/03/2016 Rv. 266586 - 01 Mancuso; Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015 Rv. 265450 - 01 Derossi). Non osta a tale conclusione l'indirizzo di legittimità secondo cui la dichiarazione di non punibilità per particolare tenuità del fatto non è preclusa dalla presenza di più reati legati dal vincolo del concorso formale (cfr. Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015 Rv.265449 - 01 Derossi cit.), atteso che con il principio sopra affermato e riportato si vuole valorizzare non già l'aspetto delle plurime violazioni "in sé" realizzate, da solo appunto non ostativo alla applicazione della condizione di punibilità in esame, quanto piuttosto la valutazione complessiva del "fatto" su cui certamente incide la plurima violazione di beni giuridici tra loro strettamente correlati, come nel caso, appunto, della trasgressione di più disposizioni di legge urbanistiche, ed antisismiche. In altri termini, è inapplicabile l'art. 131 - bis, c.p. tenuto conto della contemporanea violazione di più disposizioni della legge penale ai sensi del terzo comma del predetto articolo, in presenza di più reati della stessa indole ovvero di plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima "ratio punendi", poiché è la stessa previsione normativa a considerare il "fatto" nella sua dimensione "plurima", secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l'eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso si articola (da ultimo: sez. III non nnassimata n. 44319 del 5/10/2016; Sez. 5, n. 26813 del 28/06/2016, Grosoli, Rv. 267262).
5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P. Q . M .
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 24/09/2025.